Correva l'anno 1914

di Lady Stark
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Rabbrividii, nella sottile giacca strappata che mi avvolgeva le palle. L'odore di morte e sangue si mescolava con il costante rumore degli spari e dei gemiti dei feriti. Cercai di spostarmi ma il mio corpo si rifiutò di muoversi, stremato dal continuo concentrato di stress ed adrenalina. Lo stomaco brontolò ricordandomi nuovamente che la scodella di minestra e pane nero non era stata sufficiente a sfamarmi. Una sola speranza brillò nella mia mente scaldando il mio cuore gelido, di granito.

La lieve pressione della carta nel taschino della giacca mi confortò strappando alle mie labbra un frastagliato sorriso.

A stento riuscii a portare la mano insanguinata verso il taschino, situato proprio sul petto, accanto al cuore. Non potevo sopportare l'idea di poter perdere quella che era l'unica ragione che mi spingeva ad andare avanti. La visione delle mie dita striate di rivoli di sangue mi fece sobbalzare ed una tremenda sensazione di vuoto e paura s'impossessò di me, mentre quell'odore aspro ed insopportabile a cui ormai ero abituato penetrava con ancora più violenza nelle mie vene. Avvertii una sensazione di bruciore sulla mia gota: una lacrima pesante stava scivolando verso il basso, facendosi strada tra le ferite e le cicatrici sul mio volto.

Arrivata al mento, cadde proprio sul dorso della mia mano tremante. Cercai di non pensare a mio corpo e alla lenta e dolorosa distruzione a cui stavo andando incontro.

Infilai la mano nel taschino e cercai bene finché non trovai quel pezzetto di carta piegato in quattro e bruciato agli angoli. Lo tirai fuori: del bianco della carta non era rimasto quasi niente, ormai impregnato del rosso spaventoso del mio sangue aspro.

Sotto all'inchiostro sbavato e alle parole ormai irriconoscibili sorridevano i due visini paffuti dei miei tesori, le loro dita erano intrecciate a quelle della donna a cui avevo votato la mia intera vita.

La mancanza, la disperazione, il dolore fisico e mentale si mescolarono insieme creando una miscela micidiale. Fu come se tutto il mondo mi si fosse scaricato sulle spalle in quella buia trincea.

Una lacrima cadde sull'inchiostro e sul sangue senza però lavare via nessuna di quelle emozioni logoranti.

Era incredibile vedere quanto dolore potesse contenere un cuore prima di spezzarsi.

Tirai rumorosamente su con il naso, accarezzando quel frammento sgualcito e distrutto che infondo mi ricordava che quella non era la mia vera vita, che lì fuori, oltre il filo spinato, le mine, i sacchi colmi di sabbia c'era qualcuno ad aspettarmi. Chiusi gli occhi annullando per un attimo i rumori che mi circondavano; immaginai il canto degli uccellini in primavera, il gorgoglio placido del fiume, le risate dei miei bambini che rincorrevano le lucertole.

Ricordai la voce di mia moglie ed il profumo della sua pelle abbronzata, le sue mani che scivolavano sul mio viso. Un altro sorriso salato mi arricciò le labbra che quasi cigolando, si alzarono. Il mio cuore stanco improvvisamente rallentò sotto al peso dei ricordi, la voce sorridente di mia moglie mi sfiorò le orecchie sovrastando il rumore assordante degli spari.

«Hai fatto abbastanza, Elian. Torna pure da noi. Senti. Eloise e Grace ti stanno chiamando.»

Le risate delle bambine mi avvolsero calde come una coperta.

In quel momento, l'ultimo sospiro di affacciò sulle labbra dello stanco soldato. 





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