Ho cominciato questa fic quasi un anno fa. Ma, tra una cosa
e l’altra, è rimasta ferma mesi a decantare.
Essa fa parte della mia personale sfida per riuscire a
scrivere una fic su tutti i lavori/situazioni più comuni nelle AU, ma chiarirò
l’elenco nelle note finali. Intanto, ecco il mio contributo alla Causa
‘scrittori’ e ‘musicisti’, due in uno!
Modern!au,
Merthur, Leogana, baby!Mordred, zio!writer!Arthur, pianist!Merlin.
D’istinto, vorrei
dedicare questa storia a Filippo, sperando di essere una zia un filino migliore
di Arthur con Mordred.
E poi è dedicata a chi
mi segue con costanza e affetto.
A chi si entusiasma
per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene con i suoi pareri.
Voi rallegrate le mie
giornate!
Magic Melody (Mordred’s Lullaby)
Capitolo I
“Guarda che io non abbocco!” sibilò Arthur, puntandogli un
dito contro. “La tua faccia d’angelo non mi frega, piccolo demonietto!” rincarò
con un ghigno. “Deve ancora nascere qualcuno che pensa di mettere nel sacco
Arthur Pendragon!” completò spavaldo. “Quindi… a noi due!”
Mordred raccolse il guanto di sfida sputandogli il ciuccio
contro.
“Ehi! Non vale usare armi!” s’indignò l’uomo, raccattando il
succhiotto da terra. “Questo era un colpo basso!”
Per un istante, fu certo che il poppante avesse ghignato. E
non gliene fregava un accidente se le guide pediatriche di mezzo mondo dicevano
che nessun neonato poteva ghignare. Mordred
poteva, eccome.
Digrignando i denti con rabbia, imprecò sottovoce contro il
marmocchio e la sua genitrice.
Arthur ancora si
chiedeva come avesse fatto ad acconsentire a quella follia.
Poi ricordò che, in realtà, lui non aveva detto sì ad un bel
niente. Solo che Morgana non accettava un no come risposta. E così gli era toccata...
***
Il suo male era cominciato il giorno prima, quando (con un
illecito doppione delle chiavi d’ingresso) la sua amata sorella gli era piombata in casa come un avvoltoio su un
corpo ancora tiepido, mentre lui era nel bel mezzo di un punto decisivo a metà
di un capitolo cruciale.
Giusto quando il suo protagonista rischiava di crepare,
quell’arpia lo aveva distratto dalla vitale concentrazione nel salvare il suo
pupillo di carta per parlargli del proprio, di
pupillo, decisamente meno interessante per lui.
E così Morgana gli aveva chiesto – un tenero eufemismo per
dire imposto – di fare da babysitter
al piccolo mostro, mentre lei sospendeva temporaneamente il suo congedo di
maternità.
“Siamo nel bel mezzo dell’acquisizione più grossa nella
storia della Pendragon Company e la mia sostituta ha fatto un casino! E Leon
dirige gli accordi dall’altra parte del mondo!” Al posto tuo!, sottintendeva il suo sguardo furente. “Devo
rientrare in ufficio almeno questa settimana, o andrà tutto a puttane e chi lo
sente, poi, nostro padre?!”
Era stato un colpo basso per lei nominare il vecchio Uther,
e istintivamente Arthur sentì i peli del collo rizzarsi, al ricordo di quando
aveva trovato finalmente il coraggio di dirgli che lui no, non era affatto
intenzionato a prendere in mano le redini dell’azienda di famiglia (come ci si
aspettava che facesse), e che lui amava scrivere, e fare lo scrittore era
quello che voleva fare nella vita. Per poco, non aveva scatenato la Terza Guerra Mondiale e finire
diseredato era stata giusto una bazzecola.
“E perché non lo lasci a lui? È in pensione e poi stravede
per quel mo- mo-!” Mostriciattolo,
avrebbe voluto dire, annuendo alla volta della carrozzina con dentro il
problema, ma quando vide la sorella abbassare la mano ingioiellata verso una
delle sue Manolo Blahnik, deviò saggiamente: “Mordred!”
Morgana si risistemò distrattamente la fibbia posteriore del
sandalo, che aveva un tacco così lungo e appuntito che Arthur s’era già visto
morto, crocifisso col cranio perforato, impalato contro il muro della sua bella
casa, e Gana se la sarebbe cavata fingendo quattro lacrime con un po’ di
depressione post-partum e tante grazie.
“Affideresti mai tuo figlio a nostro padre?!” gli aveva
chiesto, in tono di sfida.
“Non ho figli”, aveva replicato lui, per puntiglio.
“Arthur…”
“Ok, d’accordo. No.
Persino un branco di drogati strafatti sarebbe più
affidabile di lui… E con più competenze di puericoltura, indubbiamente”.
“Perfetto. Almeno su una cosa siamo d’accordo!”
Perché sì. Uther
adorava letteralmente il nipote come fosse stato una divinità pagana da
venerare. Ma dal ricoprirlo d’oro all’accudirlo…
ce ne passava di strada!
Quando Arthur aveva disertato i propri doveri di bravo
figlio, era stata Morgana quella messa alle strette e col marito aveva scelto
di portare avanti l’intera baracca Pendragon.
Quand’era nato il primo figlio – per giunta maschio! – Uther
aveva preteso che prendesse il cognome materno, visto che quello scapestrato
del suo primogenito si era, nel frattempo, dichiarato insanabilmente gay e con il vezzo di fare l’artista.
La stirpe dei Pendragon sarebbe dovuta continuare e il
Vecchio Dragone aveva grandi aspettative sull’ignaro nipote.
Se Uther avesse saputo
del problema attuale, la Terra
avrebbe tremato per ore.
“E perché non assumi una babysitter?”
“Credi che affiderei il sangue del mio sangue alla prima
bimbaminkia che passa?!”
“Ma… esistono Enti certificati, personale specializzato,
referenze e…”
“Dove credi che troverei il tempo di eseguire i colloqui,
verificare le raccomandazioni, fare delle prove di compatibilità caratteriale
con il mio Puccino?”
“Puccino? Adesso lo chiami Puccino?” Arthur alzò la voce di un’ottava.
“Parla piano, cretino! Se si sveglia, ti taglio la gola!”
“Oh, vedo che l’istinto materno ti ha reso più amabile!” ironizzò
lui, incrociando le braccia al petto.
“Arthur…” lo richiamò spazientita.
“E perché non Gwen?” suggerì lui, speranzoso. “È la persona
più qualificata del mondo! Le affiderei la mia stessa vita!”
“Perché si dà il caso che Guinevere e Lancelot abbiano già
tre figli a cui badare e lei sia al settimo mese di. Una. Gravidanza.
Gemellare”, gli ricordò, scandendo le parole come se fosse stato un ritardato.
“Ecco, appunto! Ha praticamente in gestione un asilo, un
bimbo in più o in meno non farà la differenza!”
Morgana scosse i folti ricci mori.
“Non ho cuore di caricarla di quest’incombenza…”
“Ohmiodio! Hai
finalmente ammesso di non avere un cuore! Lo sapevamo tutti, ma-”
“Ma la vuoi smettere?! Si tratta solo di qualche giorno, e
tu sei l’unico con un sacco di tempo libero, tempo che passi inutilmente a zonzo per l’appartamento!”
“Ehi! Io lavoro a casa! Io scrivo!” si difese piccato.
“Sì, scrivi un sacco di pagine che poi cestinerai… l’uscita
dell’ultimo libro è prevista per quando?”
Arthur tentennò, ma mentire non sarebbe servito. “La
primavera prossima”, ammise poi, controvoglia.
“Ecco, appunto. Qualche giorno di pausa non ti ucciderà. E
mi devi un favore, quindi…”
“No, non è vero!”
“Sì che lo è”, lo contraddisse Morgana, ghignando. “Un grande favore. Il nome ‘Mark’ ti dice
niente?”
Arthur sbiancò.
Che bastarda! Come
poteva rinvangare ora quel…
“Avevamo concordato che non ne avremmo più parlato”, le
rinfacciò.
“Sì, beh... Tu lo hai deciso. Non io. Piacere per piacere,
ricordi?”
“Questo è un ricatto!”
“Chiamalo come vuoi…” Morgana fece spallucce, mentre
controllava il bimbo che si stava risvegliando. Lo prese in braccio, cullandolo
piano nella speranza di prolungare il suo pisolino.
“Tata Mary verrà la mattina; il pomeriggio non può, per
questo lo chiedo a te…”
“Tata Mary?!”
“Sì, idiota. Ma sei sordo?!”
“Papà ha mandato in pensione Tata Mary quando siamo andati
al college! E aveva quasi ottant’anni allora!”
“Ne aveva settanta, idiota. Non esagerare… E comunque mi
fido solo di lei…”
“Sì, finché non darà il biberon a quel topo del tuo chihuaua
e non riempirà la ciotola di croccantini per Mordred!”
“Tata Mary è più in gamba di te!” lo contraddisse,
perentoria, prima di trasformarsi istantaneamente, facendo facce buffe e parole
dolci al suo bambino.
“Oh, Puccino-Puccino, guarda dove siamo? A casa di zio Artie!”
declamò con allegria esagerata. “Di’ ciao a zio Artie!” l’incitò retorica.
Arthur roteò gli occhi, nauseato dalla colata di miele
verbale. “Lui mi odia!”
“Stronzate! Sei il suo zio preferito!”
“Solo perché sono l’unico che ha! E non sono stronzate!”
“Arthur! Niente parolacce davanti al bambino!”
“Ma l’hai appena detta anche tu!”
“Una mamma può tutto…” filosofò Morgana al pari di un dogma,
prima di stampare una serie di baci a schiocco sulla testolina semicalva del
pupo.
“Sto per vomitare”, mugugnò l’uomo, osservando la
dimostrazione di affetto con la faccia di uno che ha mangiato un limone.
“Il solito esagerato!” lo sgridò la sorella, liquidando la
faccenda. “Ti aspetto domani, da me, alle due. Sii puntuale!” gli comandò,
ticchettando con gli spilloni di Manolo sul pavimento, come a definire
l’ordine.
E prima di sapere come, Morgana s’era magicamente
volatilizzata e Arthur s’era ritrovato
fregato.
***
Per un buon minuto abbondante, Arthur aveva seriamente
ponderato di disertare. E ‘fanculo a
tutto.
Ma Morgana, quando ci si metteva, sapeva essere davvero un
dolore nel culo, una spina nel fianco e un calcio nelle palle tutto insieme.
Poi c’era stata la concreta minaccia di Mark e la possibile
reazione di suo padre di fronte a un’altra diserzione di famiglia e lui aveva
dovuto fare retromarcia.
Oh, che cazzo. Un paio
di pomeriggi col marmocchio non avrebbero ucciso nessuno, no?
E poi avrebbe sempre potuto prendere quell’occasione per
fare esperienza e poi usarla per un nuovo plot… sì, qualcosa su un bambino
demoniaco, di certo.
Mentre guidava verso il quartiere residenziale dove abitava
l’oggetto delle sue disgrazie, rifletté sul fatto che era anche colpa di Leon,
che era figlio unico.
Se suo cognato avesse
avuto fratelli, magari il peso dell’incarico non sarebbe toccato a lui!
Poi, però, Arthur ricordò che il parente più vicino ad una
sorella per Leon era Elena, una tizia di buon cuore, ma che viveva
costantemente sulle nuvole. Era così svampita che a volte si perdeva per strada
e i vicini la riaccompagnavano a casa per pietà.
Ecco, beh… persino lui
non avrebbe affidato Mordred ad una così.
Ma il punto era, secondo lui, che fosse ingiusto venir
disturbato in virtù dell’essere uno zio vero in linea di sangue, solo perché
quelli finti valevano di meno, quando si trattava di chiedere favori scomodi.
Arthur ripensò ai loro amici in comune.
Di sicuro anche quel fancazzista di Gwaine avrebbe potuto
occuparsene, o quel randagio di Elyan, sempre in cerca di capire il senso della
vita girando qua e là. Vivian no, perché era una poco di buono e avrebbe potuto
abbandonare il bambino anche sul ciglio della strada, se un tizio qualsiasi le
avesse dato retta. E poi Sophia… uhm, negativo. Da quando era entrata in quella
strana setta che pretendeva di fare sacrifici animali… già, meglio evitare. E
Mithan? Ah, nemmeno. Stava ancora in Rehab, rinchiusa in un Centro di
disintossicazione…
Ma sicuramente quella strega di Morgana aveva altre amiche,
no?
Perché, di tutti, era
toccata proprio a lui?
Arthur parcheggiò, borbottando il proprio malcontento e
suonò il campanello.
Tata Mary lo abbracciò forte, bloccandolo sulla soglia.
“Il mio piccolo Arthur!” lo vezzeggiò, tirandogli le guance
come quando andava alle elementari. “Ma come sei cresciuto!” constatò, perché
effettivamente la vecchina, gobba per l’età, gli arrivava appena sopra
all’altezza dell’ombelico.
“È passato un po’ di tempo dall’ultima volta, Tata Mary…” le
rispose imbarazzato.
La sua vecchia bambinaia si prese il tempo di sondarlo da
capo a piedi, e parve approvare ciò che vide.
“Com’è che un ragazzo così bello non si è ancora sposato?”
gli domandò poi, a bruciapelo, scrutandogli la mano sinistra libera da anelli.
“Ehm… Tata Mary, vedi… C’è una cosa che non sai…”
“Vuoi dire che tutti gli uomini d’Inghilterra sono diventati
ciechi all’improvviso?” lo aiutò.
Arthur boccheggiò, al colmo dello stupore.
“Artie, piccolo mio. So che sei gay da quando avevi quindici
anni…” chiarì, con un sorriso. “Chi credi nascondesse quelle brutte riviste che
compravi di nascosto prima che Morgana ti ricattasse o le vedesse tuo padre?”
“Ehm… non… non era Malcom, il vecchio maggiordomo?”
L’anziana balia rise di gusto della sua ingenuità.
“Malcom se le sfogliava, ma toccava a me fare ‘il lavoro
sporco’!” gli spiegò ammiccando. “E ora vieni dentro, dai…”
Arthur attraversò l’uscio e si aspettò quasi di vedere
comparire sua sorella da un momento all’altro, ma la casa sembrava tranquilla
ed, effettivamente, se fosse stata presente, lui non avrebbe avuto motivo di
essere lì con quell’ingrato compito.
“Mordred è parecchio assonnato, è quasi ora della nanna
pomeridiana”, lo informò la sua bambinaia, conducendolo alla culla dove il
bambino piagnucolava. “Adesso te lo cambio, così sarai a posto finché non
tornerà Morgana, ma poi devo scappare, mi dispiace. Il mio povero Charlie, sai…
La sua testa non va più tanto… C’è la vicina adesso con lui, ma…”
“Non ti preoccupare, Tata Mary. Non mi devi spiegazioni”, la
rassicurò, stringendole affettuosamente una spalla ossuta.
“Bravo il mio ragazzo!” lo lodò lei, prima di rivolgersi al
neonato: “E dov’è il principino, qui? Fai vedere a zio Arthur quanto sei
delizioso!”
Arthur non avrebbe
mai, mai accostato il termine delizioso a suo nipote, ma preferì non
recriminare.
“Vedi, si fa così…” lo istruì l’anziana balia, muovendosi
con gesti veloci e precisi sul bambino per spogliarlo e cambiargli il pannolino
e l’uomo seguì distrattamente il processo che, per lei, doveva essere un gesto
abitudinario mai dimenticato.
Peccato che, dopo la prima zaffata proveniente da roba
solida – Codice Marrone! Codice Marrone!
Centrale, abbiamo un problema! –, Arthur era indietreggiato, sul punto di
vomitare per davvero, scappando dalla stanza.
“Dovrai farci l’abitudine, sai?” gli rese noto la signora
Mary, divertita dalla sua fuga, sventolandogli contro l’involucro della bomba
nucleare, prima di avere pietà di lui e di smaltirla nei rifiuti tossici e
radioattivi.
Col cazzo che si
sarebbe impantanato in quello schifo!
“Nnh…” grugnì, però, in risposta.
“Gana ha detto che c’è un promemoria per te sul portatile e
tutto l’occorrente per il pomeriggio, fino al suo ritorno. Se hai bisogno, non
esitare a chiamarmi”, lo invitò, allungandogli un foglietto con dei numeri di
telefono per i recapiti urgenti, strizzandogli poi una guancia affettuosamente.
“Ciao, Artie…”
Arthur realizzò con suo sommo orrore che la vecchina non
s’era neppure lavata le mani dopo il cambio del pannolino e prima di toccarlo. Ergo…
Egli corse nel bagno del piano terra e cercò il
disinfettante più potente che c’era in casa.
Alcool? Candeggina?
Acido Muriatico?
Dopo un numero considerevole di lavaggi con tutti quei fottutissimi detergenti ‘per pelli
delicate con crema idratante’ che quella strega di sua sorella si ostinava a
comprare, Arthur decise che sarebbe sopravvissuto. Sì, però aveva bisogno di un tè.
“Un tè al latte mette
a posto ogni cosa!” lo diceva sempre anche Tata Mary.
Ignorò il nipote che mugolava scontento nella culla e si
diresse in cucina, mettendo su il bollitore e acchiappando una sana bustina di
Earl Grey.
Poi rovistò in frigo alla ricerca del latte e agguantò una
bottiglia di vetro. Morgana e la sua
mania di latte fresco!
Beh, in verità era una cosa buona, per una volta. Lui era costretto a bere sempre quello conservato a
lunga scadenza, perché era pigro e non voleva andare a comprarlo ogni giorno,
ma gli era mancato il gusto del latte vero, quello di giornata, appena munto...
E visto che il lattaio, a lei, faceva direttamente la
consegna a domicilio… perché non
approfittarne?
Arthur non resistette e tracannò, con ingordigia, una lunga
sorsata dalla bottiglia.
Bah… non sembrava
essere particolarmente fresco… e, a dirla tutta, aveva pure un sapore un po’
strano… che fosse andato a male?
O forse la prima impressione era sbagliata ed era meglio
ricontrollare… Quindi prese un secondo assaggio e se lo rigirò in bocca per
farsi un’idea più precisa, mentre controllava, con la coda dell’occhio, la data
di scadenza scarabocchiata sull’etichetta del vetro.
Prelievo M. ore 7.45 600
ml.
Nell’esatto momento in cui il suo cervello elaborò
l’informazione, Arthur spruzzò d’istinto tutto il contenuto ovunque, sputandolo
fino all’ultima goccia.
Cazzo. Cazzo. Cazzo.
Era il latte di Morgana!
Che abominio!
Doveva assolutamente
sciacquarsi con qualcosa di forte o sarebbe potuto morire avvelenato!
Arthur si diresse di corsa nell’armadietto che fungeva da
bar, ma un urlo di Mordred lo distrasse dai suoi propositi.
No, no! Adesso no!
Eppure Mordred sembrava di tutt’altro avviso e riprese a
strillare ancor più forte, stanco di venire ignorato da quel disgraziato del
suo tutore improvvisato.
A malincuore, Arthur raccolse il bimbo e lo dondolò cercando
di calmarlo, e – contemporaneamente – afferrò il biberon con dentro quella che,
all’apparenza, sembrava camomilla.
Poiché peggio di così non poteva andare, s’arrischiò un
assaggio. Era camomilla, sì. Grazie a
Dio.
E la rubò al nipote fino a che non gli parve che l’orrido
gusto del latte fosse scomparso dalle sue papille gustative.
“È tutta colpa tua!” brontolò poi, mentre il pupo si agitava
infastidito, cercando di sgusciare dalla sua presa.
Arthur raddoppiò la stretta e toccò il mouse per togliere lo
screensaver.
C’era una cartella col suo nome nel desktop e due file: un
word con tutti gli orari in cui si presumeva abitualmente il neonato dormisse e
mangiasse, l’altro era un video con la brutta faccia di sua sorella e la sua
voce intimidente che lo minacciava di tagliargli le palle se non si fosse
comportato bene ‘col suo tesoro’.
Arthur tentò un gesto scaramantico che per poco non gli
costò la caduta del prezioso ‘tesoro’ e fece una smorfia mentre
Morgana-registrata lo erudiva sul mondo segreto della comunicazione infantile:
“Se il Pupino fa ‘Uee-Uee-Uee’,” recitava il filmato,
“significa che ha sonno. Se fa ‘Ueeeeeee-Ueeeeeee’ ha fame; se fa ‘Ue-ue-ue’
deve essere cambiato, e se fa ‘Uue-Uue-uue’ è solo annoiato, vuole coccole.
Intesi?”
Arthur scrutò lo schermo del pc come se davanti a lui vi
fosse stata una pazza.
Quella specie di Codice
Morse per Poppanti che cavolo significava? Lungo lungo corto? Punto punto
linea? Non aveva neppure fatto il militare, lui!
Li riascoltò tutti per buona misura, e se li registrò nel
cellulare, ma dubitava fortemente che sarebbe mai riuscito a riconoscerli.
Il promemoria della strega terminava con un suggerimento:
“Se non dorme, vai a passeggio. Il movimento è soporifero.
Mi raccomando di assicurarlo bene al passeggino!”
Arthur chiuse tutto e spense il pc con un gesto di stizza.
Successivamente, adagiò il nipote nella culla e tirò la
cordicella di un carillon a penzoloni che emise all’istante una melodia lenta e
agonizzante.
Egli sbuffò, odiando già quella nenia insopportabile e sperò
solo che fosse idonea allo scopo.
Per buona misura, incominciò a dondolare il lettino, perché
– se era vero quello che Morgana aveva detto – il movimento oscillatorio
avrebbe dovuto favorire l’addormentamento.
Tuttavia, Mordred sembrava tutt’altro che bendisposto e,
anche se aveva smesso di frignare (merito soprattutto del ciuccio che Arthur
gli aveva quasi fatto ingoiare), sembrava nient’affatto benevolo ad
accontentarlo.
***
Un’ora di supplizio.
Un’intera ora in cui Arthur si sarebbe dannato l’anima pur
di scamparla.
Aveva dondolato, cullato, cantato, dopato la brutta bestia con tutta la camomilla
reperibile in casa e aveva sinceramente meditato persino di fargli fare un giro
ad aeroplanino sopra il gas aperto della cucina per narcotizzarlo un po’.
E poiché le buone maniere non era servite, le minacce non
erano servite, né le suppliche o le urla e nemmeno le preghiere, zio e nipote
erano giunti ad un punto di stallo, anche se sembrava che lo sgorbio fosse sempre in leggero vantaggio su di lui (non per niente era figlio di quella strega
di Morgana, la cattiveria era ereditaria e anche la voglia di scassargli i
marroni!).
Inspirando dal naso per contenere la rabbia, e cercando di
fare l’adulto fra i due, Arthur acchiappò il neonato e lo adagiò nel
passeggino, armeggiando mezz’ora con le bretelle e i ganci di protezione ad
incastro.
Neanche gli astronauti
durante il lancio dello Shuttle venivano legati così!, considerò,
imprecando sottovoce perché le minacce di Morgana sulle parolacce potevano non
essere fini a se stesse… Magari c’era
qualche telecamera nascosta che lo stava filmando?
Sette camicie sudate e un numero imprecisato di minuti dopo,
Pendragon Senior si sentì incredibilmente appagato nell’essere riuscito nella
titanica impresa.
Non lo avrebbe mai
staccato da lì, manco per cambiarlo! Poteva restare in quel cazzo di seggiolino
fino alla morte, per quanto lo riguardava! Di sicuro fino alla laurea o al suo
matrimonio!
Mordred, al colmo dell’insofferenza e col sonno dimenticato
da tempo, masticava il ciuccio brontolando rabbiosamente e – Arthur ne era
certo – se avesse potuto parlare gli avrebbe dato dell’idiota incompetente
almeno cento volte.
Ma lui era sicuro che avrebbe vinto la battaglia fra loro e
se quel mostriciattolo doveva dormire, avrebbe dormito! A costo di camminare a piedi fino alla fine del mondo!
***
Forse era vero che
sarebbe finito a camminare per sempre.
Avevano raggiunto le
Colonne d’Ercole e le avevano superate un sacco di tempo fa, ma ancora la peste
non dormiva.
Quello che più faceva infuriare Arthur era che suo nipote –
plagiatore seriale come sua madre – faceva gli occhi dolci a tutti,
guadagnandosi un sacco di coccole, complimenti e moine da tutte le ovaie
ambulanti che avevano incrociato per strada.
Qualcuna s’era pure azzardata a dispensare consigli
indesiderati (che lui non avrebbe mai messo in pratica) e numeri di telefono
(che lui non avrebbe mai richiamato).
Pendragon sapeva di essere – modestia a parte – un
bell’uomo, francamente attraente; ma doveva riconoscere, altrettanto
onestamente, che non aveva mai ricevuto così tanta attenzione dal gentil sesso
in così poco tempo, cioè da quando si era messo alla guida di quel passeggino. E mai come adesso, Arthur era stato felice
di essere gay.
I maschi che aveva incrociato per strada, invece, gli
avevano lanciato varie occhiate di compatimento e commiserazione, qualcuno
aveva arrischiato un sorriso di solidarietà – probabilmente perché era stato
vittima di quella sofferenza prima di lui.
Ma il punto era uno solo: Mordred era il Male.
Dopo l’ennesima signorina conquistata, che per chinarsi e
dargli un bacetto stava per far traboccare tutto il seno strizzato in un top
minuscolo, Pendragon si sentì in dovere di mettere le cose in chiaro con quel pannolino manipolatore.
Era stato così che gli aveva diretto un dito addosso,
precisando: “Guarda che io non abbocco!”
E poi le cose erano degenerate, e Mordred era finito a
sputargli contro il ciuccio, dando inizio a una guerra senza esclusione di
colpi e dall’esito alquanto incerto. Difatti, Arthur possedeva una sola, unica
certezza…
Zio preferito, un
cazzo.
Continua...
Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono
miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire
di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ugualmente, le immagini che ho
scelto di inserire nei capitoli sono prese dal web e non mi appartengono.
Manuel ‘Manolo’ Blahnik Rodríguez è uno stilista spagnolo
creatore di una nota casa di moda produttrice di scarpe da donna. Carrie di ‘Sex
& the City’ ne va pazza.
Per curiosità, ecco le Tacco 11 indossate da Morgana: http://www.yoox.com/it/44481407WO/item?dept=women
Arthur ha ragione a dire che sono un’arma impropria. XD
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai e a Laura, che subiscono le mie paranoie. X°D
Note: Come ho
anticipato, non imitate Arthur nelle
sue scelte di babysitting: benché verosimili, non sono pedagogicamente corrette.
Ho appositamente evitato di dire il genere del libro di
Arthur. Sarà chiarito al momento opportuno, per motivi di trama.
Le Colonne d’Ercole sono l’antico nome dello Stretto di
Gibilterra. Indicavano, in passato, il limite estremo del mondo conosciuto.
Nell’intro ho accennato
alla mia personale sfida per riuscire a scrivere una fic su tutti i lavori/situazioni
più comuni nelle AU. Finora ho postato:
ü
Doctor!Merlin (beh, veterinario, ma va beh…)
ü
CEO!Arthur
ü
Writer!Arthur
ü
Pianist!Merlin
ü
Coffee shop!au
ü
Prof!Arthur e Student!Merlin (da postare)
ü
Cinema Hall!fic
ü
Mpreg!modernAU
ü
Beach!fic
ü
X-mas!fic
ü
Lunapark!fic
Mancano ancora una sacco di spunti e cliché, ma piano piano
darò il mio contributo.
Vi metto un’anticipazione
del prossimo capitolo:
Arthur stava per lasciarsi cadere sul solito scalino che
aveva eletto a suo trono, quando la melodia cambiò di colpo in un pezzo nuovo –
suadente e particolarmente accattivante – che si era aggiunto inaspettatamente
al repertorio. Contro ogni buonsenso, egli si accostò un po’ troppo e arrischiò
un’occhiata dentro.
Dio.
Erano quelle, le mani
che producevano una melodia così?
Erano davvero mani da
pianista. Nella definizione più pura del termine.
Mani con dita lunghe e
affusolate, che accarezzavano i tasti con riverenza e sensualità.
Mani agili e veloci,
scattanti e sinuose, lente, cadenzate.
Mani che sembravano
offrire piacere ai rettangoli d’avorio e trarne godimento a loro volta.
Mani che…
Dio, erano qualcosa di
pornografico.
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
~ ~ ~ ~ ~
Ringrazio i 500 lettori che mi hanno inserita fra i loro
autori preferiti.
Vi ringrazio della fiducia, e vi invito, ancora una volta, a
lasciarmi qualche parere per sostenermi in questa passione che condividiamo. ^^
Campagna di Promozione Sociale -
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aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
Grazie (_ _)
elyxyz