Was
a long and dark December
From the rooftops I remember
There was snow, white snow
Clearly
I remember
From the windows they were watching
While we froze down below
Era un dicembre lungo e buio
sulle cime dei tetti ricordo che
c'era neve, neve bianca
ricordo chiaramente che
dalle finestre le persone guardavano noi
che congelavamo lì sotto
VIOLET HILL
Capitolo primo
“Perché te ne sei andato?”
Gli occhi erano iniettati di lacrime e la strada
appariva offuscata.
“Un giorno, Sasuke te ne andrai anche tu”
“Non sono un vigliacco come te”
“Un giorno comunque capirai”
L’odore
del sedile di pelle, d’un nero sbiadito, gli entrava dentro tranquillizzando i
suoi lineamenti.
Da sempre,
l’unico profumo che lo legava alla sua infanzia e forse anche ai suoi ricordi
più felici: era quello. Un odore che si univa ai vecchi mozziconi di sigarette
congelate lì, nel portacenere, alle bruciature sui sedili posteriori; che
sapeva di nafta quando faceva il pieno e il vecchio motore sembrava ubriacarsi
e puzzava come un antico alcolizzato. Ed era davvero buffo per lui pensare che
la sua vita era racchiusa tutta là; come se vivesse, si fa per dire ovvio, in
un fermo immagine.
Ma davvero ogni volta che entrava nell’abitacolo, scappando dalla realtà, da
quella casa dove lui non c’era più ormai… tirava un sospiro di sollievo. E in
un certo qual modo ogni volta che la portiera si chiudeva, protestando sui
cardini arrugginiti, era come incontrarlo.
La prima volta che l’aveva vista, lui si era
messo a ridere di gusto. Gli occhi azzurri lo deridevano volutamente. E
pensare che quell’affare lo avrebbe portato in giro, scorazzandolo nei loro
improbabili viaggi; dove di solito finivano per rimanere sempre senza benzina e
litigare, azzuffandosi come due dodicenni. Ma l’assurdo marrone della
carrozzeria in effetti, stonava con le loro facce ed anche con quelle dell’ex
proprietario.
Non sapeva esattamente come si era lasciato
traviare dalla folle idea che era scattata nella mente del biondo, in un giorno
di fine estate. La faceva sempre facile lui, presentandosi così con dei
barattoli di vernice.
“Ci divertiremo vedrai!”
Ma aprendo i recipienti anche il biondo, sempre
così maledettamente sicuro di se stesso, non aveva potuto trattenere una
smorfia al nero che nel contenitore non sembrava tale.
“Testa quadra, sembra di più un grigio topo”
Alla fine, dopo la prima passata, una seconda e
una terza, si erano ritrovati un bel nero carbone uniforme tranne sul paraurti
che proprio no, non voleva saperne di assumere quel colore.
I guai
erano incominciati dopo.
Sull’asfalto
bruciato dal sole di quell’anonima cittadina ( e lui in quei giorni sentiva
davvero di stonare, di appartenere ad un altro pianeta) qualcosa in Naruto
Uzumaki cambiò radicalmente: si era innamorato.
“Lei è
così bella, dolce! Indifesa!”
In quei
momenti anche con i finestrini aperti e con il traffico della vecchia città, la
voce del suo migliore amico sembrava rimbalzare nella carrozzeria di carbonio e
fargli scoppiare un enorme mal di testa.
“Vuoi
stare un po’ zitto?”
Naruto di
solito si metteva a ridere a quell’ordine, dicendo che era solo un invidioso,
che non poteva capire salvo poi azzittirsi leggermente quando sulla strada,
Sasuke Uchiha, faceva un sorpasso troppo azzardato. Ma era sempre stato così
tra loro. Erano da sempre amanti del rischio quindi, anche quella volta si
ritrovarono a cambiare destinazione: sarebbero dovuti andare in Accademia ma si
ritrovarono a dirigersi verso la radura della loro città.
La smorfia congelata mentre qualcuno lo
allontanava con passo greve. Le labbra tirate in avanti in quello che sembrava
un ghigno eppure un sorriso.
Giurò che l’aria pesasse nei polmoni, si, ne
sentiva tutto il peso.
E qualcuno in uniforme era così facile
confonderli, uno di loro insomma, lo allontanava dal suo soggiorno senza dire
nulla mentre al contrario la loro presenza diceva già tutto.
Ma oramai non l’avrebbe mai più dimenticata: la smorfia
che aveva suo padre prima di morire.
Erano
cresciuti insieme. Naruto aveva perso i genitori quando ancora era troppo
piccolo per ricordarlo. Nessuno aveva mai badato troppo a lui e si era
ritrovato a vivere con un vecchio zio. Sasuke fin da piccolo era schivo,
ombroso. La madre non c’era già più e il padre lo maltrattava. Li maltrattava,
anzi, a lui e a suo fratello maggiore Itachi. Fratello che decise di sparire
dalla circolazione proprio quando il giorno prima gli aveva insegnato a guidare
e consegnato la sua Ford Galaxie.
Ma i
dettagli tra di loro non erano mai stati così importanti. Il passato,
preferivano dimenticarlo.
Ricordare, significava ammettere che comunque al
loro fianco sembrava sempre non esserci stato nessuno. Perché quando lui
correva tuffandosi nella stanza di Itachi, cercando di scappare da un padre
violento e disperato nella sua aggressività, giurò a se stesso che mai, mai si
sarebbe lasciato prendere da qualcuno. Che doveva essere libero, che dovevano
esistere solo lui e la strada.
Sasuke,
seduto malamente sulla parte anteriore della sua macchina, fissava un punto
indefinito nella boscaglia. Naruto invece canticchiava qualcosa, steso per
terra e con le braccia incrociate dietro il collo.
“Finiscila”
“Che
vuoi…almeno dato che non c’è l’autoradio la faccio io!”
“Non mi
piacciono le radio”
“A te non
piace nulla, sai che novità”
Ritornò a
canticchiare il biondo, sorridendo per la smorfia che invece assunse il ragazzo
dai capelli antracite e dalla carnagione bianca.
“Non mi
dire che stai diventando una femminuccia”
Sasuke
stappò la bottiglia di birra che aveva in mano, guardandolo in malo modo.
“Credo che
questa sia la sua canzone preferita”
“Bleah!”
Sasuke
Uchiha scostò la bottiglia dalle labbra, inorridito. “Come diavolo si chiama
questa, ah?”
“Sakura
Haruno”
“ E allora
vacci a letto e togliti lo sfizio”
“No! Lei è
diversa!”
Sasuke si
fermò un cipiglio interrogativo e perplesso.
“Non ha
come tutte le donne due gambe e del seno?”
“Di certo
non è un alieno se è questo quello che vuoi dire!”
“Allora
dov’è il problema?”
Naruto si
alzò, i fili del bosco sulla sua assurda maglietta. “Ne sono innamorato”
L’Uchiha
ancora lo squadrò da capo a piedi, come se avesse detto una cosa assurda, senza
senso. Un leggero sorriso gli tirò le labbra da una parte, una luce quasi
cattiva e arrogante nello sguardo. “Allora, dov’è il problema?” Ripetè con un
tono che non ammetteva repliche. “Non hai imparato nulla? Prima regola, nessun
coinvolgimento con niente e per nessuno”
Naruto sbuffava nella sua stanza invasa dal caos;
alle pareti dei poster di macchine e di idoli degli anni ottanta. Avrebbe
voluto avere un po’ di fascino di quello, un po’ del sorriso di quell’altro. Ma
non capiva perché i tipi alla bella e impossibile piacessero tanto alle donne.
“Amano complicarsi la vita” Aveva risposto Sasuke alla sua domanda. Ma loro
due, non avevano forse una vita complicata? Naruto più volte ricordava ancora
il silenzio che sembrava avvolgere la casa di Sasuke. Il dolore, il suo non
capire. La morte che era entrata così all’improvviso colpendo il padre, proprio
il giorno stesso che Itachi aveva fatto le valige ed era sparito. Non parlavano
mai di quello che era accaduto ad entrambi. Ma non era difficile indagare
dietro alle loro pozze, rispettivamente azzurre e nere, che c’era della
sofferenza dietro.
In
effetti, vivevano in funzione della macchina. Parcheggiata lì, sotto casa di uno
o dell’altro. Naruto aveva persino, all’insaputa di Sasuke, portato un ricambio
d’abiti all’interno mettendolo sotto il suo sedile.
“Mi
spieghi che cavolo c’è in quella busta?” L’aveva scoperto un giorno.
Naruto
all’inizio provò a negare “Busta? Quale busta?” ma, le magliette con il suo
nome scritto sopra non avevano scuse. “Sei sicuro che non sono di una donna?
Magari di Ino, vai a vedere che ha cambiato la sua fissazione per te e adesso
ha una cotta per me!”
“Perché
allora avrebbe dovuto mettere una busta con le tue cose dentro, nella mia
macchina?”
Sarcasmo.
Naruto invidiava quella forma di comunicazione.
“Voleva
farti…ingelosire?”
Sasuke si
battè una mano in testa.
“Non ho
mai amato Ino Yamanaka. L’ho solo usata per vedere com’era quella cosa che
tutti chiamano sesso.”
“Amore,
vorrai dire”
“Non
esiste l’amore”
“Senti,
non puoi essere sempre così maledettamente cinico. Certo che esiste, vedrai che
un giorno capirai…”
Sasuke lo
guardò male per un bel po’ di tempo.
“Ciò non
toglie il perché cazzo tu abbia messo un tuo ricambio nella mia
macchina.”
“Ma è
perché devo cambiarmi!”
Il moro
scosse i capelli neri.
“Quando
andiamo a fare le corse, non vuoi che mi presenti in modo decente?”
Le gare che si svolgevano di notte, bravate della
gioventù frustata, erano off limits.
La macchina, la “cosa” come la chiamava Naruto,
in quelle occasioni dava il meglio di sé. Sasuke aveva passato molto tempo a
testa in giù a potenziare il motore. Voleva vincere, lui odiava perdere. E
anche se quella Ford sembrasse facile da battere rispetto alle altre vetture
che gareggiavano, quando lo sterzo stava nelle mani di Sasuke la “cosa”
ruggiva.
Rischiavano di brutto.
Sasuke però guidava da solo, faceva scendere
sempre Naruto che protestava come non mai. Il biondo così rimaneva sul
marciapiede a fare il tifo ma, lo vide una notte rischiare di perdere la vita.
La macchina si stava ribaltando e Sasuke stava per perdere il controllo.
“Vuoi morire, cazzo?”
Naruto non parlò con lui per una settimana.
Alla domanda Sasuke non aveva mai risposto.
D’altronde entrambi non avrebbero saputo cosa fosse stato meglio per loro.
I guai
davvero, furono nel constatare che Naruto non arrivava più da solo.
Sasuke che
stava per entrare in macchina lo vide giungere con una cosa, quella si che era
una cosa, con dei capelli rosa.
“Voglio
farti conoscere Sakura”
Non
l’avrebbe mai capito probabilmente ma Sasuke sapeva che si, in quel modo,
Naruto rischiava davvero la vita o per lo meno la sua incolumità mentale.
L’aveva
guardata quindi freddamente come un pericolo che avanza nel tuo territorio.
Aveva balbettato un “….Piacere” e arrossito, lei.
Naruto
diceva che erano amici, che da grande lei avrebbe fatto il medico. Era
entusiasta ma lo era sempre, non faceva testo.
“Possiamo
darle un passaggio Sasuke?”
Mai come
in quel momento si sentì parte integrante dell’ennesima immagine. La sua
macchina, il marciapiede, lui che senza dire una parola sale all’interno
dell’abitacolo, gli alberi più in là fermi e pronti a scorrere via dal suo
specchietto una volta acceso il motore. Ed ogni qual volta stava per succedere
qualcosa sentiva i bordi del disegno diventare meno marcati, il fermo immagine
era pronto per essere dimenticato o modificato.
“Che t’è sembrata?”
“Non capisco perché tu me l’abbia fatta vedere”
“Daii”
“…è una donna, non ha nulla di particolare”
Pioveva.
Naruto salì sopra la “cosa”, aveva una faccia strana come quel miscuglio di
nuvole in cielo. Sasuke accese di mala voglia il tergicristallo, troppo lento.
Quel marchingegno era l’unica cosa che gli dava fastidio della sua auto. Faceva
rumore, gli faceva venire il mal di testa, ma come tutto d’altronde.
“Ha detto
che non mi ama”
“Se ne
andasse a fanculo, allora”
“No. Ha
detto che ama te”
“…”
“…”
“Me?”
“Già”
Del
silenzio era seguito a quelle frasi. Poi Sasuke aveva sfoggiato un suo sguardo
cattivo. A Naruto non piaceva. Era lo stesso di quando la Ford aveva perso il
controllo tempo addietro; lo stesso che aveva nel chiedergli che avesse in
mente di fare per il suo futuro.
“Se ne
pentirà amaramente, vedrai”
Si guardarono. Lei accennò una risata forse un
po’ stanca. I lampioni non le rendevano giustizia, anche perché la luce in
realtà non riusciva a giungere nell’abitacolo.
Il profumo della sua infanzia era un po’
cambiato, sapeva stranamente di vaniglia la sua macchina. Ma tutto comunque
sembrava più bello.
Anche il solito vecchio viale, anche il solito
fermo immagine.
Naruto
aveva scosso il capo, sconvolto, urlando quasi.
“Sasuke,
Sasuke, che diavolo stai dicendo!?”
Era
arrabbiato, nervoso, agitato. “Non devi farle nulla! Non voglio che soffra!
Capito?”
Fu in quel
momento, con la pioggia che scendeva, che compresero. Erano due mondi diversi;
per quanto le loro strade sembrassero uguali parlando di morte, di perdite.
Erano due modi di pensare, di collidere, completamente differenti.
Naruto era
un bravo ragazzo. Sasuke era un bastardo.
“Non vieni con me, oggi”
“Ma dobbiamo andare a fare la corsa…”
“Vado da solo”
“Sasuke!”
Il moro mise in moto, lo sportello anteriore non
si apriva, le serrature abbassate. “Cazzo, vuoi fare Sasuke?!”
Naruto tirò un calciò leggero alla macchina.
Sasuke sgommò, mise la marcia e scivolò via, lontano.
Sasuke si
chiese se per caso, era questo quello che si provava quando sei impossibilitato
ad aiutare una persona. Una persona cara a cui non sai come dare una mano.
Comprendeva che la cosa più giusta per Naruto fosse quella di farlo restare un
po’ da solo… ma forse era meglio approfittarne, era meglio per proteggerlo,
sparire completamente dalla circolazione. Si domandò se era quello che aveva
provato anche a fare Itachi, se però non aveva protetto quel giorno solo se
stesso. In fondo si sapeva in città che gli Uchiha erano degli egoisti da
generazioni. Tutti, sapevano di tutti in quel paese. Facevano schifo. Sasuke pensava
davvero che fossero degli ipocriti, quando bisbigliavano della sospetta morte
del padre.
Naruto lo
difendeva, si era staccato da quelle voci, gridava contro le malelingue della
gente. Perchè loro credevano di sapere ma in realtà non sapevano. Non sapevano
niente dei lividi che Sasuke aveva avuto sul corpo, delle sue cicatrici, loro
non sapevano nulla.
Quando le dita delicatamente si poggiarono sulla
sua pelle… Sasuke represse la voglia che aveva di gridare di mandarla via,
zittito da una parte di lui che diceva di approfittarne e basta. Non capiva che
la parte che urlava era il suo stesso cuore, che cercava di proteggerlo da
qualcosa che forse mai avrebbe capito.
I fari
erano accesi e illuminavano malamente la strada che aveva davanti. Pioveva e
aveva già evitato di far fuori un gatto, probabilmente nero, che gli aveva
tagliato la strada all’improvviso. Non dava retta agli avvertimenti lui, fosse
stato con Naruto questi gli avrebbe detto di scendere di tornare a casa a
piedi, che era meglio non sfidare il destino.
Ma pioveva
e non vedeva nulla e l’autoradio montata qualche mese prima, per colpa del
biondo, non riusciva a prendere nemmeno una fottuta stazione.
Girò la
manovella velocemente evitando la voce disturbata dell’ennesimo speaker.
Poi all’improvviso
dovette frenare di botto. I dischi dei freni e le gomme fumavano per terra ma,
per fortuna le pastiglie consumate svolsero comunque il loro lavoro; urtando
però in modo leggero la cosa che aveva di fronte.
Non seppe
dire se provò paura per quella cosa, che il faro adesso illuminava caduta con
il sedere per terra o perché quella cosa aveva dei capelli rosa.
Scese
velocemente come la “cosa rosa” che rialzandosi, incominciò ad aggredirlo di
parole.
“Ma chi le
ha dato la patente!? Ma si rende conto? Potevo farmi male!”
Una busta
della spazzatura giaceva inerme sulla strada.
“Hai paura di me, Sakura?”
La fece trasalire e il cervello ci mise più
tempo a recepire i dati.
“No”
“Perché sono un amico di Naruto, suppongo”
“Perché dovrei averne?...Mi sento molto sicura
qui, con te”
Calpestò le parole offendendo anche la sua
diligenza verso il fedele vocabolario.
“Vorresti dirmi, che ti fidi di una persona che
non conosci neppure”
“Mi fido delle persone che hanno conosciuto la
sofferenza”
“Sciocca”
Sasuke notò
con sorpresa che aveva colpito la busta e che i rifiuti erano sparpagliati per
terra, ora lavati dalla pioggia incessante. Aggrottò un sopracciglio nel vedere
la donna gesticolare come impazzita continuando a macinare parole
“Dio,
menomale che sono integra, altrimenti la denunciavo!”
Il
cappuccio dell’impermeabile le era caduto sulle spalle e quando finalmente alzò
gli occhi per osservare il guidatore si azzittì magicamente. Entrambi si
guardarono, bagnati, stupiti.
Solo una volta erano rimasti da soli, oh, per
opera dell’Uzumaki, ovvio.
Quella testa quadra aveva pensato bene di
lasciare Sakura dal suo migliore amico in modo che poi lui potesse esprimere un
giudizio. Si fidava ciecamente di Sasuke. Così disse che aveva gli allenamenti
di pallone e che doveva scappare ma che Sakura doveva tornare a casa, e che
quindi dato che il moro aveva la macchina, avrebbe potuto darle un passaggio.
“Daii… ti ho lasciato da solo a posta, così mi
dici che te ne pare”, gli avrebbe detto più tardi pallone in mano.
Sasuke aveva soffiato solo un “Penso che sei
un’idiota”
Eppure Naruto non potè impedirsi di capire che il
giudizio era stato positivo o comunque neutrale.
I fari
illuminavano la bella fisionomia di lei, gli occhi grigi per la pioggia e che a
tratti brillavano d‘un verde bottiglia stonando forse troppo con i capelli rosa
corti, a caschetto. Lui ghignò leggermente divertito da quella situazione.
“Sa…Sasuke”
“Haruno”
Solo una volta.
Sakura si sentiva tremendamente in imbarazzo,
guardava il tappetino del suo sedile e a stento riusciva ad alzare la testa
fino al cruscotto. L’aveva notato subito entrata in città. In Accademia era
impossibile non vederlo seduto al tavolo con l’aria strafottente, di chi già
conosce e sa tutto sulla vita. Lei in quella materia era un’ignorante.
Incrociandolo nei corridoi sempre accompagnato dal biondo, si chiedeva perché
nel vederlo un’emozione le bloccasse ogni pensiero coerente e lo stomaco
andasse in subbuglio. I sintomi non li conosceva e la diagnosi era impossibile
da accettare.
Lui guidava semplicemente non parlando ma nemmeno
osservandola, era come se fosse stato da solo. Il cuore prese a batterle forte,
troppo. Sakura pensò che l’avrebbe sentito il che era assurdo. Il muscolo non
sarebbe mai scappato via dalla gabbia toracica, e davvero che pensiero idiota
per chi da grande aveva la presunzione di fare il medico.
“Ah…ecco mi dispiace che Naruto ti abbia
costretto…ad accompagnarmi a casa”
Tuttavia mentre, sbiascicava qualche parola di
poco conto, non si sentiva più a disagio.
Quando quelle pozze nere si posarono su di lei…
era così normale rimanere in sospesi in quel silenzio.
Sakura quel giorno ebbe come l’impressione che
conoscesse Sasuke Uchiha da una vita.
Non è questione di parole.
Le parole non contano a nulla, sono solo dei
contenitori di suoni che affluiscono a volte senza nemmeno essere state
filtrate bene dal cervello.
Non era nemmeno questione di fisico. La pelle ha
un suo ragionamento a parte, legata a reazioni chimiche di cui ignoriamo ogni
formula o esistenza.
È più questione d’ occhi.
Quando si incontrano due tagli di colore a volte
uguali, a volte differenti, è li: sommato alla razionalità, sommato al
contatto, che scatta qualcosa. Per questo un pittore finisce un ritratto sullo
sguardo. Tutte le emozioni, che la razionalità prova a celare, si fermano nelle
iridi. La tristezza imprime la palpebra leggermente abbassata, al contrario la
sofferenza può far spalancare bene la pupilla. Il sogno fa ovattare lo sguardo
e una forte emozione, una di quelle che rimane sospesa nel tuo stomaco o nella
gola per un bel po’, lascia un segno indelebile proprio lì negli occhi. È lì
che ci si innamora di una persona. È un’incontro d’occhi.
Non lo
capiva il perché mai, una come Sakura, si potesse essere innamorata di lui ma,
ancora di più non ne capiva il quando. Era assurdo. Un’adolescente con una
banale cotta. Che idiota, che scocciatura di una ragazza. Avrebbe potuto essere
felice a quell’ora, accettando l’amore di Naruto e invece l’aveva rifiutato. Si
era innamorata senza nemmeno sapere il significato stesso della parola, di chi
poi? Di quello che dicevano al suo riguardo? Del fatto che era un teppista con
una macchina? E poi perché, perché usare la parola innamorata e perché
soprattutto esserlo di lui?
L’aveva guardata mentre passeggiava con Ino. Una
bionda e una rosa.
Lei con un libro in mano quasi impacciata nei
movimenti, invece Ino così sicura di se stessa che sembrava parlare di una cosa
della vitale importanza –magari parlava di fermacapelli.
La macchina rallentò volutamente, non fu lui a
sollevare il piede dall’acceleratore. No questo mai l’avrebbe fatto un tipo
come lui, oh certo, lo faceva quando voleva adescare qualcuno (l’aveva fatto
l’altro ieri facendo salire una che si chiamava Karin..) ma li era intenzionale….
Sasuke sbuffò frustrato dai suoi stessi pensieri mentre, adesso premeva il
clacson della sua Ford e osservava il modo con il quale le due teste femminili
lo guardavano. L’avevano riconosciuto: Ino aveva schioccato la lingua e alzato
il capo offesa… Sakura l’aveva fissato gli occhi verdi dritti nei suoi. Oh, si
verdi come lo era un semaforo in pieno centro.
“Sali”
“A…avevi…intenzione
di …farmi fuori?”
Sasuke
scrollò il capo sotto la pioggia i capelli bagnati. “Forse”
La donna
abbassò lo sguardo, quasi come se l’avesse ferita.
“Non ti
sei fatta nulla, vero?”
Sakura
Haruno annuì, ridiventando assurdamente sorridente. Sasuke mosse la testa di un
lato.
“Non mi
preoccupo per te, sia chiaro. Solo che un amico soffrirebbe se lo venisse a
sapere” Acido e sadico anche sotto la pioggia, anche dopo quello che aveva
rischiato. Lei lo guardò determinata, decisa.
“Tu sei
diverso da quello che vuoi far credere, Sasuke” Sorrise quasi con le lacrime
agli occhi (ma forse era solo la pioggia) “Io, lo so”
Andò via senza
far rumore entrando nella sua abitazione.
La busta
per terra era l’unico suono diverso sotto il temporale.
L’aveva accompagnata a casa.
Lei era stupita e sembrava quasi non interessata,
distante. Fermò la macchina nel vialetto dove pochi giorni prima era successo
l’incidente tra loro due. La fermò lì, alla luce del giorno, quasi davanti alla
sua casa bianca, prefabbricato banalmente uguale alle altre della strada. Ed
eccola di nuovo l’impressione di non stare vivendo veramente. Sasuke battè il
pugno sopra lo sterzo, facendo trasalire il passeggero, mentre in lui prendeva
largo l’odiata sensazione di essere dentro un’immagine. L’asfalto era grigio di
giorno e gli alberi in fondo alla via erano d’un verde sfocato nel suo
specchietto. Gli sembrava davvero di essere solo un’immagine, un ricordo in
quel paesaggio, destinato ad essere dimenticato.
“Grazie del passaggio, Sasuke…”
Non seppe come giustificarsi al riguardo, non
sapeva nemmeno se la ragazza l’avrebbe detto a Naruto (erano diventati amici)
in quel momento, non seppe un bel niente.
La guardò mentre chiudeva la portiera, già salva
sul catrame asciutto e steso una decina di anni prima dalla betoniera.
“Dovresti starmi alla larga Sakura, sono un
bastardo”
“No” I capelli ondeggiarono nel dirlo e si
sciolse in un dolce sorriso.
“Ciao Sasuke-kun”
Naruto non
aveva più molto tempo, era completamente stato risucchiato nel mondo dello
sport affermando che anche lui avrebbe dovuto partecipare (che: “lo sport è
pieno di promesse che si devono portare al termine che è pieno di sfide”).
Sasuke non lo cercava, non l’avrebbe mai fatto, ma sentiva che quella era una
decisione giusta. Che il biondo in quel modo stava vivendo davvero la sua vita,
che stava crescendo. E poi non valeva la pena frequentare uno scavezzacollo
come lui, che cercava di morire in qualche corsa clandestina. Forse era quello
il modo migliore per salvarlo, per salvarsi. Nel gorgo Naruto, in fondo, ci era
finito per caso e in più avrebbe trovato le forze per uscirne fuori. Lui invece
nel gorgo nero si trovava bene, a suo agio come di notte e non osava alzare gli
occhi verso il cielo. Ma scoprì ben presto che comunque era spinto dal
desiderio di non cadere da solo nel gorgo. Cominciava a detestare Naruto,
Itachi… la macchina che gli aveva dato. Sakura. Si cominciava a detestarla
soprattutto quando, all’uscita della scuola dopo che Naruto l’aveva salutato e
scappava in palestra per gli allenamenti; lei veniva verso di lui, i libri in
mano lo sguardo troppo limpido. Probabilmente era colpa di Sakura se l’amicizia
con Naruto stava finendo. Scoprì ben presto, che la sua natura andasse anche al
di là dei desideri.
Nel gorgo
comunque non voleva finirci da solo.
“Stasera
vedrai, Sakura”
“Sei contenta adesso?”
“Dimmi vuoi scendere non hai paura??”
“Rispondi! Credi ancora che io sia diverso?”
Sera.
I lampioni illuminavano malamente l’asfalto. I
grumi provocati dal sole erano spariti con il tramonto dell’astro e solo
l’umidità era scesa a coprire la strada. Il motore rombava nelle orecchie
d’entrambi in un modo assordante. L’autoradio era stata spenta in uno scatto
nervoso dal conducente e adesso muta nel suo pallore, illuminava solo la mano
di Sasuke Uchiha di un giallo opaco mentre scalava la marcia, divertito.
Gli alberi erano ombre che scorrevano via veloci
e ben presto anche le curve diventavano solo dei pezzi di inchiostro neri
indistinguibili che annegavano all’orizzonte. Si strinse al sedile di pelle,
con tutte le sue forze. Non seppe dirlo se stava anche chiudendo gli occhi, se
stava davvero cedendo, spaventata da quello che era lui. Sasuke che eppure
continuava ad accelerare a farle gelare il sangue nelle vene.
E correva la macchina veloce sull’autostrada.
Sakura non ne fu sicura ma ad un certo punto, alzò gli occhi impauriti
puntandoli su di lui. Sasuke accelerò ancora, come se avesse sentito il suo
sguardo addosso e pochi attimi dopo lo staccò dalla strada portandolo su di
lei. Dimostrandole che sapeva guidare anche in quel modo.
“Sei spaventata adesso, Sakura?”
Il tono era macabro, agghiacciante. Come la muta
risata che sembrava voler lasciare da un momento all’altro le labbra pallide.
“No!”
“Dovresti! È questa la mia vera natura!”
Lentamente il piede si staccò dal pedale
dell’acceleratore.
Nel momento stesso in cui quegli occhi verdi non
si ritiravano, maledettamente bloccati nei suoi, ma lo guardavano con somma
pietà.
Stava piangendo, Sakura Haruno.
Non ricordava davvero nessuno che avesse mai
pianto per lui.
La macchina si fermò e in silenzio Sasuke scalò
mettendo la seconda, i giri del motore calati improvvisamente provocarono un
lieve sbuffo da parte della Ford
Non dissero nulla. Fino a quando Sasuke arrivò
con la macchina nel vialetto degli Haruno. Il motore però era ancora acceso,
non aveva spento l’auto, segno che voleva che lei se ne andasse presto che
scendesse e scivolasse via, lontano da lui. Le fronde degli alberi nel suo
specchietto si cullavano docilmente assieme al suono di una cicala nascosta
laggiù, da qualche parte.
“…è questo il vero Sasuke”
Lo sportello si aprì con grazia. Non la sentì
scendere nemmeno. La macchina ancora accesa. Sakura si incamminò piano con
calma, quando si voltò Sasuke era già sparito.
La
solitudine.
Faceva
rumore, ed era insopportabile quel giorno. E in più una cosa che aveva imparato
da bambino, era che la solitudine non aveva mai avuto colori. Invece adesso
mentre chiudeva la porta di casa senza pensarci due volte, in macchina,
riusciva solo a riscontrare che lo stesso verde che aveva intorno era anche nei
suoi pensieri. Era grave.
La solitudine
non aveva mai avuto colore e il cielo non è mai stato verde.
Una sera, di solito non decidevano esattamente
l’ora precisa, o il luogo dell’appuntamento... Sasuke poi non lo chiamava
nemmeno così. Lui semplicemente passava quando ne aveva voglia e lei si faceva
trovare sul vialetto, mollando i libri, stupidamente innamorata. Sasuke sapeva
già che la sua influenza su di lei si stava facendo sentire, era cambiata in un
modo o nell’altro. Sapeva già che prima o poi avrebbe dovuto sparire anche
dalla sua di vita. Tagliando la corda, scappando (come qualcuno gli aveva
insegnato a fare) anche se lui non avrebbe mai dato quella come ragione. Eppure
stranamente Sakura si impegnava ancora di più nello studio (la notte fonda),
pensava che avrebbe meritato solo in quel modo la sua fetta di felicità, che
solo in quel modo (riuscendo a coniugare l’essere con l’infinito) lo avrebbe
trovato sul vialetto di casa e viveva sorridendo.
Una cosa
che forse non le perdonò mai, era il fatto di come il sorriso sbucasse sul volto
così all’improvviso. Faceva l’indifferente lui, spegnendo una sigaretta nel
portacenere della sua macchina e non dava segno nemmeno di vederla in quelle
occasioni. Forse lei ci rimaneva male all’inizio, forse si aspettava un
complimento o le moine che fanno gli innamorati. Ma lui, loro, erano fuori di
ogni regola.
When
the future's architectured
By a carnival of idiots on show
You'd better lie low
quando il futuro è già scritto
da un gruppo di idioti in un programma
farai meglio a sdraiarti a terra
If you
love me, Won't you let me know?
Fin primo
capitolo
Note dell’autrice
Aaaaahhhh.
La fic ha partecipato al Concorso
Alternative Universe Special - Scegli dove ambientare la tua FanFiction! Indetto da DarkRose86 Classificandosi V, e vincendo uno
speciale premio per la Trattazione dei personaggi IC.
Dunque ringrazio DarkRose86, che ha
avuto una pazienza abnorme e che davvero è una persona molto disponibile e
velocissima XD! Faccio i complimenti alle podiste: HopeToSave, Saya,
AintAfraidToDie e Stray Cat Eyes e a tutte le altre partecipanti!!
ho scelto il paesaggio numero 2 con
la Ford Galaxie, la canzone è dei Coldplay “Violet Hill” © dei legittimi
proprietari inutile dire che non mi appartiene minimamente purtroppo ^^’ e ne
ho preso solo qualche strofa.
Più che altro è una fan fic in cui
ci ho riversato l’anima. Perché..bè perché si XD e soprattutto la cosa più
importante per me nelle au è proprio il saper mantener Ic i personaggi è sempre
quello che mi prefisso ogni volta… ma piuttosto ci tengo davvero tanto a questa
fic, di cui spero vorrete poi leggere il secondo capitolo. U.U
Ma soprattutto un particolare
omaggio alla mia Beta (beta, betuccia miaaa XDXD sae corre incontro con le mani
aperte) alla mia Enza –Partenope- per aver sorbito la storia in
silenzio, dato i giusti consigli, aver insomma ascoltato i miei scleri tanti,
troppi… (*enza colpisce sae con un bastone*)
Arigatou per dirla alla Sasuke.
Yours,
Sae