DOMINIQUE
QUESTA
è UNA DOMINIQUE / DRACO SPERO LA LEGGIATE, ANCHE SE
è UN PO' LUNGA. MA SENTIVO IL BISOGNO DI PUBBLICARLA E
VORREI SAPERE SE NE è VALSO LA PENA. UN BACIONE A CHI SI
DARà PENA DI LEGGERLA.
MARIA
Inspirava con aria beffarda una dannata sigaretta, fissando con
freddezza le luci delle macchine che si frangevano addosso ai rami
rachitici degli alberi, saettando nella notte pacifica della capitale.
Pareva non temesse il paesaggio spettrale dove lo stavo conducendo,
aveva negli occhi la forza di un dio ed il fascino malefico del
demonio. Non credevo mi avrebbe mai domandato di seguirlo, pensavo che
le persone maledette come lui ricercassero solo la solitudine. Ma anche
io ero sola, e probabilmente la mia sconfitta lo aveva condotto dritto
tra le mie braccia.
Mi lasciai guidare in silenzio nello squallore delle stradine segrete
del mondo ancora stillante d’ambrosia pagana, ma ero sempre
più lontana dai ruderi arcani, sempre più
distante da quella piazza dove Voldemort, astro nero intermittente che
squarciava ogni pretesa di raziocinio, con la sua luce galvanizzata da
superstizione e intimidazioni, brandendo una bacchetta per sottomettere
il mondo, era quasi diventato il dio oscuro, il padrone
dell’umanità. Non faceva per me credere alle
parole degli anarchici, ma quando vidi i suoi occhi grigi, cupi e allo
stesso tempo misteriosamente folli, rabbrividii
nell’intimità, fino al midollo. Compresi solo
allora cosa mi piacesse di questi incontri campati per aria. La
sorpresa di tale scoperta causò in me un moto di compassione
patetica,rasentò presto la ripugnanza dalla quale potei
fuggire solo grazie alle tenebre, sorelle fedeli, che sapevano
mascherare il mio viso agli occhi di quell’accompagnatore.
Cos’ero io se non una megera in cerca del pericolo? Sapevo di
starmi cacciando in un mare di guai, cosa non mi suggerivano quelle
strade fatiscenti e il suo passo risoluto, unico ritmo nel disordinato
incedere di note nello spartito della capitale. Quindi io cercavo solo
l’avventura, poco importava dover offrire come pegno il
proprio corpo. Non avevo paura di essere usata, né tantomeno
di usare. Osare, farmi beffe di Dio, dell’etica, di ogni
illusoria parvenza di perbenismo sembrava essere l’abito che
avrei scelto per la vita. Conforme al mio corpo, non mi andava largo,
mi sentivo divina in quei panni. Divina, o felice, come vogliono far
credere che siano gli dei. Ma io non ho mai creduto in questo genere di
cose. I miei genitori non hanno avuto requie tentando di inculcarmi
certi valori, ma cosa volte, a volte le migliori intenzioni cascano
abbattute di fronte alla potenza della verità. Perseguire un
ideale è fantastico, ha un che di consolatorio, ma non porta
che a illudersi. Io sono stanca di perdermi in una gabbia di specchi:
la verità è l’unica cosa che conta.
Così non temo le avventure con questi sconosciuti
perché so bene che portano solo un effimero senso del
brivido, lo smarrimento che devo bramare per contrappasso ogniqualvolta
mi senta oppressa da questa mia posizione. Non è facile
imboccare un tracciato su cui sembra esser stato gettato il sale. Non
vi crescono che sterpaglie incancrenite che fanno fuggire le masse. Chi
vorrebbe un mostro come vicino se potesse trovarsi tra santi e beati? E
invece io percepisco la loro inesistenza, e tremo pensando quanti
seguitino a ignorarla. Io non ho paura di niente, tutto proviene da
sensazioni agenti sull’animo. Così credevo.
Lo sconosciuto si fermò di fronte ad una grossa casa. Era
vecchia e decrepita, come poteva essere tutto l’ambiente
intorno ad essa. Radicata in una storia di sangue. Non avevo paura.
Tutt’al più ero sempre più incuriosita
da questi eccitanti particolari. Ebbi voglia di chiedere chi fosse,
cosa ci facessimo nei sobborghi della Londra Babbana. Dopotutto doveva
essere un mago anche lui, di questo ero sicura.
E sapevo anche quanto profondi fossero i suoi occhi.
Allora lui si tolse il mantello, nonostante facesse un freddo cane. Mi
mostrò il suo avambraccio sinistro. Non vi era nulla, se non
un contorno sbiadito. Io compresi lo stesso.
<< ho una storia con un ex Mangiamorte allora
>> sorrisi, senza timore.
<< ed io ho una storia con una studentessa di Hogwarts.
Cose della vita >> replicò secco lui.
Guardandolo in volto, aveva qualcosa di vagamente famigliare.
<< potresti finire in galera, se provassi a sfiorarmi
>> lo provocavo, mi sentivo potente nel sapere che lui
moriva dalla voglia di sfiorarmi, dopotutto i suoi occhi non mentivano
ed il cuore in gola che io percepivo pulsare forte doveva sentirlo pure
lui. Lo sconosciuto misterioso dagli occhi di ghiaccio.
<< e tu impazziresti dalla rabbia, se io non lo facessi
>> mi sussurrò, avvicinandosi appena al mio
orecchio. il suo viso sfiorava i miei capelli, fili biondi profumati e
lisci che si illuminavano nonostante la notte, congiungendosi con i
suoi, appena più chiari, quasi lunari.
<< non sono una stupida adolescente senza cervello. Io
sono una donna, l’età non conta niente
>>
Le sue mani cercarono il mio mento, lo presero con furia alzandolo in
modo che dovessi fissarlo negli occhi. Arrossii visibilmente, che
stupida! << lo so. Sei una donna. Non avrei mai potuto
amarti altrimenti. >>
<< non mi avresti mai mostrato il Marchio Nero
>>
<< e certo, non lo avrei mai fatto, se non mi fidassi
della tua discrezione. Gli amanti sono discreti >>
<< non siamo amanti >> replicai io, con la
voce appena rotta, perché quell’uomo che aveva
scelto me, una studentessa dal cuore di ghiaccio secondo mezza scuola,
aveva appena tentato l’assalto estremo. Audace e spavaldo.
Terribile negargli il mio cuore.
<< non lo siamo dici? >>
Mi baciò. I miei occhi spalancati si persero nel paesaggio
notturno, cercavo le stelle e trovavo solo ombre, mentre il mio spirito
esplodeva violentemente, dimenandosi per sfuggirmi dal petto. Non mi
era mai capitata una cosa simile, eppure lui non era il primo uomo
più grande con cui avevo deciso di vedermi. I ragazzini mi
annoiavano terribilmente, a quei tempi. I ragazzini non mi facevano
soffrire, non mi tenevano sulle spine.
Giudicata troppo al di sopra della loro portata, mi veneravano tutti
come una divinità offrendomi il loro amore più
puro e casto. Io ero l’ideale a cui avrebbero sempre aspirato
e di cui si sarebbero ricordati con nostalgia, perché
nessuna donna sarebbe mai stata alla mia altezza. Il primo amore in
fondo non si scorda mai ed è l’unico vero e
perfetto, perché coloro che non hanno mai amato prima hanno
ancora tutta l’ingenuità e la capacità
di illudersi completamente. Sono ancora intatti, anime monde con cui
è allettante giocare. Io però non ero disposta
solo a farmi guardare.
Volevo giocare.
Così presi a studiarli, gli uomini, e scoprii
quanto fosse piacevole sedurli, essere desiderata, e poi cedere, farsi
conquistare, averli in pugno. Spremerli fino a far provare loro un
misto d’amore e odio verso di me. Io che restavo la regina
dei ghiacci e tutt’al più sorridevo divertita,
vedendoli completamente disperati. Già. Adoravo quel ruolo.
Ma con lui era diverso.
Quell’uomo mi baciò all’improvviso, e il
mio cuore a tradimento si fuse. Ritornavo una ragazzina deficiente, una
giovane al suo primo amore disposta a concedere anche l’anima
al suo conquistatore. Peccato che avessi scelto un aguzzino come
oggetto del mio amore. Il primo venuto, fluttuante e sfuggente
più del vento in inverno.
Mi avrebbe spazzato via, disintegrando ogni briciolo della mia forza,
dell’ardore e dell’audacia per cui ero tanto
famosa. Si sarebbe preso la mia dignità.
Mentre mi spogliava, mentre mi osservava con aria per nulla spaventata,
lui abile e sicuro del suo successo, non avevo alcuno scrupolo in
mente. Volevo solo provare il brivido del primo batticuore, che dovesse
implicare cedergli il mio corpo, poco mi interessava.
Ero convinta che fosse una semplice illusione, forse era il freddo a
darmi alla testa.
Quella notte donai ad un estraneo del tutto sconosciuto e senza
identità tutta la mia anima.
<< siamo così simili io e te >>
dopo tra le coperte calde e scomposte, tra i miei capelli sparsi sul
cuscino come fili d’oro, le gambe tra le gambe come se
avessimo un solo corpo, lui giocherellava con le mie mai, continuando a
guardarmi in viso, cercando in me segni di rimpianto, o di imbarazzo.
In effetti provavo una tale vergogna che mi impediva di comportarmi con
saggezza, ma non di ricercare il bagliore magnetico che si spandeva dal
suo sguardo.
<< non siamo simili per nulla >> ribattei
io, ormai era una consuetudine combattere contro le sue affermazioni.
<< non saremo mai amati da chi desideriamo, e potremo
illudere solo degli estranei per qualche ora >>
<< io non sto illudendo nessuno >> tranne
che me stessa, dissi con dolore. << tu chi vuoi punire?
>>
lui si passò una mano tra i capelli, biondi, appena striati
da fili grigiastri << mia moglie >>
confessò << non ci siamo mai amati davvero.
Certo amo il figlio che mi ha dato, ma lei mi ha sempre detestato. Non
so cosa io le abbia fatto, comunque dopo aver sofferto per anni, adesso
sono libero da ogni scrupolo. Lei mi cornifica ed io.. >>
<< ricambi >> sussurrai io. Aveva un
figlio. Aveva solo tradito sua moglie. Aveva usato la regina delle nevi
per dare una bella lezione ad una donnaccia senza cuore. Che non lo
amava.
L’aveva usata magistralmente. E lei si era fatta usare, da
miserabile.
Dominique si coprì con le lenzuola, gli occhi fissi sul
pavimento, alla ricerca delle scarpe, della gonna, alla ricerca della
sua dignità.
Lo aveva sempre saputo come sarebbe andata a finire, adesso
perché la rabbia e il disgusto affioravano
all’improvviso? Era doppiamente sciocca, non c’era
nulla da aggiungere.
<< cosa fai, non vorrai andare via così?
>>
lui le rivolse una semplice domanda. Ennesimo schiaffo morale che la
colpiva in pieno viso << si è fatto tardi.
Devo tornare al castello. Dopotutto le gite ad Hogsmeade non durano
tutta la notte, e tra breve si accorgeranno che non sono nel gruppo
>>
Aveva mentito per lui, era ufficialmente con le sue sorelle, a godersi
un pomeriggio lontano dai libri e dalle pozioni. Aveva mentito per lui,
che razza di idiota.
<< ricordo com’era essere uno studente. Non
tutti ricordano cosa significa avere problemi che sembrano
insormontabili. Beh, se poi aggiungiamo che il Signore Oscuro li
centuplicava, puoi bene immaginarti la mia condizio…
>>
<< non mi interessa, mi scusi >> dissi io.
Quella terza persona fece breccia tra le sue certezze. <<
adesso siamo tornati un adulto ed una ragazzina, non è
così? Beh, io non ti ho promesso nulla, e non chiedevo
niente in cambio. Ci siamo amati, per questo tempo, ed è
stato bellissimo. Ma non potrebbe mai essere nulla di serio
>>
<< non voglio nulla di serio >>
mentì Dominique, ormai sull’orlo delle lacrime.
<< dimmi come fare a raggiungere Hogsmeade.
>>
<< se vuoi ti accompagno, anche mio figlio è
lì >>
la cosa la sconvolse. Era padre di un adolescente, come lei. Uno che
magari le moriva dietro, e che lei conosceva.
<< non voglio essere accompagnata dimmi come andare, e
basta >>
<< imbocca il corso principale, fino al Paiolo Magico. Di
là partono linee di Metropolvere, ti troverai dritta nei Tre
Manici di Scopa >>
<< grazie >> disse lei, e la parola le
uscì arrochita, quasi fosse stata sepolta da cumuli di terra.
Dominique imboccò la strada, come lui le aveva suggerito. Le
lacrime le rigavano il viso, il petto si alzava e si abbassava ad
intervalli irregolari, accelerava impazzito. Ogni respiro era un
affondo nel dolore che subitamente si era impossessato di lei.
<< Dominique! >>
la voce dell’uomo le provenne alle spalle. Di nuovo le mani
dello sconosciuto affondarono su di lei, la costrinsero a voltarsi, le
sfiorarono il viso << piangi? >>
domandò lui stupito, per una volta visibilmente commosso.
<< è per il freddo >>
<< non mentire >>
<< non dirmi cosa devo fare! >>
sbottò lei stizzita. Poi abbassò il capo
<< oh, scusami, ho perso il controllo io… oh,
scusami. Cosa devi dirmi? >>
Un nuovo bacio. Di nuovo il suo stupore. E ondate di dolore denso.
Dominique si sarebbe ripiegata su se stessa, perché per una
volta era lei quella impazzita, colei che avrebbe sofferto, appena dopo
il distacco. << è stata la sola volta in cui
ho tradito. Con te. E non sei stata scelta per caso. Ma non posso
costringerti ad una vita sporca, non so se mi comprendi >>
<< non vuoi tu vivere nella menzogna! Volevi solo
dimostrare a te stesso che potevi ancora avere una ragazza della mia
età. >>
<< e tu volevi provare la tua avvenenza su un uomo della
mia? Questi erano i tuoi preamboli, non i miei! Non ricordi dove ci
siamo visti, la prima volta? >>
Lei scosse il capo << desolata >>
<< nell’ufficio dei tuoi zii. Io sono un Auror
come loro >>
<< non volevo saperlo >>
<< beh, io volevo dirtelo. Perché mi fido di
te. Sei una donna, lo hai detto tu. Una donna per cui vale la pena
sfidare l’etica, per cui chiunque perderebbe la testa
>>
<< una puttana, in poche parole >> dissi
acidamente. Il dolore lambiva ogni angolo del mio corpo, meglio non
pensarci. << adesso vado. Fingiamo che questo non sia mai
accaduto >>
Lui rimase lì, guardandola sparire, con
un’espressione impenetrabile sul viso e gli occhi grigi,
densi, pesanti, che indugiavano sulle orme lasciate da lei sulla
fanghiglia della strada.
E io fuggivo, con il disgusto e l’amore che si contendevano
il trono nel mio cuore. Fuggivo reggendomi ad ogni appiglio, per non
cadere a terra, sapevo che non mi sarei più alzata. Meglio
farsi travolgere che vivere così, appesa al ricordo e a un
dolore che non se ne andava più.
Stillano le gocce di pioggia sul mio capo, non mi pare di percepirle.
Sento solo un forte dolore, nel petto.
Lì dove batteva il mio cuore adesso è solo vuoto.
Non più un palpito, non un respiro, solo il freddo della
morte. Tu mi hai ucciso dentro. Lo hai fatto con una cura meticolosa,
da bravo aguzzino. E senza scrupoli. Giorno dopo giorno hai drenato via
le mie riserve, hai pulito il mio animo, lo hai aperto ed esposto alla
vita.
Non avevo capito che tu mi stessi scuoiando. Non sapevo di essere carne
da macello.
E giorno dopo giorno tu spalancavi le porte con un coltellino, e
imprimevi inesorabile un piccolo taglio. Volevi farmi raggiungere il
picco massimo della sofferenza, ammettilo.
In effetti mi ero quasi illusa, pensavo che un giorno mi avresti amata.
Ed invece ora sono qui, a girovagare tra le viuzze di Hogwarts e tento
di imprimere nella mente l’odore della resina,
l’appena percettibile sentore della pioggia che bagna le
mattonelle spoglie. Tento di raccogliere il vagito della natura, il
movimento dolente di un ramo rachitico che spoglio sventola nel vento.
Tutto pur di non pensare, di non pensarti. Fa appena freddo. Sta
già piovendo.
Ma nonostante mi sforzi, è tutto inutile. Il mondo non
esiste più, da quando tu me lo hai nascosto. Mi fa male
sapere che mentre mi trovo in questo stato, disperata ed incredula, per
te il mondo possa continuare ad essere lo stesso. Ho visto te e tua
moglie, a King Cross, e come vi detestate. Sono felice che anche tu
soffra. Infelice perché non è colpa mia. Questo
mi rende rabbiosa. Piena di odio.
Anche se in realtà, perché tu possa essere
felice, sono certa che se io potessi fare qualcosa, anche donarti la
mia serenità, ancora adesso nonostante fatta a pezzi e
sconfitta, ti darei anche il mio ultimo respiro.
Draco, ora so come chiamarti, giuro che se solo me lo chiedessi,
ricommetterei gli stessi sbagli. Aprirei a te di nuovo, e ancora, e
sempre, le porte del mio essere.
Anche se sei un Auror, un ex Mangiamorte, e un padre di famiglia.
Anche se so bene cosa poi dovrei passare.
Astoria ti può sfiorare come più le piace, la sua
mano indugia sulla tua spalla. Una falena fastidiosa che vorrei
uccidere. Tu, accortoti di me, mi lanci occhiate turbate, ora non sai
più se sono o meno una donna. Non preoccuparti, lo sono
eccome. Una donna che ama il martirio, l’autolesionismo. La
tua amante. Mi fissi, io ricambio. Se si potesse morire
così, se potesse crollare il mondo al momento giusto. Ma
nulla. Lo sbuffo del treno, i ragazzi che si accalcano nei vagoni, io
che vengo spinta dentro da Victoire. Tuo figlio che abbraccia mia
cugina Rose. Tuo figlio ha i tuoi occhi ma non è bastardo,
lui e Rose saranno felici insieme.
E in quanto a me, ormai sono rassegnata. Sono la tua schiava.
È possibile diventare schiavi d’un amore impossibile?
Evidentemente sì.
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