Nota
dell'autrice: ecco, lo sapevo che prima o poi sarebbe
successo... ho scritto una raccolta su Rido, Haruka e Juri. E
c'è molto di Rido O_o mi sa che il tipo emette vibrazioni
nocive per le cervella XD
I brani sono nove: il primo una oneshot, che si colloca temporalmente
per ultima, le altre delle flashfics (anteriori, ma non in ordine
cronologico... si capirà in ogni caso, e mi sembrava che
così certi argomenti risaltassero meglio).
La notte di Samhain è... questa! Il 31 ottobre, Halloween.
Il nome originario celta è Samhain e ha molti significati
interessanti.
Buona lettura.
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Come la luna piena la
notte di Samhain
L'intarsio circolare, torto su se stesso a tralci di edera,
con rettili e pomi rossi come punti cardinali era il solo particolare
visibile
nell’aria stagnante dell’anticamera, persino ai
suoi occhi inumani. La lancetta
delle dodici scattò, trafiggendo uno dei draghi.
Dodici
lugubri lamenti. Tutto il resto, silenzio.
Incapace
di resistere oltre, Juri attraversò la stanza e
afferrò la maniglia con tanta forza da troncarla. Il pezzo
d’ottone le restò
sul palmo, spolverato di segatura.
Lo
scagliò lontano, incurante dei danni.
Stessa
sorte toccò allo stolido portone di bronzo, dei cui
bassorilievi rimase un negativo sulla parete esterna.
Non era
da lei comportarsi così ― ma s’era stancata di
pazientare.
Foglie
morte cominciarono a sbriciolarsi sotto i suoi piedi.
Erano dappertutto, a perdita d’occhio, come un tappeto sporco
steso sul
giardino; lo facevano somigliare a una di quelle sculturine di sughero
rinsecchito che si conservano sotto vetro, passate di ava in nipote,
sempre
uguali e sempre più decrepite.
Spendendo
un discreto sogghigno al paragone, la vampira
proseguì.
Almeno il
tempo era dalla sua parte: il buio esterno, anche
se meno fitto di quello in villa, dove l'atmosfera era densa e fredda
come la
nebbia, l’avrebbe celata agli occhi indiscreti.
Balzò oltre un rivo
artificiale, s’aprì un passaggio tra i cespugli di
rododendro carichi di fiori
appiccicosi e fece perdere le proprie tracce.
Oh, non
per molto, non s’illudeva.
Se
c’era una cosa che non poteva fuggire, quelli erano gli
obblighi del suo casato.
Sedette
fra le braccia piangenti di un salice, stanca,
scegliendo il posto a caso. Uno valeva l’altro…
finalmente una scelta priva di
implicazioni politiche o sentimentali.
Raccolse
le mani sulle ginocchia, posandovi il mento.
Una lieve
brezza odorosa di humus suonò gli specchietti
appesi tra le foglie, appesi un tempo da bambini felici, e il delicato
baluginio occhieggiò all’alone della luna
cancellata. Un guizzo nello stagno.
Juri fu
colta da un ricordo.
Sì,
quel posto sapeva di Rido.
Sorrise
con amarezza, poiché la memoria di un fratello
avrebbe dovuto portare calore e piacere; era normale. Ma quale sorella normale
sarebbe stata fidanzata con quel fratello? E quale, concedendo che
fosse ammissibile,
l’avrebbe rifiutato dopo quasi duemila anni di fidanzamento?
Non
è colpa mia, pensò di ribattere. Non
l’ho scelto io.
Quando sono
nata altri avevano deciso per me.
Ma
sarebbe stata una menzogna e lei non voleva conficcare
quell'ultima spina sacrilega nella carcassa che era il loro rapporto.
Se Rido
aveva decretato la fine di tutto, lei ne aveva deciso
l’inizio, e quella
responsabilità le sarebbe gravata sulle spalle per sempre,
nel bene e nel male.
Era
successo proprio quel giorno. Pensosa, si chiese come
stesse affrontando il colpo quella mente volubile e collerica, abituata
al
dileggio e alla malizia. Rabbia e disperazione ribollivano…
le aveva viste. O
se l’era immaginate?
No, lo
conosceva troppo bene. E non se ne pentiva.
Premette
più forte sulle ginocchia.
Chissà
quando aveva iniziato a temere Rido? Se cercava tra i
ricordi un momento preciso non lo trovava: era stato un avvelenamento
graduale
e discreto. Un tempo erano stati fratelli molto legati, tutti e tre.
Non a
caso, nei corridoi delle casate perbene si vociferava che l'etichetta
nobiliare
avesse cominciato a morire proprio con loro.
A
quell'epoca scorrazzavano ovunque, senza remore, caparbi e
il più lontani possibile — consapevolmente o meno
— dall'ideale pensato per
loro; almeno finché la realtà non aveva
dimostrato con durezza che fingere di
non vedere le responsabilità era ben diverso dal cancellarle.
Rido ne
era rimasto indignato. E aveva preso in mano la
situazione.
Da sempre
portato per il comando, per i sotterfugi
intelligenti, e figlio primogenito, da quel giorno prese a strapparli
col suo
potere alle grinfie di adulatori e precettori. Detestava quella gente.
Al
diavolo tutti. Meglio starsene al loro rifugio segreto.
E con
quelle parole la prendeva in braccio, anche quando
ormai pesava troppo, prendendola in giro. Le sue proteste adirate lo
facevano
ridere.
Accoglieva
con una risata anche le battute di Haruka.
Era a
quel tempo che l'affetto fraterno s'era trasformato in
un qualcosa di più complesso, misto a ingenuità e
fascinazione. Aveva amato
Rido. A che sarebbe servito negarlo? Quel fratello sicuro e volitivo
l'aveva
posta (e forse la poneva ancora) al di sopra di ogni cosa, la
divertiva, le
insegnava, era destinato a lei. Era suo. E lei ne era felice.
Nessuno
li avrebbe mai separati.
Non
poteva immaginare che i loro nemici più pericolosi
sarebbero stati i secoli che li separavano dalle loro nozze. Quei
decenni
silenziosi finirono per oltrepassarli con lenta violenza, sfiorandoli
appena —
in apparenza.
Finché
erano insieme nulla sarebbe cambiato.
Ora si
rendeva conto di essere stata una stupida. Nella
propria ingenuità, ubriaca di spensieratezza, non era
riuscita a vedere che il
veleno dei Kuran strisciava sotto la pelle di suo fratello…
soffocando il lato
gentile del suo carattere e inasprendo quello autoritario. Non s'era
accorta
che, a furia di coprire per loro, i sotterfugi si trasformavano in
complotti; i
sorrisi, in ghigni sarcastici; l'affetto in gelosa avarizia.
Stare
insieme era divenuto difficile, un crescente disagio
sotto i suoi occhi predatori, mossi dall'incertezza, dal sospetto. E
lei,
compagna divenuta oggetto, una corona trionfale da ostentare davanti a
tutti,
aveva concepito la paura.
Nessuno
la guardava per ciò che era veramente.
Sotto gli
occhi del concilio, dei parenti e dei vassalli,
sarebbe avvizzita senza morire per molto tempo, come la falena
succhiata dal
ragno, prigioniera di un ruolo e di un marito incapace di comprendere
l'assurdità delle finzioni di corte.
Haru…
Quel nome
interruppe la catena di tristi pensieri.
Già,
non tutti. Qualcuno aveva visto. Qualcuno sapeva.
Haruka:
l'ancora della sua vita, del suo spirito, il suo
migliore amico. Se non ci fosse stato lui non avrebbe saputo che
fare… ma
forse, allo stesso tempo, quell'orribile situazione non sarebbe mai
sorta.
Sarebbe diventato tanto cattivo Rido, infatti, se non avesse dovuto
sentirsi
costantemente confrontato, misurato e comparato dalle malelingue a suo
fratello
minore? Se non avesse temuto di perderla (timore fondato, alla fine)
durante il
confronto?
Forse no.
O forse
sì.
Juri
strinse le labbra. Non aveva più importanza, purtroppo.
Non
avrebbe mai dimenticato la notte in cui, davanti ai suoi
occhi e ignorando il suo grido scioccato, Rido aveva ucciso un comune
livello D
e un umano colpevoli d'aver stretto amicizia. «Era solo
un'umana» le aveva
risposto, andandosene «e lui un idiota.»
Non era
così che ragionava Juri Kuran. Non era così che
agiva.
Il suo
rango poteva averle ispirato orgoglio, dignità,
contegno, ma non quella nichilistica, dispotica alterità; e
conosceva
abbastanza suo fratello da capire che ormai era troppo tardi per
cambiarlo.
Triste certezza. Ci aveva provato lo stesso, sbattendo contro un muro.
In che cosa
ti hanno
trasformato,
Rido? Com'è potuto
succedere?
La sua
risata sincera non risuonava nei corridoi da troppo
tempo. L'aveva dimenticata. Da spiritoso, affidabile confidente era
mutato in
politico scafato e tirannico, i cui occhi sbranavano al pari della
lingua.
Forse
un'altra avrebbe resistito; ci sarebbe passata sopra.
Ma lei no.
Non era
per questo che l'aveva amato.
Aveva paura di
questo nuovo Rido.
Perciò
aveva scelto Haruka, dapprima stringendosi a lui
nell'incomprensione, poi, quasi incredula, riscoprendo il conforto di
una
conversazione sincera e di una compagnia tranquilla, stabile e
inamovibile come
le fondamenta di una montagna.
Aveva
scelto Haruka, lo avrebbe sposato e lo avrebbe reso
padre. E ne sarebbe stata felice, perché il desiderio di
fuggire da tutte le
sregolate tradizioni di famiglia non superava l'amore che nutriva nei
suoi
confronti. Era ben più di un rifugio, ormai. Si sarebbe
concessa quell'unico
conformismo.
E
tuttavia non avrebbe mai smesso di commemorare con dolore
i bei giorni dell'infanzia, quando loro fratello era il centro luminoso
dell'universo, rassicurante al pari di una luna piena la notte di
Samhain. Non
avrebbe mai smesso di chiedersi dove avesse sbagliato e di come
sarebbero
potute andare le cose qualora la sorte fosse stata un po'
più benevola con
loro.
Si
alzò a guardare il laghetto, scostando i rami del salice.
E non cesserò di pregare
perché tu possa trovare la serenità, finalmente,
fratello.
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