Alex si svegliò, ma non era per colpa di una sveglia o di un
dosso per la strada o perchè Matt lo stava strattonando. Non
gli capitava da molti mesi di svegliarsi naturalmente, senza
l'intervento di elementi terzi. Dalle persiane filtrava la luce e
vedeva il pulviscolo muoversi silenzioso e innocuo. Non sapeva quanto
aveva dormito, ma l'assenza di bruciore agli occhi o di debolezza alle
gambe, gli fecero intendere che aveva molto probabilmente raddoppiato
le sue solite sei ore di sonno.
Sistemò il cuscino sulla testiera del letto e si mise seduto
nella penombra. Osservò quella che una volta era stata la
loro camera da letto: aveva dormito su un lato del letto, come se
inconsciamente si aspettasse di vederla apparire di fianco a
sè. Una volta era piena di foto e piena di segni del suo
passaggio: la sua crema per le mani, il suo profumo, la sua vestaglia
appesa dietro la porta di ingresso.
Ora del suo paggiasso non c'era quasi segno, aveva lasciato solo una
foto che li ritraeva insieme, seduti sulla veranda di quella grande
casa sulla spiaggia. Alex sorrise, gli venne in mente quando
gliel'avevano scattata, era stato Matt un pomeriggio che era andato a
trovarli con Breana.
Quando li aveva visti seduti sulle poltrone di vimini aveva esclamatol
"siete due vecchi!"
Nessuno dei due aveva risposto, perchè entrambi sapevano
che, considerata la loro storia, l'importante era riuscire a trovare
dei momenti da passare insieme; non avevano bisogno di molto, bastava
la presenza dell'altro.
Non era depresso per la fine della relazione con Arielle, ma era
difficile osservare quella casa senza vederla volteggiare da una stanza
all'altra come se fluttuasse.
Prese il cellulare per distrarsi e vi trovò dei messaggi di
Miles. Le altre scimmie erano tornate tutte dalle proprie ragazze e
mogli, lui aveva Miles a dargli il buongiorno.
"Quando esci dal coma, chiamami." Recitava il testo del primo messaggio.
"Se ti va, ovviamente." Il secondo messaggio, inviato pochi istanti
dopo il primo, faceva vedere quanto ancora Miles avesse paura di
sentirsi fuori luogo con lui, nonostante gli anni di amicizia e le
esperienze condivise.
"Faccio una doccia e ti chiamo." Scrisse dopo aver controllato l'ora e
aver scontatato che a Londra erano circa le otto di sera.
Si alzò dal letto e aprì le persiane della
finestra. In spiaggia c'era poca gente, forse per colpa del fatto che
la domenica si passi tendenzialmente in famiglia, o incomati a letto
con un hangover da film. Respirò a pieni polmoni l'aria
salmastra che il vento trasportava dolcemente verso di lui e perse
qualche secondo a stiracchiarsi.
Si diresse in bagno e aprì l'acqua della doccia per far
arrivare quella calda e poi si tolse la t-shirt bianca che usava per
dormire.
Quando viveva a casa con i suoi e non era ancora famoso, era solito
fare la doccia con la radio accesa, ma con gli anni aveva perso
quest'abitudine, perchè il rumore era arrivato ad annoiarlo.
Era quasi sempre circondato di persone, quando era ai festival, sentiva
sempre un accompagnamento musicale di fondo, gli dava fastidio pensare
che non potesse vivere nel silenzio nemmeno quando era in bagno, solo
che quel giorno era diverso.
Era diverso perchè se di solito sapeva che una volta uscito
dalla doccia, sarebbe stato circondato da persone, voci, rumori,
musica, in quel momento sapeva che l'unica cosa ad aspettarlo fuori dal
bagno, erano i rumori di una casa vuota.
Avrebbe sentito il rumore delle onde che si infrangeva sul bagno
asciuga, le voci dei bambini in lontananza che giocavano con i cani, il
fischio del bollitore che lo avvertiva che l'acqua per il tè
era pronta, tutte cose a cui non era più abituato.
Decise di correre il rischio di lavarsi senza sottofondo musicale,
giusto per vedere come andava.
Dopo la lunga doccia calda, mise l'acqua per il tè a
scaldare e questo semplie gesto gli ricordò che c'era
qualcuno da chiamare prima di Miles.
"Pronto, Penny?"
"Heilà, americano!"
"Ciao, mamma!"
"Ti sei appena svegliato, vero?"
"Possibile... dovevo recuperare qualche decennio di sonno fatto per
bene."
"Immaginavo. Allora? Sei tornato a Los Angeles?" Penny si era sempre
rifiutata di definire 'casa' quella abitazione dall'altra parte
dell'oceano. Suo figlio apparteneva all'Inghilterra, così
come l'inghilterra apparteneva a lui e il tatuaggio sull'avambraccio
sinistro lo dimostrava.
"Sì, sono a casa. Sono atterrato ieri sera."
"Bene, bene." Penny era tentata di chiedergli quando sarebbe andato a
trovarli a Sheffield, ma sapeva che non avrebbe potuto farlo a cuor
leggero. Sentiva che suo figlio era stanco e stremato dopo un anno e
mezzo di tour e sapeva anche che avrebbe rimesso piede in Inghilterra
quando se la sarebbe sentita. In quell'anno e mezzo erano successe
parecchie cose, avevano gli occhi puntati addosso perchè
l'album aveva riscattato l'attenzione persa con i due precedenti, Alex
e Arielle si erano lasciati, avevano suonato in qualsiasi posto del
pianeta, Alex sembrava cambiato parecchio per via del suo atteggiamento
meno introverso e timido. Avevano risposto in mille modi diversi a
mille domande uguali, a volte avevano nascosto la verità
dietro a scuri occhiali da sole scuri e l'insicurezza dentro giacche
appariscenti.
"Cosa farai in questi giorni?" Chiese Penny premurosa.
"Non lo so, Zackery è in città, quindi mi sa che
andrò in giro con lui a far conquiste..." Scherzò
Alex.
"C'è anche qualcun'altro a Los Angeles." Penny si riferiva
ad Arielle. Non aveva mai smesso di pensare che i due si rimettessero
insieme. Non conosceva i motivi della rottura e non voleva saperli,
perchè non voleva sapere se era colpa di suo figlio, ma
aveva sempre sperato che non fosse successo nulla di irrimediabile.
"Lo so, mamma, ma non credo che voglia vedermi." Ammise Alex
sinceramente.
Era strano per lui sentire sua mamma spingere perchè
rivedesse Arielle: all'inizio non la entusiasmava l'idea che lui
frequentasse un'americana e poi dopo Alexa era difficile riuscire a
farsi amare, ma era bastato un incontro per far sparire qualsiasi
dubbio, sia a lei che a suo padre.
"Va bene, va bene. Cerca solo di non spezzare troppi cuori."
Alex si lasciò scappare una fragorosa risata. Sapeva
benissimo che sua mamma lo stava prendendo in giro, perchè
lo vedeva come l'adolescente con l'acne troppo timido e tutte le volte
gli ricordava che se non fosse stato una rock star, le ragazze non
l'avrebbero nemmeno considerato.
Il fischio del bollitore gli ricordò dell'acqua messa a
scaldare per il teè. Sua mamma riconobbe il rumore familiare
e lo salutò.
"Non so che ore siano da te, caro, ma qui è l'ora di andare
a vedere un film in tv o di leggere un romanzo a letto. Ti lascio al
tuo tè."
"Salutami papà."
"Lo faccio domattina, sta già dormendo sulla poltrona."
Sua mamma chiuse la conversazione dopo questa frase. Non era brava a
salutarlo, non sapeva mai cosa dirgli per congedarsi. Non poteva
più propinargli le raccomandazioni che si dicono a un figlio
in gita alle superiori, ma non se la sentiva nemmeno di trattarlo come
un uomo adulto, perchè non l'aveva visto crescere e faceva
fatica a credere che avesse quasi trent'anni ormai.
Alex non si aspettava nulla di diverso da Penny, ben consapevole che
sua mamma non si era del tutto abituata all'idea che non fosse
più un ragazzino.
Si versò l'acqua in una tazza e mise a mollo una bustina di
tè scelta a caso, qualsiasi cosa sarebbe andata bene quella
mattina, poteva rifarsi il tè che più preferiva
in qualsiasi momento della giornata.
Subito dopo la rottura con Arielle aveva temuto la fine del tour,
perchè avrebbe dovuto affrontare la realtà della
casa vuota e della vita solitaria, anche per questo erano state
aggiunte al programma iniziale, ma in fin dei conti, a parte qualche
dose di sana nostalgia, la giornata non stava andando male, anche se
non era iniziata da molto tempo.
Si spostò sul balcone verandato che dava sulla spiaggia e si
sedetta su una sedia di vimini.
Nonostante fosse il momento più caldo della giornata,
sentiva una leggera sensazione di freddo, sia a causa della maglietta a
maniche corte, sia per i capelli bagnati che gli ricadevano lungo le
tempie. Nelle ultime settimane di tour si era letteralmente stufato di
riempire la folta chioma di gel lucidi e straunti per far mantenere una
piega precisa ai capelli, anche se gli davano fastidio, li lasciava
liberi di ricadere come meglio credeva. Si era addirittura preso la
libertà di non asciugarli, cosa che non faceva dall'autunno
precedente, quando una prepotente lariginte lo aveva messo fuori uso
per qualche giorno.
Appoggiò la tazza sul tavolino davanti ai suoi piedi e stese
le gambe senza fare movimenti bruschi e rischiare di rovesciare tutto.
Prese a giocare con l'anello dei Death Ramps, quello di argento con la
placca nera, quello grande e pesante messo sul mignolo. Era veramente
ingombrante e non si ricordava nemmeno più da quanto lo
indossasse. Provò a sfilarselo, ma dopo la doccia calda, le
mani e le dita in particolare erano un po' gonfie, così
dovette metterci forza. Alla fine ci riuscì a toglierlo e se
lo passò tra le dita, osservandolo e pesandolo accuratamente.
Quell'anello rappresentava la sua vita: la musica, gli amici di sempre,
la band, la sua infanzia. Tutto quello che c'era stato nella sua vita,
e quello che sperava avrebbe continuato ad esserci per molto tempo, era
rappresentato da quelle due parole.
Non voleva mollare tutto e tutti, ma quella mattina stava bene senza
anello al mignolo, forse avvertiva la mancanza di qualcosa, ma stava
bene lo stesso. Non voleva lasciare indietro tutto quello che l'anello
rappresentava, volevo solo smettere di essere tutto quello che l'anello
diceva, voleva sentirsi solo Alexander, non Al per gli amici, non Alex
per i fan, solo Alexander.
Uno sconosciuto, uno con un lavoro normale, una vita normale, fatta di
persone comuni, persone che si vestono normalmente, persone che in
settimana non fanno tardi perchè il giorno dopo devono
andare a lavorare, persone che non sentono il bisogno di trincerarsi
dietro a degli occhiali da sole, persone a cui non vengono fatte decine
di foto al giorno come agli animali allo zoo. Ecco come si era sentito:
come un animale allo zoo. Un soggetto esotico in mostra a uno zoo,
circondato da esemplari altrettanto rari di altre specie: questo
succedeva in particolare ai festival, quando doveva passare almeno
cinque minuti con una ragazza pseudo carina e con opinabili
qualità di giornalista musicale mentre a dieci metri di
distanza da lui succedeva la stessa cosa a Josh Homme o ad Alex
Kapranos.
Fu distratto da queste considerazioni poco felici dalla vibrazione del
cellulare.
"Al, io sto uscendo, quindi se non ti rispondo è per
quello." Era di nuovo Miles che si giustificava ancora prima di non
rispondere al telefono.
Alex fece immediatamente partire la chiamata per Miles.
"Pronto?" Rispose titubante il cantante di Liverpool.
"Miles!"
"Alex, scusa non volevo disturbarti, era solo per avvisarti."
Balbettò Miles imbarazzato.
"Stai tranquillo, stavo per chiamarti. E poi quante volte devo dirti
che non mi disturbi mai tu?"
Alex sentì perfettamente Miles tirare un sospiro di sollievo.
"Come stai?"
"Io? Molto bene e tu?"
"Bene."
La conversazione si interruppe un attimo, perchè Miles stava
per riempire di domande Alex sul rientro a casa, sulla fine del tour e
mille altre cose, ma sapeva che al mattino era poco propenso a parlare,
in particolare a rispondere a delle domande, così
restò in silenzio, per lasciar decidere ad Alex l'argomento
e il tono della telefonata.
"Dove vai di bello?" chiese Alex interessato.
"Esco con Jeff, è a Londra perchè il tuor di
Damon si è fermato qui e quindi ne approfittiamo per
vederci."
"Ah, bene bene. Voglio conoscerlo prima o poi, non ne ho mai avuto
l'occasione!"
"E' un personaggio!" disse Miles entusiasta di questa dimostrazione di
interesse di Alex per una cosa che riguardava i suoi amici.
"Ci credo."
"Già." sussurrò Miles.
La conversazione si era di nuovo fermata e Miles stava per provare a
chiedere dove fosse o almeno cosa stesse facendo, ma Alex lo precedette.
"La settimana prossima vieni a Los Angeles?" Chiese tutto d'un fiato
Alex.
"Certo, Al. Domani organizzo tutto."
"Grazie."
Forse, dopo tutto, Alex non era più abituato alla solitudine
e la presenza di Miles era quello che ci voleva per non farlo
ammattire, perchè il cambiamento sarebbe stato troppo
radicale, in fondo doveva abituarsi all'idea che un'era importante
della sua carriera e della sua vita era finita e doveva abituarsi
all'idea di non avere niente da fare. Con Miles era più
semplice passare il tempo a far niente.
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