Nome Account Forum / Efp:
Odiblue
Titolo storia: Grandine
Coppia principale:
Sasuke - Sakura
Rating: Giallo
Introduzione:
“Mentre guardava la grandine scendere nel cortile dei Nara,
non
poteva che paragonarla a Sasuke. Era bella – bellissima! - in
ogni acino di ghiaccio che martoriava il lastricato, bianca come la
pelle di lui, eppure, nonostante avesse il colore della purezza,
dannatamente pericolosa. Difficile da sciogliere, impossibile da
scaldare “. La storia partecipa al contest “NARUTO
the
movie: la vita e l'amore”, indetto da manga, sasuk8 e meryl
watase, sul forum di EFP.
Avvertimenti: La
seguente storia non prende in considerazione gli avvenimenti successivi
al capitolo 695.
Genere: Generale,
introspettivo, romantico.
Note: What
if?
Disclaimer:
questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di
Masashi Kishimoto. Questa storia è stata scritta senza scopo
di
lucro.
Dedico questa fanfiction,
in modo molto spontaneo,
al procione,
colui che con i suoi "mi faresti una sasusaku?",
nonostante i miei "ma ho già una long in corso",
alla fine mi ha convinta a scriverla. ♥
Grandine
I.
Era una fredda
giornata d'estate e a Konoha pioveva. Shikamaru aveva appoggiato la
scacchiera da shogi
sul pavimento dell'engawa.
Sottili fili d'acqua scendevano dal cielo e bagnavano il cortile.
Sakura, avvolta in un maglioncino rosso, due volte la sua taglia,
fissava la griglia a nove righe e nove colonne in cerca di una
trappola. Per qualche assurdo motivo, Shikamaru aveva mosso l'alfiere e
non la tessera del Generale Oro. Lei era ancora una novellina e spesso
si perdeva in quella confusione di ideogrammi giapponesi, frecce,
tattiche e tranelli mentali.
“Perché
cavolo ha
mosso l'alfiere?” si chiedeva. “Me l'ha insegnata
lui la
mossa del Generale Oro e allora perché non metterla in
pratica?”.
Ignorava la risposta
al dilemma,
ma aveva una certezza: non si trattava di un errore, bensì
di
una scelta calcolata. Probabilmente Shikamaru voleva farle credere
fosse uno sbaglio, per poi coglierla di sorpresa, quando meno se
l'aspettava.
Era da circa due mesi
che
giocavano assieme, da quando scariche di grandine improvvise avevano
costretto l'intera Konoha a rassegnarsi: la bella stagione non sarebbe
arrivata. E pensare che si trattava di un'estate attesissima, la prima
dopo anni di duro lavoro per rimettere in piedi il villaggio!
A guerra finita
c'erano stati gli accordi di pace, le assemblee tra Kage per giudicare
i nukenin,
liti e dissapori, con duelli e qualche pugno di troppo in conclusione.
Sakura si era immersa a pieno nel lavoro. Per un medico la vera guerra
non iniziava con l'invasione del nemico. Iniziava dopo, quando i
soldati potevano dire “È finita”, mentre
i dottori
sospiravano con un “Forza e coraggio! Si
continua!”.
Stanchi, ma determinati ad andare avanti.
Così
Sakura aveva lasciato
che la piega degli eventi seguisse un corso autonomo, senza
preoccuparsi di riallacciare vecchi rapporti perduti, chiarire tentati
omicidi, incazzarsi per illusioni che le avevano strappato il cuore dal
petto. Letteralmente. Avvolta da una bolla di responsabilità
e
senso del dovere, si era spaccata la schiena, correndo dai letti dei
feriti alla sala operatoria, fino a quando il lavoro non era diminuito
e Konoha aveva imparato a rimettersi in piedi.
Intanto Sakura aveva
visto due
anni di vita volare davanti alla punta del suo naso, senza riuscire ad
acciuffare un attimo degno di essere definito
“ricordo”.
Per ventiquattro mesi era rimasta inchiodata al punto di partenza e non
aveva mosso un unico passo verso la linea del futuro. Non con gli
allenamenti. Non con gli studi medici. Non con i suoi amici. Non con
Sasuke.
Con la
metà di maggio
Tsunade l'aveva informata che le loro giornate all'ospedale sarebbero
state più leggere e avrebbe potuto prendersi perfino qualche
giorno di vacanza.
“Eccome se
lo farò!” aveva pensato tra sé e
sé.
Non vedeva l'ora di
portare a compimento quelle piccole cose che aveva agognato, chiusa tra
le mura di un ospedale.
“Farò
lunghe
passeggiate al sole con Ino, fino al campo di fiori dove giocavamo da
bambine” aveva iniziato a sognare, per poi ricordarsi che la
guerra aveva bruciato ogni zolla d'erba e petali.
“Però
sono passati due anni e sono convinta che Ino e il suo pollice verde lo
abbiano fatto tornare come nuovo. E poi andrò a pranzare
all'aperto da Ichiraku,
assieme a Naruto. E devo ricordarmi di spettegolare con Hinata sulla
sua nuova relazione. Potrei organizzare un pic-nic sotto un albero di
ciliegio, portare una vaschetta di gelato alla fragola”.
Ma poi era arrivata
la grandine, per i suoi sogni un nemico più crudele di una
nuova guerra ninja.
Niente passeggiate al sole, niente pranzi all'aperto, niente
pettegolezzi davanti al gelato. La grandine aveva un unico dono:
metterla di cattivo umore. Con la scusa del brutto tempo, Hinata e
Naruto trascorrevano i giorni a scegliere l'arredamento per la futura
casa; Ino impartiva “ripetizioni d'anatomia” a Sai
che,
preso dall'entusiasmo, aveva accantonato perfino la passione per il
disegno.
Proprio quando Sakura
temeva di
morire di solitudine e inedia, Shikamaru aveva bussato alla sua porta,
l'aveva rapita con una scusa che nemmeno ricordava, e imprigionata
nella casa di famiglia.
“Tu non hai
niente da fare” le aveva detto. “E a me serve
qualcuno con cui giocare a shogi...”.
Si era trattenuto dal
concludere
la frase. Sakura aveva capito e accettato la richiesta. Era la nuova
sfidante e aveva perso talmente tante volte da potersi definire un
totale disastro. Fino a quel giorno...
«Non dirmi
che quest'oggi hai pietà di me, Shikamaru, e mi stai facendo
vincere di proposito» gli disse.
Lui studiava la
scacchiera con zero interesse e fin troppi sbuffi.
«È
la grandine»
rispose. Spostò una tessera. Quella sbagliata.
«Troppo
rumorosa. Non riesco a concentrarmi.»
Con sua sorpresa
Sakura si
trovò ad ascoltare il ticchettio dell'ennesimo scherzo
climatico. Il bambù batteva ritmicamente contro la pietra,
gettando secchiate di ghiaccio sulle lastre bianche del cortile e
scaricando l'acqua dal canale di gronda. Era una serie di rumori che
torturava i due giocatori da mesi, ma Sakura doveva ancora abituarsi
agli sfoghi di Madre Natura. Shikamaru però... le
sfuggì
una risata.
«Sei in
squadra con
Ino!» gli ricordò. «Se non ti
deconcentrano i suoi
starnazzi da oca, come può riuscirci qualche chicco di
grandine?»
In tutta risposta,
stizzito e
scocciato per un'affermazione non attesa, Shikamaru si decise a muovere
la tessera del Generale Oro.
«Oggi non
ci sei proprio con
la testa» sogghignò Sakura. «Quello
è il mio
Generale Oro! Non il tuo!»
Shikamaru
biascicò due improperi in un tono talmente basso da
risultare impercettibile. Sakura non capì quale Kami
lassù, in cielo, si fosse meritato la bestemmia.
Analizzò
invece i movimenti dell'amico, la rabbia con la quale staccò
pollice e indice per liberarsi di una tessera che pareva bruciargli i
polpastrelli.
«Che
scocciatura» le
disse. Arricciò il naso e si sistemò la coperta
sulle
spalle, non appena una lieve brezza li fece tremare dal freddo.
«Siamo a luglio e sono due mesi che grandina un giorno
sì
e un giorno no. Non ricordo nemmeno come è fatto il cielo
senza
pioggia.»
Sakura smise di
studiare la
scacchiera sull'impiantito e stirò le labbra nel classico
sorriso di “chi sa”. Aveva passato ore e ore seduta
su
quelle assi di legno e, oltre ai meccanismi del gioco, aveva imparato a
conoscere i pensieri che agitavano il cervello di Shikamaru.
«Immagino
sia questo a
scocciarti» ribatté con finta comprensione.
«Oltre
al fatto di perdere contro una principiante.»
Inaccettabile per il
prodigio dello shogi!
Ma Shikamaru pareva determinato a tenere addosso la maschera della
faccia tosta, a non abboccare all'amo della provocazione.
«Non posso
guardare le nuvole» disse. «E, come ben sai,
guardare le nuvole mi rilassa.»
Enfatizzò
quel “come ben sai” per sfatare le supposizioni di
Sakura.
«Sì,
sì. Proprio le nuvole non puoi guardare!» rise
lei.
Di buon gusto,
perché
Shikamaru era davvero tenero e sprovveduto. Non sapeva raccapezzarsi in
quell'oceano di bugie e scusanti che propinava alla gente pur di non
ammettere che sì, Temari gli mancava da impazzire e, se
odiava
il brutto tempo, lo odiava solamente perché gli impediva di
vederla. Quando si arrivava ai sentimenti, Shikamaru diventava un goffo
marionettista, incapace di muovere un filo senza ingarbugliare la
matassa e trasformare lo spettacolo in un flop totale.
Su un qualcosa
tuttavia aveva ragione.
«Questa
grandine» disse Sakura con un sospiro stanco.
«È una vera scocciatura.»
Nemmeno lei riusciva
a capire
quale fosse la ragione del suo odio. La guardava mentre si schiantava
sulle pietre del cortile e trovava quella visione ammaliante, uno
spettacolo di tinte bianche in mille sfumature. Coriandoli duri come
sassi danzavano decisi, precipitavano nel vuoto, determinati,
abbattevano qualunque ostacolo bloccasse il loro tragitto e alla fine,
incuranti di ciò che avevano distrutto, giungevano alla
meta:
terra. Forse era proprio questa consapevolezza ad annientare Sakura e a
far scalpitare nel suo petto una melanconia che la condannava a una
silenziosa tristezza. Quando la grandine scendeva dal cielo, arrivava
sempre a destinazione: non c'era ramo, foglia, o tetto a ostacolarla.
Lei, invece, sentiva in se stessa il rimpianto di tutto quello che non
aveva portato a termine. Perché sapeva benissimo che se
Sasuke
era tornato a Konoha il merito spettava a Naruto, non a lei.
Quando si parlava di
ingiustizie
della vita... confidava nella sua intelligenza, nella sua forza, nella
capacità di sgretolare una montagna con un pugno. Bastava
però che l'argomento in questione fosse Sasuke e lei
diventava
piccola, innocua, succube di un uomo che avrebbe voluto distruggere a
suon di destri e sinistri. Invece lo vedeva e ogni sua convinzione si
squagliava sotto l'intensità di un singolo sguardo.
Sakura ricordava
perfettamente
com'era finita la guerra. Il momento coincideva per lei con la
dispersione di un'illusione in cui si trovava rinchiusa. E ricordava
anche che era stato proprio Sasuke, dopo aver
“discusso”
con Naruto - Chidori
contro Rasengan
- a riportarla indietro. Era stata un'illusione crudele, la sua.
Dissacratoria. Aveva profanato quell'amore che Sakura custodiva tanto
fedelmente nel suo cuore, come una reliquia. Lo aveva calpestato,
spolpato della linfa che lo nutriva. Così, dopo l'ennesima
umiliazione da lei subita, dopo la fine di una guerra colpevole di aver
decimato la popolazione di Konoha, aveva creduto di essersi finalmente
liberata di un peso che gravava sulle sue spalle sin da quando era
bambina: l'amore per Sasuke.
Negli anni passati,
nonostante le
avversità, quel sentimento era rimasto un fiume in piena,
traboccante di vita. Mentre cercava di liberarsi dal genjutsu, il corso
d'acqua aveva finito però con lo svuotarsi e diventare arido
quanto la terra del deserto.
Appena uscirò da
qui, lo griderò al mondo intero. Sakura Haruno ha smesso di
amare Sasuke Uchiha.
Poi aveva sentito dei
passi in
lontananza e una voce che la chiamava. Era flebile, appena un sussurro.
Eppure, quando ancora non era una parola completa, aveva capito
all'istante di chi fosse. Sakura avrebbe riconosciuto quel tono
profondo e basso, anche se un ninja
nemico le avesse strappato i timpani dalle orecchie.
Non
ascoltarlo. Non andare da lui. Lui ti ha lasciata. Non spetta a te
seguirlo.
Ma quando si trattava
di Sasuke,
il corpo di Sakura non conosceva ragione. Si muoveva in automatico,
bramava la sua vicinanza, quasi fosse la sorgente dalla quale sgorgava
la vita. E anche quella volta non c'era stata eccezione. Aveva fiutato
la pista, seguito il richiamo, preso l'immaginaria mano che Sasuke le
porgeva. Si era lasciata guidare fino all'uscita dell'illusione. Il
viso di Sasuke – stanco, ricoperto di graffi, con occhi
talmente
lucidi da sembrare pietre d'onice immerse nell'olio – aveva
accompagnato il suo risveglio.
“Sakura.”
Solo una parola. Di
nuovo, sempre e solo il suo nome.
Era incredibile
quante cose
riuscisse a dire con un “Sakura”, a seconda delle
circostanze: sei irritante, Sakura; ci sei anche tu, Sakura; smettila,
Sakura; grazie, Sakura; mi dispiace, Sakura. In questo caso, la
traduzione migliore sarebbe stata “bentornata”.
Ironia
della sorte, visto che lui
era fuggito in capo al mondo, in cerca di vendetta.
Forse anche Sasuke
aveva percepito
il paradosso di quest'ultimo “Sakura”. Aveva
abbassato le
palpebre, incapace di sostenere il suo sguardo, verde come la
verità e tutte le emozioni che non riusciva a trattenere,
tutte
le domande che avrebbe voluto fargli, tutti gli insulti che sarebbe
stato giusto rivolgergli. E a tradimento quel fiume d'amore aveva
spaccato l'arida roccia del deserto. Un piccolo rivolo d'acqua fredda,
mosso da onde incerte che si facevano strada su un fondale di ciottoli
acuminati: il suo dolore, le sue lacrime. Quando Sasuke si era alzato e
aveva allungato la mano verso di lei per aiutarla a rimettersi in
piedi, di nuovo il corpo di Sakura aveva reagito da solo e aveva
accettato quel soccorso. Il rigagnolo aveva aumentato la portata
d'acqua ed era tornato a scorrere impetuoso in ogni organo che la
componeva, più forte che mai.
Sakura Haruno che non ama
Sasuke Uchiha? Chi voleva prendere in giro? Era la più
colossale di tutte le stronzate.
Così
Sakura, a distanza di
due anni da quel giorno, continuava a rimbeccarsi per essere cascata
una seconda volta nella trappola dal cognome Uchiha, e mentre guardava
la grandine scendere nel cortile dei Nara, non poteva che paragonarla a
Sasuke. Era bella – bellissima! - in ogni acino di ghiaccio
che
martoriava il lastricato, bianca come la pelle di lui, eppure,
nonostante avesse il colore della purezza, dannatamente pericolosa.
Difficile da sciogliere, impossibile da scaldare.
A distanza di due
anni, pensava
anche ai passi da formica che aveva fatto con Sasuke, ai piccoli
riconoscimenti che aveva ottenuto.
“Sei
cambiata.”
Con queste parole
l'aveva salutata dopo il risveglio a fine guerra.
“Da oggi
sei il mio
medico” aveva aggiunto qualche mese dopo, e se Sasuke aveva
scelto lei – non Tsunade, non Shizune, non Ino –
era
perché si fidava, perché la riteneva brava, la
migliore.
Quand'era allora che
oltre al ninja
e al medico si sarebbe deciso a vedere la donna che continuava ad
aspettarlo?
Sakura
sospirò e
tossì, appena un anello di fumo le entrò nelle
narici. Si
era persa a tal punto nei suoi pensieri da non accorgersi che Shikamaru
aveva messo via le tessere da shogi,
per accendere una sigaretta. Studiava ogni chicco di grandine con la
stessa attenzione che prestava pure lei a quell'enorme distesa d'acqua
solida.
«Scusa»
le disse. «Dimenticavo che il fumo ti dà
fastidio.»
«Lascia
stare. Casa tua, regole tue.»
Aveva replicato con
una battuta
che mascherasse il cattivo umore. Un sorriso finto. Una risata finta.
Una persona finta. E ora spettava a Shikamaru mettersi in faccia
l'espressione vincente di “chi sa”. Con la
sigaretta
spenta, abbandonata sulle assi in legno dell'engawa,
con una gentilezza che Sakura mai avrebbe sospettato,
allungò la
mano sinistra per prendere la sua, per cercare e dare un conforto che
entrambi necessitavano.
«Ancora
Sasuke» constatò.
Sakura si
sentì trapassare.
Punta nel vivo. Dannatamente trasparente. E si diede della stupida,
perché bastava un nome – Sasuke – a
renderla
vulnerabile e fragile, come si era ripromessa di non essere. Ma due
concorrenti potevano giocare la stessa carta.
«Ancora
Temari» gli disse. «Non riesce a venire nemmeno
questa settimana, vero? Per il brutto tempo.»
Shikamaru
aprì bocca per
ribattere che si sbagliava, ma la lingua non arrivò ad
articolare una parola che Sakura alzò la mano per
interromperlo.
Era arrivato il momento di finirla con quella farsa.
«Siamo
troppo intelligenti per prenderci in giro» gli disse.
Shikamaru
sospirò e cacciò dal naso un nugolo di nicotina
che era rimasto incastrato nei polmoni.
«Già»
ammise. «Stupida grandine.»
Rimasero in silenzio,
avvolti in
un maglioncino troppo grande e in una coperta sfibrata, a studiare la
cascata di ghiaccio che gli dèi versavano sul mondo mortale.
E
c'era solo quella mano – quella che Sakura e Shikamaru
continuavano a stringersi – a stornare dai loro capi la
solitudine. La consapevolezza di condividere un dolore non identico, ma
quantomeno simile.
“In due si
soffre meglio che da soli” si ripeteva Sakura.
Da brava egoista qual
era sempre
stata, pensava però di avere più diritti di
Shikamaru a
starci male. Il genio dello shogi si svegliava ogni mattina scaldato da
un amore lontano, ma comunque esistente. Viveva i drammi di una storia
a distanza con nientemeno che la sorella del Kazekage,
una donna dai mille impegni e doveri. Aveva come nemici spazio, tempo e
clima, ma per quanto la sua guerra fosse difficile da vincere, gli
restava una splendida ragione per battersi con tutte le forze. E gli
restava il sollievo di avere una metà della sua anima, sotto
un
identico cielo che non conosceva gli ostacoli di foreste e deserti.
“Chi
l'avrebbe mai
detto” sorrise Sakura tra sé e sé.
“Un
pigrone e un'irascibile. Potrebbero vincere il titolo di coppia
più strana dell'anno”.
La loro storia era
nata a fine
guerra, da uno scambio di battute snervate e pugni stizziti che a
Sakura ricordavano la collisione di due chicchi di grandine a
metà cielo. Temari rappresentava di natura la durezza e, se
gli
dèi le avessero accostato un elemento, sarebbe stato
l'acciaio.
Shikamaru era intelligente e deciso. Quando sapeva quel che voleva, lo
prendeva. Non riteneva stancante ottenere ciò che gli
avrebbe
portato la gioia dell'animo. Desiderava una donna né troppo
bella, né troppo brutta; né troppo rumorosa,
né
troppo taciturna.
E invece gli era
capitata sul
groppone Temari no Sabaku, una kunoichi che rientrava a pieno nelle
prime due categorie: bella, rumorosa. Era merito di Madara, se il ninja
della Foglia aveva capito. Paradossalmente l'illusione equivaleva al
desiderio e così, quando Naruto e Sasuke avevano disattivato
lo Tsukuyomi,
Shikamaru aveva riflettuto a lungo, con una mano sotto il mento e uno
sbadiglio che premeva per uscire dalle labbra.
“Ti sembra
il momento di dormire, razza di scansafatiche?”
Temari aveva
minacciato di tirargli una ventagliata in testa, ma la voce di
Shikamaru era arrivata in tempo per fermarla:
“Curioso.
Nella mia visione c'eri anche tu”.
Temari era diventata
più
rossa dei capelli di Gaara. Con occhiate sospettose aveva controllato
che nessun membro dell'alleanza assistesse al loro battibecco. Quindi,
dopo un calcio a un sassolino e un mormorio incomprensibile, lo aveva
confessato ad alta voce:
“Anche
tu”.
Quando Shikamaru
aveva lasciato
cadere la conversazione nel silenzio, si era premurata di tirargli un
piccolo colpo con il suo immenso ventaglio.
“Non mi
farò battere
da una finta Temari. Se ero con te in quella visione, rassegnati. Ci
sarò anche nella realtà. E comunque è
ingiusto!
Tocca sempre fare tutto a me, razza di pigrone!”
“Intendi
picchiarmi per il resto della nostra vita?”
E allora a Temari era
caduto il
ventaglio di mano. E Sakura li aveva guardati, discreta, con la coda
dell'occhio. Guardava sempre tutto, pur di non dover pensare a Sasuke.
E aveva letto nelle parole di Shikamaru il sottotitolo che anche Temari
era riuscita a cogliere. La nostra vita. Non la mia. Non la tua.
Nostra.
Quella
dichiarazione, quel “nostra” era stato il continuo
di un
processo nato all'improvviso, per uno scherzo del destino. Se il caso
non avesse fatto sì che Temari e Shikamaru si confrontassero
all'esame Chunin, forse non avrebbero dovuto confrontarsi per il resto
dei loro giorni. Invece i Kami, dèi di larghe vedute,
avevano
messo al confronto due caratteri diversi e opposti. Subito, di primo
acchito, Temari e Shikamaru erano rimasti stupiti e ammaliati da quella
loro diversità. L'avevano studiata da lontano, desiderata
nei
periodi di distanza, idealizzata nelle ore di solitudine, negli attimi
di pace, trascorsi sdraiati sul letto di due stanze ai confini del
mondo, o sotto vecchie querce, persi a contemplare il cielo. E avevano
cercato i rispettivi volti in nuvole bianche, più dolci di
zucchero filato, ma meno passionali di quel misterioso sentimento che
pensiero su pensiero iniziava ad ardere nei loro cuori.
Così,
avevano sconfitto ogni rifiuto e domato ogni loro negazione,
trasformando quella piccola goccia di curiosità in ricerca e
in
affetto, in rispetto e in venerazione, in un bisogno di completarsi
chiamato amore.
La porta di lino si
aprì
con uno scatto. Sakura per la sorpresa rimase con un boccone di saliva
incastrato in gola. Gli occhi si fecero sgranati, grandissimi, ma mai
quanto quelli di Shikamaru, aperti al massimo, pur di non perdersi
l'insolita visione.
Temari no Sabaku, in
tutto il suo
splendore, aveva appena spalancato la porta a suon di ventaglio.
Lì, davanti a loro, con qualche chicco di grandine ancora
prigioniero di ciocche di capelli ribelli. E poi c'era una sottile
smorfia di scocciatura e di fastidio sul viso imbronciato. In effetti,
metteva un po' di paura e sembrava pronta a rifilare al suo amato
scariche di pugni talmente potenti che anche il cielo era corso ai
ripari: aveva smesso di grandinare.
«Portami
subito un asciugamano, Nara!»
Sakura fu abbastanza
intelligente
da sciogliere le sue dita da quelle di Shikamaru. Mentre si sistemava
il maglioncino rosso, con l'intenzione di prendere la via della fuga,
vedeva il viso dell'amico combattere, nel tentativo di nascondere un
sorriso di gioia. Un sorriso non da lui.
«Sai
benissimo dove li tengo. Perché non ti arrangi, razza di
seccatura?» le disse.
Finse un sospiro di
stanchezza. E
invece Sakura, prima di lasciarla, aveva sentito la mano di Shikamaru
irrigidirsi e rilassarsi; e le pareva addirittura di aver percepito il
tonfo assordante del suo cuore battere all'impazzata.
Si sistemò
i sandali e
scivolò sul lastricato del cortile: sarebbe uscita dal
retro,
senza disturbare quell'unione tanto attesa. Come ultima immagine, vide
il volto di Temari farsi rosso pomodoro e il fiato salire su, per la
gola. Le parole non tardarono ad arrivare:
«Arrangiarmi?
Io
dovrei arrangiarmi? Ho fatto tutta questa strada, sotto questo stupido
cielo solo per degnarti della mia presenza, e ora devo pure
arrangiarmi? Shikamaru Nara, spero per te che-»
Quel che venne dopo
Sakura non lo
vide: girato l'angolo, si immerse nella via principale che portava alla
periferia di Konoha. Sentì però la voce di Temari
spezzarsi a metà, rompendo la frase. E c'era un unico modo
con
il quale Shikamaru si sarebbe potuto liberare di lei.
“Certo,
oggi era davvero incapace a shogi,
ma a quanto pare la sua intelligenza funziona alla grande per altri
generi di trucchetti” si disse.
Con un pizzico di
invidia
immaginò di essere al posto di Temari e
fantasticò di
trovarsi con Sasuke, invece che con Shikamaru. Come ci si sentiva a
venire
zittiti da un bacio? Gli dèi furono veloci a punire quel
pensiero peccaminoso. Usarono la loro arma preferita. La più
odiata: grandine.
Salve a tutti! Oggi sono - stranamente - di pochissime parole, vista la
fretta. Ci tenevo però a postare stasera il primo capitolo
di questa storiella breve breve (sono cinque capitoletti), che come
dicevo nell'introduzione partecipa al contest "Naruto the movie: la
vita e l'amore", di manga, sasuk8 e meryl watase. Ringrazio le giudicIE
per avermi dato lo spunto per scrivere questa storia e tutti i lettori.
E' davvero una cosetta senza pretese! Grazie a tutti,
un bacione
Odiblue
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