Era un dolce e ritmico suono quello delle gocce d’acqua
che colavano dall’alto. Diramando l’eco del loro infrangersi sulla nuda pietra,
andando a morire in un istante, svanendo. Danzando nell’aria prima di spezzarsi
in altrettanti frammenti toccando il suolo. Dagli echi di quei lunghi e tetri
corridoi umidi, giungeva più di un singolo suono…
“Vi prego…” La voce dell’uomo era tremula, quasi un pavido sospiro.
Non era una novità inginocchiarsi, prostrarsi con umiltà verso una superiorità
inviolabile ed assoluta, chinare il capo di fronte alla sua autorità…no, per
Severus Piton, non era mai stata una novità. Ciò che davvero usciva dagli
schemi antecedenti, era il motivo per cui lo stava facendo. Per la prima volta
da quando era nato, si ritrovava a supplicare. E non per se stesso.
“Padrone non lei…”
Sfiorava il pavimento sudicio con il lungo naso aquilino.
Le mani pallide erano strette nei pugni e sorreggevano il peso della sua magra
persona, trepidamente portata in avanti. Capelli unticci, di un colore vivido e
corvino (ma decisamente viscidi di aspetto), gli cadevano sul viso e sugli
occhi, andando a coprire la sua espressione contratta. La bocca tremava a brevi
tratti, come se dovesse dire qualcosa d’importante senza trovare le parole. Sussulti
silenziosi di chi non sapeva cos’altro aggiungere si perdevano risucchiati dal
buio denso della stanza. Il focolare ormai praticamente spento, diffondeva il
vago chiarore, sufficiente a non metter piedi in fallo, eppure, pareva che l’essere
di fronte a Piton non ne avesse granché bisogno della luce. Anzi, si muoveva
senza alcun timore in quel pozzo nero di umidità e muffa, come se si fosse
trovato nel suo habitat perfetto.
“Severus…” gli disse accomodandosi sulla poltrona accanto al fuoco
morente. Il mantello nero si mosse in quel gesto alzando un lieve soffio d’aria
che si infranse sulla fronte dell’uomo in terra, dandogli un lungo brivido (non
ne scompigliò tuttavia la sordida capigliatura, che pareva perfettamente
ancorata alla pelle del viso, sbiancato, smunto).
“Severus…” chiamò di nuovo. La voce era chiara, intimidatoria e
sebbene la cadenza la facesse assomigliare terribilmente ad un sibilo, era
possibile comprenderne ogni minima variazione “Vieni qui”
Strisciò letteralmente, ai suoi piedi. Lì dove la veste
corvina si piegava in morbide rientranze che sfioravano il pavimento,
adagiandosi con grazia, lì dove la sua persona appariva beffardamente insulsa,
attese. Attese un ulteriore parola dalla voce del suo mentore.
La mano pallida e avvizzita dell’Oscuro Signore si alzò
lenta, e altrettanto lentamente si posò sul capo del mangiamorte. Lo trascinò
ulteriormente vicino a se. Ora poteva sentire l’odore forte che avvolgeva
quella creatura. Odore di un cadavere lasciato a marcire al sole, odore di
terra, odore di sangue, odore di ossa bruciate. Così forte, così intenso da
chiedersi il motivo per il quale non era mai riuscito ad avvertirlo prima di
quel momento. Forse non aveva mai voluto sentirlo, come ripensò diversi anni
più tardi, nella sua stanzetta di professore, a scuola. Forse, certe cose
devono rimanere inosservate, per far si, che il destino si possa compiere.
Ora quella mano lo sfiorava (e si trattava della sinistra,
poiché ben sapeva che l’altra era riservata unicamente alla bacchetta),
toccandolo delicatamente.
“Severus, tu non rispetti forse il tuo Signore?” domandò e Piton alzò lo sguardo
quasi sussultando. Incrociò gli occhi rossi della creatura ed impallidì.
“Lo rispetto”
Sentì una vocetta stridula ridacchiare nell’oscurità.
Riconobbe Bellatrix Lestrange e quella si avvicinò, come emersa dall’inchiostro
liquido. Tutto in quel luogo sembrava creato con le tenebre. Forse persino se
stesso, non era altro che un’ escrescenza fisica plasmata dal buio. La donna si
era avvicinata ai due con un’ espressione mordace dipinta nel volto livido. La
figura longilinea e aggraziata, era stretta nella tunica da mangiamorte. Non
aveva con se la maschera e dopotutto, per dove si trovavano, non sarebbe
servita a nulla. S’inchinò verso l’individuo alla poltrona, con enorme
riverenza, il quale sembrò gradire il gesto.
Ma Piton era rimasto allo sgradevole sogghigno.
“Cosa ti diverte così tanto Bella?” Chiese sdegnato.
Lei emise un secondo risolino meno acuto, ma ugualmente
molesto.
“Non dovevo forse “ Si scusò malignamente “Ma eri quasi riuscito a
convincermi…”
Piton non rispose subito e fu preceduto da Voldemort che,
dopo aver assistito alla devozione della donna le aveva concesso di avvicinarsi
ulteriormente.
“Severus è stato sempre fedele, e ha sempre adempiuto al
suo dovere, portando avanti una condotta esemplare, ed in questo, Bella, non
puoi non convenire anche tu. Ma non era la fedeltà il soggetto della mia
domanda…” disse,
passando la mano tra i capelli del servitore. Quasi un gesto d’affetto, quasi…
Bellatrix storse la bocca in un espressione indefinita di
rabbia e quello che, occhi esperti avrebbe saputo definire come invidia. Si ,
invidia. Una gelosia folle, alimentata da ciò che si presentava impunemente
alla sua vista. Non ebbe bisogno di chiudere gli occhi per immaginarsi al posto
del suo compagno, chinata a ricevere le attenzioni del proprio padrone, umile,
docile e servizievole. Lo desiderava. Lo desiderava ardentemente.
Ma ora, la scena apparteneva a Severus Piton.
“No…” riprese l’Oscuro con tono pacato “Non si trattava di fedeltà.
Comprendo la tua dedizione come nessun altro, e inutili sarebbero le
rassicurazioni che potresti darmi in merito Severus. Lo so, conosco la tua
mente…”
L’uomo si lasciò trascinare dentro lo sguardo di un color
sangue intenso. Era un turbinio di immagini passate, di memorie e situazioni
che aveva sparpagliato dietro di se nel corso degli anni. E lasciava che
venissero esumati dalla sua anamnesi come cadaveri. I resti di colui che era
stato sorgevano di nuovo, per mostrarsi docili al discernimento del proprio
padrone. Tutto, tutto scorreva come trasportato dalle acque di un fiume, scivolando
verso Lord Voldemort, senza remore, senza che Piton si sforzasse minimamente di
nascondere qualcosa.
Bellatrix assistette a quella scena, sentendosi rodere da
dentro, ma non disse nulla.
L’uomo si era abbandonato in grembo all’Oscuro Signore,
come si fosse trattato di un cucciolo obbediente, con il capo lievemente
reclinato all’indietro, lo sguardo assente perso nei meandri dei suoi ricordi, intrappolato
nella stretta di quella mano pallida e scheletrica che gli afferrava i sudici capelli.
Sembrava un unione di anime, in cui l’una accoglie l’altra e si lascia
dominare, assoggettare e guidare. C’era un qualcosa che andava oltre la valenza
spirituale dell’atto e la donna parve rendersene conto perché distolse lo
sguardo per puntarlo altrove, trattenendo l’impulso di porvi fine.
“A chi appartieni Severus? Chi hai deciso di servire?” chiese la voce serpentina
rompendo il silenzio.
“Vi appartengo…” rispose lui come rinvenendo da un sonno agitato “ …e
voglio servirvi…ma…”
“Eppure non rispetti la mia decisione. Vuoi forse
criticare una mia scelta?”
“Ma perché lei?” Domandò l’uomo in un moto disperato.
La stretta sui suoi capelli si chiuse sadica. Emise un fioco
gemito.
“ Tu mi portasti le informazioni che avevo richiesto. Mi
servisti bene. Perché adesso vuoi fermarmi la mano!?” Esclamò. Ed era tornato al
solito tono imperioso che non permetteva repliche. “Quella feccia possiede
per te un qualche valore?”
Bellatrix non riuscì a contenersi.
“Chissà perché non riesco a stupirmene…” borbottò tra se, ma Voldemort non
aveva ancora terminato e la zittì con lo sguardo.
“E' la madre che ti interessa giusto Severus? Lo so, l’ho
visto….” Aggiunse
in fretta “ Vuoi che sia un dono dell’Oscuro Signore? Vuoi che io la
risparmi per offrirla a te? E’ questo quel che desideri?”
Era stato incalzante, e Piton ne uscì disorientato.
“Voi potete questo?” chiese in un tono che sapeva di preghiera.
“Lord Voldemort elargisce ricompense a chi sa servirlo
come si deve...”
Rispose borioso. “Se è la donna che vuoi, la lascerò vivere. Non è lei che
mi interessa, e se desideri possederla, non c’è motivo per cui tu non possa
farlo. E’ il dono del Signore Oscuro, ricordatelo bene Severus. “
L’uomo si chinò a baciare le nere vesti in preda ad un
sentimento confuso. Stava così distruggendo una famiglia, la famiglia di Lili
Evans, ed era avvenuto tutto con una semplicità paradossale. Sapeva cosa
sarebbe accaduto e temeva per la sorte incerta dell’unico oggetto del suo
amore.
Si, soltanto per lei temeva….
Suo figlio sarebbe morto, ma lei no, lei non doveva
morire. E per quanto riguardava la sorte di quell’arrogante di un Potter…bè,
era vissuto anche troppo per i suoi gusti. Se la profezia avrebbe decretato
anche la fine di quell’uomo insopportabile, lui non poteva che esserne felice.
Si, pienamente, e totalmente felice.
L’ultimo barlume di luce nel camino si spense in un soffio
di vento.
Gelida Angoscia.