Il signore degli inferi

di DonnieTZ
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6 – All'Inferno
 
Sono passati mesi. Lunghi mesi difficili fatti di terapia e della necessaria riappacificazione con me stessa e con mia madre.
All'inizio è stato difficile guardare negli occhi un'estranea e tentare di considerarla diversamente, di vederne l'affetto e l'amore. Abbiamo parlato a lungo, ci siamo avvicinate anche grazie a un uomo che non ha fatto altro che allontanarci. Perché le sottili crudeltà di mio padre sono state le stesse, verso di lei e verso di me, tanto che della bella donna che ho sempre immaginato non resta che un essere fragile, ingrigito dalla vita. Non posso perdonarla per non aver lottato, ma non posso biasimarla per essere fuggita lontano e aver acconsentito – per le minacce e le ritorsioni – a non contattarmi. Si sta sforzando per recuperare il tempo perso, e mi sto sforzando anche io.
La mia storia sulla fuga con il mio ragazzo non l'ha mai convinta, né ha convinto gli agenti, ma ho continuato a ripeterla e ripeterla, fino quasi a crederci. Così le persone hanno dimenticato e sono andate avanti. La sera della morte di Lisa non c'ero, almeno secondo i loro verbali e la mia testimonianza. Invece di andare da un'amica a dormire, sono scappata con un uomo per non dover vedere mio padre mai più. Per questo non ho saputo nulla, per questo ero all'oscuro. Una storia non abbastanza solida da essere a prova di credibilità, ma solida abbastanza da reggere alle lievi pressioni delle domande.
Quando sono venuti a prendermi, Adelbert è stato costretto a dare fondamenta alla mia bugia, mentre lo osservavo dalla macchina che mi avrebbe riportato alla realtà. Ho avuto il terrore confessasse tutto, ma quella scelta – la prima di tante, in questa nuova vita – l'ha affidata al mio controllo. Da quel momento non ho più saputo nulla di lui.
Cerco di convincermi ogni giorno che qualsiasi cosa io abbia provato fosse il frutto malsano della mia condizione, ma mi manca ogni minuto, di ogni ora, di ogni settimana. Mi è mancato per tutti questi lunghi sei mesi da quell'ultimo sguardo.
Ho una madre, ora, e mi aggrappo a un equilibrio precario che non sembra essere abbastanza.
Un equilibrio che si palesa in giornate normali in cui, come ora, esco di casa – un bacio sulla guancia di mia madre, a cui non sembro abituarmi – e mi avvio verso la fermata dell'autobus poco distante. A tratti, come ogni volta, mi sembra quasi di percepire la presenza di Adelbert da qualche parte, alle mie spalle. Una speranza sciocca, a cui mi impongo di non dare forza, che mi sforzo di annientare.
Eppure non resisto, come ogni singola mattina: devo sbirciare, devo avere la conferma che lui non c'è e che non ci sarà mai, che non esiste se non nei miei ricordi. Così getto una rapida occhiata, mantenendo il passo, continuando a dirigermi verso la fermata.
Ed è quasi doloroso quando vedo un'auto che non conosco e che procede lentamente, è quasi un incubo dai tratti del sogno. Perché in macchina sembra esserci proprio lui.
Sono costretta a infilarmi in un vicolo, appoggiandomi al muro per prendere fiato.
Sto impazzendo?
Ho paura?
Sono felice?
L'ho immaginato?
Impiego lunghi secondi a respirare, ma riesco a controllarmi. Se è davvero lui devo parlargli, devo incontrarlo. Nonostante il tremore vago delle mani, nonostante la morale, la sicurezza, la ragione. Esco dal mio nascondiglio, mi guardo attorno e lo trovo: è davvero lui. Fuori dall'auto, che si guarda attorno, contrariato.
«Lo sapevo» dico, dopo essermi avvicinata alle sue spalle.
È sempre lui, proprio come lo ricordavo, ma è qui, ed è terribilmente reale, con la sua pelle pallide e i chiari occhi penetranti. Dopo giorni passati a sperare, finalmente...
«Non dovevi partire per non tornare? O vuoi così tanto che ti denunci da metterti a pedinarmi pur di ottenere il tuo scopo?» le parole mi escono fuori, naturali come respirare.
Lo sto accusando, sì, perché ho imparato a dare voce alle mie frustrazioni, a esprimere i miei turbamenti.
E mi è mancato tanto da fare male.
«Volevo assicurarmi stessi bene» ribatte, appoggiandosi alla macchina e incrociando le braccia.
«Sto bene» lo rassicuro, senza fare niente per nascondere l'asprezza della mia voce.
«Lo vedo. Sembra tu stia mangiando» valuta, squadrandomi.
«È così» rispondo. «Sto frequentando un centro e sto lentamente migliorando. Anche se non è delicato farlo notare.»
«Non sono delicato.»
«No, non lo sei» concordo io.
«Con tua madre?» domanda.
Mi rilasso appena, consapevole dell'inevitabilità di questa discussione e del fatto che voglio averla, che voglio sentire la sua voce ruvida, che voglio berlo con gli occhi per ricordare ogni istante passato con lui. Sistemo la tracolla e mi avvicino al suo fianco, posandomi alla macchina.
«Stiamo ancora imparando a conoscerci, ma è una brava persona. Ha preso una casa qui, così possiamo vivere insieme e posso frequentare i corsi. È... è tutto come l'ho sempre voluto.»
«Tutto?» domanda, neutro.
«Quasi» mi ritrovo a rispondere. «Ho una piccola ossessione, ma sto lavorando anche a quello.»
«Posso aiutarti in qualche modo?» chiede, voltandosi appena per guardarmi.
«Non è del tuo aiuto che ho bisogno. Dovresti essere il mio carnefice e comportarti come tale, invece di confondermi. Così mi passerebbe, questa stupida ossessione.»
Abbozza un sorriso che diventa sempre più ampio e io lo guardo da sotto in su, piegando la testa di lato, perplessa.
«Sono contento che tu stia bene, Serena» dichiara, quasi sollevato.
Mi sente diversa perché sono diversa. Mi concedo rabbia e frustrazione e accettazione e perdono. Mi sono concessa di cambiare, da quando ci siamo detti addio, fino al punto di accettare che lo voglio e che non mi importa di tutto il resto, per quanto sia sbagliato.
«L'università ha approvato la mia richiesta e andrò a studiare all'estero per un semestre» confesso, tutto d'un fiato, per vedere l'effetto che può avere su di lui questa decisione.
Resta qualche istante interdetto da questa rivelazione, forse perché non coglie il nesso.
«A Berlino» aggiungo.
E poi inizio a spiegare, quasi confessando una colpa terribile, esponendomi troppo, con troppe parole.
«Ti avrei trovato, in qualche modo. In tutto questo tempo non ho mai smesso di fare ricerche su di te con i soldi che mio padre mi ha lasciato. Non sarebbe dovuto risultare difficile e invece ho impiegato tantissimo per scoprire qualcosa. Tutto grazie a quella baita...»
«Non sono giusto per te. Non sono una brava persona» mi interrompe, serio.
«Non ho bisogno che tu sia una brava persona. E quello che è giusto per me lo decido io» rispondo, risoluta, alzando un po' il mento come a sfidarlo a dire il contrario.
Invece mi bacia, delicato a attendo, circondandomi il viso con una mano.
«Sei mesi» mormora.
Lascio andare un suono d'assenso. Autunno e inverno da passare insieme, di nuovo. Se devo andare all'inferno, tanto vale farlo con lui che lo conosce bene.
 
Ciao!!
Eccolo qui, il finale. 
Spero vi siate divertite(i) a leggerla...
Come sempre ringrazio chi l'ha letta e mi ha sostenuta nella pubblicazione. Prima di tutto Shinkari per aver indetto il contest, poi Danila e Graceavery per il loro continuo, costante e fantastico "esserci", qualsiasi cosa io scriva... 
Grazie a chiunque abbia lasciato una recensione, abbia seguito/preferito/ricordato la storia! Siete speciali!


EDIT: la storia, così revisionata, ha cambiato completamente finale. Prima il POV era quello di Adelbert, ma rileggendola ho trovato stonasse con il resto. Ci sono più riferimenti al processo di "guarigione" di Serena e si sottolinea meglio il suo cambiamento. Se notate delle discrepanze nelle recensioni, questi cambiamenti sono il motivo principale. Anche se la storia è arrivata seconda con il vecchio finale, volevo mi rispecchiasse e fosse rivista a puntino, ecco. 
Come sempre, se desiderate averla nel vostro reader o altro, la trovate qui gratuitamente. 

DonnieTZ




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