Primo
capitolo di una nuova fic.
Sinceramente non so come mi sia venuta in mente ^^
In
ogni caso voglio tanti
commentini perché almeno so cosa ne pensate. Come al solito
i Tokio Hotel non
mi appartengono (purtroppo) e questo scritto non è stato
prodotto a scopo di
lucro (???). Ok, a voi la storia.
La
mia rivincita
01.
BERLINO_PER
STRADA
Stavo
camminando tranquillamente. Nessun pensiero, nessun
problema. La mia vita proseguiva tranquilla. Non chiedevo niente di
più di
quanto avevo. Eppure quella mattina accadde.
Oh, avete
ragione. Mi sono messa a parlare e nemmeno mi presento!Che
sbadata. In ogni caso, mi chiamo Alena e ho diciannove anni. Al mattino
lavoro
in una piccola cartoleria, mentre di sera lavoro come tecnica del suono
per un
gruppetto poco famoso. Ok, aggiusto i microfoni e gli impianti al
gruppo di mio
fratello. A dirlo così però sembra patetico.
Vabbè, sorvoliamo.
Quella
mattina dovevo andare a prendere un paio di corde per
il bassista e chiedere disperatamente al commesso se gli erano arrivati
gli
spartiti per tastiera degli U2. Entrai nel negozio tranquillamente e mi
misi a
guardare qua e là, come al solito. Ad un tratto udii delle
voci. Il commesso,
Daniel, stava parlando con qualcuno, di cui non conoscevo la voce.
Sembrava una
voce da film, di quelle che senti solo nei doppiaggi dei divi di
Hollywood.
Incuriosita,
mi avvicinai all’ingresso. Presi a caso una
rivista dallo scaffale ed osservai la scena. Un uomo sulla quarantina
si era
praticamente comprato tutte le corde di chitarra e basso del negozio.
Mi avvicinai
alle scatole e notai sconfortata che erano state
razziate tutte. Il mio sguardo fece sorridere Daniel.
“A
quanto pare oggi ti va male, tesoro” mi disse.
L’altro
cliente mi guardò.
“Signorina
sta cercando qualcosa?” mi domandò. Il suo sguardo
mi irritò profondamente. Sembrava volesse dirmi “Mi
dispiace ciccina, ma
sono arrivato prima io. Ora ti attacchi!”.
“Beh,
sinceramente mi servirebbero due corde…” dissi,
osservando il corposo mucchio che l’uomo aveva poggiato sul
bancone.
“Oh,
mi dispiace, ma la prossima volta ti converrà prenderle
prima di gironzolare per il negozio” disse, con un sorrisino.
Ribollii di
rabbia.
“Senta,
i suoi figli non si arrabbieranno di certo se mi cede
due corde, o sbaglio? Ne ha lì almeno trenta per
tipo” dissi, cercando di
sembrare minimamente calma.
L’uomo
rise.
“Ma
queste non sono per i miei figli” disse, poi pagò
e si
allontanò, sempre ridendo.
Sospirai.
“Senti,
dammi almeno una buona notizia…” dissi, rivolta a
Daniel.
“Mi
dispiace, ma niente U2, almeno fino al prossimo mese”.
Ero
demoralizzatissima.
“Senti,
ma che cazzo aveva da ridere quello lì?” domandai,
ai
limiti dello sconforto.
“Come?
Ma davvero non l’hai riconosciuto?”
“No”
“Eppure
era sulla rivista che stavi leggendo”.
Guardai la
copertina del giornale.
“David
Jost, il manager dei Tokio Hotel si racconta per
noi”.
“David
Jost…ecco dove avevo già visto quella faccia da
schiaffi!” esclamai.
“Senti,
te lo prendi quel giornale?” mi domandò Daniel.
“Ma
sì. Fammi leggere qualche stronzata. Senti, appena arriva
qualcosa di utile, chiama pure Eric”
“Sì,
stanne certa. Buona giornata”.
Mi
allontanai a passo svelto, leggendo il giornale.
“Stiamo
cercando una giovane band ancora sconosciuta per
aprire i concerti dei Tokio Hotel per il prossimo tour”.
La faccenda era
abbastanza interessante. Avevo già sentito parlare dei Tokio
Hotel, anzi a dire
la verità avevo anche proposto a mio fratello e al suo
gruppo di provare
qualche cover loro, perché le canzoni mi piacevano
abbastanza. Strano che non
avessi mai sentito parlare di quel rompi palle del loro manager.
Sospirai,
poi entrai in casa. Era il mio giorno libero dalla
cartoleria, quindi mi rimboccai le maniche e risistemai quel buco di
appartamento dove vivevo con mio fratello e con i suoi amici.
Sì,
non prendetemi per una sfigata, ma da quando io e il mio
ragazzo avevamo rotto, mi ero ritrovata praticamente in mezzo alla
strada e se
non fosse stato per Eric, a quest’ora probabilmente non sarei
nemmeno qui a
raccontarvi la mia storia.
In ogni
caso, i ragazzi erano tutti al lavoro. Mio fratello e
Matt, il batterista lavoravano per un industria di pittura fuori
città, mentre Jo,
il bassista faceva il barman in un bar in centro. Erano tutti e tre
sempre mega
impegnati, ma la musica li rilassava e provavano sempre di sera. La
fortuna era
che abitavamo in una piccola palazzina fuori città e gli
altri inquilini non si
erano mai lamentati. Accesi lo stereo, sicura che i vicini fossero
tutti fuori
casa, quindi mi misi a rassettare cantando ad alta voce.
Non sentii
nemmeno la porta aprirsi.
“Sorellinaaaaaaaa!”
una voce deliziosa per le mie orecchie.
“Eric!”
esclamai, spegnendo lo stereo e correndo tra le
braccia di mio fratello.
Era
più grande di me di due anni, ma era come se fosse il mio
gemello.
Dietro di
lui vidi arrivare anche Matt. Alto, biondo dagli
occhi grigi ed un sorriso irresistibile.
“Cosa?
Stai sistemando?” mi chiese il giovane,
scompigliandomi i capelli. Anche lui era coetaneo di mio fratello.
“Ovvio,
se non ci fossi io vivreste in un porcile!” esclamai
ridendo. Era quasi l’una.
“Ragazzi,
che ne dite se andiamo a mangiare da Lu?” chiesi.
Lu era la
mia migliore amica. Si chiamava Ludovica, ma
siccome il suo nome le faceva schifo si faceva chiamare Lu. Era
proprietaria di
un ristorantino niente male dove si mangiava da Dio spendendo
pochissimo.
Salimmo in
macchina, poi mio fratello si mise al volante.
“Oggi
che giorno è?” chiese.
“Mercoledì”
risposi.
“Oddio!
Allora domani sera abbiamo il concerto dentro al bar
di Andrea”.
Altra
presentazione, scusate sto nominando parecchie persone
che voi non conoscete.
Andrea era
la ragazza di mio fratello. Stavano insieme dai
tempi della seconda media. Una roba pazzesca. Quasi dodici anni di
fidanzamento
e ancora si amavano all’inverosimile.
“Beh,
i pezzi che avete preparato sono bellissimi” dissi, dal
sedile posteriore.
“Sì
e vorremo che tu cantassi con noi” mi disse Matt.
“Cosa?!?”
domandai.
“Sì,
dai Ale!”. Solo lui e mio fratello mi chiamavano
così.
“Ma
come vi è venuta in mente questa cosa?” chiesi.
“Beh,
tuo fratello canta bene, ma ci manca la ragazza
immagine per il gruppo!” disse, sorridendomi.
“Io?
Ragazza immagine? Ma mi hai vista?”.
Ero
cicciottella, con i capelli perennemente in disordine e
spessi occhiali a nascondermi il viso.
Non mi
piacevo e non erano molti i ragazzi ad apprezzare il
mio aspetto fisico.
“Dai,
non dire così. Adesso ne parleremo a Lu. Scommetto che
anche lei sarà dalla nostra parte” disse Eric,
parcheggiando.
Scendemmo
dalla macchina ed entrammo dentro il ristorante,
dove la mia amica ci accolse.
“Ecco,
lei potrebbe benissimo fare la ragazza immagine” pensai.
Alta, con le gambe chilometriche e il fisico da Miss America. Lunghi
capelli
corvini ereditati dal padre spagnolo e occhi azzurri della madre
norvegese.
“Ragazzi!
Che piacere vedervi da queste parti!” esclamò,
abbracciandoci.
“Senti
Lu, oggi che ci proponi?” chiese Matt.
La mia amica
si sfiorò il mento con una mano dalle unghie
smaltate.
“Dunque,
come primo un piatto di lasagne caserecce, di
secondo una bella bistecca ai ferri con contorno di insalata e mais.
Frutta
fresca di stagione e dessert a scelta tra quelli della casa”
Il giovane
bassista annuì. “Apprezzo pienamente la tua
scelta!” esclamò, sorridendo.
“Senti,
che ne pensi di Ale come nostra ragazza immagine?”
chiese mio fratello.
“Strepitoso!”
disse Lu.
“Dai,
ragazzi. Non prendetemi in giro. Se vi facessi da
ragazza immagine probabilmente perdereste tutti i vostri fan”
dissi, avvilita.
“Eric,
lascia fare a me. Ora mangiate, poi la sequestro io!
Non preoccupatevi” disse la mia amica.
Dopo pranzo,
infatti, lasciò la gestione del locale ad un
ragazzo e mi portò a casa sua.
“Senti,
perché devi buttarti giù di morale in questo
modo?”
mi chiese, mentre guidava.
“Perché?
Dai Lu, ti sembra il caso di farmi questa domanda?
Guardami…non sono per niente quella che si definirebbe una
bella ragazza”
“Oh,
che palle! Secondo te tutte quelle che stanno in
televisione o che sono famose sono tutte delle strafighe a livello
universale?
No! La maggior parte sono cesse. Se solo le belle donne potessero fare
spettacolo, allora saremmo messe molto male. Ci sono doti migliori
della
bellezza. Tu hai un cervello che farebbe invidia a molte ragazze belle,
fidati.
E poi, per la cronaca, se quelle veramente brutte fossero fatte come
te, allora
sarebbero contente”.
Lu, la mia
migliore amica. Sapeva tirarmi su di morale in
ogni momento.
“Senti,
il trucco o make up, come preferisci chiamarlo, lo
hanno inventato proprio per perfezionare i piccoli errori”
Arrivate a
casa sua, mi tolsi la giacca. Ormai conoscevo a
memoria quell’appartamento. Più volte ero stata
invitata a vivere lì, ma mi ero
sempre opposta. Preferivo stare con mio fratello.
“Dunque,
siccome il concerto sarà domani…vediamo un
po’ cosa
si può fare. Primo, cambiare taglio di capelli. Con i
capelli lunghi sembri
Maria Addolorata!” esclamò. Mi fece sedere in
bagno, poi cominciò a tagliare.
Aveva aperto
un ristorante, ma era anche un’ottima
parrucchiera ed estetista.
Quando
terminò il suo lavoro mi guardai.
“Mio
Dio! Ma che hai fatto?” chiesi.
Mi aveva
tagliato i capelli di almeno trenta centimetri.
Erano corti dietro e più lunghi davanti.
“Beh,
per ora è così, ma magari più avanti
puoi tingerli di
biondo o di un altro colore” disse, soddisfatta.
“Ok,
ora diciamo pure che sembro una povera scema”
“Non
è vero. Stai benissimo”
Avevo un
dannato ciuffo che continuava a finirmi davanti agli
occhi.
Look molto
simile a quello di una ragazzina di sedici anni.
“Non
sembro un po’ troppo piccola?” chiesi.
“Guarda,
fidati di me se ti dico che è sempre un bene che le
ragazze sembrino più giovani”.
Sospirai.
Quello era un look troppo appariscente. Troppo
diverso da me. Mi sentivo a disagio.
Lu mi
sorrise dal riflesso dello specchio.
“Senti,
non fare quel muso lungo. Scommetto che a Matt
piacerai da morire”
Arrossii.
Solo lei sapeva che per Matt era più di un semplice
amico.
“Senti,
domani pomeriggio, prima del concerto vieni qui da
me, così ti trucco e ti do dei vestiti adatti”
“Senti,
niente mini gonne o top, ti scongiuro!”esclamai.
Lu rise.
“Non
ti preoccupare. So quello che faccio”.
La salutai,
poi presi un taxi e tornai a casa.
Eric e Matt
stavano preparando gli strumenti per la prova
generale di quella sera.
“Ale
arrivi al momento giusto! Ce la fai a sistemare
l’amplificatore?”
mi chiese Matt.
“Certo”
dissi, chinandomi.
“Hey,
ma hai tagliato i capelli!” mi disse.
Io annuii.
“Stai
molto meglio” aggiunse, sorridendo.
Io arrossii,
poi mi alzai di scatto.
“Bene,
qui è tutto pronto. Io vado a preparare la cena,
almeno per quando arriva Jo è tutto pronto” dissi,
allontanandomi.
Avevamo
fatto insonorizzare la stanza per le prove, in modo
che il baccano fosse attutito almeno in parte.
In compenso
però, almeno una persona doveva entrare in sala
prove con il cellulare acceso al massimo volume.
Più
volte mi era capitato di chiamarli per minuti interi
senza ottenere risposte perché non mi sentivano.
Mi misi ai
fornelli e meno di dieci minuti dopo sentii la
porta aprirsi.
“Sono
a casa!” era Jo. Lui aveva ventitré anni ed era
figlio
di due immigrati argentini.
Si chiamava
Joachim ed era l’uomo più buono del mondo.
Mi
salutò, come suo solito, con un bacio sulla guancia.
“Buona
sera tesoro” mi disse.
“Ciao
maritino”.
Ci
divertivamo a fare gli sposini. Ormai era un giochetto che
andava avanti dai tempi delle superiori.
“Gli
altri due sono in prova” dissi.
“Ah
già. Domani è il grande giorno”
“Jo,
ascoltami. Lo dico solo a te, perché non voglio mettere
in ansia i ragazzi…” dissi a bassa voce, con aria
da cospiratrice.
“Che
succede?”
“Beh,
credo che domani sera ci sarà una sorta di talent
scout” dissi.
“Dici
sul serio?” mi chiese.
“Sì,
ho letto su questa rivista che il manager dei Tokio
Hotel sta cercando una band che apra i loro concerti e sta girando
praticamente
tutta Europa alla ricerca del gruppo giusto. Lui si occupa prettamente
di
questa città e si da il caso che domani sera
l’unico concerto live sia proprio
il vostro”
“Nostro
vorrai dire. I ragazzi ti avranno certo informata che
canterai con noi domani…lo noto dal tuo nuovo look”
Arrossii.
“Beh,
sì. Però il gruppo siete voi tre, io mi aggrego
solo
questa volta”.
Jo rise e mi
diede una leggera pacca sulla schiena.
“Ne
dubito chica!”
disse ridendo.
Andò
in sala prove e richiamò gli altri due. Era pronto da
mangiare.
A tavola
Eric mi illustrò la scaletta di brani che avremmo
dovuto fare l’indomani.
“Sono
tutti pezzi che conosci, li abbiamo provati migliaia di
volte, quindi non ci saranno problemi” mi disse, sorridendomi.
“Ah,
se farai carriera perderemo una cuoca favolosa” disse
Matt, addentando un pezzetto di stufato.
Ebbene
sì, me la cavavo molto bene in cucina e mi piaceva
mettermi ai fornelli.
La tensione
cominciava a salire. Mancavano più di
ventiquattr’ore all’esibizione e già
stavo male. Mi alzai per sparecchiare, ma
i ragazzi mi fermarono.
“No,
ora bisogna provare…a dopo i piatti” disse Jo.
Contro
voglia, in quanto maniacalmente contraria al
disordine, mi feci trascinare in sala prove.
Presi tra le
mani il microfono e sospirai.
Mio fratello
prese la chitarra, Jo il basso e Matt si sedette
alla batteria.
Provammo per
quasi un’ora e mezza.
“Perfetto!
Se domani suoniamo così diventeremo la migliore
band sconosciuta di tutta la Germania!” disse Eric,
soddisfatto della prova.
“Non
è detto…potremmo diventare famosi” pensai,
sorridendo.
La mattina
seguente, quando mi svegliai, i tre pigroni erano
ancora a letto. Si erano presi tutti e tre un giorno di ferie, per
prepararsi
meglio alla serata.
Mi mossi
lentamente dalla mia camera, andai in bagno dove mi
lavai e mi vestii, lasciando il pigiama nel cesto della biancheria
sporca, poi
scesi al piano di sotto per preparare il caffè per tutti.
Dopo una
rapida colazione mi lavai i denti, presi le chiavi
di casa e della macchina, lasciando un messaggio appeso al frigorifero.
“Dopo
il lavoro vado da Lu, ci troviamo direttamente da
Andrea per le 21.00. Baci e non distruggete la casa! Ale”
Chiusi a
chiave la porta, poi andai in garage, dove la mia piccola
smart mi stava aspettando.
Arrivata in
cartoleria mi misi dietro il bancone. Non avrei
incontrato la mia collega almeno fino alle undici, quindi avevo ben tre
ore
tutte per me.
Mi sedetti e
cominciai a leggere un libro che avevo iniziato
qualche giorno prima.
Sentii il
campanello tintinnare, quindi alzai lo sguardo.
Era una
ragazzina di circa sedici anni. Stava rumorosamente
masticando una cicca, sbatacchiando la bocca in maniera poco fine.
“Senti,
che ce li hai gli indelebili colorati?” mi chiese,
sbiascicando.
Odiavo le
ragazzine che si atteggiavano.
Vestiva
firmata dalla testa ai piedi.
Portava un
paio di ballerine con la tela stampata di Gucci.
Al braccio una borsa della Pinko. Jeans della Lee e una maglia di Dolce
e
Gabbana.
“Sì,
sono su quello scaffale” risposi, tornando alla mia
lettura.
Mancavano
cinque minuti alle otto, sicuramente quella ragazza
stava cercando un modo per arrivare in ritardo.
Rimase
davanti a quei dannati pennarelli per quasi dieci
minuti, poi si avvicinò di nuovo a me.
“Scusa,
non è che ce li hai di un rosa più scuro di
questo?”
mi chiese, porgendomi un pennarello fucsia.
“Beh,
più scuro di così c’è solo
viola”
“Allora
lo prendo così” disse, estraendo un borsellino
della
Guess.
“Un
euro e trenta” dissi, preparando lo scontrino e mettendo
l’indelebile in un sacchettino.
“Grazie.
Ciao” disse, uscendo.
La vidi
uscire dal negozio, poi fermarsi a scrivere proprio
sulla colonna davanti all’entrata.
Mi chiesi
come potesse essere tanto stupida. In quel momento
passò una pattuglia di vigili urbani che notò la
ragazzina e la multò.
Sorrisi mio
malgrado. Non era nel mio stile comportarmi da
stronza, eppure era necessario quel sorriso.
Ripresi a
leggere, quando uno dei vigili entrò in cartoleria.
“Buon
giorno signorina” mi disse.
Alzai lo
sguardo. Aveva una faccia conosciuta, eppure non
seppi dire dove lo avessi già visto.
“Buon
giorno. Mi dica” dissi, chiudendo il libro.
“Ha
venduto lei questo pennarello alla ragazzina che
c’è di
fuori?”
Io mi sporsi
fingendo di non sapere cosa stesse accadendo.
“Ah,
sì. Gliel’ho appena venduto, come mai?”
“La
ragazza in questione è stata appena multata per aver
scritto sul muro qui di fronte”
“Ebbene?”
“Lei
è responsabile di aver venduto
l’oggetto”.
“Aspetti
un secondo. Io cosa c’entro?”
“Le
verrà fatta una sanzione”
“Come
scusi?” chiesi, sempre più allibita.
“Sì”
“No,
aspetti. Se una persona vende un taglierino ad un’altra
e quella commette un omicidio, è colpa del
venditore?”
“In
parte sì”
“Per
cortesia, io la rispetto moltissimo, ma non dica cose
che non stanno ne in cielo né in terra”.
Il vigile
scoppiò in una sonora risata.
“Davvero
non mi hai riconosciuto?” chiese levandosi il
cappello.
Io lo
guardai meglio.
“David?”
chiesi.
Lui
annuì.
Sorrisi e
superai il bancone, poi lo abbracciai.
Eravamo in
classe assieme alle medie.
“Come
stai?” gli chiesi.
“Bene,
te?”
“Bene!
Allora, sei riuscito a fare quello che volevi, a
quanto pare”
“Sì,
te invece?”
“Io
adesso lavoro qui e per il gruppo di Eric”
“Ah,
beh almeno hai a che fare con la musica, come volevi,
no?”
“Sì”
“Senti,
ma quella ragazza quanto è stupida…ci ha visti
arrivare da in fondo alla via, ma mica si è
spostata…”
“Che
ci vuoi fare? La gioventù furba e brillante se
n’è
andata con noi” dissi, ridendo.
Lui mi
sorrise.
“Dai,
un giorno organizziamo una rimpatriata, va bene?”
“Ok,
avvisami appena sai qualcosa”.
Mi diede un
leggero bacio su una guancia, poi se ne andò.
“E
dire che alle medie mi rivolgeva appena la parola”
pensai, sospirando.
La mattinata
proseguì placidamente.
Entrò
la solita vecchietta a chiedere delle cartucce per il
nipote, la solita mamma ritardataria che cercava disperatamente le
copertine
per qualche quaderno. Il solito, come sempre.
Alle undici,
a libro finito, arrivò la mia collega. Dafne.
Bella ed
irritante come poche.
“Ciao
Alena” mi disse con aria stizzita
“Ciao
Dafne”.
Poteva
permettersi di arrivare tardi solo perché era la
fidanzata del figlio del proprietario e io credevo che fosse anche per
quel
motivo che aveva ottenuto il lavoro.
Era
completamente dipendente dalle altre ragazze, me
compresa. Non sapeva fare gli scontrini, non sapeva dov’erano
le cose e guai a
chiederle di fare l’inventario all’inizio e alla
fine di ogni mese.
“Io
ho una vita sociale, non posso sprecare il mio tempo
in questo buco!” rispondeva regolarmente, al che
io e le altre ragazze ci
eravamo rassegnate al fatto che stesse in mezzo ai piedi a blaterare
dei fatti
suoi, mentre noi lavoravamo.
Era proprio
grazie a Dafne che il direttore aveva dovuto
assumere altre tre ragazze. Io e Marie non riuscivamo a fare tutto il
lavoro.
In ogni
caso, aspettai fino a mezzogiorno, quando arrivò
Marie che mi diede il cambio.
“Buona
fortuna. Oggi è di luna storta” le dissi,
sorridendo.
“Oh,
che meraviglia” rispose lei, sarcastica.
Me ne andai,
salutando entrambe, poi corsi da Lu. Non vedevo
l’ora di sapere cosa aveva in serbo per me.
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