Di
sireni e scrivanie scomode
Lo
stabile nel suo complesso era più modesto di
quanto Steffan si sarebbe aspettato: la Champagne Company era un
marchio di
qualità, d’altronde, e non c’era da
stupirsi se, oltre ad essere famosa in
tutto il mondo, fosse conosciuta anche nei pianeti più
vicini a Gea, o,
perlomeno, in quelli in cui si sapeva leggere.
Date
queste premesse era davvero strano trovarsi in
un comunissimo ascensore – anzi, forse addirittura un
po’ antiquato – invece
che in un elevatore d’ultima generazione, com’era
singolare percorrere il
corridoio senza incappare nei droidi di servizio. Ormai anche sua
nonna, che
era incredibilmente ancorata alle tradizioni, si era abituata ad averne
uno che
scorrazzava per casa.
L’ufficio
della signora Henrietta Champagne era
austera quanto la sua proprietaria: persiane abbassate, una massiccia
scrivania
in legno, un cestino per la carta, un ventilatore, che molto
probabilmente
avrebbe dovuto essere portato in un museo, in un angolo. La massiccia
figura
del capo della Company era costretta in una sedia troppo piccola per le
sue
dimensioni e, a giudicare dal sudore che le imperlava la fronte e vi
appiccicava ciocche di capelli grigi, molto presto il vecchio
ventilatore
sarebbe stato sostituito con un apparecchio più consono.
L’occhiata
che la donna gli scoccò era di difficile
interpretazione, ma Steffan Reinerhact era tranquillo: quattro anni nel
Fanfiction Active Group erano una base più che solida per un
giovane di soli
ventisei anni e il suo curriculum non aveva pecche. Un suo conoscente,
che
lavorava già da un paio d’anni per la Champagne
Company, lo aveva rassicurato
sul fatto che, con le sue credenziali, non avrebbe avuto
difficoltà a trovare
impiego lì dentro. Questo però non significava
che la signora Champagne gli
avrebbe evitato un controllo rigido e approfondito.
<
Quattro anni nel FAG… di certo è un ottimo
inizio, ma Lei crede di esser pronto a lavorare per la nostra
compagnia? Ci
sono delle differenze sostanziali tra noi e i suoi vecchi datori di
lavoro.>
Steffan
ne era al corrente. La FAG era composta
unicamente da scrittori maschi e questo, in genere, facilitava non poco
il
lavoro dei cosiddetti “incoraggiatori”:
c’erano i blocchi dello scrittore, ma
privi di crisi di nervi, pianti isterici e scene madri. Solitamente
bastava un
poco di conforto, una pizza in compagnia, una chiacchierata sul plot
della
storia, per individuare i punti deboli e i personaggi poco riusciti, e
in breve
tempo il problema era risolto.
Ovviamente
c’erano stati dei casi particolarmente
complessi anche nel FAG, ma ciò che lì capitava
raramente, nella Champagne era
quasi la norma. Il problema erano gli scrittori e le scrittrici, tutti
abbastanza particolari: bastava notare che circa due terzi di essi
erano stati
precedentemente in cura presso psicologi o psichiatri, con storie di
terapie
anche lunghe. Questo significava guai, guai grandi come una casa.
Il
giovane sapeva a cosa stava andando incontro, ma
se voleva uscire dal piccolo ambiente provinciale del FAG non aveva
altra
scelta: praticamente tutte le compagnie di scrittura dovevano fare i
conti con scrittori
problematici e Steffan avrebbe fatto bene ad abituarsi in fretta.
D’altronde
aveva una preparazione impeccabile proprio per affrontare casi estremi
come
quelli che la Champagne teneva in serbo per lui.
Il
colloquio con la signora Champagne non andò
avanti per molto, un po’ per il caldo che asfissiava la
vecchia e un po’ perché
Reinerhact sapeva come presentarsi. Alla fine Henrietta si
passò una mano sulla
fronte sudata e borbottò: < Direi che può
bastare. Quando scende passi in
segreteria, Le daranno tutte le carte necessarie. Domani venga qui alle
nove in
punto, Le presenterò il suo nuovo collega.>.
Bastò
quell’ultima parola a far crescere nel ragazzo
una leggera ansia: al FAG si lavorava da soli, perché i casi
non erano mai
troppo complicati e non riusciva proprio a immaginarsi come sarebbe
stato
lavorare in coppia. La donna incrociò il suo sguardo e
dovette capire al volo i
suoi dubbi perché sorrise – il primo sorriso da
quando Steffan era entrato in
quella stanza.
<
Non si preoccupi, signor Reinerhact. Il signor
Hyke è uno dei nostri elementi migliori, sono sicura che Le
piacerà.>
*
Il
giorno dopo fu una tortura alzarsi dal letto;
aveva riletto le carte del suo contratto fino a saperle quasi a
memoria, il
regolamento interno della Company era breve, ma intenso, eppure era
bastata
un’oretta scarsa per imprimerselo nel cervello. Si sentiva
pronto per
cominciare, ma qualcosa inevitabilmente lo tratteneva.
Forse
era paura dell’ignoto, forse ansia per il
timore di deludere le aspettative del suo nuovo collega, o forse
entrambe le
cose. Il fatto era che con tutti quei pensieri che gli affollavano la
mente,
Steffan non aveva chiuso occhio per buona parte della notte e, al suo
risveglio, il letto non gli era mai parso così invitante.
Ma
si alzò ugualmente, continuando a ripetersi che
avrebbe avuto modo di recuperare il sonno perduto – una balla
colossale, aveva
imparato secoli prima che ogni lasciata è persa. Cole, il
suo droide di
servizio, lo accolse con la sua voce così meccanica, eppure
così familiare, e
con un’abbondante colazione.
Leggermente
rinfrancato, il ragazzo si decise ad
affrontare quello che lo aspettava nell’ufficio della signora
Champagne,
rendendosi conto che, qualsiasi errore avesse commesso, era troppo
tardi per
rimediare e del tutto inutile piangersi addosso.
Se
la stanza il giorno prima era parsa piccola,
quella mattina sembrava essersi rimpicciolita ulteriormente; accanto
alla
scrivania stava un uomo che, in quanto a dimensioni, non aveva nulla da
invidiare a Henrietta Champagne: alto, ben piazzato e
dall’aria decisamente
solida. Probabilmente era una di quelle persone che non poteva prendere
l’ascensore senza sbattere la testa sul soffitto.
<
Signor Reinerhact, ben arrivato. Questo è il
suo collega, il signor Vincent Hyke.>
Quando
quell’enorme uomo di colore si girò verso di
lui, Steffan registrò poche, basilari informazioni: il
cranio lucido, gli occhi
neri che parevano scavare nell’anima di chi gli stava
davanti, il sorriso
smagliante e un po’ ironico sotto i corti baffi e la folta
barba che ricopriva
il mento e parte delle guance. All’orecchio destro il ragazzo
vide scintillare
un orecchino mentre i due si stringevano le mani con vigore.
Ma
non era l’aspetto in sé che catturò
l’attenzione
del giovane, quanto lo sguardo che il suo collega gli stava lanciando:
era,
stranamente, rassicurante. Gli bastò quello per capire che
non avrebbero avuto
problemi a collaborare.
<
Molto bene. Il signor Hyke ti illustrerà il
caso che vi è stato affidato. E’ particolarmente
importante per noi che vada a
buon fine, mi sono spiegata?>
*
L’organizzazione
della Champagne Company era, in
effetti, assai più complicata di quella del FAG, nonostante
la struttura di
base fosse la stessa: scrittori e scrittrici che volevano mantenere
l’anonimato
assoluto producevano per conto della compagnia, la quale si preoccupava
di
correggere le bozze, mantenere il segreto
sull’identità degli scrittori e
garantire una serie di figure di sostegno che aiutassero i loro
scrittori a
superare i momenti difficili, le cadute d’ispirazione e
quant’altro. Steffan e
Vincent facevano parte di quest’ultimo gruppo, detto degli
“incoraggiatori”.
Ma
al contrario del FAG, in cui ogni scrittore era
libero di trattare l’argomento che preferiva, senza vincoli
d’alcun genere, la
Champagne aveva attivato una seconda tipologia di contratto con gli
scrittori:
il prompting. Era riservato a quegli autori che amavano le sfide e che,
se non
avevano una scadenza ben precisa e i fucili puntati contro, non
scrivevano
neanche due parole. La scrittrice di cui si sarebbero dovuti occupare
loro due
si era arenata proprio su un prompt, cosa assai strana
perché, a quanto
sembrava, era una delle autrici di punta della compagnia.
<
Sei molto fortunato, Steff: Violet Ashback è una
delle nostre scrittrici migliori, una gran donna. Incontrarla il tuo
primo
giorno di lavoro è proprio un bel colpo.>
<
Che opere ha scritto?>
Con
il fatto che si doveva mantenere segreta
l’identità degli autori, nessuno sapeva chi
scriveva cosa all’infuori della
casa di produzione; era una precauzione necessaria dopo un paio di
episodi di
stalking pesante e un’infinita serie di querele. Non si
riusciva a capire se
fossero più terrificanti gli haters o i fan, ma dopo quegli
eventi, accaduti
almeno una ventina d’anni prima, si era deciso di dare un
taglio a quella
brutta storia.
Certo
uno scrittore si poteva “identificare” per lo
stile, ma non c’era modo alcuno di risalire alla sua vera
identità.
<
Hai presente “Gay Unicorns’ Galaxy”? Nel
2335
ha battuto il record di vendite, siamo riusciti a venderne delle copie
addirittura in alcuni pianeti del Distretto K. Anche “Sepias
can walk” e “Amore
robotico” hanno venduto molto bene. E’ una
scrittrice particolare, si è
cimentata sempre in generi diversi e sempre con un gran risultato. Mrs
Champagne era al settimo cielo quando lei ha accettato il
prompt.>
<
Di che prompt si tratta?>
Dopo
essere scesi nel garage sotterraneo, erano
finalmente arrivati alla macchina. Steffan inarcò un
sopracciglio, perplesso:
si era aspettato una vecchia carcassa degli anni 2000 e invece il
veicolo
pareva addirittura recente. Da non crederci. Almeno finché
non vi salirono.
<
Seriamente… neanche il robot-guida?>
Vincent
sorrise mettendo in bella mostra i suoi
denti candidi e mise in moto.
<
Come avrai notato, mrs Champagne ama le vecchie
maniere. Il pilota automatico è qualcosa che non riesce
proprio a digerire.>
Era
da almeno una quarantina d’anni che i
robot-guida avevano presto piede sul loro pianeta: i maggiorenni erano
ugualmente costretti a sostenere un esame, in modo da essere in grado
di
intervenire se il pilota automatico si fosse guastato, ma erano casi
più unici
che rari.
<
Uff, mi toccherà riprendere in mano il
manuale…> commentò il giovane
stravaccandosi sul sedile e allacciandosi la
cintura.
Se
possibile i denti del suo collega parvero
diventare ancora più bianchi.
<
Non credo proprio, piccoletto. Finché ci sarò
io non poserai neanche un dito su questo volante.>
Steffan
sbuffò, alzando gli occhi al cielo: a quanto
pareva essere grandi e grossi faceva venire un po’ di
complessi di superiorità.
<
Allora, questo prompt?>
<
Come ti ho appena detto, Henrietta Champagne è
ancorata al passato. Lo ha particolarmente a cuore.
Quest’anno si celebrano gli
500 anni dalla pubblicazione della fiaba “La
sirenetta” di Hans Christian
Andersen.>
<
Quello delle storie che finivano male?>
<
Esattamente. Sono previste delle uscite legate
a questo festeggiamento, film, mostre e cose simili e mrs Champagne ci
teneva
particolarmente sia a cavalcare la cresta dell’onda sia a
dare un tributo ad
uno scrittore così importante. Il prompt consiste, molto
genericamente, in una
storia con sireni.>
<
Sireni? Maschi?>
<
Sì. Almeno uno dei personaggi dev’essere un
sireno. Non avrebbe dovuto essere un lavoro problematico. Certo, temi
così ampi
lasciano molta libertà agli autori e chi non sa
autoregolarsi finisce per
combinare un disastro, ma la Ashback non ha mai avuto di questi
problemi, fino
ad ora almeno. E’ una in gamba.>
<
Ma si è terribilmente arenata.>
<
Ha preso l’incarico un mese e mezzo fa e da
allora non ha scritto una parola. Non che non ci abbia provato, da
quanto dice
lei, ma la scadenza è tra un mese esatto e il limite minimo
della storia sono
50.000 parole per poter accedere alla pubblicazione. Sarebbe meglio
darsi una
mossa o l’affare rischia di non andare in porto.>
Sfrecciarono
per la superstrada per un’altra decina
di minuti, Vincent fischiettava la canzone che passava in radio e
tamburellava
con le dita sul volante. Steffan lo studiò con la coda
nell’occhio, dato che il
panorama era piuttosto monotono e poco interessante: vari livelli di
superstrada, macchine, macchine e ancora macchine, un bel sole
splendente in
cielo e le svettanti figure di grattacieli e palazzi vari,
prevalentemente in
vetro.
Finalmente
imboccarono una strada secondaria, dove
al grigio delle macchine si sostituivano dei campi coltivati e delle
villette
all’antica. Fu davanti ad una di queste che Vincent
parcheggiò la macchina.
<
Siamo arrivati.>
Un
ragazzo con un ciuffo di capelli castani che gli
ricadeva sugli occhi aprì la porta; indossava una tenuta
nera elegante e li
salutò con un accenno di inchino.
<
Il signor Hyke? La signorina Ashback La stava
aspettando.>
La
casa era molto più spaziosa di quanto non si
potesse immaginare, un misto di enormi vetrate e scale. La luce era
fortissima,
tanto che l’abito nero del maggiordomo sembrava assolutamente
fuori luogo. I
passi dei tre riecheggiarono nel silenzio dell’atrio.
<
Un posticino tranquillo, signor..?>
<
Kym. A dire il vero, il silenzio è un’eccezione
in questa casa. La signorina Ashback sta passando un momento molto
difficile e
ha voluto mandare via tutti gli altri occupanti. Siamo rimasti solo io
e Ra, il
cuoco.>
Che
buona parte dei domestici fosse stata congedata
si poteva intuire dalle condizioni delle aiuole che si vedevano
attraverso le
grandi finestre del secondo piano e da altri piccoli indizi sparsi qua
e là, ma
quando entrarono nello studio della scrittrice tutte quelle inezie
scomparvero
a confronto con il disordine esistenziale che dominava la stanza. Fogli
sparsi
ovunque, penne, pennarelli e matite riversi sul pavimento, bozze
accartocciate
e lanciate malamente verso il cestino già colmo fino
all’orlo.
Violet
Ashback, in jeans e t-shirt bianca, era
piegata in due su un tavolo ricoperto di trucioli di matita e macchie
d’inchiostro. Alla sua sinistra, una risma di fogli, intonsi.
Davanti a lei
l’ultimo modello di pc, lustro come se fosse appena stato
scartato dalla
confezione. A pochi centimetri dal bordo stava una matita spezzata in
due.
Quando
il trio entrò, la testa della ragazza si alzò
di scatto, i capelli a caschetto che ondeggiavano ad ogni minimo
movimento: il
suo volto era pallido e sotto gli occhi stavano in bella mostra delle
profonde
occhiaie. In condizioni normali sarebbe stata una bella ragazza, ma al
momento
era più simile ad un cadavere animato.
<
Vincent…>
L’uomo
di colore sorrise, ma, e Steff riuscì a
coglierlo senza problemi, dietro ai suoi occhi allegri si celava una
gran
preoccupazione. Prese posto sull’altro lato del tavolo, senza
attendere un
invito; accavallò le gambe, si puntellò con un
gomito e scrutò la ragazza con
attenzione.
<
Violet. Non sei certo nelle condizioni
migliori.>
<
Sono stata peggio. – ribatté lei, ma era ben
difficile crederle. – Questo qui chi sarebbe?>
Reinerhact
ci mise una manciata di secondi prima di
rendersi conto che stava chiedendo di lui, ma Vincent lo
anticipò comunque
nelle presentazioni.
<
Questo bel biondino qui è Steffan Reinerhact,
il mio nuovo partner.>
Non
sapeva spiegarsi il motivo, ma quell’appellativo
gli suonava particolarmente bene. Prese posto accanto a Hyke e sorrise
alla
ragazza che lo osservava con un sopracciglio sollevato.
<
Partner? Da quand’è che lavori in coppia?>
<
Da oggi, ad essere sincero. Ma parliamo di te,
Violet. Del tuo lavoro.>
Il
cambio d’argomento non parve piacerle
particolarmente, perché i suoi occhi, da amichevoli che
erano, divennero
immediatamente duri, inflessibili.
<
Non c’è molto da dire. Sono a zero, sotto tutti
i punti di vista. Non ho personaggi, non ho trama, non ho uno straccio
di idea.
Io… io…>
Steffan
aveva sentito parlare di attacchi isterici
da parte di alcune scrittrici, ma non pensava che avrebbe assistito ad
un caso
simile già al suo primo giorno di lavoro. Vincent
sembrò intuire il pericolo al
volo, perché si voltò verso il maggiordomo che
era rimasto in attesa dietro di
loro.
<
Fai un salto in cucina, per favore. Portaci
qualcosa che abbia molto, ma molto cioccolato. Intesi?>
Kym
annuì e si allontanò senza perdere tempo, mentre
Vincent si alzava e andava ad appoggiare una mano rassicurante sulla
spalla
della ragazza.
<
Non c’è bisogno di farsi prendere dal panico,
Violet. Abbiamo tutto il tempo che ci serve, possiamo lavorarci
assieme.>
Ashback
scosse il capo, ma non rifiutò comunque quel
contatto.
<
Non abbiamo più tempo, Vincent. Sono stata una
stupida, non avrei dovuto accettare il prompt. E’ tutta colpa
mia…>
*
Anche
se le cose non era cominciate per il meglio,
davanti ad una coppa gelato alla stracciatella e cioccolato era
inevitabile che
si andasse verso un miglioramento. Una cosa era certa,
l’esperienza di Steffan
al FAG era decisamente poco utile: non si era mai trovato in situazioni
così
disperate da dover, come si soleva dire, “ricreare un
ambiente positivo per la
scrittura”. Era tutta roba che aveva imparato a scuola e che
aveva archiviato
in un angolo della sua memoria, senza aver più modo di
metterla in pratica.
Vincent, invece, pareva averci a che fare ogni santo giorno.
Svuotarono
il cestino, sistemarono il pavimento,
ripulirono il tavolo con l’aiuto di Kym, a cui, fino a quel
momento, era stato
proibito dalla sua padrona di toccare anche un solo foglio. Per
combattere il
caldo incessante, l’uomo di colore fece portare nello studio
un ventilatore
decisamente più recente e funzionale di quello che aveva la
signora Champagne
nel suo studio.
Computer
e fogli bianchi furono spostati sulla
scrivania, perché – come Vincent amava ripetere
– “ogni mobile ha la sua
dannatissima funzione e nessuno vuole che la scrivania
s’ingelosisca del tavolo”,
frase che Steff riteneva abbastanza stupida, ma aveva preferito non
commentare.
Ma,
qualsiasi sforzo facessero per migliorare
l’habitat, la storia era ferma a 0 parole e
l’ispirazione rasentava il suolo.
Quel giorno combinarono molto poco, impegnati più che altro
a confortare la
poveretta che si scervellava con tutte le sue forze per cavar fuori un
ragno
dal buco. Di certo non si poteva dire che non s’impegnasse.
<
Per la stesura della tabella di marcia come ci
organizziamo?>
Stavano
tornando alla Company dopo il secondo giorno
di tentativi infruttuosi e false speranze e Steffan non faceva che
chiedersi
dove stessero sbagliando. Trovavano idee interessanti, le analizzavano
assieme,
ma Violet non riusciva a scriverci nulla a riguardo: i fogli
accartocciati si
accumulavano dentro il cestino senza che niente cambiasse veramente.
Aveva
bisogno di un minimo di ordine, di un piano
preciso, scadenze e obiettivi a cui fare riferimento, eppure lo sguardo
interrogativo che gli rivolse Vincent gli fece capire al volo che non
avrebbe
avuto niente di tutto ciò.
<
Che tabella di marcia, Steff?>
<
Il piano di lavoro, le date di scadenza interne,
i …>
L’uomo
mascherò il suo smagliante sorriso dietro uno
sbadiglio.
<
Non credo che progetteremo niente di tutto ciò,
piccolo.>
<
Cosa? Ma… è la procedura. Non si può
lavorare
senza un minimo di organizzazione.>
<
In linea di principio hai ragione, ma vedi… con
i nostri scrittori funziona diversamente. Avere delle scadenze li
spinge solo a
sentirsi più in colpa quando non le rispettano, ovvero
sempre; hanno delle
modalità di lavoro completamente diverse, possono stare
fermi per mesi e
scriverti centomila parole in tre giorni. Al momento Violet non ha
bisogno di
sentirsi ancora di più sotto pressione.>
Il
sedile sotto di lui non gli era mai parso così
scomodo; Steffan cercò di non agitarsi troppo, eppure
più rifletteva sulle
parole del suo collega e più si convinceva che aveva
ragione, ma più si
convinceva e più si sentiva in graticola. Non era Violet ad
aver bisogno di
scadenze, era lui. Era abituato a lavorare per tappe ben precise, agire
in
maniera così caotica e disorganizzata lo metteva a disagio.
Fu
con grande sofferenza che si presentò davanti
alla Company nei giorni successivi, per andare con l’auto di
servizio fino alla
villetta e l’umore della scrittrice non era il solo a
rasentare livelli di
depressione cosmica.
<
Non ci riesco! Io… io odio l’acqua! Odio i
pesci! E odio ancora di più queste stupide sirene!>
Era
il quarto giorno di lavoro e Violet era all’apice
dello sclero, così come Steff, che si prese la testa fra le
mani e pregò il
cielo di fulminarlo all’istante perché –
per rimanere in tema – non sapeva più
che pesci pigliare.
Le
aveva suggerito di visionare del materiale sul
tema, in modo che potesse trarne qualche spunto, un po’ di
ispirazione, ma lei
si era impuntata come una capra e si era categoricamente rifiutata di
collaborare.
Vincent,
allora, aveva fatto apparire dal nulla – a
quanto pareva la sua giacca aveva molte più tasche di quante
si potessero
vedere – il meraviglioso “Writer’s Block
Scheme”, nel tentativo di risalire
alla causa di tutti i mali, ma non aveva dato l’effetto
sperato.
<
Che personaggi hai?>
<
Un ragazzo del porto, un vecchio, il capitano
di una nave e… un sireno.>
<
Hai una trama.>
<
Ho degli abbozzi.>
<
Dov’è il problema?>
<
C’è qualcosa nel setting che mi lascia
perplessa… e… insomma, il sireno…
Cristo, che senso ha metterci un sireno in
questo casino?>
Il
mal di testa sembrava non conoscere confini di
sorta. Quando se ne andarono dalla villetta, Violet almeno non sembrava
incline
a distruggere tutti i mobili che avrebbero avuto la sfortuna di
trovarsi sul
suo cammino, mentre Steffan voleva solo gettarsi a letto e agonizzare.
<
Non ho mai avuto così tanti problemi a far
scrivere una persona… cos’è che non va
in quel sireno, che la sconvolge così
tanto?>
<
Ho come l’impressione che ci sia qualcosa che
non vuole dirci. – replicò Vincent, tamburellando
le dita sul volante – Domani
faremo in modo di scoprirlo.>
*
Il
quinto giorno, Kym aprì loro la porta con aria
circospetta; era più pallido del solito e teso come una
corda di violino. Li
fissò per un istante come se non li avesse riconosciuti, poi
scosse un attimo
la testa e li fece entrare.
<
Che succede, Kym?> fece allegramente
Vincent, battendogli una mano sulla spalla.
<
Non potete immaginare… una notte d’inferno. La
signorina Ashback ha toccato il fondo, Ra ha passato tutta la notte a
preparare
camomille, io a raccogliere i vetri…>
<
Vetri?>
<
Oh, sì, ha rotto una lampada da tavolo e un
vaso. Ed è già tanto che non abbia scaraventato
sedie fuori dalla finestra, o
bruciato i suoi schemi e le sue bozze. Non l’ho mai vista
così frustrata.>
<
Ma stava scrivendo?>
<
Ci ha provato, signori, ci ha provato con tutta
se stessa, ve lo garantisco. Ma qualcosa la blocca e non riusciamo a
capire
cosa sia; non sapete quanto sia stato penoso, starle accanto senza
poterla
aiutare…>
Che
fosse scoppiato il finimondo era fin troppo
evidente dalle condizioni dello studio, ove l’ambiente
positivo era andato a
campi. Steffan ricordava di aver visto una simile devastazione solo
dopo aver
lasciato per un intero pomeriggio i suoi cuginetti da soli e la
questione non
era finita nel migliore dei modi, all’epoca.
Ciò
che più lo preoccupava era che della scrittrice
non c’era neanche l’ombra.
Lui
e Vincent si misero a recuperare i fogli sparsi
per il pavimento, cercando di ricomporre un poco la situazione, mentre
Kym
andava a chiamare Violet, che probabilmente aveva cercato conforto in
camera sua.
<
Il problema pare molto più spinoso di quanto
avessimo ipotizzato…> borbottò il ragazzo,
guardando verso la porta per
evitare di farsi sentire dalla scrittrice. L’ultima cosa che
le serviva in quel
momento era l’ennesimo colpo alla propria autostima.
All’improvviso
il rombo di un motore gli fece alzare
di scatto la testa: un’idea gli attraversò il
cervello, rapida come un lampo e
prima di rendersi conto di cosa stava facendo cercò di
raggiungere la finestra.
Cercò, perché nella foga di affacciarsi si
dimenticò di una serie di piccoli
particolari, tipo la presenza di una scrivania e di un’altra
persona nella
stanza.
Si
ribaltò in avanti con una mossa poco aggraziata e
tutto ciò che riuscì a fare fu osservare
sconsolato la macchina di Violet
Ashback che sfrecciava a tutta birra fuori dal garage, lungo la strada
fino a
svoltare a destra e scomparire dalla sua visuale.
<
Dannazione!>
<
Non vorrei sembrarti all’antica, piccolo, ma
temo tu stia accelerando troppo i tempi. In fondo ci conosciamo da
neanche una settimana…>
Steffan
si congelò sul posto quando si rese conto
che la scrivania non era la sola cosa su cui era inciampato. Anzi, per
l’esattezza lui la scrivania non l’aveva neanche
mai sfiorata. Trovò la forza
di guardare in basso e si trovò a pochi centimetri dal naso
di Vincent, che
stava lottando con tutte le sue forze per non scoppiargli a ridere in
faccia.
Per
prima cosa sentì la gola diventargli secca, poi
una vampata di calore che gli inondava il collo e il volto, fino alla
punta
delle orecchie. Poi pensò che avrebbe preferito seppellirsi
in quel preciso
istante. In fine gli tornò in mente che la loro
preziosissima scrittrice aveva
preso il volo e che loro stavano perdendo tempo prezioso.
<
S-stupido! E’ scappata, dobbiamo correre o non
la troveremo più.> sibilò scocciato e
provò a sollevarsi di scatto, ma
qualcosa – o per meglio dire, qualcuno – lo
bloccò.
<
Non c’è fretta, Steff.>
Il
ragazzo lo guardò come se avesse appena mangiato
uno scoiattolo vivo passandolo per una prelibatezza locale.
<
Che diamine stai dicendo? Se ne è andata,
maledizione…>
<
Non andrà lontano.>
Reinerhact
non sapeva se fosse più frustrante essere
spiaccicato contro una persona sopra una scrivania o avere a che fare
con
qualcuno che sembrava non capire minimamente la gravità
della situazione.
Forse
il problema erano i due elementi sommati,
perché più tempo passava e più Steffan
si sentiva a disagio in quella
posizione. Grazie al cielo, l’arrivo di Kym, accompagnato da
un giovane dai
lunghi capelli neri, gli permise di rimettersi in piedi.
<
La signorina Ashback… la signorina Ashback è
sparita.> annunciò trafelato, come se avesse corso
per tutta la casa – il
che probabilmente era davvero accaduto.
<
Sì, l’abbiamo vista sgommare a tutta birra per
la strada. – replicò Vincent senza battere ciglio
– Ma niente panico, la
recupereremo.>
Con
quel tono sicuro che aveva, Steffan gli avrebbe
anche creduto, se non fosse che aveva leggermente omesso il come. Ma
l’uomo di
colore ignorò lo sguardo accusatore del suo collega e si
voltò verso il giovane
dai capelli lunghi – che non poteva che essere Ra, il cuoco.
<
Torneremo tra cinque ore al massimo. Per quando
saremo qui ho bisogno che sia pronto un bel pranzo equilibrato,
d’accordo? Leggero
e nutriente, è fondamentale per lei.>
Lasciarono
la casa con molta più tranquillità di
quanto il ragazzo ritenesse necessaria. Salirono in auto, si
allacciarono le
cinture e si guardarono.
<
Allora?>
<
Allora cosa?>
<
Qual è il piano geniale per recuperarla? Visto
che ce la siamo presa così comoda, voglio sperare che tu
abbia una strategia,
qualche asso nella manica.>
Vincent
sbuffò divertito e mise in moto. Si frugò un
attimo nella tasca della giacca e tirò fuori un piccolo
apparecchio
elettronico.
<
Avevo previsto il pericolo di una fuga, visto
com’era messa male nei giorni scorsi, quindi mi sono
premurato di attaccare un
rilevatore di posizione nella sua vettura. Una piccola precauzione che
può
risparmiarti molte notti insonni e molti guai.>
Steffan
non sapeva seriamente se abbracciarlo o
picchiarlo con tutte le sue forze: non erano metodi che approvava,
quelli, ma
sapeva che, con alcuni soggetti particolari, le compagnie dovevano
premunirsi
di non perdere gli scrittori per strada e averli sempre sotto
controllo. Per
quanto eticamente scorretto, in quel frangente poteva anche accettarlo.
<
E se dovesse scendere dalla sua auto?>
<
Allora metteremo in pratica le nostre abilità
investigative, ma non sopravvalutare Violet. Sarà pure
un’ottima scrittrice, ma
come praticità è una frana, dubito che passerebbe
inosservata ovunque decidesse
di andare.>
*
Vincent
aveva colpito nel segno solo a metà:
trovarono la macchina della ragazza in un parcheggio sopraelevato di
una città
ad un paio d’ore di viaggio, ma di lei neanche
l’ombra. Steffan si passò una
mano tra i capelli, cercando di non disperarsi troppo.
<
Bé… mettiamola così. Se non riusciamo
a farle
scrivere niente, possiamo semplicemente chiudere gli occhi e far finta
che non
sia mai successo niente, no? Sì, ogni lasciata è
persa, ma almeno non ci
abbiamo rimesso.>
<
Vorrei fosse così semplice.> replicò in
tono
piatto l’uomo di colore, guardandosi attorno con attenzione.
<
Che intendi dire?>
<
Che in realtà è già tutto pagato.
Campagna
pubblicitaria, contatti con gli altri distretti, accordi con le
rivendite…>
<
Stai scherzando, spero?>
Non
era nella sua natura, ma in quel momento avrebbe
preso volentieri a pugni qualcosa. O qualcuno. Vincent era un
volontario
perfetto per l’occasione, ma il pensiero che le avrebbe
più prese che date lo trattenne.
<
Perché diamine è successo?!>
<
Violet era una sicurezza, per noi. Non ci ha
mai lasciato a terra, neanche quando la situazione pareva
irrecuperabile. Mrs
Champagne si fida completamente di lei.>
<
Tant’è vero che ci sta lasciando con il culo per
terra! Lei questo lo sa? Perché non gliel’hai
detto?>
<
Non aveva bisogno di altra pressione. Non so se
l’hai notato, ma non è che stia così
bene al momento.>
<
Forse se l’avesse saputo non sarebbe fuggita e
noi ci saremmo risparmiati questa farsa!>
Si
fissarono in silenzio per una manciata di
secondi, con Steffan che sembrava prossimo all’omicidio e
Vincent che aveva
stampata in viso un’espressione assolutamente indecifrabile.
Dopo quel che
parve loro un millennio, l’uomo scosse la testa.
<
Ok, recuperiamo la calma. Non è morto
nessuno.>
<
Per ora. Che si fa?>
<
Tu lascia fare a me. So come muovermi in questi
casi.>
Poco
rassicurato dalle sue parole, il ragazzo seguì
il collega verso l’uscita del parcheggio. C’era un
vecchietto seduto sui
gradini di una scala d’emergenza, che si accarezzava la lunga
barba bianca.
Il
moro gli si avvicinò sorridendo con aria
accattivante.
<
Buon uomo, non è che per caso avete visto la
proprietaria di questa vettura?>
<
Sì, signore.>
<
E… sapreste gentilmente indicarci da che parte
è andata?>
Il
vecchio sorrise, mettendo in bella mostra una
serie di denti ingialliti. Vincent sbuffò divertito,
riconoscendo il gioco.
Mise mano al portafoglio e porse all’anziano una decina di
corone.
<
Laggiù, al locale all’angolo.>
<
Gentilissimo.>
*
Il
locale portava sopra il portone l’insegna
“Whiskey, butter ‘n’ cake”, ma,
dall’odore che proveniva dai suoi avventori,
l’unica consumazione certa era la prima.
<
Ricordati, tieni un basso profilo. Non vogliamo
che il mondo scopra questa storia, ok?>
Steffan
annuì ed entrò con l’aria
più tranquilla che
potesse mantenere in quel momento; il locale era riempito da una
sottile
nebbiolina di fumo, l’odore dei sigari elettronici e
dell’alcool era talmente
forte che dovette trattenersi dal fare marcia indietro e tornare in
strada.
In
fondo alla sala, su un palco alquanto malridotto,
si esibiva una band country, ma un po’ per il fumo e un
po’ per l’abbigliamento
dei suoi componenti, il ragazzo non riuscì a capire se erano
esseri umani in
carne ed ossa o droidi.
Vincent
gli diede un colpetto sulla spalla e indicò
un punto appena sotto il palco: Violet era lì, in compagnia
di una pinta di
liquido rosa scuro e di un enorme muffin al cioccolato.
<
Fa andare avanti me, tu dai troppo
nell’occhio.> Reinerhact dovette alzarsi in punta di
piedi per parlare
all’orecchio del suo collega, ma la musica troppo alta
impediva di fare
altrimenti.
Si
avvicinò all’obiettivo con fare casuale,
dribblando gli energumeni che incrociava e i tavoli ingombri di
bottiglie. Era
a tre metri da lei quando qualcuno al banco fece cadere un bicchiere:
un rumore
di vetri infranti che in qualche modo sovrastò la musica,
probabilmente grazie
alla serie di bestemmie che ne seguirono.
Violet
alzò gli occhi e Steffan capì che non gli restava
che correre.
Non
avrebbe mai pensato che la ragazza fosse così
veloce e faticò a starle dietro mentre si allontanava in
tutta fretta dal suo
tavolo, si mischiava in un capannello di persone lì affianco
e sgusciava
dall’uscita secondaria.
Ma
una volta uscita in strada non riuscì ad
allontanarsi per più di una decina di metri; la raggiunse
con poche falcate, le
passò una mano sulle spalle e la placcò con
forza. Lo sguardo che gli lanciò
era pura rabbia, frustrazione, ma niente di personale: non lo odiava
per averle
impedito la fuga, odiava se stessa per aver provato a fuggire.
<
Violet. Violet! Calmati. Che ti succede?>
Lei
lo guardò con uno sguardo indecifrabile, ma
Steff poteva vedere la sua rabbia sfumare in fretta.
Vincent
li raggiunse a sua volta, il viso,
generalmente imperturbabile, segnato dalla preoccupazione. Il ragazzo
annuì,
mentre Violet fissava il terreno come se volesse esserne inghiottita in
quel
preciso istante. Grazie al cielo, niente di questo accadde.
Dopo
un cenno d’attesa, si mossero con gran calma
verso le macchine.
*
Visto
che gli era preclusa la guida, Steffan era
riuscito a convincere il collega a farlo andare in macchina con Violet,
con la
mano ferma del robot-guida a portarli a casa sani e salvi. Ora, seduto
sul
sedile posteriore con accanto la ragazza, si domandava come affrontare
la
questione.
Sapeva
che aveva avuto una storia abbastanza
travagliata in passato, Vincent gli aveva passato la sua cartella, per
cui
poteva capire come la fuga fosse in parte giustificata e in parte no:
quelle
persone spesso agivano per impellenza, non razionalmente.
Si
decise a cominciare il discorso, ma prima che
potesse aprire bocca, però, fu la scrittrice a prendere la
parola.
<
Io… temo di aver commesso un terribile
sbaglio.>
Sembrava
stranamente calma, molto più di quanto
Reinerhact non si fosse aspettato. Aveva la schiena appoggiata al
sedile e un
po’ si fissava le dita e un po’ guardava fuori dal
finestrino.
<
Perché?>
<
Ho sempre odiato l’acqua, da quando ero
piccola. Di solito ai bambini piace andare in spiaggia, si
divertono… a me dava
fastidio, un gran fastidio. Odiavo la sabbia, l’odore del
mare, l’acqua così
torbida che non sapevo mai dove stavo mettendo i piedi o cosa potesse
esserci
sotto di me… Col tempo le cose non sono migliorate. Non ho
mai avuto il
coraggio di affrontare questo problema e ho sempre evitato di scrivere
racconti
di mare.>
Steffan
rimase un attimo in silenzio, cercando di
mettere assieme i pezzi.
<
Se è il setting il tuo problema…
perché hai
accettato il prompt? Potevi lasciarlo a qualcuno che non avesse di
questi
problemi.>
<
Io… volevo farcela. Sono stufa di avere questi
stupidi rifiuti, d’altronde una storia è una
storia. Però, per quanto ci
provassi, qualcosa dentro di me mi bloccava. Detesto ammetterlo, ma
temo di aver
perso, questa volta. E mrs Champagne ci teneva così
tanto…>
Il
ragazzo le sorrise, mettendole una mano sulla
spalla: aveva un’idea.
<
Non si perde finché non si abbandona, Violet, e
noi abbiamo ancora del tempo. Possiamo far fronte al problema, ma per
farlo ho
bisogno che tu ti fidi di me. Ti va di darmi una chance?>
Lei
esitò qualche istante prima di rispondere, ma
Steff non si agitò: d’altronde avevano davanti un
viaggio di ben due ore di
macchina, di tempo per parlare ce n’era a sufficienza.
*
Non
ricordava di essersi addormentato, ma visto
quanto invitante era quel divano, non ne escludeva la
possibilità. Specie
perché c’era una mano che continuava a scuoterlo
leggermente, il che
probabilmente era da intendere come un richiamo alla realtà.
Aprì
gli occhi, mettendoci diversi secondi prima di
rendersi conto che quello non era il suo divano e che il faccione che
si
trovava davanti era quello del suo collega.
<
Vincent? Cos’è successo?>
Il
moro gli sorrise, indicandogli con un cenno del
capo l’unico punto illuminato della stanza; il ragazzo si
puntellò sui gomiti
per vedere Violet davanti al PC, le dita che scivolavano sulla tastiera
come se
avessero le ali.
<
Direi che la tua tecnica ha funzionato.> mormorò
con un sorriso.
Non
era stata una passeggiata recuperare tutto il
materiale, ma per sua fortuna sua sorella era una patita dei film e
dell’ordine, il che la portava a tenere la sua collezione di
pellicole
rigorosamente suddivise per genere, anno, autore e via dicendo.
Avevano
lavorato un paio d’ore per trovare le storie
più adatte, quelle meglio sviluppate, più
appassionanti. Era uscito da casa sua
con la memoria esterna piena zeppa di sirene, pesci e acqua marina.
Sperava che
un’indigestione di film a tema avrebbe aiutato e, a quanto
pareva, qualcosa era
riuscito ad ottenere. Anche se probabilmente era stato altro a darle il
via
libera.
<
Ottimo. Per quanto riguarda i libri li recupero
domani, ho già la lista.> bofonchiò,
ancora assonnato. Dopo il terzo film la
stanchezza doveva aver preso il sopravvento.
<
Non c’è fretta, piccolo. E, comunque, credo che
confidarsi con te le sia servito molto di più che vedere
tutti quei film. Ora
puoi stare tranquillo per un po’.>
Steffan
annuì, stiracchiandosi, la schiena che
emetteva rumori preoccupanti. Ma l’unica cosa che il ragazzo
riusciva a sentire
era il suono ritmico dei tasti del computer, una melodia che aveva
temuto di
non sentire più.
*
Il
cavallo doveva aver percepito qualcosa nell’aria,
perché s’impennò più volte,
fuori controllo, nitrendo a più non posso. Johnny
si affrettò a calmarlo, preoccupato da quella reazione
improvvisa.
<
Si può sapere che ti prende?> sibilò
incredulo mentre l’animale si acquietava.
<
Ha paura. Come dovresti avere anche tu,
ragazzino.>
Il
vecchio fissava l’orizzonte con un’espressione
cupa, le sopracciglia aggrottate e la preoccupazione stampata in volto.
Mentre
indicava un punto indefinito con quella sua mano tremante e callosa, i
suoi
occhi sembravano di vetro e la pipa penzolava pericolosamente ad un
angolo
della bocca.
<
La vedi quella, laggiù?>
Grosse
nubi scure si stavano ammassando lungo la
sottile linea che separava il cielo dal mare, più scure
dell’inchiostro di
seppia, più infide delle secche di Lyonel’s Cape,
più minacciose di una ciurma
di pirati.
<
Quella è una tempesta, figliolo, ed una di
quelle pericolose. Prega per chi è in mare in questo
istante, ragazzo, perché
ne avrà seriamente bisogno. Che Dio ci
protegga…> concluse il vecchio e si
allontanò dal molo zoppicando piano.
Johnny
osservò con più attenzione
quell’ammasso
scuro che si avvicinava con una rapidità terrificante e una
strana inquietudine
si allargò a macchia d’olio nel suo petto:
c’era suo fratello in mare, sarebbe
dovuto tornare il giorno seguente.
Riprese
il cavallo per le redini e si allontanò in
fretta e furia: non sarebbe rimasto con le mani in mano.
*
<
Allora, che ve ne pare?>
I
due sorrisero, lanciandosi un’occhiata
d’approvazione: ora le cose giravano per il verso giusto.
Violet si rimise a
scrivere con una foga che Steffan avrebbe definito sovrumana; lui e
Vincent la
osservarono in silenzio, gustandosi le coppe di macedonia che Kym e Ra
avevano
portato loro.
<
Direi che ora le cose vanno per il verso
giusto…> bisbigliò il ragazzo al collega,
facendo ben attenzione a non disturbare
la scrittrice. Vincent annuì soddisfatto, gli occhi che
scintillavano.
<
Oserei dire che hai fatto proprio un ottimo
lavoro, collega.> replicò, l’orecchino che
brillava alla luce del sole. Un
sole che scaldava in maniera indecente, si disse Steffan,
perché da un momento
all’altro si sentì seriamente accaldato.
Abbassò
lo sguardo e si concentrò sulla sua macedonia:
non sapeva spiegarsi il perché, ma era di certo la
più buona che avesse mai
mangiato.