Of unbroken
little things [Jaime-Bran]
Il
terriccio era umido sotto i suoi piedi, cedeva un
poco ad ogni passo; l’odore di terra bagnata e muschio gli
inondava le narici,
eppure c’era qualcosa nell’aria che lo avvertiva
che il panorama che gli si
apriva davanti era irreale, sbagliato. E man mano che ci rifletteva,
gli
elementi discordanti emergevano come tante piccole bolle sulla
superficie di
uno stagno: avanzava su due zampe, non su quattro; non percepiva gli
odori
com’era abituato a fare; le sue prede, quelle che un tempo
sarebbero finite
maciullate tra le sue zanne, gli sfuggivano con una facilità
inaudita.
Si
sentiva piccolo, sperduto e impotente. Corse
lungo un pendio, giù nella fitta boscaglia, ma il suo corpo
era lento, gracile,
i rami più bassi gli ferivano le guance, i suoi goffi piedi
– da quanto tempo
non era in grado di utilizzarli come si doveva? –
incespicavano su radici
grosse e scivolose. Avrebbe voluto ululare il suo dolore verso il
cielo, ma
quello che usci dalla sua bocca era più un gemito
strangolato, un pigolio di
pulcino. Era solo.
I
suoi fratelli erano stati inghiottiti
nell’oscurità, uno dopo l’altro, chi
nella morsa del grande freddo, chi colpito
a tradimento, chi massacrato dalle fauci dei leoni. Altri avevano
cambiato
strada e lui non li aveva più rivisti. Riprovò ad
ululare, ma non accadde
nulla, solo un caldo liquido che scivolava lungo le guance graffiate,
giù sul
mento, a inzuppare la stoffa che ricopriva il suo corpo o a rendere
ancora un
po’ più umido il terreno.
Continuò
così per un’eternità, una dolorosa
eternità, fino a che Bran non guardò verso terra
e si rese conto che lui non
avrebbe neanche dovuto essere in piedi.
*
Si
svegliò di soprassalto, madido di sudore, il
cuore che sembrava voler aprire un varco nel petto e fuggire come un
cervo
inseguito dai cacciatori. Aveva la nausea. Erano mesi che non sognava
in
maniera così vivida, era come se, all’improvviso,
avesse riaperto il terzo
occhio per unirsi ancora ad Estate.
Quel
pensiero gli ronzò nel lobo frontale solo per
una manciata di secondi, prima che la cruda realtà lo
schiacciasse
dolorosamente: Estate non c’era più. Lo avevano
ucciso i leoni, così come
avevano ucciso suo padre. Nel ricordarsi tutto questo, Brandon Stark
pregò di
potersi riaddormentare e non svegliarsi più, ma gli dei
– gli antichi e i nuovi
– non ascoltarono le sue preghiere, anzi. Non avrebbero
potuto essere più
crudeli di così, perché dei passi echeggiarono
nel corridoio, oltre la porta
che lo separava dal resto del mondo. Erano passi che aveva imparato a
conoscere.
Non
sapeva se era solo suggestione o un raggio di
luna intrufolatosi tra le tende, ma quando l’uomo
entrò i suoi capelli, di un
biondo dorato, nell’oscurità per un attimo
sembrarono fatti d’argento; poi la
luce della candela ferì gli occhi di Bran, abituato alle
ombre della sua
stanza.
Si
tirò su sui gomiti, lo sguardo fisso sull’uomo
che gli stava di fronte. Il suo carceriere o il suo salvatore, il
ragazzo ci
stava ancora riflettendo. Ma forse un piccolo storpio non era questo
granché da
salvare, forse sarebbe stato più misericordioso porre fine
alle sue sofferenze.
Ma Jaime Lannister non sembrava affatto intenzionato a farlo.
<
Hai intenzione di svegliare tutto il castello,
ragazzino?>
Fu
in quel momento che Bran si accorse che qualcosa
non andava: lo Sterminatore di Re ansimava leggermente, come se avesse
corso
per tutte le scale di Casterly Rock senza sosta, e nel suo tono, sotto
l’onnipresente sarcasmo, c’era un velo di
preoccupazione che non gli sfuggì.
Rifletté solo dopo qualche secondo sul significato delle sue
parole e si rese
conto che, con ogni probabilità, l’ululato era
rimasto muto solo in sogno.
Un
brivido gli corse lungo la schiena al pensiero
che avrebbe potuto svegliare il vero lord di quel luogo, il vecchio
Tywin
Lannister. Quell’uomo lo spaventava: persino lo Sterminatore
di Re, che non era
certo un codardo, non osava opporsi a suo padre. Se avesse deciso che
la vita
di un piccolo, insignificante storpio non valeva le sue ore di sonno,
avrebbe
potuto liberarsi di lui con un semplice ordine.
Sapeva
che aveva corso un grande rischio e il suo
cuore non la smetteva di martellare nel suo petto; lo sguardo di Jaime
Lannister era su di lui, i suoi occhi verde smeraldo lo scrutavano come
se
potessero leggergli nell’anima.
<
A volte mi chiedo perché diamine non ti abbia
lasciato morire con gli altri.> sbuffò, passandosi
una mano tra i capelli
dorati.
<
Vorrei che tu lo avessi fatto.>
Le
parole gli sfuggirono dalle labbra prima che
potesse trattenerle e insieme a loro traboccarono tutte quelle emozioni
che lo
aveva inchiodato al sogno: se fosse morto avrebbe rivisto suo padre,
sua madre,
Robb? Forse Arya, Sansa e Rickon erano già là ad
aspettarlo. E Jon? Che gli era
successo? Bran non sapeva più niente di nessuno di loro e
quel pensiero lo
uccideva.
Avrebbe
voluto alzarsi e combattere, trovare una
spada e aprirsi un varco tra i suoi nemici, prendere un cavallo e
fuggire a
Nord, verso casa, dove tutto era così familiare,
così pieno di ricordi. Estate
sarebbe stato lì ad attenderlo o forse lo avrebbe raggiunto
durante il viaggio,
pronto a strofinare il muso sulla sua mano e a ringhiare contro i
briganti.
Ma
il problema era alla radice: lui non poteva
neanche alzarsi.
Era
troppo tardi per fermarsi, Bran lo capì al volo
quando la prima lacrima gli sfuggì dalle palpebre e gli
scivolò lungo la
guancia; era come se il suo petto fosse in fiamme, una sensazione di
vergogna e
disperazione allo stesso tempo. Si coprì il volto con una
mano, cercando di
preservare un minimo di dignità, se ancora ne aveva.
Jaime
Lannister lo fissò basito e, per un
lunghissimo istante, desiderò di essere rimasto nelle sue
stanze, di aver
ignorato totalmente quell’urlo strozzato. Non era esattamente
bravo con i
ragazzini e di certo non si era mai considerato un buon padre.
Si
guardò attorno, alla disperata ricerca di una
buona idea, ma nulla pareva salvarlo dal suo impaccio; alla fine fece
un
respiro profondo e si sedette sul letto, accanto al giovane Stark. Gli
posò una
mano sulla spalla, un tocco leggero – per i sette dei, quel
ragazzino era così
fragile che gli sarebbe bastato stringere appena per frantumargli le
ossa – che
costrinse l’altro a scoprire il volto.
<
Credo sia una delle poche cose giusto che ho
fatto in vita mia.>
Era
difficile dirlo quando a ricambiare il suo sguardo
c’erano gli occhi arrossati di un ragazzino –
l’ultimo degli Stark? Difficile
dirlo, ma non era da escludere. Lo vide abbassare il viso, cercando di
nascondersi e fece l’unica cosa che gli venne naturale fare.
Se
Cersei l’avesse visto in quel momento, lo avrebbe
odiato: non aveva mai abbracciato nessuno dei suoi veri figli, neanche
Tommen,
eppure tra le sue braccia in quel momento c’era il corpicino
spezzato di
Brandon Stark. Era un bel controsenso, Jaime se ne rendeva conto, ma
non
gl’importava. Il mondo era pieno di controsensi.
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