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Vorrei parlare dieci minuti da
sola con Raffaele, per favore.
Il cuore
inizia a premermi furiosamente contro lo sterno,
mentre rivolgo queste parole a tua madre e alla mia collega.
Per un
istante, tutto va a rallentatore. La mia collega era
avvisata e fa un sorriso, tua madre appare un attimo perplessa, ma poi
subito aggiunge
: “Va bene, intanto esco.”
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Vengo fuori con lei.
Entrambe
abbandonano lo studio,
richiudendosi delicatamente la porta alle spalle.
Finora non
ho avuto il coraggio di guardarti, di scoprire
come hai preso le mie parole e questo piccolo spazio che mi sono
ritagliata.
Vado
a sedermi dietro la scrivania,
mentre ti giri con uno scatto fluido verso di me.
Per
un istante, l’aria tra noi si
fa densa.
È
un pomeriggio tardo di inizio marzo, il cielo è
già
declinato nell’oscurità e il mio studio, caldo nel
colore rosato dei suoi muri,
sembra ancora più piccolo e ammassato.
Prendo
fiato, perché a questo punto devo parlare. Trovo i
tuoi occhi che mi osservano, curiosi, in attesa. Non sembri seccato
né
minimamente preoccupato.
E
in questo momento ripenso...
... al
giorno in cui sei arrivato al nostro doposcuola per
ragazzi con disturbi dell’apprendimento. La tua rabbia
nell’ essere costretto a
venire, la diffidenza, l’atteggiamento provocatorio, il
sarcasmo.
... i voti
bassi, il rischio di essere bocciato, la tua
poverissima autostima che ti fa rinunciare, scappare, evitare ogni tipo
di
confronto;
... il tic
che ti stressa il viso ogni volta che la scuola, i
professori, i compiti ti opprimono fino a toglierti il respiro;
... il tuo
nervosismo, l’irritazione... La volta in cui
scoppiasti in lacrime davanti a me, perché non ne potevi
più... Non sapevi cosa
non andasse nella tua vita, sapevi solo che era troppo per contenerlo
tutto nel
tuo piccolo corpo irrequieto.
Dodici anni
e un cuore già difeso, ferito troppe volte per
esporsi ancora allo sguardo esterno.
E oggi sei
qui, seduto davanti a me, nel mio studio di
psicologa. Le tue mani si muovono senza sosta sulla scrivania,
giocherellando
con la biro.
Non hai la
minima idea di cosa hai smosso nel mio cuore, Raf.
Quando ho raschiato la superficie e ho trovato dolore e
fragilità e sensibilità
e paura... quando ho scovato la tua anima sotto quella pelle dura e
sarcastica... allora tutto dentro di me si è rivoltato.
E oggi
voglio contrapporre gentilezza alla tua durezza,
pazienza alla tua impulsività, tolleranza alla tua
frustrazione, speranza al
tuo sconforto. Per ciò che posso, nei miei limiti.
Finché riesco.
Non so cosa
risponderai alla mia proposta e all’improvviso la
paura del rifiuto, che tanto condiziona la tua vita, impregna anche la
mia
testa.
Ti osservo,
cercando la spinta per parlare. Sembri a tuo
agio, nonostante tutto. A tuo agio più di quanto ti abbia
mai visto fuori da
qui.
Quando la
mia collega propose a tua madre una tua valutazione
in studio per un disturbo dell’attenzione, io
contemporaneamente la proposi a
te. Cercai la tua collaborazione, la tua alleanza e tu accettasti nella
speranza che qualcosa sarebbe cambiato.
È
passato un mese da allora.
Hai fatto i
test qua, con la mia collega; hai lavorato con me
al doposcuola seguendo le mie indicazioni.
Questo mese
insieme è tutto ciò su cui posso puntare. Ti ho
toccato il cuore in qualche modo, in questo periodo, Raffaele?
- Volevo
parlarti da solo, perché ho pensato a una cosa –
comincio - Ma prima di proporla a tua madre, voglio sapere cosa ne
pensi tu.
I tuoi occhi
si alzano a osservarmi... Occhi belli, dal
taglio particolare, che danno al tuo viso minuto quel certo
nonsoché.
Erano sempre
bassi, prima, sempre sfuggenti. Quand’è che hai
iniziato a guardarmi fisso in faccia?
- Lavorando
con te, mi sono resa conto che hai tante...
ansie.
Cerco il
modo giusto per dirti qualcosa che non so come
prenderai.
Sorprendentemente
annuisci. Quel breve gesto mi incoraggia.
- Mi
chiedevo se ti andasse di venire in studio, ogni tanto,
per parlare e vedere se riusciamo... a ridimensionarle un pochino.
Trattengo il
fiato, mentre le parole passano dalla mia bocca
alle tue orecchie. Le osservo quasi fossero aria visibile e aspetto
l’effetto
che produrranno sulla tua persona.
Perché
ho imparato a volerti bene, in questo mese. Ho visto
la tua sofferenza, in queste settimane.
Ma conosco
la tua diffidenza, il tuo orgoglio, la tua finta
freddezza. La maschera di disinvolta indifferenza.
Alzi nuovamente gli
occhi su di me e annuisci. Lentamente. Una, due, tre volte.
Il tuo viso
è aperto, limpido... Cerco tracce della tua
arroganza, delle spallucce, del sarcasmo. Cerco quella fortezza che
separa il
mondo dalle tue emozioni.
Non
c’è.
Non
c’è più.
In questo
esatto momento vedo il tuo viso. Il tuo vero viso:
aperto, giovane... indifeso.
Con quei
brevi cenni del capo, ti affidi a me.
Quando
è successo?
Com’è
possibile che non me ne sia accorta?
Eri in
guerra con la scuola, con lo studio, con noi. E ora è
qui, che galleggia tra noi.
Fiducia.
Deglutisco,
perché prima di questo istante non mi ero resa
conto davvero di quanto temessi un tuo rifiuto.
Il cuore
arroccato di un ragazzino ferito è un tesoro
delicato. Fa paura, questa improvvisa fiducia. Fa spavento, mette ansia.
Ma
l’emozione che provo è anche dolcezza,
è anche commozione,
è anche affetto.
Farò
del mio meglio, Raffaele. Porterò la tua fiducia tra le
mie mani come un bene prezioso.
Da oggi
cammineremo uno a fianco dell’altra, io e te.
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