Quella
mattina del sedici agosto
erano poche le persone all’interno dell’ufficio
delle poste. Alcune si
sarebbero chieste in seguito come era venuto loro in mente di andarci
il giorno
dopo di ferragosto, altre non avrebbero potuto farlo mai più.
Quando
Emily entrò ne contò
sette: due impiegate, un uomo sulla cinquantina, un altro molto
più giovane,
due amiche con la fede al dito che chiacchieravano (una di origini
evidentemente asiatiche, l’altra con un aspetto alternativo)
e per ultima c’era
lei.
All’improvviso
il tempo parve
fermarsi ed Emily calò giù il cappuccio del
giacchetto blu a scoprirle i lisci
capelli biondi in disordine, a mostrare a tutti il suo viso –
gli occhi
spalancati come quelli di un cervo che sta per essere investito, il
labbro superiore
imperlato di sudore e la bocca tremante; per il calore era
completamente sudata
e aveva persino bagnato la maglietta bianca che indossava in quel
pomeriggio
afoso.
Appena
vide quella persona si
arrestò davanti all’ingresso, venendo spintonata
dall’ottava persona che avrebbe preso parte alla follia che
sarebbe avvenuta di
lì a poco.
L’orologio
sulla parete dietro il
bancone ticchettava fastidiosamente nelle orecchie di Emily, mentre
fissava
quella giovane in fila dietro all’uomo sulla cinquantina.
Stava facendo
ritmicamente sbattere la busta che aveva in mano sulla coscia fasciata
da un
paio di pantaloni aderenti neri, Emily sapeva quanto
quell’atteggiamento fosse minuziosamente
studiato, nonostante ciò sussultò quando la vide
girarsi e guardarla. Sentì
quasi il cuore uscirle dal petto nel momento in cui le sorrise,
facendole l’occhiolino.
Fu
così che Em fece scattare la
mano sul calcio della pistola incastrata nel posteriore dei jeans,
alzando
entrambe le mani appesantite e fuori controllo nel mezzo del gruppo
malassortito che si era venuto a creare – ma che cazz..- - ha
una pistola!-
cominciarono a fioccare i primi commenti, quando l’oggetto
del disturbo della
giovane le mandò un fievole bacio, pieno di provocazioni non
dette. – CHE CAZZO
CI FAI QUI?- urlò Emily, sovrastando la confusione che si
era venuta a creare. Una
delle impiegate tentò di premere l’allarme, ma
Emily le sparò abilmente al
petto facendola crollare a terra – TUTTI CONTRO QUEL MURO,
DOVE VI POSSO VEDERE
– urlò – E GIURO SU DIO CHE IL PRIMO CHE
SI MUOVE LO UCCIDO – aggiunse.
Rapidamente si affolarono tutti seduti contro il muro – tu,
porta qua quell’altra
– soggiunse Emily, parlando con l’impiegata
rimasta. La poverina ubbidì, con le
lacrime che scendevano sul viso arrossato.
Solo
una persona si era sottratta
all’ordine impartito dalla squilibrata, appoggiandosi con
nonchalance al
bancone degli impiegati e accendendosi una sigaretta nella
più totale calma –
che cazzo ci fai qui, eh? – ripetè Emily, tentando
di schiarirsi la vista
battendo le palpebre – non so, passavo di qui –
commentò sarcasticamente l’altra.
Nel frattempo gli ostaggi si stavano guardando, terrorizzati dalla
donna
dinnanzi a loro.
La
donna asiatica strinse a sé l’amica,
quasi a volerla proteggere dalla pazza, l’ultimo entrato
guardava con aria
tormentata il pavimento mentre l’impiegata rimasta piangeva
silenziosamente
fissando il corpo esanime dell’altra.
La
persona che stava sfidando la
criminale aveva corti capelli neri ed uno sguardo ridente, le labbra
viola di
rossetto sporcavano il filtro della Chesterfield quasi giunta al
termine. –
smettila di dire cazzate e dimmi perché cazzo
sei tornata, Jules – insistette Emily con voce stridula.
Jules rise, con voce
bassa, quasi avesse il controllo della situazione e non ci fosse una
pistola
carica puntata contro di lei. – sono qui per tormentarti un
altro po’ – mormorò
infine, avvicinandosi con aria sicura a lei. Emily scattò
indietro, una lacrima
le scese sulla guancia e altre andarono ad offuscarle la vista.
Volanti
della polizia si
affollarono attorno all’edificio e pian piano
l’evento si fece clamoroso: una
donna sulla ventina senza problemi evidenti tranne la follia mostrata
aveva
misteriosamente preso in ostaggio delle persone, uccidendone una
– da quanto
dichiarato da testimoni di passaggio che avevano avvertito la polizia.
-
vai ad oscurare le finestre –
sibilò Emily, tenendo l’altra donna e gli ostaggi
sotto controllo – e voi non
fate nulla di strano, non ho intenzione di uccidere
nessun’altro, se non lei. –
disse indicando con la pistola Jules.
La
suddetta, a lavoro compiuto le
fece una giocosa linguaccia – andiamo, non puoi farlo, lo
sai! – rise ancora –
tu hai paura di me, è
questo che hai
scoperto con lo psichiatra, vero? – soggiunse, con tono
meditabondo – come fai
ad avere paura di qualcosa che è solo nella tua testa,
Emily? – disse, lo
sguardo improvvisamente cattivo – COME?
– gridò, tirando un pugno ad un muro. –
TU NON SEI NELLA MIA TESTA, STRONZA –
replicò Emily, piangendo a dirotto e con la pistola sempre
più tremante.
D’improvviso
la giovane sembrò
riacquistare il controllo e puntò l’arma contro
gli ostaggi – la vedete anche
voi, vero? VERO?-chiese, la voce
sempre più stridula. Le persone interpellate si
paralizzarono all’improvviso,
Emily sparò un colpo in aria, la giovane alternative
cacciò un urlo – si, la
vediamo!- rispose l’uomo.
Emily
sorrise, confortata –
visto? Non sono l’unica! – esultò,
portando di nuovo l’attenzione su Jules che
alzò gli occhi al cielo – li hai terrorizzati,
stupida, cos’altro ti aspettavi?
– Emily calciò una sedia, mandandola in aria
– SMETTILA, Dio, ma perché? – la
donna
si strinse le mani sulla testa ed emise un verso indefinito.
-
andiamo, facciamola finita –
sussurrò Jules, chinandosi sulle ginocchia e soffocando un
sorriso – lo sappiamo
entrambe come va’ a finire se continui
così… o ti risbattono in manicomio…
oppure…- Emily guardò la sua follia negli occhi e
vide se stessa, con la pistola
puntata in bocca.
Scosse
la testa e spinse lontana
dallo specchio della sua anima, andando a finire contro la porta
sbarrata –
stammi lontana, puttana-
sbottò
piangendo, cominciando a sparare a caso nella direzione di Jules.
– mancata –
sbuffò annoiata la giovane, un lamento costante
cominciò a provenire dagli
ostaggi – dì loro di tacere, è penoso
– sospirò Jules, massaggiandosi la radice
del naso ed accendendosi un’altra sigaretta – e tu
piantala, io odio il fumo!- rispose
Emily improvvisamente infastidita.
In
quel momento si rivolse
prettamente ai poveri malcapitati nella stanza, sedendosi a ridosso del
muro
opposto al loro, ignorando Jules – mi dispiace di avervi
dovuti coinvolgere, ma
era necessario – disse inquieta – non avrei voluto
farlo, sul serio –
insistette vedendo non accolte le loro scuse – ALLORA?
– urlò, la donna
asiatica si schiarì la voce e la sua amica la strinse,
chiedendole
silenziosamente di tacere. – è inutile, Em, loro
hanno paura di te… come tu hai
paura di me –
cantilenò Jules,
ripetendosi e guardandosi le unghie laccate di rosso – zitta,
stronza, non sto
parlando con te – replicò la rapitrice stringendo
per un momento le palpebre. –
io sono solo nella tua testa, tesoro, non esisto – rise Jules
– andiamo, non l’hai
ancora capito? Sono solo la tua fantasia malata, questi poveri stronzi non possono vedermi! –
disse con
voce dura. – BASTA, BASTA, BASTA
– Emily
sparò un altro colpo e la centrò.
Jules
spalancò gli occhi e poi
ancora una risata. – ci hai davvero creduto? –
Emily prese a tremare violentemente,
volgendo l’arma contro l’uomo che aveva
precedentemente parlato – tu,
tu mi hai mentito! Come ti è
venuto in mente? – gemette e
sparò ancora, prima che lo sconosciuto potesse rendersene
conto. Il signore fu
colto da un’unica, triste convulsione per poi spegnersi.
Emily
abbandonò la pistola
accanto a sé – hai capito ora? – chiese
Jules sedendosi accanto alla ventenne. –
per favore, lasciami stare – disse stancamente
l’assassina – ormai hai
combinato un bel disastro, credo che staremo insieme per il resto della
nostra
vita!- Emily sentì un brivido correrle lungo la schiena.
La
faccia della donna era ormai
invecchiata di anni, come quella di chiunque dentro
all’edificio, Emily guardò
la pistola con aria disgustata e la prese nuovamente – la
soppesò e la puntò contro
gli ostaggi, uno ad uno facendo esalare respiri e scappare grida di
terrore.
Infine,
la girò e mise la canna
fredda in bocca. Jules si stese a terra con un sorriso beffardo, Emily
le
lanciò un ultimo sguardo carico d’odio e premette
il grilletto.
Scarica.
La
pistola era scarica.
Emily
lanciò un unico,
prolungato, grido di un dolore profondo, di una persecuzione continua
ed
instancabile perdurata per anni.
Jules
era sempre stata nella sua
vita, sin da quando ne aveva memoria.
La
aveva accompagnata nella sua
crescita, senza mai invecchiare di un giorno, sostituendosi ad una
madre che
provava una paura crescente nei confronti di una figlia che reagiva
alla vita
in modo troppo violento per poter essere gestita.
Jules
era stata una madre, una
sorella, una guida.
Crescendo
però, Emily comprese
quanto Jules fosse sbagliata.
Era
stata lei ad insegnarle ad
usare una pistola, a spezzare ossa, ad attirare persone ed ucciderle e
derubarle.
Spesso
i suoi omicidi efferati
erano stati definiti “depravati” ed
“osceni” dalle persone incaricate di
arrestarla, solo perché Jules le aveva consigliato di usare
un po’ di fantasia.
Ripercorrendo
mentalmente la sua
vita, Emily quasi non si accorse degli uomini che fecero irruzione
nella
stanza, urlandole di alzare le mani e scortando gli ostaggi fuori
– al sicuro.
Con
lo sguardo spento, Emily alzò
la testa e guardò Jules – cosa devo fare?
– mormorò – Jules ghignò
– COSA DEVO
FARE? – gridò ancora, due polizziotti la
bloccarono a terra, impedendole di
dimenarsi mentre urlava e si divincolava cercando di raggiungere Jules,
guardandola insistentemente.
Jules
si presentò ancora molte
volte allora sguardo di Emily.
Quando
era legata ad un letto,
sedata, o mentre stava avendo una crisi epilettica e
un’intera equipe d’esperti
si occupava di lei.
L’ultima
volta che Jules si
palesò ai suoi occhi fu due anni dopo gli eventi
dell’ufficio.
-
bambina mia, come ti sei
ridotta – sospirò, guardando Emily seduta sulla
sedia, che fissava dritta
davanti a lei – non vuoi parlare? – le
domandò. Emily la ignorò bellamente,
guardando nel vetro riflettente davanti a sé la propria
figura infiacchita –
capisco – disse Jules chinandosi– io resto qui
– sussurrò.
Per
la prima volta ci fu un
contatto tra le due, qualcosa di speciale ed unico per Emily, quando
Jules le
toccò una guancia con delicatezza, quasi a volerla
proteggere dall’imminente
orrrore che l’avrebbe colta.
-
starai bene – disse con serietà
la donna. Emily chiuse gli occhi e Jules sparì dalla sua
vista, ma Emily poté
ancora percepirne la presenza mentre la preparavano.
Il
ventidue settembre del millenovecentosettantadue,
Emily Ross venne giustiziata tramite sedia elettrica, dopo un processo
e giusta
condanna per aver ucciso oltre venti persone.
Se
solo avesse potuto, ne avrebbe
fatta fuori solo una in più.
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