Dedicato
a Blackmiranda, per ragioni che si scopriranno in fondo :)
Capitolo
otto: Are there some aces up your sleeve?
Stava albeggiando, Ichigo
notò,
stropicciandosi gli occhi. Lei, Purin e Zakuro erano distese sui
tappetini della palestra, dove avevano passato una notte agitata.
Shirogane avrebbe voluto mandarle a casa, ma loro si erano imposte ed
erano rimaste lì, sentendosi inutili mentre la ricerca per Minto e
Retasu continuava. Sapevano, però, che ogni minuto che passava era
un minuto in più di speranza persa; ancora poco tempo, e non
avrebbero potuto fare molto.
Taruto e i suoi colleghi si
erano
rimessi a setacciare le telecamere stradali, ipotizzando i vari
tragitti che quel dannato SUV avrebbe potuto prendere. Ma Tokyo era
Tokyo, e quell'impresa titanica.
Si alzò silenziosa, non
volendo
svegliare le altre. Aveva sentito Purin piangere durante la notte, e
adesso la biondina era immersa in un sonno profondo che le sarebbe
servito. Non sapevano, infatti, quali notizie avrebbe potuto portare
il giorno.
Stirandosi i muscoli, si
diresse
a piedi nudi verso il bagno, desiderando una doccia calda per poter
alleviare stanchezza e preoccupazione.
Mentre passava davanti allo
spogliatoio maschile, vide la luce accesa e sentì il fermarsi
dell'acqua corrente; non ebbe molta difficoltà nell'indovinare chi
avrebbe potuto essere, ma un'occhiata veloce all'interno le rivelò
dei vestiti noti. Non erano in molti in Dipartimento a quell'ora,
dopotutto.
Sapendo che, appunto, non
c'era
nessuno in giro, si addentrò nello spogliatoio umido, appoggiandosi
poco distante dall'entrata.
“Ryo?”
domandò in un sussurro.
“Hey
there,” le
rispose lui con finta allegria mentre tirava fuori dei vestiti puliti
dall'armadietto, con un asciugamano intorno al collo e solo la
biancheria addosso “Ti sei svegliata presto.”
“Già,
è stata la luce. Le altre stanno ancora dormendo.”
“E
tu cosa ci fai nello spogliatoio degli uomini?”
Ichigo alzò gli occhi al
cielo:
“Ho sentito la doccia e ho pensato che fossi tu.”
Shirogane si frizionò
velocemente i capelli: “Ed ora che mi hai trovato?”
Lei si morse il labbro: “Come
stai?”
L'americano non rispose per
qualche minuto, rivestendosi con calma.
“Non
è colpa tua, Ryo.” insistette la rossa “Non potevamo prevedere
tutti quegli... imprevisti.”
Lui rise senza nessuna traccia
di
umorismo: “E' praticamente il nostro lavoro riuscire a prevedere
tutto quello che può andare storto e fare di meglio per evitarlo,
Ichigo-chan.”
“Lo
so, ma questa volta sembrava davvero che avessimo l'universo contro.”
Ryo chiuse l'armadietto,
armeggiando con l'orologio che portava al polso: “Avrei dovuto
essere più attento e annullare tutto quando ci siamo resi conto che
la situazione non era appropriata.”
“L'ordine
sarebbe dovuto arrivare da Akasaka-san...”
“Be'
e io avrei dovuto insistere,” la rabbia di Shirogane fuoriuscì in
un sibilo così improvviso che la ragazza fece un passo indietro
“Minto e Retasu sono le mie
agenti, era la mia
missione sotto la mia
responsabilità,
quindi io
avrei dovuto lasciare perder tutto invece di metterle così in
pericolo.”
“Ryo
-”
Erano tanti i toni in cui
Ichigo
diceva il suo nome, quand'erano da soli. C'era l'acuto strillo
implorante quando le faceva il solletico all'improvviso, e
l'affannato sospiro all'orecchio tra le lenzuola; ma di tutti, quello
era l'unico che non poteva sopportare. Era carico di quella che lui
percepiva come pietà, un sentimento che aveva dovuto provare da
troppo piccolo e che detestava. Aleggiava nell'aria, non detto, non
concluso, precedendo scuse che lui non voleva sentire perché non
portavano a nessuna soluzione.
“Puoi
ascoltarmi, per favore?” insistette la rossa.
“Perché
dovrei?” ringhiò lui “Hai qualcosa da dire che potrebbe tornare
utile?”
“Non
lo so, ma se tu per
una volta
volessi farti aiutare...!”
Ryo strinse i pugni e si
impose
di fare un respiro profondo. Sapeva che non poteva prendersela con
lei, non almeno in quel frangente. Ichigo era preoccupata quanto lui,
poteva fare ancora meno di lui.
“Nessuno
ti impone di essere sempre il più forte di tutti,” la udì
mormorare.
Lui sospirò, cacciando
l'asciugamano nel cesto per la roba bagnata e indossando la camicia
pulita: “Non ho voglia di parlarne, Ichigo. Sono stanco.”
Ichigo fu colta da un ironico
senso di déjà vu che la fece trasalire. “Volevo solo...”
“Lo
so,” la interruppe lui “Ma lascia perdere.”
Lei annuì e, senza aggiungere
altro, girò sui tacchi e si diresse verso lo spogliatoio femminile,
volendo ormai soltanto di annegare tutti i suoi pensieri sotto il
getto d'acqua bollente.
Nel silenzio della palestra,
intanto, Purin dormiva un sonno agitato. La pelle era secca e striata
dalle lacrime che le erano cadute copiose durante la notte, per
quanto lei avesse cercato di trattenersi convincendosi di essere più
forte di così, che sapeva cosa avrebbe affrontato lavorando per
l'Agenzia.
Il pensiero di Retasu, però,
persa chissà dove, non la poteva lasciare. I suoi sogni nervosi
riflettevano le sue paure, le riportavano a galla momenti che aveva
paura di non poter più condividere con la sua amica dagli occhi blu.
Si svegliò quasi di
soprassalto
nel sentire il rimbombo di un armadietto lontano, con un rantolo che
le soffocò la gola mentre un ricordo le ritornava in mente.
Erano
sedute in armeria, a riporre le pistole usate poco prima per un
controllo al poligono. Purin sapeva che a Retasu non piaceva l'odore
della polvere da sparo, o lo schiocco violento del proiettile che
schizzava verso il bersaglio. Neanche lei ne era particolarmente
attratta, ma sapeva che per l'altra ragazza era peggiore. Retasu era
brava con i computer, le piaceva rendersi utile da una tastiera
piuttosto che impugnare un'arma. Un po' come a Taruto, si disse, e
forse era per quello che andava così d'accordo con entrambi. Decise,
perciò, di provare a distrarla un po', giusto per fare due
chiacchiere. Ne aveva di cose da raccontarle, in fondo, ed era da un
po' che non avevano il tempo di rilassarsi per bene, con tutti quei
casi che Akasaka-san aveva deciso di appioppare loro ora che si era
reso conto di quanto anche Shirogane le facesse lavorare.
“Sono
uscita con Taruto-kun, sabato scorso,” le rivelò sotto voce con un
sorriso.
Retasu,
incredibilmente, non ne sembrò sorpresa. “Lo so,” rise contenta,
rispondendo subito alla muta domanda di quegli occhi nocciola “Me
l'ha detto Minto, ovviamente, lo sai che lei sa sempre tutto. Non ti
ho chiesto nulla perché ho preferito aspettare che me ne parlassi
tu.”
“Oh,
Reta-chan, lo sai che con me non devi farti problemi! Siamo amiche,
puoi chiedermi quello che vuoi!”
Le
guance della ragazza s'imporporarono: “Allora, come è andata?”
Purin
si strinse nelle spalle: “E' andata bene, direi? Non sono molto
abituata ad avere degli appuntamenti, e Taru-Taru è così... timido?
No, è... uhm... non so come descriverlo. Però ci siamo divertiti,
siamo andati allo zoo, e poi a prendere un gelato, e...”
Retasu
guardò divertita la sua amica che si lanciava in un intricato
racconto del suo week-end. Era bello vedere la “piccola” del
gruppo così contenta, soprattutto visto quanto lei e uno dei loro
tecnici si girassero intorno da mesi. Non riuscivano ad ingannare
nessuno quando insistevano di essere solo amici e finalmente, dopo
tattici suggerimenti da parte di Minto e Zakuro, Purin aveva preso in
mano le redini della situazione e si era convinta ad invitarlo fuori,
vista la ritrosia infantile del ragazzo. Le venne da sospirare. Era
da tempo che lei non provava quel brivido lungo la schiena dato dalla
consapevolezza che ci fosse qualcosa sul punto di nascere. Un po' non
aveva il tempo di concentrarsi sulla sua vita privata, un po' le era
anche comodo barricarsi dietro quella scusa... non era mai stata una
campionessa nelle relazioni sociali, ed il pensiero di doversi
imbarcare in una con tutte le conseguenze che la sua vita
professionale comportava, non la faceva certo sentire meglio. Per
Purin era facile, Taruto sapeva benissimo chi lei fosse. Ma bastava
guardare al caso di Ichigo, che sembrava impazzire dietro tutto
quello con cui doveva destreggiarsi, per non parlare poi... le sue
elucubrazioni furono interrotte da Minto, che si sedette vicino a lei
sulla panca scuotendo la testa.
“Quei
due dovrebbero stare più attenti, o lo verrà a sapere l'intero
dipartimento.” borbottò sottovoce.
Le
altre ragazze non ebbero bisogno di chiedere a chi si stesse
riferendo.
“Tu
fai a meno di parlarne, e magari la questione sarebbe più
riservata,” la riprese con un sorriso Purin.
Minto
alzò gli occhi al cielo e fece un cenno veloce verso Shirogane ed
Ichigo, che si stavano parlando ad una distanza troppo ravvicinata
per due persone che intrattenevano soltanto una relazione lavorativa:
“Guarda che io lo dico per loro. A me non me ne frega niente di chi
si porta a letto Ichigo, o Shirogane, ma ai piani alti questa cosa
potrebbe non andare giù. Tecnicamente, è contro le regole.”
“Almeno
Shirogane-kun è più spesso di buon umore,” sghignazzò la
biondina.
Retasu
storse la bocca in un'espressione pensierosa: “Non è comunque
giusto, pensate ad Aoyama-kun, lui non sa niente...”
Minto
si alzò in piedi e ripose le cuffie che usavano per proteggersi dal
frastuono: “Quello è l'ultimo dei problemi di Ichigo, Reta-chan. E
comunque, non siamo qui per giudicare.”
“Oh,
tu sì!” con una risata, Purin avvolse le braccia intorno alle
spalle delle amiche e insieme si diressero bisbigliando verso il loro
ufficio.
Purin schiacciò la testa
contro
il materassino della palestra, che da confortevole appoggio per pochi
minuti dopo gli allenamenti era diventato duro e scomodo dopo una
notte passataci a rivoltarcisi sopra. Fece un respiro profondo,
cercando di allungare la colonna vertebrale e far schioccare
piacevolmente le ossa anchilosate; le gambe erano intirizzite dal
freddo e dalla posizione raggomitolata che aveva tenuto per ore.
Sapeva che non sarebbe più riuscita ad addormentarsi, e non ne aveva
voglia. Voleva solo fare qualcosa, qualsiasi cosa, per ritrovare le
sue amiche.
Almeno smetterla di perdere
tempo
a dormire, solo l'idea di essere lì reclusa la faceva innervosire,
lei che era così abituata a non stare mai ferma.
Si alzò svelta dal pavimento,
stirando le braccia verso l'alto e strofinandosi le guance per
affievolire il pizzicare dell'acqua salata. Si legò i capelli in una
coda veloce e spettinata, affrettandosi fuori dalla palestra.
L'ombra di Ryo le si stagliò
davanti, con i capelli umidi e le spalle un po' incurvate.
“Buongiorno,”
le disse sottovoce “Che dici, prendiamo un caffè anche per i
ragazzi in laboratorio?”
Purin annuì, quasi le venne da
sorridere, e intrecciò un braccio con quello del suo capo:
“Andiamo.”
§§
L'auto sobbalzava sul percorso
sterrato, facendole cozzare l'una contro l'altra sul sedile
posteriore. Ad ogni saltello, Minto poteva sentire il corpo di Retasu
afflosciarsi sempre di più contro il suo; avrebbe voluto dire
qualcosa all'amica per consolarla, per rafforzarla, ma era stato
ordinato loro di rimanere in silenzio, la testa tra le gambe – e
lei, in quel momento, non aveva certo la forza di provare ad opporsi.
Torse appena i polsi, testando la
resistenza della sua pelle: le bruciature lasciate dalle manette
pulsavano in modo insopportabile, e sembrava che ad ogni movimento
diventassero più profonde.
Esalò lenta, cercando di non
fare rumore; i due uomini alla guida stavano parlando tra di loro a
bassa voce - non che loro avrebbero mai potuto capire quale fosse
l'argomento – e il suono della terra e dei sassi sotto le ruote
veloci era abbastanza forte, ma Minto non voleva correre nessun
rischio.
Si
puntellò appena sui piedi, spostando il baricentro e sollevandosi
appena dal sedile con il bacino, stringendo i denti mentre cercava di
far passare un po' le mani in avanti; era solo un tentativo, una
fievole speranza di poter recuperare almeno l'uso delle braccia e, in
qualche modo, riuscire a contrastare due uomini. Il corpo di Retasu
premeva contro il suo, mettendole in difficoltà il già precario
equilibrio; anni di addestramento e balletto, però, non erano stati
inutili, e forse
ce l'avrebbe fatta, forse non appena la porta fosse stata aperta, lei
avrebbe potuto in qualche modo sbrogliarsi... un salto più forte
della macchina la fece ricadere con prepotenza contro il sedile con
uno sbuffo.
Sentì gli occhi pungerle di
lacrime, ma non gliel'avrebbe data vinta; doveva essere forte, per se
stessa e per Retasu. Spostò appena un ginocchio per appoggiarlo a
quello dell'amica, per tentare di regalarle un po' di conforto.
Se doveva essere sincera, non si
era mai aspettata che potesse finire in quel modo. Era un rischio che
aveva messo in conto all'inizio, aveva fatto addestramenti apposta,
ma chi mai pensava che fosse davvero una possibilità concreta?
Forse un po' l'assurdità della
situazione la faceva ridere, o forse semplicemente stava avendo un
crollo nervoso. Meglio così, si disse, non aveva voglia di essere
troppo lucida. Le venne solo da sperare che si concludesse tutto
molto in fretta.
Sentì l'auto accostare e
fermarsi, poi le portiere anteriori aprirsi.
Retasu, accanto a lei, emise un
gemito ed iniziò a tremare più forte.
La luce del Sole era più forte,
ora, da quello che riusciva a vedere; dovevano essere in un posto
davvero isolato se i due russi erano così tranquilli a stare fuori
in pieno giorno.
La portiera del lato destro,
dov'era seduta lei, si aprì, ed la mano forte di quello che aveva
capito chiamarsi Pavel si strinse attorno al suo braccio in una morsa
implacabile, strattonandola fuori e sostenendola senza sforzo mentre
lei inciampava giù dal gradino e sui sassolini.
Minto dovette sbattere un paio di
volte le palpebre per abituarsi alla luce improvvisa; non oppose
resistenza mentre Pavel la spingeva oltre la macchina, dall'altro
lato della strada dove Kisshu stava conducendo Retasu in una maniera
molto meno grezza, ma terribilmente più spaventosa.
Attorno a loro, poté constatare
la mora in pochi istanti, non c'era davvero nulla se non una lunga
strada sterrata in mezzo ad una pianura di campi incolti ed
abbandonati, ingialliti dal tempo. Una vecchia ferrovia piena di
sterpaglie correva alle spalle di Fukazawa; quasi le sembrava,
ironicamente, il set di un film. Un bidone della spazzatura vuoto
giaceva poco lontano, segnato dalla ruggine.
“Madamigelle,
spero che il viaggio non sia stato troppo stancante,” le schernì
Kisshu con un sorrisetto beffardo.
Minto non rispose, non lo guardò
nemmeno, mentre Pavel le spingeva con forza su una spalla per farla
cadere in ginocchio a terra. Rivolse una domanda a Kisshu, che però
scosse la testa: “No, ormai non c'è più bisogno di bendarle. E
poi è meglio così, non credi, amico mio?”
Retasu si lasciò scappare un
singhiozzo, poi un rantolo quando l'aria faticò ad entrarle nei
polmoni, ormai però aveva esaurito le lacrime. Voltò appena la
testa verso Minto, che le rivolse un piccolo sorriso.
Almeno non erano sole; almeno,
erano insieme.
Davano
le spalle ai due uomini, fissando il SUV nero con cui erano state
portate lì. L'aria era ferma, quasi calda, rilassante. Il frastuono
dei loro cuori rimbombava nelle orecchie, Kisshu continuava a
blaterare, ma il click
indistinguibile delle sicure delle pistole non venne ignorato.
Entrambe presero fiato allo
stesso momento; era vero quello che si diceva, che poco prima di
morire tutta la vita passava davanti agli occhi? Anche quando un
proiettile veniva conficcato nel cervello?
Strinsero gli occhi, mentre solo
puntini rossi e gialli apparivano davanti a loro nel nero. Il cuore
batteva, batteva, la gola era secca e i secondi sembravano dilatarsi
nel tempo e nello spazio contro ogni legge della fisica.
Poi, risuonò uno sparo.
§§
“Accusami
di insubordinazione, se vuoi, ma non
ti azzardare a dire quello che stai pensando perché sprecheresti
solo fiato!”
Keiichiro sospirò pesantemente
al rumoroso tono di voce di Shirogane: “Il tempo scorre, Ryo, non
posso fare niente per fermarlo. La PSIA è già stata informata della
situazione, non so per quanto ancora...”
“E
tu tienili impegnati, inventati qualcosa, cazzo!” il biondo puntò
un dito contro i monitor “Non ho fatto passare la notte in bianco a
questi uomini per nulla, e non ho intenzione di abbandonare le mie
agenti!”
“Credi
che sia questo che io voglio?” anche Akasaka alzò il tono di voce
“Credi che non tenga alle componenti di una delle squadre migliori
che ho? Ma metto da parte i sentimenti personali in questo lavoro,
Shirogane, e devo affrontare la realtà. Non abbiamo nemmeno certezze
che Aizawa e Midorikawa siano vive. Io posso tirare la corda più che
posso, ma quando mi diranno di tagliarla, non so come potrò
resistere a lungo.”
Lanciò uno sguardo alle tre
ragazze nell'angolo, dall'aria stanca e disperata.
“Mi
dispiace,” aggiunse sottovoce “Lo so che state facendo il
possibile. Cercherò di farlo anche io.”
“Grazie,
Akasaka-san,” pigolò Purin, annuendo, stringendo convulsamente la
mano di Ichigo.
Il moro annuì, guardò per
l'ultima volta verso Ryo, e prese le scale.
L'americano si passò una mano
tra i capelli, imponendosi di calmarsi. Avevano setacciato di nuovo
tutte le telecamere, progettando tutti i possibili percorsi che quel
maledetto SUV avrebbe potuto intraprendere. Ad un certo momento,
circa mezz'ora prima, era sembrato che una effimera traccia del
cellulare di Fukazawa, quello il cui numero era stato procurato da
Minto, fosse comparso al limitare della città; troppo breve per
poter trovarne un tracciato, ma era una flebile speranza.
“Triangolate
quel segnale,” abbaiò secco ai tecnici “Trovate la centralina a
cui si è attaccato e datemi qualcosa.”
Retasu avrebbe saputo cosa fare,
pensò mentre si sedeva sulla poltrona che ormai odiava. Preferiva
non pensare a come avrebbero fatto senza.
§§
Seguì qualche secondo di
silenzio all'eco dello sparo, molto più prepotente visto il luogo in
cui si trovavano. Anche l'odore della polvere e di bruciato sembrava
più incisivo.
Minto aprì un occhio solo,
terrorizzata. Forse volevano farla aspettare per farla soffrire
ancora di più? Toccava a lei ora, era così che facevano, una alla
volta? Aveva sentito il tonfo di un corpo cadere a terra, ma le era
parso dietro di lei e troppo pesante per...
Arrischiò
a muovere la testa di mezzo grado a destra; Retasu era ancora in
ginocchio, il mento poggiato al petto, i denti stretti e il corpo
scosso da singhiozzi e tremiti silenziosi. Viva.
Ma allora...?
Minto si voltò talmente in
fretta da perdere l'equilibrio e finire con il sedere in terra;
sgranò gli occhi, incredula, alla scena che le si presentò.
Kisshu aveva ancora il braccio
teso alla sua sinistra, la pistola impugnata verso dove, pochi
istanti prima, c'era stata la testa di Pavel che ora giaceva steso a
terra, una pozza di sangue che si stava formando sotto di lui.
“Mi
dispiace, amico mio. Piano di contingenza.” esclamò.
Rivolse poi la sua attenzione
alle due ragazze, in pieno shock. Aveva un'espressione diversa da
quella con cui erano state abituate a vederlo, Minto notò, ma ciò
non le impedì di cercare di strisciare il più lontano possibile
quando lui si inginocchiò accanto a loro.
“Che...
che cosa sta succedendo?” balbettò Retasu, sbattendo gli occhi “E'
un'altra trappola?”
Si
voltò anche lei, il viso che divenne ancora più pallido nel notare
il cadavere steso a terra.
“Ascoltatemi
bene,” Kisshu aprì velocemente le loro manette “Non c'è tempo
per spiegarvi tutto, dovete fidarmi cinque minuti di me.”
“Fidarmi
di te?”
sibilò velenosa Minto, massaggiandosi i polsi e alzandosi
lentamente, un passo alla volta “Ci avete torturate, fino ad un
secondo fa ci puntavi una pallottola alla testa, e adesso dovremmo
fidarci di te?”
“Hai
ancora fiato da sprecare, o no? E allora ascoltami.” il ragazzo
indicò l'auto “Prendete quell'auto, tornatevene da dove siete
venute e fatela sparire. I congegni di localizzazione sono spenti,
potete controllare voi stesse nel cruscotto.”
La
testa delle due ragazze stava girando senza fine; la situazione era
paradossale, non riuscivano minimamente a capire quello che stava
succedendo.
“Siete
in grado di guidare?” domandò ancora Kisshu.
Minto
annuì, senza smettere di guardarlo con sospetto: “Credo di sì...
c'è una bomba nella macchina?”
Lui
alzò gli occhi al cielo: “Senti, colombella, ragiona. Secondo te
organizzerei tutto questo per farti saltare in aria?”
“Allora
perché lo stai facendo?” chiese sottovoce Retasu, mentre si
appoggiava alla sua amica per rimettersi in piedi.
“Te
l'ho detto, non c'è tempo di spiegare tutto. Ora, la cosa
importante,” le guardò entrambe un attimo “E' che la vendita
sarà anticipata. Al venticinque maggio. Ricordatevelo.”
Minto
boccheggiò un paio di volte: “Ma cosa...?”
“Il
venticinque. Di più non posso dirvi.”
La
mora quasi scoppiò a ridere, però iniziò a spingere Retasu verso
l'auto. Lei probabilmente stava impazzendo, era il frutto della sua
mente per impedirle di affrontare la realtà, ma perché non
approfittarne allora?
“Aspetta!” Kisshu fece un passo avanti,
tendendo la mano ma ritraendola subito dopo non appena vide lo
sguardo che gli fu rivolto. “Prendi questa.”
Si
avvicinò a Pavel per sfilargli la pistola che teneva alla fondina,
poi allungò a Minto la sua. La ragazza la prese con titubanza,
immaginandosi con l'ennesima punta di pazzo divertimento di doversi
mettere a duellare.
“Spara
qualche colpo a quel cassonetto della spazzatura... e poi spara a me.
Evitando di uccidermi, grazie.”
“Ma
che stai dicendo?” volle sapere lei, ormai completamente spiazzata.
Kisshu
sospirò: “Senti, passerotto, non lo voglio nemmeno io, ma tu fallo
e basta.”
Minto
soppesò la pistola tra le mani; era pesante nelle sue mani stanche
seppur piccola, stranamente non di fattura russa. Alzarla le costò
uno sforzo che le sembrava immane, lei così abituata a maneggiarle.
“Vai
in macchina, Reta-chan.” sussurrò all'amica.
Quest'ultima
annuì senza opporre resistenza, trascinando i piedi e alzando
nuvolette di polvere mentre aggirava il fronte dell'auto e saliva sul
sedile del passeggero, appoggiando la fronte dolorante contro il lato
e chiudendo gli occhi con un sospiro.
Minto
quasi non prese la mira contro il cassonetto, sparando tre colpi a
distanza ravvicinata che echeggiarono dentro al metallo vuoto. Poi si
voltò lentamente verso Kisshu, che si era messo in ginocchio davanti
a lei e la guardava fissa.
Sentì
il respiro chiudersi in gola e il cuore battere più forte. Ricordò
il modo in cui le avevano trattate quando le avevano prese, le loro
mani pesanti e sporche sotto i vestiti per togliere loro le microspie
e i localizzatori, la voce irrisoria del ragazzo davanti a lei mentre
le caricavano in auto.
Inspirò
profondamente, chiuse un occhio, e sparò.
Kisshu
gemette sottovoce mentre si piegava in avanti, stringendo i denti e
la spalla sinistra che aveva iniziato subito a perdere sangue.
“Hai
mira, eh, colombella?” ironizzò.
“Ringrazia
che non te l'ho piantata in testa.”
Senza
mollare la pistola, Minto percorse in due grandi falcate lo spazio
che la divideva dall'automobile, salendo al posto di guida con una
destrezza che non pensava di poter raccogliere in quel momento.
Forse
era stato lo sparo, forse l'euforia di poter dire di essere quasi
scampate da lì, ma aveva ritrovato le energie che aveva perso in
tutte quelle ore prima. Fece inversione velocemente, facendo stridere
le ruote sul terreno, e senza guardarsi indietro, lei e Retasu se ne
andarono.
Kisshu
si trascinò fino al cassonetto, accasciandovici contro, prendendo
dei respiri profondi e controllando di non perdere troppo sangue.
Quasi si stava stupendo della mano ferma di Minto, l'aveva colpito
con una precisione non da poco nonostante fosse visibilmente
affaticata e pressoché incapace di reggersi in piedi.
Quando
vide che si furono allontanate, sparò un paio di colpi nella
direzione generale in cui avrebbe dovuto trovarsi il SUV, poi gettò
la pistola di lato. La spalla gli stava dolendo tremendamente,
l'adrenalina stava scendendo.
Afferrò
il cellulare e compose un numero che ormai conosceva a memoria:
“Pai?” esclamò roco dopo qualche squillo “Abbiamo un
problema.”
Hellooooooooo :D Ci ho messo
una vita, perdonatemi, lo
so. Ma non ho più una vita in pratica, l'uni mi sta
uccidendo :( Ho scritto tutto questo capitolo oggi tra le pause studio
prima di un esame, e devo pubblicarlo entro dieci minuti così da andare
a studiare per il terzo e ultimo parziale della settimana, domani :O
Tra l'altro qui a Roma c'è pure l'allerta meteo, ma la mia università
ha deciso di rimanere aperta... ovviamente -____-
Come scritto all'inizio, il capitolo è dedicato a Blackmiranda, perché
lei adora Kisshu, e Kisshu è moooolto importante in questo chappy... o
sbaglio? ;) Spero di avertelo reso bene :3 (E prometto di
passare da Somebody
durante il weekend, finisco di studiare! xD).
Anche questo è uno di quei momenti che avevo progettato fin da subito
nella creazione della storia, certo non mi è venuto proprio
come lo volevo, ma va bene anche così :)
Il titolo è da Do I
wanna Know? degli Arctic Monkeys, l'avete capito ;)
A non so quando, sorry xD
Bacioni e grazie di tutto!!!
Hypnotic Poison
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