lllll
'Cause I'm too proud, I'm too
strong,
life by the code that
you gotta move on.
Feeling sorry for
yourself ain't got nobody nowhere.
So I held my head high,
knew I'd survive.
Well I made it, I don't
hate it, that's just the way it goes.
So I'm done made it
through, stand on my own two,
I paid my dues.
Tried to hold me down,
you can't stop me now,
I paid my dues.
Anastacia,
Paid my dues
Si dice che veniamo al mondo con un debito nei confronti della vita e
che passiamo l'interezza della nostra esistenza a scontarlo.
Ad un certo punto, però, può capitare che si
senta di
essercisi messi in pari, con la vita. Anche se è appena
cominciata.
Se qualcuno avesse detto, per esempio, ad Ukyo Kuonji che la sua
penitenza non era ancora finita, la cuoca si sarebbe arrabbiata e non
poco.
In fondo nella sua breve esistenza ne aveva vista qualcuna.
Quanti, in poco più di venti anni, avevano pagato
così
tanto solo per essere stati messi al mondo?
Era stata strappata dalla propria vita da un padre-padrone che
voleva farne una degna erede quando era ancora in fasce, promessa in
sposa ad un bambino incosciente quanto lei, che meno di lei sapeva cosa
volesse dire essere fidanzati e che era addirittura scappato portandosi
via il suo carretto di okonomiyaki, praticamente tutto quello che
possedeva. E tutto in cambio di una ciotola di riso.
Una ciotola di riso, il peso specifico del suo cuore.
Negli anni a venire aveva rifiutato e rinnegato la sua
femminilità, prendendo l'irrevocabile decisione di diventare
un
uomo. O almeno di sembrarlo.
Un'identità che non era la sua, del duro lavoro giornaliero
e
nessuna possibilità di innamorarsi. Questo fino all'arrivo
di
Ranma.
Non che le cose fossero migliorate, dopo averlo ritrovato.
Poi c'era Shampoo, la gatta morta, la sexy amazzone.
Sebbene fosse sempre stata considerata da tutti poco più di
un'oca giuliva molto forte, anche la sua vita non era stata delle
migliori.
Cresciuta in un villaggio regolato da leggi vecchie di secoli, in cui
gli uomini si impara ad
odiarli, non certo a conoscerli, Shampoo aveva fatto i compiti
più che bene.
Amata, rispettata e vezzeggiata da tutti. Più forte della
guerriera anziana più forte, più bella della
fanciulla
più bella. Desiderata dai pochi maschi, temuta dalle molte
femmine.
Shampoo aveva tutto, ma non aveva niente.
Dopo l'avvento di Ranma nella sua vita la sua esistenza era stata
segnata da un dictat ben
preciso.
Devi sposare Ranma
Saotome.
Shampoo spesso non capiva, e non era solo una questione di lingua.
Shampoo non capiva e basta.
Era venuto prima Ranma o la necessità di diventare sua
moglie?
E la neccessità di legarsi a quel giovane col codino, che la
riservava le stesse cautele che si riservano ad un malato di peste, era
nata dal suo cuore o da quello della vecchia Obaba?
Quanto poteva pagare una ragazza solo per essere nata in un certo punto
del mondo?
Infine Kasumi, la carta della Temperanza.
Anche lei era creditrice nei confronti della vita, non c'era dubbio.
Infatti, alla luce di un pensiero razionale e ponderato, cos'altro
avrebbe potuto chiedere, un'entità ultraterrena, a qualcuno
che
aveva dato tutto se stesso agli altri come la più grande
delle
sorelle Tendo?
Kasumi era stata mamma, amica, sorella, figlia, massaia, cuoca, ospite,
donna delle pulizie, maestra, educatrice, compagna di giochi,
confidente, infermiera, animatrice alle feste, parrucchiera, spalla su
cui piangere e studentessa modello. E solo dopo che tutto, ma proprio
tutto, aveva trovato una giusta collocazione, tra le mura di casa come
tra quelle ben più fragili del cuore dei suoi abitanti, era
diventata moglie, amante, donna.
Kasumi aveva messo da parte la sua vita, quella di una bambina prima e
di una giovane donna poi, ed anteposto i bisogni di chiunque altro ai
suoi, e l'aveva sempre fatto col sorriso sulle labbra, senza
lamentarsi, fare i capricci o anche solo concedersi un sospiro
rassegnato.
Ma se la vita avesse avuto l'ardire di chiederle anche solo un altro
yen, forse persino lei avrebbe perso il suo impeccabile contegno.
Akane pensava a queste ed altre cose mentre ammirava la capitale
francese dall'alto della Tour Eiffel.
Era arrivata da una settimana e finalmente aveva trovato il tempo, tra
una lezione del corso intensivo di lingua e l'altra, di concedersi
quella visita.
''Bonsoir,
lei è japponese?''
''Bons...
Buonasera'',
tossicchiò. Come chiunque ami studiare le lingue straniere,
era
in imbarazzo ad usarle senza essere sicura di possederne una competenza
perfetta.
''Je m'appelle Jacques. Lei è japponese, oui?''
''Oui...'',
chinò la testa in segno di rispetto, ''Ma come ha
fatto a capirlo subito?''
''Vede, sono uno studente di lingue orientali. Ho un amico japponese ed
abbiamo praticato tanto, insieme. L'ho conosciuto proprio qui, sa?''
''Che coincidenza'', sorrise, ''Io sono appena arrivata, mi chiamo
Akane''
''E mi dica, mademoiselle,
anche lei è qui per riflettere?''
''Mi scusi?''
''Per riflettere. Chi è venuto qui prima di lei mi diceva
sempre: Sai Jacques,
solo qui riesco a pensare''
''Ed a cosa pensava questo suo amico giapponese?''
''Amour'',
sospirò con le labbra tirate in un sorriso sognante,
''Pensava sempre ad una donna. E' tornato in Jappone a cercarla,
sa?''
''E l'ha trovata?'', chiese affascinata.
''Non saprei, non l'ho più sentito. Me lo auguro,
però. Era un giovane très
passionale''
Si era allontanato in silenzio per tornare alle sue mansioni di addetto
all'ascensore e l'aveva lasciata sola.
Effettivamente, pensò, l'ambientazione suggestiva favoriva
l'introspezione, l'accompagnava per mano come una madre con il suo
bambino.
Ranma era partito, Ataru era partito, ed entrambi le avevano giurato
eterno amore. Due uomini meravigliosi, benchè molto diversi.
Cos'altro poteva desiderare, una ragazza normale?
Ma Akane non era una ragazza normale, non lo sarebbe mai stata.
Aveva subito il più grande dolore della vita durante
l'età più spensierata, aveva rinnegato le
continue ed
insistenti attenzioni maschili anche
per rispettare la volontà di suo padre, aveva anteposto la
sicurezza del Dojo alla sua.
Akane era Ukyo, era Shampoo, era Kasumi.
Akane era tutte le donne: quelle imperfette, quelle che a volte sono
nevrotiche, quelle distratte che in gelateria scelgono sempre la
coppetta, perchè sanno che, per loro, è
impossibile
mangiare il gelato direttamente dal cono e non sporcarsi. Quelle
emotive ed irrazionali.
Akane era maldestra e non sapeva cucinare, e non aveva mai imparato a
truccarsi gli occhi o a depilarsi le sopracciglia in modo che
risultassero perfettamente identiche. Non avrebbe mai avuto un fisico
dalle proporzioni impeccabili e non sarebbe mai stata alta quei cinque
centimetri in più che l'avrebbero resa soddisfatta di
sè. I suoi capelli
non sarebbero mai stati in piega per più di cinque minuti ed
i
suoi vestiti non sarebbero mai stati sempre perfettamente coordinati,
senza contare che avrebbe sempre anteposto la comodità
all'apparenza, la schiettezza alle buone maniere.
Dopo un lungo periodo, intercorso tra il ritorno di Ranma e la partenza
di Ataru, passato a sentirsi un essere deprecabile per la sua
impossibilità di scegliere tra i due, passato sentendosi una
miracolata dalle quali labbra pendevano due uomini totalmente al di
fuori della sua portata, passato a pensare di essere una sporca
debitrice nei confronti della vita e dei suoi affezionati, Akane
capì che, forse, anche la vita le doveva qualcosa, e che le
sarebbe bastato puntare un dito, fare una scelta definitiva, per
prenderselo, e quindi scelse.
E scelse Ranma.
She moves like she don't care.
Smooth as silk, cool as air.
Ooh, it makes you wanna
cry.
She doesn't know your
name and your heart beats like a subway train.
Ooh, it makes you wanna
die.
Ooh, don't you wanna
take her?
Wanna make her all your
own?
Maria, you've gotta see
her go insane and out of your mind.
Regina, Ave Maria. A
million and one candlelights.
Blondie,
Maria
Chi invece i debiti li aveva sempre riscossi era Nabiki Tendo.
Sveglia, cinica, fredda e senza scrupoli. Almeno in apparenza.
Facile per chi le stava intorno pensare che a Nabiki non fregasse
niente di niente.
Camminava per le vie di Roma stanca ed infreddolita, con la reflex al
collo, pronta ad immortalare la bellezza della Città Eterna
in ogni suo manifestarsi,
decisa a superare l'esame finale del corso di fotografia con il massimo
dei voti.
''Valentina, Valentina''
''Scusami?'', sorrise voltandosi verso Ataru, intento a scattare delle
foto alle sue spalle.
''Crepax. E' un fumettista italiano, a quanto pare qui è
molto famoso. Guarda, l'ho visto e ti ho pensato''.
La sua mano sfiorò quella del giovane fotografo, e
giurò
di aver sentito più di un brivido mentre l'amico e collega
le
passava un piccolo albo a fumetti. La copertina ritraeva una splendida
e molto sensuale ragazza con un caschetto nero sbarazzino ed una
macchina fotografica al collo.
Sorrise. Il brivido era probabilmente fittizio e dovuto alla sua
testardaggine ed al non voler spendere qualche migliaio di lire per
comprare un paio di guanti come aveva caldamente consigliato Giovanna,
la loro guida ed insegnante, ma la sensazione di calore che quel gesto
le aveva procurato all'altezza del petto era certamente autentica.
''Hai sentito Mousse?''
''No'' scosse la testa, indifferente, ''E' finita, non me ne frega
più niente''.
''Ma come fai?''
''A fare cosa?''
''Ad essere così... Così.
Anche io sento che con Akane è finita, ma ci penso comunque
continuamente. Tu invece pensi solo a fare shopping!''
Ce la faccio
perchè nella mia
vita ho dovuto soprassedere su cose ben più gravi.
Perchè
sono l'unica figlia che papà non ha mai preso in
considerazione:
quella di mezzo, non la degna sostituta di mamma nè l'erede
della Palestra. Perchè nessuno mi ha mai dato niente, al di
fuori delle cose materiali, pensò.
''La ami ancora?'', chiese invece, conscia del fatto che tra lui e sua
sorella era comunque definitivamente finita.
''No, decisamente no. E' finita, ma ciò non toglie che la
pensi
continuamente, che mi chieda come sta, cosa fa, a cosa pensa e
soprattutto se con Ranma starà bene''
''Beh, io non sono fatta di quella pasta'' scosse la testa.
''Voglio conoscere il tuo segreto''
''Diecimila yen''
''Ho contanti solo in valuta locale''
''Va bene anche un assegno'', gli strizzò la guancia con due
dita infreddolite.
''Ma tu pensi solo ai soldi?''
''Certo, possono comprare le cose migliori''
''Non tutte, però'', sorrise posandole un bacio sulla fronte
ed
aiutandola a voltarsi alle sue spalle, dove, la mora non se n'era
davvero accorta, faceva bella mostra di sè il Colosseo.
Mentre ammirava il simbolo di Roma, Nabiki pensava che la vita aveva
tanto da dare quanto da prendere, e che, proprio come la
città
che la ospitava, non sarebbe certo bastato un solo giorno, un solo amore, a
costruirla e darle forma. Dunque avrebbe continuato a riscuotere e
pagare qualsiasi debito più che volentieri.
Grazie,
grazie, grazie per aver aspettato. Questo capitolo è il
penultimo, ma so per certo che l'ultimo non lo scriverò
subito, quindi perdonate ed abbiate pazienza!
Sappiate che la nostra Anto ha disegnato delle fanart STUPENDE per
questo capitolo, ma ahimè non riesco a pubblicarle.
Provvederò il prima possibile.
Come sempre grazie per aver letto e, se vi va, fatemi sapere cosa ne
pensate!
V.
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