CAPITOLO 1
«Nina, alzati!».
Una voce maschile, irritata e sconfitta, riecheggiò nella
piccola stanza in cui, su un letto molto più simile ad una
brandina, tra un gomitolo di coperte, riposava una ragazza.
«Mmm, ancora cinque minuti».
Roberto sbuffò e si avvicinò al letto con aria
decisa, tirando via tutte le coperte.
«Muoviti! Sono già le otto»
intimò, lasciando poi la camera con passo pesante.
«Tu sei un mostro!» gli urlò
dietro la ragazza, rabbrividendo e alzandosi dal letto.
Nina dimenticava sempre tutto, era lunatica, distratta e goffa nella
vita di tutti i giorni, ma non a lavoro, dove si trasformava in una
persona responsabile e precisa. Tuttavia, era una ritardataria cronica.
Anche a lavoro. Per quello, non c’era speranza.
Una decina di minuti dopo la ragazza comparve nella sala comune, dove
gli altri archeologi, studenti e responsabili, stavano terminando la
colazione. I corti capelli neri e ricci completamente arruffati, una
felpa grigia di almeno due taglie più grande e un pantalone
blu da lavoro con diverse macchie di terra e fango sulle ginocchia.
Nina era un’archeologa. Assieme a Roberto era responsabile
della campagna di scavo vicino Siena. Il Comune aveva concesso loro di
alloggiare in una vecchia Abbazia , nei locali che una volta ospitavano
una comunità di recupero per tossicodipendenti, e prima
ancora erano stati il refettorio del convento.
Gestire venti ragazzi non era semplice, per fortuna c’erano
Roberto e gli altri responsabili.
«La bella addormentata finalmente ci ha degnato della sua
presenza» la voce di scherno di AnnaChiara, una ragazza alta,
magra e bionda, raggiunse le orecchie di Nina quasi come un gracchiare
fastidioso.
«Anna, per favore, è lunedì mattina e
sono appena le otto…lo sai che prima delle dieci le mie
funzioni cerebrali non sono attive» la rimbeccò
Nina, sedendosi accanto a Roberto e facendo sprofondare il viso tra i
gomiti.
«Faremo tardi a causa tua. Sai che odio fare tardi»
l’apostrofò Roberto con aria seccata.
Roberto era l’opposto di Nina, chirurgico e
maniacale in qualsiasi cosa facesse, sempre puntuale, ligio al dovere.
Erano amici dai tempi della scuola, avevano frequentato la stessa
facoltà e ora erano colleghi. Chi si domandava come fosse
stato possibile che non fossero mai finiti a letto insieme, nemmeno una
volta, per sbaglio, da ubriachi, non sapeva che il motivo era tanto
semplice quanto banale. Nina era lesbica. E loro due erano come
fratelli.
Nina alzò la testa di scatto, guardò Roberto per
un secondo, arricciò il labbro in quello che doveva essere
un sorriso, ma al ragazzo parve più un ghigno, e
allungò velocemente una mano per rubargli la tazzina di
caffè da sotto il naso. La bevve tutta d’un fiato,
poi si alzò con aria soddisfatta.
«Bene ragazzi, tutti pronti che si va sul cantiere. Forza
giù alle macchine!» proclamò con aria
solenne, rivolta agli altri ragazzi.
Quelli si alzarono ancora insonnoliti e sbadiglianti e andarono a
recuperare zaini e felpe per avviarsi giù nel cortile.
«Tu sei una persona orribile» dichiarò
Roberto, passandole accanto senza nemmeno guardarla.
«Sì, ti voglio bene anch’io».
Era il primo lunedì di ottobre e quel giorno cominciava il
secondo turno di scavo, il che significava che erano giunti venti nuovi
studenti archeologi sostituendosi al gruppo che aveva scavato a
Settembre. I responsabili si erano presentati e avevano anche
presentato il progetto e lo scavo, durante la riunione organizzativa
che si era tenuta la domenica sera precedente. Tuttavia, i ragazzi
ancora non si conoscevano così bene per cui quella mattina
erano ancora un po’ tutti spaesati.
Su indicazioni dei responsabili riempirono sei macchine e si avviarono
sul cantiere.
A metà mattinata tutte le squadre erano ben
avviate e lavoravano a pieno regime, mentre Nina e Roberto erano seduti
su una panca di legno sotto la tettoia che usavano come campo base.
«Sono tutti novellini a ‘sto giro» fece
notare la ragazza, sfogliando l’elenco con i nomi dei ragazzi.
«Non tutti. Guarda» Roberto indicò un
nome sul foglio – Lei non è una matricola, ci ho
fatto caso ieri sera.
«Silvia Pecci, laureata in Archeologia a Pisa con 110,
iscritta al primo anno della specialistica in Archeologia medievale a
Siena. Nata a Pisa il 13 marzo 1990» Nina lesse con distratto
interesse, poi chiuse i fogli e li ripose in una cartellina
«Meglio così, almeno una che, si spera, abbia
esperienza e quindi non combini guai» decretò
senza tanta enfasi.
«La tua abnegazione per l’istruzione di questi
giovani studenti mi stupisce ogni giorno di più»
commentò sarcasticamente Roberto.
La giornata trascorse tranquilla, senza imprevisti. La sera Nina era
seduta in sala computer concentrata a scrivere il diario di scavo di
quel giorno. Le dita che picchiettavano furiose sui tasti, il capo
abbassato e un ciuffo riccio e ribelle che le cadeva sulla fronte
leggermente aggrottata per la concentrazione. Ad un certo punto un urlo
di imprecazione riecheggiò sotto l’alto soffitto
della stanza, facendo alzare le teste di tutti gli altri responsabili
ugualmente impegnati ai pc, e contemporaneamente le schermate divennero
nere.
«Ma che diavolo …» Nina alzò
gli occhi verso l’ingresso scattando repentinamente in piedi.
Accanto alla vecchia porta di legno consumata c’era Silvia,
che con una mano si teneva allo stipite, in bilico sul piede destro,
dal momento che il sinistro era completamente arrotolato in una serie
di cavi elettrici. La vicina presa di corrente accanto allo
stipite era completamente sradicata dal muro.
«Accidenti» borbottò la ragazza,
cercando di liberare il piede da quell’imbroglio di cavi.
«Ma porca miseria! Guarda che hai combinato!» Nina
le si avvicinò guardando disperata la presa elettrica ormai
inutilizzabile «E’ saltato tutto, compreso i diari
di scavo che stavamo scrivendo e ci toccherà riscrivere
tutto daccapo perché tu non sei capace di guardare dove
metti i piedi».
«Nina, non è il caso» Roberto si
avvicinò alle ragazze, piegandosi sulle ginocchia per
aiutare Silvia ad uscire da quella trappola di cavi.
«Se a casa combina certi guai, chissà cosa
può combinare sul cantiere» ribatté
dura verso l’amico «Invece, è proprio il
caso».
«Mi dispiace» tentò di scusarsi Silvia
«Di solito sono goffa, ma non a questi livelli».
Nina alzò lo sguardo su di lei, era poco più
bassa, i capelli castani gonfi e scarmigliati, le guance colorate di un
tenue rosso, forse per l’imbarazzo, gli occhi marroni grandi
e sinceramente dispiaciuti.
Sospirò passandosi una mano tra i capelli, facendola
scivolare indietro sulla nuca fino a fermarla sul collo.
Cominciò a massaggiarlo come per tentare di scacciare tutta
la tensione che sentiva accumularsi proprio lì.
«Sposteremo le spine su un’altra presa, dovrebbe
essercene una dietro quel mobile».
Tornò a sedersi davanti al suo computer, sfogliando stizzita
una serie di appunti.
Roberto si rimise in piedi davanti a Silvia, dopo aver liberato il suo
piede, e le sorrise indulgente.
«Sul lavoro è una perfezionista, per tutto il
resto…pff!» un gesto vago della mano e gli occhi
alzati al cielo terminarono per lui il senso della frase.
«Sembra infuriata» constatò Silvia,
osservando le spalle di Nina visibilmente contratte.
«Le passerà».
Qualcuno rimise a posto le spine e i computer si accesero nuovamente
consentendo ai responsabili di riprendere il loro lavoro.
Dopo cena Nina era seduta a cavalcioni su un muretto esterno che
circondava l’intera abbazia. Fumava una sigaretta e
attraverso i cerchi di fumo osservava le stelle.
Passando davanti ad un finestrone, che dava proprio
sull’ingresso, Silvia la vide. La osservò per
qualche secondo poi, guidata dall’istinto, scese velocemente
la scala aprì il pesante portone di legno e uscì.
I suoi passi sulla ghiaia misero in allerta Nina che alzò
gli occhi verso di lei, ancor prima che riuscisse ad avvicinarsi.
Sospirò indecisa se alzarsi e tornare dentro o lasciare che
la raggiungesse. Mentre ci rifletteva, Silvia si era già
fermata davanti a lei.
«Volevo scusarmi, se ci sono da fare dei lavori,
pagherò io».
«Ma smettila, che dici. Quei fili buttati lì in
terra così non stavano per niente bene, mi ripromettevo ogni
giorno di trovare una soluzione ma rimandavo continuamente».
«Sì, però è vero che se
avessi fatto più attenzione …».
«Sarebbe potuto capitare a chiunque»
tagliò corto Nina. Fece un ultimo tiro alla sigaretta poi la
gettò via «Siamo a posto».
Si alzò dal muretto e mosse qualche passo verso
l’ingresso.
«Ma io …» la voce insistente di Silvia
la costrinse a fermarsi e voltarsi verso la ragazza.
La fissò, in attesa che lei terminasse la frase, ma
l’altra si limitò a guardarla. Uno squillo
interruppe il loro contatto visivo. Nina estrasse velocemente il
cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e rispose senza nemmeno
guardare chi la stesse chiamando.
«Sei arrivata? Dove? Tra mezz’ora…
ok».
Ripose il telefono e guardò Silvia ancora una volta.
«Devo andare».
*********************************************************************
Commenti e critiche sono sempre ben accetti. Ciao a tutti!
|