BURN
Capitolo Uno
Il suo cavallo si era innervosito, tutta l'imbracatura non riusciva a
fermare quella sensazione che entrambi stavano provando da qualche
tempo a quella parte. Il Mastino e il suo animale, a capo di quella
spedizione che da giorni si stava spostando verso nord, erano certi che
qualcuno li stesse osservando da tempo.
L'uomo
volgeva il capo a destra ed a sinistra con fare ripetitivo, gli occhi
penetravano le foglie ed i rami alla ricerca della fonte del prurito
che percepiva alla base del collo. La bestia sembrava annuire in
rimando, con gli zoccoli che scalciavano il terreno ogni qual volta
l'uomo sulla sua schiena gli imponeva di fermarsi.
Gli uomini
alle loro spalle continuavano a chiacchierare rumorosamente, certi che
nessuno mai li avrebbe attaccati. Quelle erano le loro terre, le terre
dei loro padroni e della borsa che li pagava, nessuno avrebbe mai avuto
il coraggio di scagliare una freccia nella loro direzione, se non per
sostenerli in battaglia. Oltretutto, quelle erano foreste popolate da
boscaioli, poveracci buoni a nulla che non guadagnavano mai abbastanza
da poter pagare le tasse dei loro signori.
I Lannister.
Gli uomini
alle spalle del Mastino sapevano che si trovavano in quella parte del
regno soltanto perché qualcuno di quei morti di fame non
stava pagando quanto dovuto ai loro signori protettori. Una delegazione
di dieci uomini per riscuotere le imposte di qualche contadino che
probabilmente non avrebbe visto la fine di quell'estate iniziata da
poche lune.
Il Mastino
era stanco di servire soltanto come cane da riporto dei suoi padroni,
ma non discuteva gli ordini, soltanto la qualità dei mezzi e
dei soldati di cui era a capo.
Gli uomini
alle spalle erano soltanto degli idioti. L'ultima cosa da fare era
affidarsi a loro ed alle loro spade arrugginite. Era meglio continuare
senza destare sospetti, si disse. Forse anche i briganti attorno a loro
si trovavano nella più totale ignoranza, ma non poteva
sottovalutarli.
Tolse la
mano dall'elsa della sua spada e sciolse la presa nervosa sulle redini
del suo animale. Fingere era l'unica alternativa possibile.
I due
soldati alla testa della fila si passarono in silenzio il vino. Poteva
sentirne distintamente l'odore e sentì subito il bisogno di
attingere alla sua riserva, appesa ad un gancio di cuoio della sua
sella, ma mai se ne sarebbe concesso un sorso. Una distrazione del
genere poteva costare la vita sua e dei soldati che lo accompagnavano,
ma teneva più alla sua pelle dura e deformata che a quella
dei suoi uomini.
"C'è
una casa in lontananza.", sentì dire.
Grugnì
qualcosa in assenso e decise di aumentare il passo. Quando fu
abbastanza vicino alla proprietà, un uomo con un'ascia nella
mano sinistra spuntò dal retro della catapecchia in pietra e
legno. Aveva qualche anno in più del Mastino ma le dita
grosse e spigolose stringevano l'arma con forza e decisione. Il cuoio
che indossava sopra gli abiti logori aveva visto troppe estati ma
nell'aspetto dell'uomo si leggeva una grande fierezza. Non si sentivano
voci di donne, forse si erano nascoste in qualche anfratto della casa.
Il rumore della compagnia in viaggio si poteva sentire per chilometri e
chilometri, aveva dato loro abbastanza tempo per mettere in un sacco i
pochi possedimenti e fuggire.
"A cosa
devo la vostra visita?", chiese con un tono che traspariva poca
cortesia.
"Non avete
pagato le tasse."
Il Mastino
si voltò. Il soldato che aveva pronunciato quelle parole
strozzò ogni suono in gola, bruciato dallo sguardo del suo
capitano.
"Non ho
denaro. Potete prendere quanta legna volete.", rispose l'uomo.
Il Mastino
alzò la sua mano destra, due dita levate al cielo come per
chiamare l'attenzione dei suoi.
Un dolore
lancinante alla nuca gli tolse il fiato e si propagò per
tutta la testa. Le mascelle si strinsero e gli occhi si chiusero, il
corpo si accasciò sul collo dell'animale. Cadde a terra e
perse i sensi, non prima di sentire il nitrito dei cavalli e le grida
dei soldati attorno a lui.
Si
risvegliò lentamente, la luce del giorno solleticava la
pelle del suo viso e lo riscaldava dolcemente. Un fischiettare allegro
ed un rumore legnoso provenivano da un punto imprecisato alla sua
sinistra ma comunque vicino a lui. Ebbe sete ma un panno dal sapore
sgradevole gli chiudeva la bocca, una palla chiusa tra i denti che gli
rendeva difficile anche la respirazione.
Scivolò
di nuovo nell'oscurità, come se una forza a lui sconosciuta
avesse improvvisamente risucchiato ogni forza.
Un secchio d'acqua gelida venne gettato sul suo viso ed il Mastino si
svegliò ansimando. Risucchiando aria le sue pupille poterono
focalizzarsi sull'ambiente circostante. Aveva bisogno di riprendere
possesso di sé in fretta, altrimenti non sarebbe riuscito
vivo dall'agguato.
Il bosco gli era familiare, non doveva trovarsi molto lontano dal luogo
in cui i briganti lo avevano atterrato. Dovevano averlo colpito con una
pietra lanciata da una fionda: si toccò la nuca e subito il
gonfiore lanciò saette di dolore per tutta la sua testa.
Vide del sangue sulle dita, ma non così tanto da distogliere
l'attenzione dalla corda che legava i polsi.
Fine, troppo fine per poterlo arrestare.
La poca forza che aveva recuperato non gli permise comunque di
strappare le fibre e cercò subito il coltello che teneva in
vita. Con suo stupore lo trovò al suo posto e non perse
altro tempo, doveva liberarsi, tagliare via la corda e fuggire.
Nessuno attorno a lui, era solo.
Non riusciva ad impugnare bene l'arma ma sapeva che quel filo esile non
poteva che rompersi.
“Finirai per rompere il taglio della lama.”
Un calcio lo colpì proprio sulle mani e il coltello
volò via. Gli occhi del mastino seguirono il profilo delle
gambe del suo carceriere ma non riuscì a salire oltre il suo
bacino. Gli era difficile piegare la testa, il dolore era ancora troppo
fresco.
Allungò le dita e tentò di afferrare la caviglia,
ma strinse soltanto aria e una foglia. Lo sbilanciamento lo fece cadere
di fianco e rotolare supino. Non aveva ancora ripreso pieno possesso
del suo corpo e si sentiva come un sacco di farina caduto dal carro.
“Non ti affannare, perderai di nuovo i sensi.”
Il suono era ovattato e distorto.
“Lasciami andare.”, ringhiò.
Il carceriere si sedette a cavalcioni sul suo stomaco e gli tolse quel
poco di aria che i polmoni riuscivano a contenere. Posò una
mano su quella del Mastino, che riconobbe subito il tocco caldo di un
guanto di cuoio, mentre l'altra andò si fermò
sull'enorme cicatrice che gli sfigurava il volto, il suo marchio di
riconoscimento.
Immediatamente il Mastino tentò di mordere ma si
sentì paralizzare. Poteva respirare, muovere gli occhi e la
lingua tra i denti, ma non riusciva a spostare un singolo muscolo del
suo corpo. Il panico gli formicolò la bocca dello stomaco e
si impose di calmarsi, la lucidità era essenziale in quel
momento.
Poteva ancora sentire il peso dell'altro su di sé.
“I tuoi uomini sono morti. Sei da solo.”
L'astuzia gli imponeva di parlare, capire che cosa volesse da lui e di
conseguenza liberarsi e uccidere il suo nemico.
“Il Mastino finirà presto i suoi giorni.”
Seguirono delle parole che i suoi orecchi non percepirono, forse uno
strano dialetto che non aveva mai sentito parlare fino a quel momento.
L'altro si alzò e si allontanò, non seppe dire
quanto.
I muscoli si rilassarono completamente e gli occhi si chiusero
nuovamente.
“Bentornato a Westeros, Sandor Clegane.”
Fu il movimento ondulatorio dolce del cavallo a destarlo.
Alzò la testa, ora non più dolorante, e
i capelli neri della persona seduta davanti a lui si
impigliarono con la barba incolta di giorni. Viaggiavano entrambi sul
medesimo cavallo. Il suo cavallo.
Le braccia del Mastino circondavano la ragazza, i polsi di nuovo legati
con quella corda fine ma indistruttibile.
Una donna, si disse, sei stato messo a terra da una donna che ha poco
meno dei tuoi anni.
Una donna che, invece di starsene a casa a partorire figli, se ne
andava in giro vestita come un uomo e con una spada legata al fianco.
Sputò rabbiosamente il catarro che si era accumulato nella
sua gola. Riusciva a pensare a mille modi diversi per potersi liberare
ed il più semplice di tutti era disarcionarla. Gli bastava
soltanto stringere le braccia e portarsela giù dal cavallo,
a terra, in quel modo l'avrebbe stordita per la sorpresa ed avrebbe
avuto il tempo di risalire verso il collo e romperlo in un istante.
Si trattenne.
Osservò ciò che lo circondava. Direzione
sud-ovest, un ruscello scorreva alla loro destra. Non si vedevano case
o segni della presenza di uomini, se non per quel rivolo disegnato a
terra. Non si trovavano in luoghi a lui familiari, dovevano essersi
spostati di diversi chilometri dal momento in cui erano stati attaccati.
“Hai sete?”, gli chiese.
Grugnì un sì.
Continuarono a percorrere il sentiero.
“Posso avere dell'acqua?”
“Certo.”
Il passo lento ma deciso del cavallo non venne fermato. Stupide donne
che non sanno stare al loro posto.
“Non posso prenderla.”
La ragazza si voltò quel poco che le bastava ad avvicinargli
alle labbra la borraccia di cuoio.
“Dove mi stai portando?”, le chiese dopo aver
tracannato quanta più acqua poté.
“Dove potrò fare giustizia.”
Roteò gli occhi e sbuffò, gli venne quasi da
ridere. Donne. Non aveva mai conosciuto migliori portatori di rancore.
Erano imbattibili, nessun uomo era capace di covare così
tanto odio verso una persona.
Ci sono eccezioni.
Lui non sapeva dirsi quale torto poteva averle arrecato o chi dei suoi
cari aveva ucciso in passato, tanto da costringerla a tendergli un
agguato in mezzo al bosco mentre riscuoteva le tasse per conto del
vecchio Lannister.
Purtroppo non sarebbero venuti a cercarlo presto, dato che nessuno
aspettava il loro rientro prima di almeno due settimane.
“Quante notti sono passate da quando ci avete
attaccati.”
“Uno.”
“A breve saranno sulle nostre tracce.”, le
mentì.
“Non credo, ma so anche che stai pensando di disarcionarmi e
rompermi le ossa del collo.”
Rise.
“Potrei farlo anche adesso.”
“Avanti.”
La ragazza scostò i capelli neri e lisci e li raccolse sulla
spalla destra. Il cuoio della tunica era ben lavorato e si chiudeva con
precisione attorno al suo collo, regalandogli una presa perfetta.
Avrebbe anche potuto morderla e lasciarla dissanguare.
“Arriveremo a destinazione ben prima che i tuoi ci
raggiungano.”, disse lei, lasciando che i capelli tornassero
al loro posto.
“Non contarci.”
Rimasero in silenzio per il resto del tragitto, il Mastino ebbe modo di
pensare così tanto da scoppiare, se avesse continuato ancora
a lungo lo avrebbero fatto Maestro alla Cittadella con tutti gli onori.
Si chiese come aveva potuto una sola donna fare fuori la sua intera
squadra, era impossibile, qualcuno aveva dovuto aiutarla. Si ricordava
bene il volto del boscaiolo, la casa in pietra e la mano con cui
stringeva l'ascia. Forse era stata tutta una messinscena per farli
fermare e dare il tempo ai briganti di assaltarli, era l'unica
spiegazione convincente che il Mastino sapeva darsi. Di certo quella
ragazza non sarebbe stata in grado di farlo salire in groppa al suo
cavallo senza morire schiacciata sotto il peso del suo corpo.
Era ben armata: i suoi pugni legati toccavano un coltello stretto nella
cintura, con cui riusciva a pensare all'ennesima via di fuga.
Probabilmente la ragazza teneva anche qualche piccola lama nascosta
nello stivale e, ora che si era voltato, il Mastino vide anche un arco
e delle frecce appese alla sella, assieme ad un sacco da spalla.
Notò anche la bella decorazione che adornava l'elsa della
spada, la cucitura perfetta dei vestiti ed il buon tessuto. Il cuoio
era di una lavorazione abbastanza pregiata.
La donna non era una popolana ma sicuramente la figlia di qualche
signorotto locale. Uno che si era dimenticato di insegnare alla propria
prole quali erano i veri doveri di una donna. Controllò bene
l'elsa in cerca di qualche indizio sulla sua identità.
“Chi sei.”, le domandò, terminando
così il silenzio.
“Ellyn.”
“A quale casata appartieni.”
“Nessuna.”
Il Mastino sogghignò.
“Indossi abiti ed armi costose.”
“Li ho comprati con soldi rubati.”
Con una mossa veloce Ellyn si liberò dalle sue braccia,
ancora legate attorno a lei, e scese dal cavallo. In quell'istante il
Mastino ebbe l'impulso irrefrenabile di afferrare le briglie del
cavallo, calciare e fuggire al galoppo. In un giorno e mezzo avrebbe
sicuramente raggiunto la pattuglia che lo stava già cercando.
Scese dal suo animale con un salto non troppo agile.
“Raccolgo qualche legno per riscaldarci.”, gli
disse.
“Così faciliterai il lavoro dei miei
uomini.”
Fu Ellyn a ridere. Indicò una pianta centenaria e scura alla
sua destra.
“Siediti vicino a quell'albero. Passeremo la notte
qui.”
Obbedì, ma non senza borbottarle qualcosa alle spalle. Ellyn
raccolse abbastanza legna per scaldarli tutta la notte, un gesto
completamente idiota che solo uno stupido o una donna poteva
commettere, date le circostanze. La luce del fuoco ed il fumo avrebbero
attirato l'attenzione su di loro e il Mastino la lasciava fare, come se
fosse stato curioso di ciò che poteva fare.
Tornò anche con un coniglio panciuto e delle erbe.
“Non sai nasconderti ma spero vivamente che tu sappia
cucinare.”
Lei non rispose, né gli chiese di aiutarlo. Accese
la fiamma e poco tempo dopo l'animale spellato venne messo ad
arrostire. Allontanò un mucchietto di braci dal cuore del
fuoco e vi posò una microscopica terracotta con dell'acqua,
dentro al quale spezzò le erbe che aveva raccolto.
Quando glielo dette a bere il Mastino si rifiutò.
“Non mi interessano i tuoi intrugli, ragazzina.”
Ellyn alzò le spalle e lo bevve al suo posto. L'odore della
carne in cottura stuzzicava l'appetito ad entrambi, il Mastino si rese
conto che non mangiava da giorni. Fissava il fuoco con orrore ed una
crescente impazienza, dovette distogliere lo sguardo.
Dall'altra parte della fiamma la ragazza reggeva il suo intruglio con
le mani, una di cui chiusa in un guanto.
“Sei sfigurata anche tu, come me.”, le disse.
Lei parve non capire e le indicò la mano con un gesto del
capo.
“Cosa te lo fa pensare?”
“Se potessi indosserei anch'io una maschera, ma mi ostacola
la visione quando combatto e uccido.”
Ellyn prese un sorso del suo intruglio. I tratti del suo viso erano
piacevoli e i grandi occhi scuri sembravano voler bucare dentro l'anima
di chi la affrontava.
“Chi ti ha aiutato.”
“Nessuno.”
“E' impossibile, una ragazzina non sa combattere.”
Le labbra di Ellyn si piegarono verso l'alto.
“Secondo me ti sei fatta aiutare dai tuoi amici briganti. Il
boscaiolo era lì per aiutarti, non è vero? In
quanti eravate.”
“Te l'ho detto, ero da sola.”
“Avere una spada al fianco non significa essere un
soldato.”
Ellyn scosse la testa e si preoccupò di girare la carcassa
dell'animale.
“Se sono davvero stato svenuto fino ad oggi, come avrei fatto
a salire sul mio cavallo? Di certo non puoi aver fatto forza soltanto
sulle tue braccia.”
“Sei montato da solo.”
“Vuol dire che non ero svenuto.”
Adesso aveva preso un coltello e stava smembrando la loro cena.
“Su quella parte ti ho mentito.”
Gli porse la coscia assieme ad un pezzo di pane duro ed il Mastino li
addentò subito. La carne si sciolse tra i suoi denti.
“Non eri svenuto, eri soltanto... Non del tutto
cosciente.”
Il Mastino si avvicinò al fuoco e prese un altro boccone. La
sua fame era troppo più forte della paura, non ascoltava le
parole di Ellyn e parlava quasi senza riflettere.
“Che cosa vuoi dire.”, biascicò tra un
morso e l'altro.
“Eri abbastanza sveglio da muoverti.”
“Stai parlando a sproposito. Passami del vino.”
“Non ne ho.”
“Sei una stupida!”, ringhiò il Mastino,
“Tutti hanno del vino con sé!”
Ellyn non si scompose e finì di mangiare la sua porzione in
silenzio, leccandosi le dita. Le ossa vennero buttate tra le ceneri e i
due non ebbero voglia di riprendere la conversazione. Mentre lei
affilava le sue lame, il Mastino sentì le membra
intorpidirsi e le palpebre chiudersi.
Angolo autrice
L'ultima fanfiction da me pubblicata risale al 2010 e da quell'anno ne
è passata di acqua sotto ai ponti.
Vi ringrazio già per aver aperto, letto e/o
recensito questa storia.
Ruby :)
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