Swallowed in the sea
Scivolò
stancamente sui tasti consunti, componendo un accordo disarmonico.
Non era abbastanza ispirato né dell’umore consono
per suonare, così, accendendosi la pipa, uscì
dalla sua fatiscente cabina e si concesse un giro sul cassero.
Un
asfissiante senso di sconfitta gli soffocava le vene.
Nel
cielo livido di pioggia sospesa un sole pallido si riverberava nelle
acque agitate e verdastre del mare di inverno.
Panorama
desolante e terribile. Spietato e affascinante. La sua bellezza
prepotente e primordiale accompagnava ogni singolo giorno della sua
prolungata esistenza, eppure quando il suo sguardo lo sfiorava, lo
rivoltava sempre nel profondo.
Smania,
dolore, eccitazione.
Lo
amava. Non ne aveva mai abbastanza di contemplarlo, non avrebbe mai
voluto separarsene, nonostante il male indicibile che gli aveva inferto
e per il quale lo odiava.
Ne era
diventato schiavo, credendo di possederne il controllo, di non
soggiacere a quei vincoli materiali e mentali che limitavano le vite
degli altri.
Era
convinto di essere l’unico ad avere il potere di decidere
della propria sorte e di quella di chiunque osasse sfidarlo.
Invece
alla fine aveva dovuto sottostare ad un umiliante compromesso per
sopravvivere.
L’umidità
salmastra impregnava ogni putrido legno appestato di sangue su cui si
scontrava la solerzia delle braccia della ciurma, che invano si
adoperavano a scrostarlo.
-
Lasciate stare le pulizie da vili donnicciole e occupatevi di
riapprontare le vele, piuttosto, rognose carogne! – li
linciò con spasmodico astio, riprendendo ad aspirare con
ingordigia l’acre esalazione dal retrogusto
insopportabilmente rancido.
D’altronde
alla morte e al suo mefitico tanfo aveva fatto l’abitudine,
ci si era addirittura deliziato a tal punto da percepire come
nauseabonda e opprimente l’aria che ne fosse priva.
L’oceano
in fondo non era nient’altro che un’infinita palude
traboccante di morte.
Prima
o poi si riappropriava di ciò che era sua
proprietà.
E
finalmente gli aveva restituito uno dei suoi più formidabili
tesori.
La
scelta di condannarlo era stata inevitabile. Si era imposta
perché quel pezzo di carne fradicia non smetteva di
palpitare freneticamente, ricordandogli che esisteva ancora, anche se
da anni immemori l’aveva rinnegato ...
“Non
riuscirete a braccarlo. Non ha bisogno di emergere in superficie come
balene e capodogli. E inoltre è molto più grande,
robusto e furbo di qualsiasi fiera marina abbiate mai incrociato. Le
vostre ridicole armi gli faranno il solletico.”
Aveva
confutato con sprezzo i piani di azione avanzati dagli ingenui e
arroganti marinai della Corona britannica.
Lord
Cutler Beckett, il loro altezzoso rappresentante, non aveva permesso
all’insolente sarcasmo con cui li aveva tacciati di intaccare
i suoi ambiziosi propositi. Aveva oltrepassato con flemma il suo
viscido leccapiedi Mercer, intimandogli con un gesto affettato di farsi
da parte, e lo aveva affrontato con l’imperturbabile
sicurezza di chi era consapevole di detenere il coltello
dall’estremità del manico.
“Confido
che la vostra comprovata conoscenza in materia saprà
suggerirvi la tecnica più opportuna con la quale farlo
abboccare”, aveva pronunciato adulandolo con schietta
diplomazia.
Davy
Jones conosceva perfettamente l’immane forza e
l’insaziabile appetito di quel mostro. Era in grado di
accartocciare vascelli di considerevole stazza come fossero fuscelli e
di divorare interi equipaggi senza lasciare traccia. Li seguiva,
giacendo dormiente sul fondale, a meno che l’allettante
richiamo di una carneficina non lo destasse dal suo apparente letargo.
“Il
Kraken non attacca a suo piacimento. A lui serve un’esca
viva. E siamo noi di solito a fornirgliela”, si era tradito
svelando il segreto legame con quel terrificante segugio.
Un’espressione
algida e bieca era balenata sul volto del capo della Compagnia delle
Indie Orientali.
“Quand’è
così, il nostro amico sarà accontentato al
più presto”, aveva mormorato semplicemente,
freddandolo.
E,
rindossando i guanti di velluto, si era diretto con indifferenza verso
la passerella, scortato dal suo fedele seguito.
Non
aveva tardato a mettere a disposizione uno spaurito gregge di
sacrificabili come pasto.
Chi
fossero o da dove provenissero quegli sciagurati, non si era
preoccupato di chiederglielo, immaginando si trattasse di rifiuti della
società, imprigionati con chissà quali pretesti
per essere immolati alla superbia e alla brama di dominio del cinico
stratega.
“Perché
non si oda grido di gioia e con speranza non guardi più al
cielo l’uomo ….”
La
voce per un attimo si era spezzata nell’articolare quella
formula.
L’argano
aveva iniziato a girare ugualmente, e il suo cigolare e stridere gli
erano apparsi più accentuati del solito. Una recondita e
torpida parte di sé aveva osato sperare che il vecchio
ingranaggio si inceppasse o che qualcuno di quei disgraziati si
ribellasse all’ordine.
Ipotesi
insensata. Quale iniziativa poteva pretendere da scellerate larve prive
di coscienza, che si illudevano di essere ancora vive solo se avevano
la possibilità di trucidare altri miserabili? Quei maledetti
mercenari, ottusi peggio di muli, si affannarono a muovere la ruota,
affinché la spaventosa bestia venisse attirata nella subdola
trappola.
Il
pesante martello schiantandosi propagò un’onda
d’urto che scatenò un terremoto sottomarino.
L’eco di un ruggito sommerso attraversò la crespa
distesa azzurra e un’enorme ombra, risalendo rapidamente
dalle profondità, si abbatté sulla chiglia
beccheggiante della nave alla deriva, risucchiandola in un vortice di
schizzi e spuma.
I
derelitti a bordo cominciarono a gettare grida di terrore e disperate
richieste d’aiuto.
Sublime
musica per le sue orecchie.
I
colossali tentacoli emersero strisciando sinuosi sulle ruvide pareti
dello scafo, saggiando con le ventose la consistenza della preda,
valutandone i punti deboli, quelli in cui attaccare senza tregua.
Entrarono nei boccaporti, spazzarono il ponte, trascinarono via ogni
artiglieria, e, spingendosi più in alto, sradicarono alberi
e pennoni, avventandosi infine sulle vittime predestinate per quel
succulento banchetto.
C’erano
uomini, donne, vecchi, ragazzini e perfino qualche soldato caduto in
bassa fortuna.
Strepitavano
come ossessi, dimenandosi invano nelle loro catene di ferro, e tutto
quel vociare e cozzare di metallo e carne acuiva l’istinto
distruttivo e rapace del gigante marino.
Davy
Jones impugnò il cannocchiale per godersi meglio il macabro
spettacolo e, in un barlume di moralità, pensò
che raramente gli era capitato di imbattersi in un uomo tanto
spregiudicato e spregevole quanto quell’anemico nanerottolo
inglese.
Lord
Beckett, sul suo lustro veliero ancorato poco lontano, trangugiava
comodamente il suo insulso tè, assistendo
all’orrenda strage che stava consumandosi sotto i loro occhi,
ammirato e impressionato da quell’incontenibile fenomeno
della natura.
Al suo
confronto perfino il Demonio avrebbe dovuto sentirsi quasi una
nullità assoluta.
Non
aveva ancora visto di quale devastazione fosse capace
l’Olandese Volante.
Vantava
un arsenale capace in pochi istanti di mandare qualsiasi imbarcazione a
salutare gli abissi, senza darle il tempo di contrattaccare la sua
smisurata potenza di fuoco. Avrebbero iniziato a crivellare il
leviatano con una raffica di granate per istigarlo a volgere le sue
grinfie verso di loro. E, una volta ottenuta la sua attenzione, lo
avrebbero sistemato con qualche altro colpo ben assestato, rispedendolo
nella voragine dell’Inferno da cui proveniva.
“Virare
di proravia e armare i cannoni!”, aveva sbottato drastico e
cruento, sebbene la sua voce non fosse stata incendiata dallo stesso
sadico fervore di sempre.
Naturalmente,
non gli importava nulla di quel bastardo, benché fossero
fatti della stessa pasta avariata, affamati di urla strazianti e anime
marce. Lo aveva capito dal primo momento in cui lo aveva scorto
avvicinarsi, sfrontato e avido, ai resti di un massacro, per cibarsi
della scia dei cadaveri scempiati lasciati dalle loro feroci
incursioni. Era ricomparso la volta successiva, e quella dopo, sino a
diventare una presenza costante e invocata.
Insieme
erano stati i padroni incontrastati dei mari, ma ormai la situazione
era cambiata.
Nel
mondo non c’era più posto per entrambi.
L’imponente
tagliamare fendette le onde pullulanti di corpi mutilati, puntando
inesorabile verso la nuda carcassa che stava per affondare, frantumata
tra le grosse zanne del mostro.
Una
grandinata di piombo lo investì a tradimento, tenendolo
sotto tiro sul fianco scoperto, strappandogli un ruggito terrificante e
inducendolo a rituffarsi velocemente
nell’oscurità, ferito, non ancora sconfitto.
Era
solo il principio di quell’epico scontro, ne era certo.
Una
colonna d’acqua infatti urtò contro la murata di
tribordo, mentre quella di babordo tremò, la poppa
cominciò a sollevarsi, ogni chiodo, trave e corda a vibrare,
provata dal sostenere un peso abnorme e schiacciante. Il braccio
tentacolare più lungo si insinuò sotto la carena,
e con minimo sforzò mise fuori uso l'argano a martello,
spezzandolo e lanciandone i frantumi sulla tolda.
Alcuni
marinai abbandonarono i posti di manovra, non sapendo come comportarsi,
altri caricarono i cannoni laterali a scagliare a ritmo
serrato, mancando miseramente il mobile obiettivo, che riusciva
puntualmente a scansare la traiettoria dei proiettili.
Una
ciclopica orbita sanguigna apparve da dietro il bompresso appuntito,
fissando il Capitano dell’Olandese con moto di sfida,
avvolgendo con maggiore presa le stritolanti spire al putrescente
fasciame della nave spettrale.
Davy
Jones sogghignò, un sogghigno amaro che gli contorse la
faccia sfigurata.
Quel
figlio di puttana era impavido, scaltro e forte, ma il suo cervello
restava quello di un animale. Ignorava a quale micidiale arma fosse
abbarbicato e lo scoprì troppo tardi.
Quello
era stato il suo ultimo letale abbraccio.
Sei
archibugi rotanti sbucarono dalla facciata di prua sputando un boato di
massa incandescente che lo trafisse.
Un
agonizzante ululato di pietra e fuliggine, poi i suoi pustolosi arti
avevano perso vigore ed erano ricaduti mollemente nel vuoto,
inabissandosi con un lugubre gorgoglio.
Lo
aveva affrancato dal suo onorato servizio, dal suo debito.
Non
gli doveva più niente.
Ora,
almeno lui, giaceva, irraggiungibile e libero, inghiottito
dall’oceano.
Salute a voi, donzelle e marinai
:)
Quali sono le ragioni
che mi hanno portata a scrivere questa one-shot dai toni decisamente
dark?
Il clima di queste feste
macabre, non mi ha ispirata, tuttavia è stato il pretesto
per pubblicare.
Da un po’
avevo voglia di staccarmi dallo scanzonato Capitan Jack Sparrow e dalla
rigida struttura delle drabble. Anche Davy Jones è un
personaggio ricco di sfumature, gli avevo già dedicato altre
composizioni, perciò si potrebbe dire che sono tornata sul
luogo del delitto :P
Avendo riflettuto sulla
frase che Beckett pronuncia nel terzo film, "Credevo ti fosse apparso
chiaro quando ti ho ordinato di uccidere la tua bestia", mi frullava
l’idea di ripercorre gli antefatti di una scena non mostrata
che a mio giudizio avrebbe meritato un maggiore approfondimento
– come molte altre – e così ho cercato
di darle forma, o meglio inchiostro (virtuale). Confido nel vostro
giudizio per sapere se ci sono riuscita in qualche modo.
Intanto ringrazio quanti
sono arrivati fin qui, dedicando qualche minuto del loro tempo alla
lettura.
Al prossimo approdo!)
PS: il titolo
è preso in prestito dalla omonima canzone dei Coldplay
contenuta nell'album X&Y.
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