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Brothers
- Merda! -
È
un’imprecazione sputata tra i denti, serrati in
un’espressione sofferente e frustrata.
Stava
andando tutto dannatamente bene, aveva il quaderno, il cioccolato
pronto in dispensa, i servizi di un Dio della Morte e ora era
lì, ad ansimare come un cane sotto una pioggia violenta e
sferzante.
Aveva
attivato il detonatore ed era riuscito a fiondarsi sotto il tavolo,
prima che un inferno di fiamme e fumo gli si abbattesse addosso.
Per
un attimo, aveva davvero temuto di non farcela.
Era
rimasto cosciente per tutto il tempo, che nonostante fosse stato una
misera manciata di secondi, gli erano parsi lunghi una vita o poco
più.
Aveva
fatto male, un male cane, tanto forte da desiderare strapparsi il
braccio che ora gli penzolava a lato semimorto e con la manica che lo
ricopriva rossa di sangue.
Lo
stesso braccio che gli inviò una nuova e lancinante fitta di
dolore tale da fargli serrare gli occhi e strappargli un gemito.
Mello
si appoggiò con la spalla buona al muro di mattoni che
formava il vicolo in cui si era infilato, ricominciando ad ansimare
pesantemente.
Dopo
che era riuscito in qualche modo a strisciare fuori da quei detriti di
calce e ferro, si era issato in piedi e aveva iniziato a correre
scompostamente verso l’interno della città, con
una scia scarlatta alle spalle e una mano premuta sul lato sinistro del
viso.
Ormai
la parte superiore della maglia era andata, tanto era piena di sangue
ormai quasi secco che gli era colato dalla ferita alla faccia e che
aveva solo da poco accennato una diminuzione.
Però
faceva ancora assurdamente male.
E
di certo quella corsa forsennata e fortemente traballante a cui si era
forzatamente sottoposto non aveva certo aiutato il suo corpo a
riprendersi.
Il
ragazzo strinse di nuovo i denti quando un’altra fitta di
dolore gli attraversò il corpo e con
un’esclamazione soffocata appoggiò la schiena alla
parete fradicia lasciandosi poi scivolare a terra.
Sentì
per un attimo il raschiare del mattone sulla nuca e sul dorso, prima di
atterrare sul cemento, inzuppando i pantaloni scuri nel giro di pochi
secondi.
“Diamine.
Mi ci vorrà almeno una settimana per rimettere a posto i
capelli” si disse accarezzando con fare distratto una ciocca
della chioma dorata che si era appiattita e attaccata al capo per via
dell’acqua.
Il
giovane alzò il capo verso il cielo nero dalla notte e dalle
nubi, riuscendo a calmare un po’ il pesante respiro.
L’acqua ghiacciata prese a colpire il suo volto tumefatto,
donandogli un po’ di sollievo.
Era
vivo.
Lo
era sul serio.
Poteva
ancora andare avanti.
Ma
per farlo avrebbe avuto bisogno di aiuto, avrebbe avuto bisogno di... lui.
Spostò
stancamente la testa in direzione della strada più ampia,
lontana pochi metri.
Pioveva
forte, pioveva davvero forte.
Questo,
sommato all’ora tarda, aveva svuotato le strade e le vie,
solo qualche macchina di passaggio sfrecciava di tanto in tanto
sull’asfalto bagnato, spruzzando acqua piovana
tutt’intorno.
Ed
ecco, contro la luce di un negozio di abbigliamento chiuso,
l’oggetto che lo aveva spinto lì: una cabina del
telefono.
Con
l’avvento del cellulare, quel metodo di
comunicazione stava venendo rimosso sia dalle strade sia dalla mente
delle persone, ma quella che si stagliava davanti al biondo era stata miracolosamente
risparmiata.
Fin
dal primo istante che l’aveva vista confusamente
sfrecciandovi accanto in auto, aveva capito che poteva essere un buon
aiuto in caso di necessità.
Come
allora.
Un’
auto nera entrò nel suo campo visivo mentre correva lungo la
strada, oscurandone la visione e il ragazzo ebbe per un
attimo l’infantile timore che una volta passato il veicolo,
quello sgangherato abitacolo sarebbe sparito.
Non
aveva più tempo per riposarsi, doveva muoversi.
Aveva
perso troppo sangue e doveva spicciarsi a farsi medicare.
Raccolse
le poche forze che gli rimanevano e puntando una mano contro il muro
alle sue spalle, si diede una spinta per issarsi in piedi con un
rantolo di dolore e stanchezza.
Si
portò al limite del vicoletto e sporse la testa fuori, per
assicurarsi che non ci fosse nessun testimone.
Nulla
a destra.
Neanche
a sinistra.
Di
macchine, nemmeno un paio di fari in lontananza, la luce veniva tutta
dai negozi chiusi e dalla fila di lampioni sul lato opposto della
strada.
Il
biondo percorse quindi i pochi metri che lo separavano dal telefono con
una breve corsetta e si appoggiò pesantemente al battente di
vetro per avere accesso alla cabina.
Se
possibile, dentro faceva ancora più freddo che fuori.
Il
corpo di Mello venne scosso da tremiti che confermarono alla mente del
ragazzo che stava per cedere all’incoscienza.
Il
biondo poggiò il braccio sull’apparecchio, scaricandoci sopra il peso del corpo, piegato in due e ansimando più che pochi minuti
addietro. Gli erano bastati pochi secondi di movimento per ridurlo
anche peggio di prima, cazzo! Con i contorni delle immagini davanti
agli occhi che iniziavano a perdere consistenza, il giovane
frugò nel giubbotto e ficcò debolmente
nell’apposito spazio le poche monete che riuscì a
trovare in tasca.
Sperava
davvero che fossero sufficienti quantomeno per un minuto di chiamata, o
sarebbe morto dissanguato sul serio.
Quasi
come un automa digitò un numero telefonico, dovendo sempre
fare una pausa di almeno un secondo tra una cifra e l’altra.
Poi
afferrò la cornetta e la portò
all’orecchio, mentre le sue gambe gli inviarono un cenno di
cedimento.
Stentando
a tenere gli occhi aperti, Mello fu costretto ad appoggiare la schiena
sul vetro schizzato di pioggia intanto che il lungo “tut” che
precedeva la chiamata gli rimbombava nelle orecchie.
“Rispondi,
Rispondi, Rispondi, Rispondi, Rispondi!”
-
Pronto? Chi osa disturbare un giocatore nell’ultimo livello
di un gioco da sballo? -
La
voce squillante e infastidita gli arrivò come poco
più di un’eco indistinta.
-
Matt...-
Fu
tutto ciò che riuscì a mormorare prima di cascare
per terra.
-
Mello? - la voce dall’altra parte del ricevitore si fece ad
un tratto sorpresa e vagamente preoccupata.
-
Mello sei tu? -
-
Sta zitto, Matt. Non so quanto posso stare in linea, quindi fammi
parlare - ogni frase era sussurrata tra un lento, pesante respiro e
l’altro.
-
Sono morti tutti, e quei bastardi degli sbirri giapponesi mi hanno...
portato via il quaderno. Vienimi a prendere, o ci lascio la pelle anch’io stavolta -
Il
biondo dovette interrompersi per emettere un sofferente gemito in
reazione a una fitta al braccio.
Sentì
armeggiare dall’altra parte dell’apparecchio.
-
Capito, capito. Ti sei fatto fregare, ne? Dimmi solo dove devo venire -
-
Evita i tuoi commentini da strapazzo. Sono... sono alla cabina sgangherata
vicino al negozio d’abiti -
Ci
furono un paio di secondi di silenzio.
-
Ah, sì! Ho capito dove sei. D’accordo, vengo. Tu
cerca di non schiattare finché non arrivo -
-
Ma va al diavolo -
-
Ehi! Riesci a rompere anche se sei in punto di mo... -
Il
rosso non potè aggiungere altro che Mello gli aveva sbattuto
il telefono in faccia, con un rantolo.
Quell’idiota
riusciva a fare dello spirito anche sapendolo praticamente con un piede
nella fossa?
Ma
roba da matti.
Stranamente
però, si ritrovò a sorridere ripensando un attimo
a quello scambio di battute.
Matt
stava arrivando.
Doveva
resistere ancora un po’.
Solo...
un po’.
Non
poteva restare lì, se qualcuno fosse passato sarebbe stata
la fine, contando poi che il pavimento della cabina stava
già sporcandosi del suo sangue.
Doveva...
nascondersi.
Ma
già era difficile tenere quei maledetti occhi aperti...
Tump
***
Quando
aprì gli occhi, tutto gli risultò sfocato per un
paio di secondi, prima che riuscisse a rendersi conto di essere
effettivamente vivo e cosciente.
Tutto
ciò che riusciva a vedere era un soffitto rossastro e
scrostato qua e là, con una ventola cadente appesa al
soffitto.
Sbatté
un paio di volte le palpebre, ancora confuso.
Sentiva il picchiettare della pioggia su un vetro e voltando leggermente
il capo verso sinistra, potè vedere una finestra sporca
tartassata dalla pioggia battente.
Ma
il colore delle nuvole che opprimevano il cielo era un grigio perla che
gli comunicò chiaramente che dalla sua fuga rocambolesca ne
era passato di tempo.
Doveva
essere svenuto, alla fine.
E
doveva essere rimasto incosciente per un bel po’.
Il
biondo voltò di nuovo il capo verso il soffitto, analizzando
la sua condizione fisica.
Qualcuno
gli aveva fasciato il braccio e il busto e un’ampia benda
nascondeva la parte sinistra del suo volto, occhio compreso.
Si
chiese per la millesima volta per quale miracolo fosse riuscito a
salvarlo.
Era
sdraiato su un grande divano rosso cupo e il suo corpo era protetto
unicamente da una spessa coperta.
Il
dolore lancinante delle ferite si era quantomeno attenuato, ma gli
sembrava di avere il braccio destro ancora trapassato da decine di
aghi.
Fece
sgusciare fuori dalla coltre la mano buona e la portò
stancamente sul capo, appoggiandone il dorso sulla fronte e chiudendo
gli occhi con un lungo sospiro.
Dura,
la vita del criminale.
In
quella, gli arrivò alle orecchie una debole
musichetta elettronica, tutta uguale.
A coprirla ogni tanto, alcuni strani rumori non ben identificati, ma per Mello
non fu difficile immaginare cosa potesse essere.
Voltò
svogliatamente la testa verso desta e mise a fuoco la figura di un
ragazzo di poco più giovane seduto sul bordo di una vecchia
poltrona, piegato su una console portatile con un’espressione
serie e concentrata.
Le
sue dita si muovevano con frenetica esperienza sui tasti del game-boy e
sulle lenti arancioni degli occhiali abbassati sugli occhi si
riflettevano due immagini gemelle del gioco in corso.
Per
una volta, non aveva nulla in bocca.
Mello
prese a fissare inespressivamente il velocissimo giocare
dell’amico, senza che nulla di decente da dire gli passasse
in testa se non un banale “grazie per esserti degnato di
venirmi a salvare la vita”.
Così
stette in silenzio.
E
alla fine Matt alzò un secondo gli occhi, per degnare il
compagno, che lui credeva ancora dormiente, di un’occhiata.
E
lo trovò, sveglio e con un braccio sulla fronte, che lo
fissava impassibile.
Si
guardarono un paio d’istanti negli occhi, entrambi seri,
prima che la fastidiosa musichetta del game-boy cambiasse di colpo e
una voce bassa e metallica sentenziasse “Game Over”.
Matt
riabbassò di scatto la testa verso il gioco e
constatò che effettivamente la scritta rossa della fine del
gioco lampeggiava sullo schermo. Sul suo volto comparve
un’espressione no sconvolta, di più.
-
Come sarebbe a dire Game Over, gioco del cavolo?!! -
Mello
uscì leggermente dalla protezione offerta dalla coltre e
facendo leva sui gomiti riuscì ad alzarsi un po’,
per poi appoggiarsi sul bracciolo del divano, mentre un sorrisetto che
cercava di sopprimere faceva comunque capolino sulle sue labbra.
Aveva
sempre quelle reazioni esagerate quando si trattava di vincite e
perdite a uno dei suoi amati videogames.
-
Ma va al diavolo - sibilò tra i denti il rosso spegnendo con
violenza la piccola console e lanciandola con mal grazia sul tavolino
di legno posto di fronte alla poltrona, per poi ficcare le mani in
tasca stravaccarsi contro lo schienale di questa e infossare la testa
tra le spalle, prendendo a mangiucchiarsi la cerniera della giacca con
un’espressione crucciata e infantile in volto.
E
a quel punto per il biondo fu quasi impossibile trattenere una risata
divertita, di fronte alla posizione del rosso.
-
Che cos’hai da ridere?! Dovresti sentirti almeno un
po’ in colpa visto che ho perso per colpa tua -
soffiò irritato il più giovane dei due.
Presto
Mello si calmò del tutto, anche perché il suo
corpo gli fece pagare caro quello scoppio di ilarità con una
poco piacevole fitta.
-
È che sei rimasto uguale -
-
Eh? -
Matt
sollevò un po' il capo con un’espressione
leggermente sorpresa.
Il
biondino si sistemò, mettendosi più comodo, prima
di spiegarsi con un sorriso rilassato in volto.
-
Anche alla Wammy quando perdevi ai videogiochi ti mettevi in quella
posizione -
Un
verso sorpreso sfuggì dalle labbra di Matt, a quel ricordo
sull’orfanotrofio.
Loro
non parlavano praticamente mai del loro passato alla casa di Wammy.
Uno
strano silenzio, né freddo, né pesante, ma
sfumato di tristezza scese nella stanza, interrotto solo dal
ticchettare della pioggia.
-
Già, è vero... -
Disse
Matt dopo una decina scarsa di secondi, con un sorriso tra l’amaro e il
mesto, tirandosi un po’ su.
Un
malinconico mutismo tornò ad aleggiare sui due.
-
Ma lo sai che è strano? -
Il
biondo sollevò incuriosito la testa che aveva abbassato poco
prima.
-
Quando eravamo piccoli ero sempre io quello che veniva da te
chiedendoti aiuto, eri sempre tu quello che mi veniva a salvare quando
gli altri mi picchiavano... -
Mello
rimase in silenzio.
-
E invece adesso, sono stato io a venirti a salvare a tanto
così dalla morte, sono io che sto aiutando te dandoti un
rifugio e facendo curare le tue ferite -
Mello
seguitò a rimanere zitto, mentre Matt faceva una pausa e
distoglievo lo sguardo.
-
Mi hai fatto prendere un colpo ieri sera -
Il
rosso si portò una mano sul viso e sollevò gli
spessi occhialoni arancioni fino a metterli tra i capelli, per poi
passarsi una mano sul viso con fare stanco.
Due
pesanti occhiaie violacee saltarono all’occhio di Mello.
-
Io sono arrivato, e ti ho trovato in un lago di sangue nella cabina del
telefono. All’inizio pensavo davvero che fossi morto -
Fece
un’altra pausa, passandosi la mano anche sulla bocca.
-
Poi però ho notato che respiravi ancora e ti ho portato via.
Non ho osato dormire per tutto il resto della notte. Avevo paura che mentre dormivo il tuo cuore avrebbe smesso di battere -
Abbassò
gli occhi, non sapendo che altro dire.
Anche
Mello scostò lo sguardo azzurro e questo cadde
involontariamente sul portacenere posto sul tavolino, stranamente
immacolato.
Assurdo!
Era la prima volta da anni che non vedeva un oggetto del genere vuoto a
così poca distanza dall’amico d’infanzia.
-
Matt? -
Il
rosso alzò lo sguardo sul biondo sdraiato sul divano.
-
Ma stai male? -
Matt
alzò il sopracciglio assumendo un’aria
interrogativa.
-
Era una vita che non ti vedevo fumare, Cos' hai? -
Mello
spostò lo sguardo che fino ad allora aveva mantenuto sul
tavolino per andare a incontrare gli occhi blu del compagno, con una
leggera sfumatura preoccupata.
Matt
distolse lo sguardo, impacciato.
-
Ho finito le cicche mentre aspettavo che ti medicassero -
mugugnò.
-
Matt... - il tono del biondo si fece sarcastico, chiaro segno di quanto
poco ci credesse.
-
La tua scusa non sta in piedi. È da un sacco di tempo che
fumi, non è mai successo nemmeno una volta che tu rimanessi
senza sigarette. Se non stai fumando, lo fai solo perché non
vuoi -
Un
sorrisino colpevole e imbarazzato si fece spazio sulla faccia del
rosso, mentre si stringeva nelle spalle.
-
Avevo paura che ti desse fastidio - confessò con un filo di
voce.
Mello
spalancò gli occhi dalla sorpresa, mentre inconsapevolmente
le sue labbra si socchiudevano.
Non
aveva acceso nemmeno una sigaretta per l’intera notte per...
non dargli fastidio?
-
Sì, insomma... stavi male... di certo non ti avrebbe fatto
bene farti intossicare dal mio fumo, no? -
Cercò
di sminuire la cosa, ancora più imbarazzato di fronte
all’espressione shoccata dell’amico.
-
Mi fai paura quando fai il sentimentale, te l’ho mai detto? -
il tono di Mello era ancora mezzo sconvolto.
-
Ehi! Io cercavo solo di fare il gentile visto che eri moribondo! Un
semplice segno di apprezzamento non ha mai ucciso nessuno, sai? - il
rosso scostò di nuovo lo sguardo dal volto martoriato di
Mello, rificcandosi la chiusura della lampo in bocca. Lo sapeva che non
doveva darsi tanta pena per quel mafioso del cavolo.
Mello
tornò a sdraiarsi completamente sul divano rosso,
riprendendo a fissare il soffitto.
Matt,
irritato dal suo silenzio afferrò di nuovo il Nintendo ds e
dopo essersi sistemato meglio contro lo schienale della poltrona, lo
accese e riprese a giocare con uno sbuffo.
“Idiota”
fu quello che si disse il ragazzo più vecchio mentre il
rumore della pioggia che ora batteva meno forte veniva soverchiato
dalla musica metallica del videogioco.
“Sei
solo un idiota Mello. Lui ti ha salvato la vita, non ha chiuso occhio
per te e ha addirittura frenato la sua dipendenza dal fumo per non
darti fastidio e tu non gli chiedi nemmeno scusa per averlo fatto
preoccupare in quel modo. Fai schifo” il giovane
spostò lo sguardo e lo posò nuovamente sugli
affaticati di Matt, fissi sul videogioco.
“Dai
scemo. Non sarà certo la fine del mondo, anzi. Devi solo
piantarla di fare il pezzo di marmo per qualche secondo, tutto
qua”
Rispedì
gli occhi a fissare la ventola sopra di lui.
-
Ehi, Matt -
Un
mugugno scocciato arrivò in risposta.
-
Senti... ehm...-
Si
concesse un leggero sospiro mentre chiudeva un attimo gli occhi.
Era
sempre stato negato per quelle cose.
-
Grazie -
Colse
con la coda dell’occhio il movimento della testa
dell’altro che si alzava verso di lui.
-
Hai ragione, quando eravamo bambini ero io la figura di riferimento.
Ero sempre io ad aiutare te se eri nei guai -
Mello
si concesse una pausa mentre tornava a specchiarsi negli occhi blu
dell’amico.
-
Direi che i ruoli sono un pelo cambiati da quando è iniziata
questa follia -
Voleva
cioccolata.
Poi
si ricordò che era tutta nell’edificio che aveva
brillantemente fatto saltare in aria.
Poco
allegro...
- Grazie per avermi salvato la vita e per tutto quanto. Se non
c’eri tu ormai sarei già nella tomba -
Per
la stanza si udì nuovamente un debole “Game Over”,
ma nessuno dei due ragazzi ci fece più di tanto caso.
Mello
sentì che la situazione stava diventando troppo melensa e
decise di darci un taglio.
-
Comunque, ricorda che se avrai bisogno, io sono qua -
Lo
zucchero poteva abbondare solo e soltanto nel suo cioccolato.
Si
voltò quindi su un fianco, nascondendosi allo sguardo di
Matt e tirandosi le coperte fino a quasi coprirsi la bocca.
Sentì Matt che appoggiava nuovamente il game-boy e che
apriva la lampo, poi un trafficare, infine il classico infiammarsi di
un accendino e l’ancora più familiare sbuffo di
fumo.
Cara
vecchia, serena realtà...
Il
mafioso chiuse gli occhi mentre l’immancabile odore di fumo
gli arrivava alle narici.
Aveva
voglia di farsi un’altra dormita, doveva riprendersi il prima
possibile.
-
Ehi, Mello -
Come
non detto.
Il
biondo si voltò nuovamente facendo cigolare il vecchio
divano.
-
Questa l’ho comprata stamattina all’alba, quando
ormai ero sicuro che saresti tornato nel regno dei vivi -
Disse
con tono scherzoso il rosso ricominciando a frugare nella tasca interna
del giubbotto che non si era tolto di dosso dalla sera prima.
Poi
afferrò qualcosa e lo gettò con un tiro perfetto
sulla coperta che proteggeva l’amico, a livello dello
stomaco.
Mello,
sorpreso, estrasse il braccio sano dal calore offerto dalla coltre e
prese con incredula gioia la stecca incartata di finissimo cioccolato
fondente, mentre si sollevava e riusciva a mettersi in posizione seduta.
-
Senti, è inutile che facciamo inutili discorsi
sull’ordine gerarchico, tu sei e rimarrai il mio capo. Io
sono e rimarrò sempre il trafficante che ti da una mano a
cavarti dai guai -
Si
interruppe per concedersi una lunga, sospirata boccata di fumo e
successivamente buttarla fuori, mentre l’altro biondino stava
già svolgendo la carta stagnola.
-
Ti va bene la cosa? -
Mello
stacco un grosso morso di cioccolato e la masticò
lentamente, prima di rispondere con tono deciso.
-
Ovvio che sì. E tu sei disposto ad aiutarmi a portare Kira
sul patibolo? -
Cadde
per pochi secondi un silenzio eloquente sulla stanza, mentre i due
ragazzi presero a fissarsi con una luce di sfida negli occhi.
Un
sorriso determinato si delineò sulle labbra di entrambi.
-
Fino alla morte -
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