Disclaimer: Gli
Used, ma soprattutto Quinn Allman, non mi
appartengono (sic! ;_; ) e niente di tutto questo è
realmente accaduto
o accadrà mai. Con questo mio scritto, pubblicato senza
scopo di lucro,
non intendo dare una descrizione veritiera dei caratteri dei personaggi.
La domenica mattina.
Vorrei poter fare uno di quei temi stupidi, di quelli che ti vengono
assegnati alle elementari, e intitolarlo così. Parlerei
dell’importanza della domenica mattina in quanto momento
imprescindibile dopo una settimana di alacre lavoro, o studio, o
cazzeggio, perché cosa credete, anche quello costa fatica;
in quanto giorno prescelto per la sacra arte dell’ozio, della
dormita, o più semplicemente della persistenza sotto le
calde coltri, con il sole che ti acceca i sogni, o la pioggia che ti
bagna la mente e ti asfissia col suo ticchettare insistente e, tutto
sommato, quasi rilassante, un po’ come quei mantra che si
ripetono durante la meditazione, per estraniarsi dal mondo reale ed
entrare in quello interiore, apprezzandone ogni sfumatura.
E poi, parlerei di mio fratello, e della sua snaturata abitudine di
fare feste in casa il sabato, quando vorrei solo riposarmi, godermi un
ampio antipasto delle prime ore del giorno dopo, magari leggendo un
libro o ascoltando musica in cuffia, ma non posso farlo,
perché Jeremy chiama a raccolta la sua compagnia e fiumi di
alcool scorrono al piano di sotto, mescolandosi con le grida e la
musica a tutto volume.
Okay, adesso sembrerò la solita piattola rompiscatole,
dedita solo allo studio e incapace di intrattenere alcun legame
sociale, ma vi assicuro che non è come state credendo, vi
posso garantire, mano sul petto, che a vedermi nemmeno pensereste a
un’eventualità del genere, anzi, andreste a
cercare i miei genitori per chieder loro dove fossero mentre iniziavo a
conciarmi così, mentre entravo in quello studio di tatuaggi
per farmi disegnare il polso, mentre mi informavo sul costo di un
piercing al sopracciglio o se in quel salone di parrucchieri facessero
colori tipo il verde acqua. No, in realtà sto scherzando: i
miei capelli sono di un normalissimo nero, ma il piercing e il
tatuaggio ci sono davvero.
In ogni caso vi indicherei la via di casa dei miei, chiarendo che non
vogliono sentir parlare di me, della mela marcia della famiglia, della
progenie uscita male e quant’altro. Se devo dare atto ai miei
genitori di qualcosa, è che tutto sommato hanno sempre
trovato dei modi inusuali di apostrofarmi, prima di buttarmi fuori e
costringermi a prendere l’incresciosa decisione di bussare
alla porta di Jeremy, che sarà scapestrato quanto vorrete,
ma se non altro è stato di gran lunga più furbo
di me.
Il tatuaggio se l’è fatto sulla schiena.
Insomma, non sono la solita piccola nerd tutta libri e chiesa, anzi,
detesto l’idea di condividere il suolo con questi mormoni che
qui vanno per la maggiore, e che a me sembrano solo
un’assurdità come tante qui negli Stati Uniti,
quindi sì, stupitevi pure se non sopporto le feste che
dà il mio fratellone, ma almeno lasciatemi spiegare la
ragione.
Sono una persona tranquilla, dopotutto. In tanti pensano che certi
piccoli colpi di testa vadano a braccetto con una vita sregolata, sesso
droga e rock ‘n’ roll, ma vi stupirò.
Alla veneranda età di sedici anni (ancora per poco) sono
ancora vergine, non ho mai toccato nemmeno con le pinze qualsiasi cosa
assimilabile alla droga, visto che sono dipendente solo da sigarette e
cioccolata fondente, e il rock, beh…almeno quello
lasciatemelo!
E in quanto persona tranquilla, io a una certa ora stacco il cervello e
me ne vado a dormire, e avrei fatto così anche ieri sera, se
mio fratello non avesse organizzato l’ennesimo delirio nel
suo appartamento. Intendiamoci, ci vogliamo un gran bene, ma a volte
avessimo dei coltelli in mano ci sgozzeremmo senza fiatare.
Il fatto è che poi, ieri sera, mi sono fatta trascinare,
perché tutto sommato la faccenda aveva assunto una piega
piacevole, se non fosse per l’infimo e trascurabile fattore
denominato ‘mi sono dimenticata di chiudere a chiave la
camera e quando sono rientrata ho trovato una massa anonima nel mio
letto a russare come un trattore, così ho dovuto ripiegare
sul divano’. La vita è semplice, se la si vive con
le cose degli altri, e così tengo fede a questo mio pensiero
mentre cerco disperatamente un caffè non mio, nel frigo di
mio fratello e tento di farmelo con la stupida macchinetta di Jeremy
(tutti modi per rendere la stessa idea), finché non sento
dei passi trascinati avvicinarsi ai miei maldestri tentativi,
accompagnati da un sonoro sbadiglio che direi quasi ostentato nella sua
sospirante presenza alle mie spalle.
“Williams, già in piedi?” mi sento anche
apostrofare. Mi volto, e mi ritrovo dritta dritta davanti ai mie occhi
ancora cisposi e abbottonati una stupida maglietta blu con un
rinoceronte che corre su di un tapis roulant nella speranza di
diventare come l’unicorno che osserva devoto dal poster
accanto a lui.
C’è una sola persona di mia conoscenza che
può indossare della roba del genere.
“Allman” bofonchio, ancor prima di alzare lo
sguardo e incontrare un’accecante testolina color platino e
un viso da bambino cresciuto solo in altezza.
Allman, appunto. Ieri mi chiedevo cosa ci facesse qui, e mi sono
ritrovata a scoprire che i suoi amici sono amici pure di mio fratello,
e quindi lui si è unito senza troppi complimenti, ma
perlomeno è stato l’unica faccia conosciuta in
quel marasma.
Trotterella verso di me, ancora sbadigliando, e chiedendomi se ci sia
un po’ di caffè anche per lui.
“Riuscissi a far funzionare
quest’arnese…” borbotto, continuando a
cercare un buco dove mettere la polvere di caffè.
“Aspetta” mi ferma, affiancandosi.
“Posso?”
“Sicuro” rispondo, facendomi da parte. Tempo una
manciata di rapide mosse da parte sua, e la macchina inizia a ronzare
bonaria, nell’attesa di distillare quel prezioso liquido
scuro e amaro.
“I tuoi amici?” chiedo.
“Sono andati via stanotte, con le loro ragazze”
biascica.
“Si sono scordati di te?” incalzo, tornando alla
macchina del caffè e osservandola con morbosa
curiosità. Il silenzio alle mie spalle sembra pesare
più di una montagna.
“No, sono stato io a dirgli che stavo troppo male per salire
in macchina e che avrei cercato un passaggio più tardi, o
almeno credo…ho bevuto come un maiale, cazzo, è
grassa se mi ricordo come mi chiamo” sghignazza, complice di
se stesso.
“Ti chiami Quinn Allman, hai sedici, anzi no,
scusa…diciassette anni e sei in classe con me, abbiamo
iniziato da poco l’ultimo anno. Incredibile ma vero, vediamo
i nostri brutti musi a tutte le lezioni ogni giorno, da quattro
anni” rispondo, ironica e non troppo sicura che abbia
afferrato ogni cosa che ho detto, mentre torno a sedermi, due tazze
fumanti nelle mani, una delle quali viene rapidamente catturata da lui;
la avvicina alle labbra, e sento distintamente il rumore del nero
liquido che scorre attraverso la sua gola. La scena che si presenta
dopo ha del prevedibile, e non faccio fatica ad ammettere che mi
strappi persino un sorriso.
“Cazzo, scotta!”
“Ma và?” lo apostrofo, tra una risata e
l’altra. Mi fissa con disappunto, prima di scoppiare a ridere
anche lui.
“Ma non fa male bere caffè in un
doposbornia?” domando poi, quasi più a me stessa.
“Boh”
“Oh, lo avevo sentito dire…”
“Ma sì, chi se ne frega!” conclude,
prima di bersene avidamente un’altra, abbondante sorsata.
“Occhio che brucia!” sussurro, già con
la consapevolezza che non mi abbia neanche sentito.
È fatto così, lui: si getta a capofitto nelle
cose, senza valutare pro e contro, senza chiedersi se sia giusto o
sbagliato quello che fa, ma limitandosi semplicemente, una volta
tuffatosi nel lago scuro, a nuotare finché non ha raggiunto
quello che vuole, e spesso ci riesce, ma questo non gli impedisce di
essere la solita testa calda che ho imparato a conoscere in tre anni di
convivenza forzata tra quelle quattro, maledette mura scolastiche. Lo
ammetto, più di una volta ci siamo presi a male parole, e
durante un paio dei nostri diverbi mi ha strappato di mano qualche
ceffone ben assestato, dopo cui l’impronta paonazza delle mie
dita risaltava sul pallore del suo viso da piccola peste.
È che siamo completamente agli antipodi, non possiamo andare
d’accordo più del minimo sindacale, più
di quello che ci costringe a fare la vicinanza per ragioni di studio.
Una cosa che però condividiamo è che siamo due
sfigati, e come da copione siamo finiti di banco insieme in un sacco di
materie, perché si sa che quelli come noi vengono
considerati dal resto del mondo né più
né meno come dei coglioni, e i coglioni girano sempre in
coppia, no? lo dice anche il proverbio. Solo che questa massima
funzionava solo a scuola, perché lui fuori ha degli amici,
mentre io cosa ho, a parte litri di tè e una spiccata
attitudine alle pratiche orientali? Mi capita di meditare, di tanto in
tanto, e ogni tanto, come a sfottermi, mi ripete che dovrei conoscere
un suo amico tutto fissato per queste cose, in particolare giapponesi,
e aggiunge sempre che andremmo d’accordo, perché
“tu e Jepha siete proprio vecchi dentro!” Credo
fosse pure qui, ieri sera, questo Jepha, non so. Dovrei chiedere a
Jeremy.
Una volta, ubriaco fradicio, a livelli che probabilmente nemmeno ieri
sera ha raggiunto, mi ha detto che non posso essere così
tranquilla, che nascondo qualcosa. Gli ho risposto che anche lui, chi
cazzo voleva fregare con quell’aria da bravo ragazzo, tanto
prima o poi l’avrebbero beccato a compiere qualche misfatto
dei suoi, e allora sarebbero stati cazzi amari. È mancato
poco che ricominciassimo a litigare e dare vita all’ennesima
rissa, e in effetti non so cosa mi abbia trattenuta, proprio non lo so.
Ho sentito come l’impulso di fermarmi, di non fare ancora una
volta la figura del maschiaccio attaccabrighe, non davanti a lui, come
se mi sentissi giudicata, osservata dai suoi occhi perennemente senza
requie.
Due giorni dopo s’è presentato a scuola con
l’espressione un po’ sofferente, ma al contempo
soddisfatta. Gliene ho chiesto il motivo, e lui, tra una formula
chimica e l’altra, mi ha indicato gonfio d’orgoglio
un piercing al sopracciglio sinistro, fresco del giorno prima.
“Se serve a rendere palese al mondo che sono un cattivo
ragazzo…” ha borbottato, sbuffando.
“Non serve a un cazzo, la gente continuerà a
pensare qualsiasi cosa di te, anche che sei una persona non del tutto a
posto col cervello, ma alla fine non conta niente, conta solo quello
che sei davvero” ho fatto in tempo a dire, prima che il
rimprovero del prof di biologia ci investisse in pieno.
In fondo avevo ragione.
Lui si ficcherà sempre nei guai, ma s’è
rifiutato di sezionare una rana a biologia, e io l’ho seguito
a ruota, e siamo finiti dal preside.
Mi ha difeso quando degli stronzi hanno cercato di attaccar briga con
me.
Mi ha accompagnato a fare il tatuaggio.
Ha provato a fare yoga con me, ma ha perso la concentrazione dopo una
manciata di secondi.
E io sarò sempre una specie di figlia illegittima di Buddha,
come ha detto tempo fa, però ho fatto a botte con delle
cretine per colpa sua, perché credevano fossi la sua ragazza
e mi hanno tormentato come solo delle oche gelose di qualcosa che non
hanno, e non possono avere, riescono a fare.
Gli ho urlato contro i peggiori epiteti che potessero venirmi in mente
perché mi aveva infilato una gomma da masticare nei capelli.
Non gli ho parlato per due settimane, per questo.
Ho provato a suonare la sua chitarra, ma siccome non ci riuscivo stavo
per scaraventargliela a terra.
Lui è un impulsivo, e io rifletto troppo sulle mie azioni,
però, alla fine, nonostante i continui alterchi, un
equilibrio l’abbiamo trovato. Lui è quello che fa
le cazzate, e io quella che lo redarguisce quando succede. Io sono
quella che beve litri di tè, e lui quello che mi porge una
birra, chiedendomi di smetterla di fare la mistica new age, che tanto
sta passando di moda.
“Beh, credi che se continui a guardarlo, il caffè
si tufferà dentro le tue fauci?” mi chiede,
adesso, riscuotendomi dalla ridda di riflessioni che mi ha suscitato
solo il vederlo scottarsi.
“Mah, sai, la speranza è sempre l’ultima
a morire…” bofonchio, alzando lo sguardo e
incrociandolo pericolosamente col suo, che sfugge immediatamente. Non
posso fare a meno di notare un vago rossore colorargli le guance.
“Beh? Che c’è?”
“Stavo pensando…” azzarda, ma io lo
interrompo immediatamente.
“No! pensare ti fa male, non ne hai le
facoltà!”
Avrò paura di quello che ha da dirmi?
“Cretina, pensi di avere l’esclusiva? Stavo solo
pensando che è ridicolo che continuiamo a chiamarci per
cognome dopo anni che ci prendiamo a cazzotti, tutto qua!”
Mi ha spiazzato. Lo ammetto, mi sta lasciando qui a boccheggiare come
un pesce fuor d’acqua, a chiedermi perché ci abbia
pensato lui prima di me, a farmi sentire un’idiota, tanto per
semplificare il concetto.
“Giusto, Quinn. Allora, da oggi in poi la smettiamo con
questi stupidi formalismi” ribatto, sorridendo.
“Ottimo, Lacey” fa lui, ricambiando il sorriso.
Alla fine non è così difficile andare
d’accordo con un tipo del genere.
L’essenziale sta soltanto nel capire come funzionano gli
esseri umani, e posso quasi affermare che il suo libretto delle
istruzioni probabilmente non è molto differente dal mio.
“Ah, ma toglimi una curiosità”
“Sì?”
“Dove hai dormito stanotte?”
Sono pronta a scommettere la sua risposta.
“Ero in una camera, c’erano poster di band, una
bandiera del Giappone sopra la porta, e un letto enorme e comodissimo
in cui mi sono rigirato tutto il tempo. Le lenzuola profumavano di
spezie” risponde, stiracchiando le sue labbra in un
sorrisetto compiaciuto.
“Allman”
“Ma non avevi detto che…”
“Era camera mia!” sbotto, fingendo astio.
In realtà non sono mica incavolata. L’ho
immaginato sin dall’inizio. Ok, non proprio
dall’inizio, ma almeno da quando l’ho visto
comparire in cucina, dopo aver constatato che sul divano non
c’era nessuno, a parte me…ecco, da lì,
sì. E, a essere sincera, non mi ha nemmeno dato tutto questo
fastidio che millanto. È che forse…
“Oh, lo so bene che era camera tua” ammette,
distogliendo ancora lo sguardo.
Già, forse anche lui lo sta pensando. Ma nonostante le mie
membra richiedano quel letto per un giusto e meritato sonnellino, e
anche le sue facciano altrettanto, perché sta dormendo con
gli occhi aperti, praticamente, e nonostante entrambi i nostri corpi,
in sincronia, richiedano, che so, un abbraccio, o comunque un contatto
con l’altro, ce ne rimaniamo qui, in cucina, seduti
l’uno davanti all’altra, a fissare il
caffè che sciaborda placidamente nelle nostre tazze al
minimo movimento impresso al tavolo.
Vero, che siamo due coglioni?
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le one-shot non sono il
mio genere, però l'altro giorno non sapevo che fare, e
un'idea del genere mi ronzava in testa già da un po', quindi
ho dato libero sfogo alla fantasia, e beh...spero vi piaccia! il
protagonista, perlomeno quello realmente esistente, è il
caro Quinnifer...ammetto di non aver mai scritto nulla su di lui, e
devo dire che si presta bene come potenziale personaggio ^-^ buona
lettura!
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