Titolo: Beyond the wolf
Fandom: Teen Wolf
Pairing/Personaggi: Sterek (♥) , stiles/OMC, Scott McCall,
Sceriffo Stilinski, un po’ tutti
Rating: R
Charapter: 8/8
Beta: Nykyo
Genere: future!fic a partire dalla 3B, circa
Warning: slash stuff, magical stuff, avventura, azione, one side!Derek,
pomiciamento più o meno spinto.
Summary: A un anno dalla
sparizione della Nogistune e della fine definitiva di Kate 2.0, il branco si
ritrova a dover affrontare una nuova emergenza: qualcosa blocca Derek e Malia
nelle loro forme animali e proprio quando gli omicidi rituali ricominciano.
Note: Questa storia è stata scritta
durante la pausa tra la 3B e la 4 stagione e durante la
4 stagione, ma prende una discreta distanza dagli avvenimenti di quest'ultima.
È, in pratica, un enorme pov Derek, ed è nata
per prendere in giro un'amica e il suo odio per le tirate chilometriche sugli
occhi che ogni tanto si trovano in certe fic. Quindi, lasciatemela dedicare a
Nadia: è stato divertentissimo vedere come da una sciocchezza sia nata una
storia che mi ha accompagnato per mesi, mi ha fatta dannare e mandare al
diavolo la stupidità di Derek ♥
La storia, inoltre, partecipa alla prima
edizione del Teen
Wolf Big Bang Italia e si avvale, quindi, di gift bellerrimi da parte di
due fanciulle adorabili. Lasciatemi quindi ringraziare dal più profondo del
cuore AlexCoffeegirl per questa bellissima art e Phoenix
Bellamy per questa bellezza di fanmix ♥ ♥ ♥ Sono state
bravissime e le devo un grazie dal cuore per aver scelto la mia storia e
fattomi emozionare con i loro lavori ♥
And last but not least, fatemi dare un grosso
bacio e dire un enorme grazie a Nykyo per aver betato e seguito questa storia con amore e
attenzione ♥
DISCLAIMER: vorrei
tanto possedere Derek, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche
Stiles, no *sigh*
Quando Derek era tornato a Beacon
Hills, dopo Kate e le torture, dopo gli incubi di Stiles e le ore passate
insieme a parlare o a restare in silenzio, era successo qualcosa. Era nata
un’abitudine tra loro, una quieta, domestica abitudine di cui lui non si era
reso conto finché non si era ritrovato Stiles sulla porta del loft con in mano
un sacchetto contenente hamburger e patatine.
«Papà ha da fare e visto che non
venivi, ho pensato di passare io, per una volta» aveva detto, entrando senza
aspettare risposta. Derek non aveva detto nulla – a dire il vero non aveva idea
di cosa dire – e lo aveva solo guardato sistemarsi sul divano e posare il cibo
sul tavolino, tirando poi fuori dalla giacca una chiavetta usb e guardandosi
attorno in cerca del pc portatile. Non avevano parlato, non c’erano state
spiegazioni. Derek aveva realizzato che ormai avevano una loro routine e non
aveva commentato. Solo in quel momento si era reso conto che erano più le sere in
cui cenava con lo sceriffo e suo figlio di quelle che passava da solo e che, a
ben vedere, erano serate ben precise, scandite dai ritmi di lavoro di uno o gli
impegni mondani dell’altro. Anzi, certe volte era capitato che lui e lo
sceriffo si fossero fatti compagnia a vicenda con una bistecca e una birra
davanti a una partita di baseball.
Il passaggio era stato così naturale
per lui che non aveva sortito alcun effetto a breve termine, se non un brivido
caldo quando finalmente Derek se n’era reso conto.
E dopo la dichiarazione di Stiles,
dopo il bacio e il suo rifiuto, Derek aveva creduto di perdere tutto, ma era
stato sicuro di farlo per una giusta causa. Quando, quindi, il giovedì sera si
era trovato uno Stiles arcigno sulla porta, era rimasto perplesso. Ma l’altro
aveva pensato bene di trascinarlo giù per le scale con un semplice «Sbrigati o
papà arriverà con la pizza prima di noi.» Derek non aveva parlato neanche
quella volta. Non aveva chiesto, né commentato. Si era seduto al suo posto
nella jeep e aveva lasciato che Stiles gli raccontasse del lacrosse e del nuovo
arrivato – un ragazzino di nome Liam che sembrava essere una miniatura di
Jackson in tutto e per tutto.
Stiles era fatto così, era il tipo
di persona che si gettava tutto alle spalle e continuava per la sua strada, che
ignorava i problemi e sorrideva, che scrollava le spalle e ti offriva una mano
per rialzarti. Stiles era il tipo di persona che non l’aveva lasciato solo con
i suoi demoni anche dopo che lui l’aveva umiliato.
Per questo Derek non si meravigliò
quando lo vide entrare dalla porta.
«Ehi» lo salutò Stiles, infilandosi
le mani nelle tasche della felpa. Derek non parlò, ma posò il libro e si mise a
sedere sul divano. Stiles ciondolò per qualche passo, guardandosi attorno.
«Cora è rimasta con gli altri, ha detto che tornerà più tardi e di non
preoccuparti.»
Derek annuì perché ovviamente
Cora aveva detto una cosa del genere. Sua sorella era malvagia, ma lo conosceva
fin troppo bene. Stiles riprese a camminare, sprigionando nervosismo e ansia ad
ogni passo. Derek sapeva quale era il problema, conosceva già la domanda che
l’altro stava tentando di porgli, ma non voleva ascoltarla. Avrebbe preferito
affrontare qualunque cosa piuttosto che rispondere a quella domanda.
«Come sta Wiggins?» domandò quindi,
e Stiles sussultò, allontanato a forza dai suoi pensieri.
«Bene. Bene, sta bene» balbettò. Diede
un calcetto al nulla e puntò il tallone, spostando il peso del corpo da quello
all’altro piede, dondolando lentamente. «Ci ha raccontato cosa è successo. La
rosa… è nata nel punto esatto in cui ha trovato il corpo di Jennifer un anno
fa. È assurdo come nessuno si fosse reso conto che c’era una rosa praticamente
immortale lì da un anno.» Stiles ridacchiò e scosse la testa, nervoso.
«Comunque, a quanto pare aveva chiesto il trasferimento qui a Beacon Hills
proprio per lei e quando è arrivato e l’ha trovata morta…» scrollò le spalle.
«Ha cercato di scoprire cosa le fosse successo e in qualche modo è arrivato a
te. A quanto pare, la tua sordida relazione con la professoressa di
letteratura inglese del liceo non era un segreto.» Derek ripensò a Jennifer e
ai loro incontri e al fatto che l’unica cosa di cui si era preoccupato era
stato di non essere seguito dal branco di Alpha. Il resto di Beacon Hills per
lui non era esistito, non mentre era stato con lei.
«Quando ha avuto la certezza di chi
fossi ha fatto un incantesimo di sangue per maledirti.» Stiles lo guardò dritto
negli occhi e Derek seppe che il momento era arrivato. «Ha detto una cosa, in
particolare, che mi ha fatto pensare»
«Stiles…»
«Ha detto che l’incantesimo si
sarebbe attivato solo nel caso in cui tu fossi stato innamorato, solo nel
momento in cui avessi amato qualcuno come lui amava Jennifer.»
Derek deviò lo sguardo con un
sospiro e si alzò, spostandosi verso la vetrata, allontanandosi da lui. Non
voleva rispondere, non voleva assolutamente avere quella conversazione.
«Smettila, va’…»
«No! Non me ne vado a casa e
non la smetto!» Stiles avanzò, deciso e sicuro, cercando i suoi occhi con i
propri. «Ascolta, se… se non ti interessassi mi andrebbe bene, okay? Ho
ricevuto così tanti no nella mia vita che uno in più non fa poi chissà che
differenza, ma se…» Tentennò, poi fece un nuovo passo, invadendo un poco
lo spazio personale di Derek, e costringendo lui a guardarlo negli occhi. «Ma
se quello che Wiggins ha detto è vero e mi hai rifiutato solo per un’assurda
idea da eroe tragico che ti sei messo in testa, allora non lo accetto.» Lo
disse con calma, quasi in un sussurro, con l’espressione supplice di chi è
pronto a perdere ogni cosa.
«Non posso permettertelo» mormorò
Derek, e sentì che gli si stava chiudendo la gola. Stiles rise, a testa china,
scuotendola piano.
«Sei un idiota» disse.
«Se ti dicessi di sì e poi…»
«Smettila!» lo interruppe Stiles,
allargando le braccia. Derek si morse le labbra per la voglia che aveva di
cancellargli quell’espressione infelice sul viso. «Non sono Kate e non sono Jennifer,
non farò come loro non…» Stiles si fermò, ansante, e lo fissò con occhi
rabbiosi. La sua espressione furiosa si tinse di un’emozione che Derek sperava
di non vedere mai per colpa sua, mai rivolta verso di lui. «Tu pensi che io sia
come lei» disse Stiles, ferito. Niente urla, niente rabbia, solo la
completa accettazione del fatto che Derek lo credesse debole e fragile. Non era
così, ma lui non aveva mai saputo spiegarglielo.
«Non posso essere la causa di altro
dolore, non di nuovo e se ti succedesse qualcosa…» ammise Derek, perché era
vero e perché poteva confessarlo senza troppe difficoltà. Per anni si era
ripromesso di non permettere più a niente e a nessuno di ferire chi gli era
caro, aveva giurato di vivere in costante solitudine pur di mantenere quella
promessa.
«Ma io non sono Paige!»
«Se ti resto vicino finirò per
bruciarti! Sarai costantemente in pericolo e io…»
«E tu sarai lì!» Stiles si avvicinò
di un passo, gli occhi fissi nei suoi e un’espressione fiera sul viso. «Sono
stato posseduto da una nogitsune. Ha tentato di spezzarmi e, credimi, ci ha provato
davvero tanto. Ma sono ancora qui, no? Tu eri lì. Tu e Scott e gli altri.»
Un altro passo e Derek poteva già sentirne la presenza che invadeva il suo
spazio personale, il suo odore che lo avvolgeva in quel modo che lo calmava
sempre, che gli faceva credere che tutto fosse possibile e che lo fosse in modo
semplice. Niente drammi, niente dolore. «E so che ci sarete quando sarò di
nuovo in pericolo, perché sì, Derek, succederà di nuovo. E quando sarai tu a
essere nei guai io sarò lì con Scott per aiutarti, perché è questo che
fa un branco e noi siamo il tuo branco. Io lo sono.»
Derek chiuse gli occhi e sospirò,
sconfitto; l’attimo dopo sentì le braccia che lo cingevano e se lo tiravano
contro.
«Non
ti lascio andare.» Derek lo ascoltò mormorare contro la sua spalla. «Non mi
importa cosa credi di meritare – o meglio, di non meritare. Non sei un
giudice imparziale per te stesso.» Stiles si mosse piano contro di lui. Derek
rimase fermo, a testa china, con la voce della coscienza che gli urlava di
allontanarsi, di scappare da lì il più velocemente possibile e di salvare
almeno Stiles. Lui non l’ascoltò e si odiò per il suo egoismo per la sua
incapacità di fare la cosa giusta. Lo avrebbe rovinato e Stiles lo avrebbe
odiato – o peggio, sarebbe morto e sarebbe stata tutta colpa sua, solo sua.
«Smettila» fu l’ordine perentorio che gli arrivò da Stiles. I suoi occhi erano
vicinissimi, luminosi e pieni di pagliuzze ambrate che li rendevano la cosa più
bella che Derek avesse mai visto da tanto tempo. «Non sono debole, non mi
romperò se stringerai più forte» continuò Stiles e Derek sentì il suo respiro
accarezzargli le labbra – e, dio, sarebbe stato così facile baciarlo e
dichiararsi sconfitto. Ma non poteva fargli questo, non era abbastanza coraggioso
da scommettere la vita di Stiles per la sua felicità. Stiles gli prese in viso
tra le mani e si avvicinò ancora, in modo quasi insopportabile. Sembrava che
l’intero mondo si fosse ridotto alla sua forma e i sensi di Derek non
riuscivano a percepire nient’altro che non fosse il suo odore e il battito del
suo cuore – rapido ed emozionato – e la decisione del suo tocco e il calore del
suo corpo. «Puoi allontanarmi quanto ti pare, io continuerò a stare qui.»
Le
labbra di Stiles sulle sue furono una sorpresa per Derek, per quanto
preannunciata. Ogni sua difesa vacillò e crollò sotto la loro pressione
gentile, e Derek si sentì vinto.
Venne
disfatto da ogni lato, ad ogni respiro, con le mani di Stiles che gli
accarezzavano la schiena e risalivano lungo il suo collo, tra i suoi capelli. Derek
si aggrappò a lui con la stessa disperazione con cui si era aggrappato a Laura
dopo l’incendio, terrorizzato all’idea di perdere, ancora una volta, per un
capriccio egoistico tutto ciò che gli era caro.
«Ehi,
basta pensare, okay?» mormorò Stiles, e si allontanò da lui il necessario per
parlare. «So che non sembra ma dovresti aver capito anche tu, ormai, che ho dei
fenomenali poteri e che sento quello che pensi, quindi piantala, okay? O
dovrò prendere provvedimenti» lo minacciò, ma lo fece sorridendogli e con le
dita che continuavano a massaggiargli la nuca – in una riproduzione abbastanza
fedele delle grattatine in cui si era prodigato quando Derek era stato lupo.
«Sono
ancora convinto che sia una pessima idea» confessò Derek e Stiles ciondolò con
la testa, pensieroso.
«Allora
c’è solo un modo per farti cambiare idea» disse. Ghignò e sciolse l’abbraccio,
afferrandolo per la mano e trascinandolo verso la porta del loft. Derek lo vide
recuperare il cellulare dalla tasca dei jeans e digitare frettolosamente un
messaggio.
«Cosa…
perché hai mandato un messaggio a tuo padre?»
«Per
dirgli di non fare tardi. Stasera ci sono le lasagne» Stiles lo disse come se
parlasse di passare una serata in uno strip club e Derek inarcò un
sopracciglio.
«E
questo dovrebbe convincermi?» domandò dubbioso. Stiles si fermò, sovrastandolo
di due scalini, e sorrise.
«Ovviamente.
E sai perché, razza di idiota? Perché siamo già legati. Perché a
discapito del sesso che, credimi, voglio fare e rifare e rifare
ancora... Chiunque ci guarda vede una famiglia. Tu fai parte della mia
famiglia, come Scott, e questo non cambierà mai. Quindi se credi che mi
metterai in pericolo, prego» si spostò, indicandogli la porta. «Emigra in
Messico o dove diavolo ti pare. Ma sappi che non mi arrenderò e ti seguirò
dovunque.» Sorrise e il sorriso si trasformò in ghigno. «A costo di vincerti
per sfinimento» concluse.
Derek
lo guardò per un lungo istante. Poi chiuse gli occhi e sospirò, ma senza mai
lasciar andare la sua mano.
***
Stare
con Stiles non era poi così diverso dal solito, su questo Derek doveva dargli
ragione.
Litigavano
comunque, dandosi addosso per le ragioni più disparate, e continuavano ad avere
le loro serate con lo sceriffo, con la differenza che ora, ogni tanto, Derek si
fermava a dormire da loro o Stiles seguiva lui nel loft. E anche in quel caso,
non era nulla che non avessero già fatto.
A
parte il sesso.
Quello,
Derek doveva ammetterlo, era una piacevole novità. Un’aggiunta che aveva
accolto con gioia, più che felice di poter finalmente toccare Stiles come
voleva, dopo quasi un anno a sognare il sapore della sua pelle. Ma svegliarsi e
trovarlo arrotolato nelle coperte era la cosa che più preferiva. E se qualche mattina
lo trovava in posizioni strane e ridicole, non poteva che esserne ancora più
felice. E fargli una foto.
Derek
andava molto orgoglioso della sua piccola collezione.
«Let it go?»
«Sì.»
«Let it go?»
«Sì! Let it go. Frozen. La
canzone della Disney, sì!» sbottò Stiles, allargando le braccia. Il
resto del branco lo guardò perplesso e lui sbuffò. «Ehi, siete voi che avete
chiesto quale fosse la canzone preferita di Malia, io ho solo risposto»
borbottò. Malia, accucciata ai piedi di Lydia, abbaiò, scodinzolando. Erano in
camera di Lydia, dopo che Deaton aveva suggerito loro che forse quello di Malia
era un semplice caso di ritorno alla forma confortevole. Probabilmente
l’allenamento l’aveva stancata troppo o mandata in confusione o spaventata e
lei, istintivamente, si era difesa in quel modo. Tutto ciò che dovevano fare,
quindi, era farla rilassare e aiutarla a trovare un modo per mutare con
dolcezza – perché il richiamo dell’Alpha in quel caso, avrebbe potuto creare
più danno che altro.
«Immagino
si riveda in Elsa» pensò Scott, facendo spallucce.
«Beh,
se è quello che le serve per rilassarsi» commentò Kira con un sorriso
d’incoraggiamento. Lydia guardò il coyote e poi lo schermo del laptop, prima di
digitare il titolo della canzone nella barra di ricerca.
Quando
le note del piano dilagarono dagli altoparlanti, l’intero branco guardò Malia,
in attesa. Il coyote, però, rimase seduto e tranquillo, ma con le orecchie ben
puntate in ascolto e la coda che spazzava quieta il pavimento. Era felice.
«Non
ci posso credere» mormorò Cora, massaggiandosi la radice del naso proprio
mentre Elsa cantava «Well, now they know!» Malia abbaiò e saltò,
atterrandola. Stiles urlò e si lanciò in avanti, ma Derek lo fermò per la
spalla, per nulla preoccupato per sua sorella.
«Ho
detto zitta!» ringhiò Malia, nuda e spettinata, a cavalcioni di Cora.
Stiles
boccheggiò, mentre gli altri ridacchiavano e Lydia recuperava una vestaglia
dall’armadio.
Malia
si guardò attorno, imbronciata.
«Seriamente,
volete stare zitti?»
Fine.