La scrutava dall’alto in
basso da che si era presentata al suo cospetto, quella mattina, senza però
riuscire a cogliere il perché Nina avesse quell’aria a metà fra la
soddisfazione e l’agitazione. Qualcosa era successo, ma nulla lasciava
intendere cosa.
Nagi, seduto sullo
scranno dall’alto del quale si atteggiava al padrone del mondo, gioco che lo
dilettava non poco, puntellò il gomito sul bracciolo e poggiò il viso sulle
nocche della mano libera dall’anello da Master. Davanti a lui, Nina rimaneva
immobile in attesa di ordini. L’abito nero le ricadeva addosso conferendole
un aspetto austero, ed in parte ridicolo, vista la sua fisionomia ancora
giovanissima ed i tratti del viso adolescenti. Tra lei e Nagi, nessuno
avrebbe saputo dire chi dei due sembrasse più fuori posto; se una ragazzina
dallo sguardo serio e adulto, o se un bambinetto dall’aria malaticcia e,
soprattutto, irriverente. Quel che era certo, era che entrambi trasmettevano
un senso di inquietudine a chiunque posasse gli occhi sulle loro figure.
Il granduca di Artai non
si era sbagliato neanche quella volta: nell’espressione a prima vista
impassibile della sua giovane Meister si celava in realtà una forte
apprensione, dovuta principalmente a quanto accaduto la notte precedente fra
lei ed il suo padre adottivo, Sergay Wáng. Benché quest’ultimo l’avesse
baciata, accettando in apparenza l’amore deviato di una figlia svergognata,
rea di essersi denudata in sua presenza, l’uomo si era limitato a stringerla
fra le braccia, e nemmeno per tutta la notte, senza spingersi oltre né con
gesti né con parole. E Nina, che lì per lì si era ritenuta soddisfatta,
adesso iniziava a rimpiangere di essere arrivata a tanto, di avere perso la
lucidità in quel frangente che invece l’avrebbe senz’altro mantenuta onesta
e virtuosa come sempre era stata agli occhi del genitore.
Si morse il labbro
inferiore, stringendosi fra le braccia e lasciando finalmente intravedere il
proprio disagio interiore. Bastò quello per illuminare gli occhi del ragazzo
che le stava di fronte.
«Nina-chan, ti vedo
piuttosto nervosa, oggi. E’ successo qualcosa di cui ancora non mi hai messo
al corrente?»
La Otome sgranò gli
occhi, la fronte aggrottata, il colorito pallido più del solito: come
avrebbe fatto a spiegargli che solo poche ore prima stava per rinunciare ai
suoi poteri? Se Sergay non si fosse trattenuto, Nagi avrebbe perso la sua
bambolina da guerra, il pezzo più importante della sua scacchiera.
«Nulla, mio signore»
rispose con voce malferma.
Il granduca sorrise con
fare indagatore. «Mi credi così stupido?» domandò con tono divertito. Scosse
il capo e si alzò dal trono, intrecciando le mani dietro ai reni e muovendo
qualche passo verso di lei. Vedendola irrigidirsi, si fermò. «Nina-chan, ti
ho mai dato modo di essere severo, con te?»
«No… mio signore» dovette
ammettere lei, in tutta onestà.
«E allora perché mi
temi?» sorrise ancora lui, la voce che assumeva sempre più la vellutata
sfumatura del più abile degli oratori. «Sono il tuo Master, Nina-chan. Se
non ti ascolto io, chi altri vuoi che lo faccia?» Le poggiò le mani sulle
braccia, quasi all’altezza delle spalle, e sentendola irrigidirsi ancora, la
scrollò gentilmente, spronandola a guardarlo negli occhi intelligenti. «Non
c’è nulla che tu non possa dirmi: ti ascolterò come il più fedele degli
amici, hai la mia parola.»
Un amico. Nina ne aveva
avute due, di amiche. La prima era morta per colpa sua, l’altra l’aveva
tradita cercando di rubarle Sergay. O almeno così credeva. Era rimasta sola.
E con suo padre non poteva certamente parlarne. Levò gli occhi ambrati sul
viso del suo padrone, avvertendo sempre più il tepore che le sue mani
sprigionavano sul suo corpo freddo e ligneo. Fu quando incrociò lo sguardo
di lui che sentì un brivido scuoterla da capo a piedi. Non seppe
interpretare quella paradossale sensazione di gelo e calore, ma una cosa era
certa: anche se lei gli avesse detto la verità, Nagi non avrebbe potuto
farle del male. Lei gli era necessaria.
Schiuse le labbra
tremule, e infine parlò, quasi crollando di nuovo in lacrime quando dovette
confessare, fra la vergogna, ciò che aveva tentato di fare, ciò che aveva
fatto, ed il rifiuto dell’uomo che amava. Non fu interrotta una sola volta
dal giovane che, anzi, l’ascoltò fino in fondo con estrema attenzione, lo
sguardo appena corrucciato che però non pareva assolutamente in collera,
quanto in apprensione per la fanciulla che lentamente si era portato al
petto per stringerla in un abbraccio che voleva darle il calore ed il
conforto di cui Nina necessitava in quel momento tanto difficile per il suo
tenero cuore.
La Otome aveva già il
viso affondato contro la spalla del suo signore, quando smise di parlare, le
lacrime che gli inzuppavano il nero paltò. Non si era mai sentita così
piccola e fragile, nemmeno quando era stato Sergay, più alto, più forte e
robusto del granduca, a stringerla a sé la notte prima. Seppure, infatti,
fisicamente nessuno avrebbe scommesso nulla su quel ragazzetto albino, la
grandezza di Nagi, positiva o negativa che fosse, stava tutta nel suo
essere.
«Mio signore… Siete in
collera con me?»
«Nina, Nina… e perché
dovrei?» la coccolò lui, quasi cullandola fra le braccia, smettendo
improvvisamente di vezzeggiarla con il suffisso dopo il nome. «Sei un essere
umano, una ragazza innamorata.»
Lei tirò su col naso, le
mani chiuse a pugno attorno alla stoffa del soprabito del giovane. «Ma ho
rischiato di… perdere i miei poteri…»
Lo sentì ridere
deliziato. «Oh, no, no. Sergay non sarebbe stato così sciocco da lasciartelo
fare.» E per quanta scarsa considerazione avesse del proprio sottoposto,
questo merito doveva riconoscerglielo. Se non altro perché altrimenti Sergay
sapeva che avrebbe pagato con la vita un tale smacco. Ma Nina era
fondamentale, e lei non doveva preoccuparsi di nulla. «E’ per questo che
esistono i genitori, sai? Per guidare i giovani come noi.»
Fu un colpo basso, lo
sapevano entrambi. Nina si liberò repentinamente dall’abbraccio del suo
padrone, passandosi con un gesto veloce la mano sul volto per asciugarsi una
lacrima. «Sergay non è il mio vero padre» ci tenne a precisare con voce
autoritaria, mostrando così apertamente la propria stizza.
Nagi inarcò le
sopracciglia chiare, improvvisando un’espressione stupita. «D’accordo, ma,
vedi, non puoi certo negare che ti abbia cresciuta come se fosse tale. Ed un
uomo che vede trasformarsi una bambina in una donna, difficilmente riesce
poi a mettere da parte i propri sentimenti iniziali. A meno che la ragazza
non dimostri effettivamente di essere cresciuta.»
«Io sono già una donna»
ribatté Nina, sempre più mortificata.
Nonostante la gran voglia
di riderle in faccia, l’altro si limitò a fissarla con tenerezza e
comprensione. «Una donna che, però, lui non percepisce come tale per via
della sua aria ancora innocente.»
«Non più, dopo quanto
accaduto ieri notte» la sentì intestardirsi.
Nagi la scrutò ancora
dall’alto in basso, non potendo fare a meno di pensare che quell’aria
irritata ed umiliata che Nina sfoggiava vergognosamente davanti a lui lo
attirava non poco. Gli sembrava di avere a che fare con un gattina dal pelo
arruffato, pronta a soffiargli contro se avesse insistito su quel tasto.
Decise di cambiare strategia.
«Ma non puoi negare che
Sergay si sia fatto vincere dalla paura piuttosto che dall’amore.» Questa
volta Nina tacque, sentendo quella manciata di sporadiche certezze sfuggirle
di mano. La sua espressione inebetita lasciò via libera a Nagi. «So di una
donna,» la incalzò subito lui, infatti, «che diversi anni fa lo incantò con
la sua bellezza.»
Quel segreto, rivelato
con voce sommessa, ebbe il potere di allarmare ulteriormente la Otome,
facendola ancora una volta pendere dalle labbra di lui. «… Chi…?»
Nagi alzò le spalle. «Oh,
non importa il nome. Ma benché tu non sia affatto meno bella di lei,»
sottolineò come prima cosa, «quella donna possedeva un’aria più adulta, su
questo non c’è dubbio. Anche perché, sai, aveva alcuni anni in più del tuo
Sergay.»
Fu come una doccia
fredda. Come avrebbe fatto, una ragazzina di quindici anni, a competere con
una donna adulta?
Il granduca tornò a
prendere Nina per le spalle, notandone l’aria assente. «Ma tu… tu, Nina,
puoi ancora farcela: anche tu un giorno sarai una donna a tutti gli
effetti.»
«E quando?!» Quella
reazione, pronunciata con voce più acuta di quanto ella avrebbe voluto,
lasciava intendere che ormai Nagi l’aveva in pugno.
«Quando vivrai l’amore
completamente, quando non avrai più le inibizioni che ti frenano adesso»
rispose lui, mantenendosi serio, e stupendo persino se stesso per
quell’improvvisa follia che lo stava spingendo così oltre. Ma la cosa lo
stuzzicava al punto che non poteva non continuare, fosse stato anche solo
per vedere se Nina avesse ceduto o meno al suo potere ammaliatore.
Gli occhi ambrati di lei
lo fissarono spauriti, insicuri, annebbiati dall’ansia: facevano paura. Ma
non a lui, che di certo non era meno pericoloso. «Io non… non posso…» la
sentì farfugliare con un filo di voce, il viso arrossato per l’imbarazzo.
Nagi scrollò di nuovo le
spalle. «E chi te lo impedisce?»
«Le… le mie
nano-macchine… Andrebbero in tilt, se… se io…»
«Se ti concedessi ad un
uomo?» Quasi rise, e non cercò di nasconderlo, questa volta. Scosse il capo
e le carezzò il viso con le dita pallide, portandole sotto al mento per
sollevarle il capo ed incrociare ancora quegli occhi atterriti. «Le bugie
del Garderobe fanno acqua da tutte le parti» sospirò pazientemente. «Ma
quello che ti deve interessare adesso, è che se fosse vero che il cromosoma
Y è deleterio per le nano-macchine che voi Otome avete in corpo, allora
perché sei ancora in possesso dei tuoi poteri?» La fronte di Nina si
corrucciò appena, non capendo dove Nagi volesse arrivare. «Non credi anche
tu che basterebbe un bacio, allora, affinché tu possa smettere di essere una
Otome?»
Seppure nella confusione
che si era impadronita di ogni parte del suo essere, la ragazza dovette
riconoscere che il ragionamento del giovane non faceva una piega. «Ma…
allora perché…?»
«Ah, questo sarebbe da
chiedere a chi porta avanti quella folle e bugiarda istituzione, non certo a
me che voglio distruggerla dalle fondamenta» le rispose in tutta onestà il
granduca. «Tuttavia, resta il fatto che Sergay non ti vedrà mai con occhi
diversi, se resti quella che sei.»
Nina parve pensarci su
per qualche istante. Quindi, annuì con una certa convinzione, tanto che Nagi
si sentì autorizzato a passarle una mano dietro la schiena per avvicinarla
nuovamente a sé, la bocca sulla pelle del suo viso. «Non… non ci saranno
conseguenze, per i miei poteri…?» la sentì domandare, ultima conferma prima
di lasciarsi andare all’ennesima follia per amore di un uomo che non
meritava nessuna delle sue lacrime.
«Pensi davvero che, giunti
a questo punto della guerra, io sia così stupido da mandare tutto all’aria?»
le soffiò il granduca nell’orecchio, facendola rabbrividire. «Dovresti
conoscermi, ormai… Nina. Rimarrà fra noi.»
Immaginando di non avere
alternative, la fanciulla si arrese, passandogli le braccia dietro la nuca e
premendo le labbra schiuse contro le sue.
Dedicata con tutto il cuore ad Atlantis Lux. ^*^