“Aspetta
seduto qui piccolo, la mamma torna subito”.
“Sì
mamy”.
Con paura
e timore mi avvicino alla porta della stanza.
Piano la apro. All’interno solo il lento bip del monitor
rompe il silenzio. Poi
lo vedo. Lì, steso sul quel bianco letto. La mascherina
dell’ossigeno gli copre
il bel volto che, nonostante gli anni trascorsi, è ancora
come lo ricordo. I
folti capelli neri hanno ceduto il posto ad una chioma bianca. Sorrido
appena.
Dorme. Mi avvicino silenziosa e con delicatezza poggio la mia mano
sulla sua,
come quella volta. Quell’unica volta.
Apre gli
occhi.
“Nicole…”
“Sì
Maestro…”.
Capitolo 1.
Le radici del
passato
“Allora
Nicole? Ti ha chiesto di uscire?”.
Cercare di
tenere nascosta qualcosa alle mie amiche è
un’impresa ardua. Mi leggono come un libro aperto. Io,
Alessia e Marika andiamo
a scuola insieme praticamente dall’asilo e non ci siamo mai
separate fino ad
ora. Stiamo tutte e tre per entrare nelle scuole superiori, ma io non
sarò con
loro. Ho deciso di andare al conservatorio per studiare musica.
Fin da
bambina la musica è stata la mia passione. Ho
ricevuto il primo violino all’età di sei anni ma,
a parte usarlo come una
chitarra all’epoca non ero riuscita a fare un
granché. Solo più tardi iniziai a
capire come impugnarlo correttamente e suonare i primi accordi,
stonatissimi.
Adesso, dopo anni di esercizio, di lezioni private e ore e ore di
studio, sono
riuscita ad imparare a suonarlo. Mia madre avrebbe voluto che
proseguissi gli
studi classici insieme alle mie amiche, ma io sono stata irremovibile.
Volevo
diventare una musicista completa e per nulla al mondo avrei rinunciato
al mio
sogno.
“No,
no e poi ancora no, mamma! Io non voglio studiare
lettere solo perché piace a te!”.
“Ma
Nicole, mia cara, sarà più facile trovare un
lavoro se
studi lettere, e poi avrai molte più opportunità
anche con l’università! Cerca
di ragionare!”.
“Ti
ho detto che non se ne parla! Io diventerò una
musicista! Ed è solo colpa tua se non sono ancora andata al
conservatorio!”
“Non
dire questo! – ribatté mia madre – Lo
sai, la retta è
elevata e non possiamo permettercela!”.
“Non
mi importa! Studierò sodo ed otterrò una borsa di
studio – le urlai – L’ho promesso a
papà prima che morisse! Io diventerò
musicista!”.
Quando
nominai mio padre, nei suoi occhi vidi la resa, ma
non mi diede nessuna soddisfazione. Mi disse solo: “Se
riuscirai a pagarti le
lezioni private ed ottenere la borsa di studio, senza che questo vada
ad
intaccare il tuo rendimento scolastico, potrai andare al conservatorio.
Ricorda: un solo voto negativo e quel vecchio violino
sparirà dalla tua vista”.
“E
sia!” risposi.
Da allora
mi misi di impegno. Feci subito una scaletta
delle priorità per realizzare il mio sogno.
- scuola
- compiti
- lavoro
- lezioni
private
-
esercizio, esercizio e ancora tanto esercizio.
Sì,
questo divenne il mio piano d’attacco. Avrei dato
priorità alla scuola. I patti erano quelli: non un voto
negativo. Così, la
mattina andavo a scuola, subito dopo a casa dove mi rinchiudevo nella
mia
stanza a studiare per il giorno dopo e quelli avvenire, in modo da non
accumulare compiti arretrati. Ero anche
riuscita a trovare un lavoretto in una gelateria vicino
casa, per il
fine settimana. Certo, essendo minorenne non potevo lavorare molto, ma
come
aiutante riuscivo ad ottenere i soldi necessari per pagarmi da sola le
lezioni
private di violino, che frequentavo tutti i giovedì
pomeriggio.
Dopo tre
anni sono riuscita a migliorare tanto da potermi
iscrivere al concorso che si terrà tra pochi mesi, dove, se
Dio vorrà, otterrò
la tanto agognata borsa di studio. Se ci riuscirò
dovrò abbandonare la scuola
per entrare di diritto nel conservatorio. Mi dispiacerà
cambiare, ma per il mio
sogno farò questo ed altro!
“Nicole???
Insomma vuoi rispondermi?” insiste Alessia.
“Scusa
Alessia, ero sovrappensiero” mi giustifico.
“Sì
certo, come no! – dice maliziosa Marika – Stava
pensando al suo bel Daniele…”.
“Ma
smettetela!” rispondo piccata.
“Insomma,
uscirete o no?” Alessia inizia a perdere la
pazienza e quando lei si arrabbia è meglio non farsi trovare
nei paraggi.
“…
Sì…” dico imbarazzatissima.
“Aaaaahhhh
lo sapevo!!” urla lei eccitata, mentre insieme a
Marika si abbracciano e saltano come se avessero vinto alla lotteria.
“Dai
su, racconta! – dice Marika facendosi attenta e
curiosa – Come te lo ha chiesto? Come ti senti? Dove
andrete?? Gli dirai cosa
provi? Lo bacerai?”.
Marika
mi tempesta di domande a non finire e a me quasi gira la testa, per
questo
terzo grado.
“Ma
insomma, saranno pure fatti miei, no?” ribatto, oramai
del colore di un pomodoro maturo.
“Eh
no, Nicole! E’ da quando andiamo all’asilo che sei
innamorata di Daniele e lui non ti ha mai considerata! Adesso che
finalmente ti
ha chiesto di uscire non puoi non dirci come te lo ha
proposto!” dice Alessia.
Era vero.
Ero innamorata di Daniele fin dal primo giorno di
asilo. Certo, all’asilo non ci si può innamorare.
A quell’età si hanno “forti
simpatie”. Ricordo perfettamente che il primo giorno che lo
vidi, con quella
divisa dello stesso colore dei suoi occhi, gli chiesi se voleva
sposarmi. Lui
anziché rispondere iniziò a piangere e a
nascondersi dietro la maestra. Chissà se
lo ricorda.
Siamo
cresciute insieme anche con Daniele, Leonardo e Federico.
Una strana combriccola. Ma i miei sentimenti per Daniele li ho sempre
tenuti
nascosti per evitare che il nostro gruppetto ben affiatato si
sciogliesse. Mai
mi sarei aspettata che Daniele venisse a chiedermi di uscire.
Era appena
finita la lezione di chimica, ed io avevo fatto
esplodere qualcosa in aula. Non so bene cosa avessi combinato. Pur
essendo
sempre attenta, quel giorno, forse troppo stanca per aver studiato fino
a
tardi, non capii cosa disse il professore, così invertii
l’ordine degli
elementi e Boom! All’improvviso mi ritrovai il viso tutto
sporco di qualcosa
che sembrava fuliggine. Da dove era arrivata?
“Mariani!
Cosa ha combinato! – urlò il professore
– si
rende conto che poteva rimanere ferita? Eppure sono stato chiaro con
l’ordine
degli elementi!”.
“Mi
scusi professore… mi sono… ecco, mi sono
distratta!”
“Va
bene, per questa volta non la mando in presidenza, ma è
meglio che vada in infermeria. Le daranno qualcosa per togliersi di
dosso
quella roba”.
“Grazie
professore!” risposi mortificata, raccogliendo le
mie cose.
“Prof
scusi? Non è il caso che qualcuno la accompagni?
Potrebbe aver inalato qualcosa che può farle male”
disse ad un tratto Daniele.
“Si
Serra, ha ragione. Qualcuno vuole…”
“La
accompagno io!”.
Il
professore non fece in tempo a far la domanda che lui si
era già proposto.
Così
ci dirigemmo verso l’infermiera.
“Sei
un disastro Nicole, te l’hanno mai detto?”.
“Sì
Daniele, me lo ripeti ogni giorno, tre volte al giorno
da otto anni oramai… fa un po' tu il
conto…” risposi piccata, ma allo stesso
tempo vergognandomi.
“Sì
lo so” rispose sorridendo.
Dio che bel sorriso
che ha. Quando sorride non lo fa solo con le labbra, ma con tutto il
viso.
Anche gli occhi sorridono ed è bellissimo
– ero rimasta fissa a pensare
questo quando lui si fermò un attimo prima di giungere alla
porta
dell’infermiera.
“Nicole…”
“Dimmi…”
sentii in quel momento il cuore che voleva
esplodere. Iniziò a battere freneticamente, quasi volesse
uscire dal petto.
Mi si
avvicinò e prendendo un fazzoletto tentò, con una
dolcezza mai vista prima, di ripulirmi il viso.
Lo sapevo. Lo sapevo
io che era un ragazzo dolcissimo – pensai.
“Ti
andrebbe di uscire con me sabato pomeriggio?”
Io chiusi
gli occhi. Avevo atteso tantissimi anni che mi
facesse quella proposta e mi trovai costretta a rifiutare
perché dovevo
lavorare. Mi sentii morire. Non avrei mai più avuto
un’altra occasione con lui.
“E
la sera? Ecco vedi… avevo pensato di passare il
pomeriggio al luna park, ma se per te va bene possiamo andarci anche la
sera…
ecco… sempre se ti va…”
Cosa? Me lo richiede?
E perché? Lui ha la fama del ragazzo che non deve mai
chiedere più di due
volte. Ne basta una. E con me cosa fa? – mille
pensieri invasero la mia
mente. Ma lo chiese in un modo così impacciato e tenero che
non ebbi altra
scelta che rispondere “Sì”. Anche se,
sinceramente, avrei accettato anche se me
lo avesse chiesto con un sms.
“Ecco:
è andata così!”.
“Cavoli…
Nicole! E come ti senti?” chiede nuovamente Alessia.
“Non
lo so… è come se avessi la
nausea…”
“Dai
non ti preoccupare – dice sorridendo Marika – ti
passerà appena verrà a prenderti a casa! Con
Federico è stato così!”.
Lei e
Federico facevano coppia fissa da qualche mese e
anche Alessia stava per cedere alle continue avances di Leonardo.
Cavoli… e se mi
avesse chiesto di uscire solo perché i suoi amici si stanno
trovando una
ragazza e non volesse restare solo? – penso triste,
abbassando lo sguardo.
“A
che ora viene a prenderti?” mi chiedono.
“Ah,
non ve l’ho detto! Non viene a prendermi. Ci vediamo
direttamente all’ingresso del luna park. Se dovessi prima
tornare a casa, mi ci
vorrebbe più tempo”.
“Va
bene lo stesso! Quindi adesso, spese folli! Dobbiamo
trovare l’abito giusto per te!”.
Ci ho
messo una vita a convincerle che non avrei indossato
nulla di strano. Comunque avrò indosso la divisa della
gelateria e quindi non
posso vestirmi elegante. Cavolo sto andando al luna park, mica in un
ristorate
di lusso!
“Sono
tornata!” dico rientrando in casa e dirigendomi verso
la mia stanza.
“Nicole
aspetta” mi ferma mia madre.
“Sì?”.
“Oggi
è arrivata questa per te” dice porgendomi una
lettera.
Gent.ma sig.na Mariani
La nostra accademia è
lieta di comunicarle che è stata ammessa a sostenere
l’esame di ammissione per
accedere al nostro prestigioso istituto.
Qualora lei fosse
ancora interessata a partecipare alle selezioni, la invitiamo a
presentarsi il
giorno 15 luglio, corrente anno, alle ore 8.30 presso la segreteria del
nostro
istituto per la registrazione, dove le verranno date ulteriori
indicazioni.
Ringraziandola per
averci scelto, le porgiamo i nostri saluti.
Istituto Musicale “Einaudi”
(*)
Non
è possibile. La conferma scritta è arrivata.
Certo mi
era stato già anticipato telefonicamente, ma questo pezzo di
carta è il
biglietto per il mio futuro.
Solo due
mesi ed il mio sogno inizierà ad avverarsi.
E
finalmente il sabato dell’appuntamento con Daniele
è
arrivato. Mi sveglio di prima mattina per fare un bagno caldo e
rilassante. Non
scendo nemmeno a fare colazione. Mia madre e mio fratello sono usciti
di buon'ora
con il nonno ed io sono rimasta sola in casa. Userò questa
mattina per
rilassarmi un po' e magari per fare ancora un po' di esercizio. Mancano
ancora
due mesi all'audizione, ma voglio che il mio pezzo sia assolutamente
perfetto.
Mentre
sono immersa nell’acqua calda penso inevitabilmente
a Daniele.
Vorrà veramente
uscire con me oppure lo fa solo per occupare il tempo…
eppure ha me lo ha
chiesto per due volte. Forse non voleva passare il sabato da solo,
visto che
gli altri saranno impegnati. Si forse è solo quello.
Compagnia. Non illuderti Nicole
– sospiro – e
poi tu hai la tua
musica.
Faccio per
uscire dalla vasca quando sento il cellulare
suonare.
Cavolo, proprio
adesso?
Rischiando
di finire a terra e di rompermi una gamba, esco
gettandomi addosso il telo e cercando freneticamente il telefono.
Quando lo
trovo sembra stia per esalare l’ultimo respiro.
“Ciao
Nicole!” è Daniele!
“Ciao!”
esclamo felice di essere riuscita a prendere la
chiamata in tempo.
“Senti,
a che ora finisci in gelateria? Perché pensavo che
magari potremmo fare una passeggiata prima…”
Una passeggiata? Ma
se dobbiamo vederci direttamente al luna park!?
“Finisco
alle 18.30, Daniele. Mi ci vuole circa mezz’ora
per arrivare!”.
“18.30?
Perfetto, allora abbiamo tutto il tempo! A stasera,
Nicole, non vedo l’ora!” e chiude la telefonata.
Che ha detto? Non
vede l’ora?
Ripeto
all’infinito il mio pezzo per l’audizione, fino a
quando non credo sia perfetto. Poi guardo l’ora.
“Oh
cielo! Sono in ritardo!”
Così
ripongo il violino nella custodia, torno in bagno dove
metto un velo di trucco sugli occhi ed un leggero lucidalabbra alla
fragola,
anche se non durerà fino al mio appuntamento con Daniele.
Prendo un giubbino
leggero e volo verso la gelateria.
Arrivo
giusto in tempo.
“Scusate
il ritardo! Vado a cambiarmi!”.
Vado nel
retro, tolgo la camicetta ed i jeans ed indosso la
divisa, il grembiule ed il berrettino. Lego i lunghi capelli corvini in
una
coda alta, che incastro nel berretto e vado alla mia postazione.
Oggi
pomeriggio il locale è pieno di gente. Meno male,
almeno non avrò il tempo di pensare al mio appuntamento.
“Benvenuto!”
dico accogliendo ogni cliente con un sorriso,
cercando di dar loro ciò che desiderano.
Metà
del pomeriggio è quasi andato quando vedo dalla
vetrina uno strano tipo intento a fissarmi come se già mi
conoscesse. Non sarà
per caso un maniaco? Fingo di non notarlo continuando a fare il mio
lavoro,
quando sento la porta della gelateria aprirsi.
“Benvenuto
– dico, con il solito sorriso – in cosa posso
esserle utile?”.
Davanti a
me appare l’uomo che fino a pochi istanti prima
sembrava mi stesse osservando dalla strada. Non saprei dire se sia
più curioso
o più sconvolto.
Non avendo
lui risposto al mio invito glielo richiedo.
“Posso
aiutarla a scegliere, se non sa cosa prendere”
sempre con il sorriso sulle labbra.
Accipicchia, il modo
in cui mi guarda mi mette soggezione. E se fosse veramente un maniaco?
Avrà
sicuro sui quarant’anni, a giudicare dall’aspetto.
Alto, spalle larghe, fisico asciutto e folti capelli neri impreziositi
da
alcuni fili d’argento. Anche se, a giudicare da alcune rughe
che segnano il suo
volto, forse, è più grande. Gli occhi, azzurri
come il cielo, mi scrutano.
Questo è veramente un
maniaco. – deglutisco –
Forse dovrei
chiamare il titolare che è nel retro del negozio.
Indietreggio
leggermente, e da questo gesto, forse l’uomo
si accorge del mio disagio.
Si
avvicina al bancone e mette una mano sotto il mento,
come a voler scegliere qualcosa. Le sue mani, lunghe e affusolate,
ricordano
quelle di un pianista.
Cavolo però, da
vicino è un bell’uomo. Chissà
com’era alla mia età. Doveva essere un figo
pazzesco. – arrossisco –
Ma che cavolo vai a
pensare Nicole!
“Ecco
signorina, non saprei veramente cosa scegliere” dice
con una voce calda e profonda.
Diamine che voce.
“Beh,
dipende dai suoi gusti! Preferisce creme o frutta?”
sorrido.
“Oh,
non ne mangio uno da tanto. Lei cosa mi
consiglierebbe?” dice, sorridendomi a sua volta.
Sì, da giovane doveva
essere bellissimo. Lo è adesso, figuriamoci alla mia
età.
“Oh
beh, io prenderei un cono gelato con cioccolato, fragola
e tanta panna montata. Ma non è detto che a lei possa
piacere”.
“Allora
cioccolato, fragola e tanta panna montata sia!”.
“Ne
è sicuro? Non sono accostamenti che piacciono molto
insieme di solito” domando.
“Non
sono tanto inusuali. Conosco qualcuno che ha i suoi
stessi gusti, quindi, vada per quelli”.
Quando me
lo dice un velo di tristezza copre il suo sguardo
subito celato da con un sorriso di circostanza.
Così
gli porgo il suo cono gelato, che lui paga lasciandomi
una mancia e, salutandomi, esce dal negozio.
“Arrivederci
e torni presto a trovarci” dico, con un
inchino.
Quando mi
rialzo, con mia grande sorpresa, vedo Daniele
fuori dalla gelateria che mi saluta. Esco e gli vado incontro.
“Che
ci fai tu qui?” chiedo sorpresa e felice di vederlo.
“Che
domande, sono venuto a prenderti! Dai cambiati che
andiamo!” dice posando, senza che me lo aspettassi, un
delicato bacio sulla
guancia destra, che immediatamente prende fuoco.
Torno
dentro e corro nei camerini a cambiarmi.
Il mio primo
appuntamento con Daniele!
***
Non avrei
mai immaginato che un giorno avrei rimesso piede
in Italia. Eppure, come mi diceva sempre lei “Non dare nulla
per scontato”. Ed
aveva ragione.
Ho passato
gli ultimi vent'anni della mia vita in America
ad insegnare a New York, presso la Julliard School (**). Il mio sogno
è da
sempre stato quello di diventare un grandissimo musicista. La musica
è tutta la
mia vita. Da quando l’ho incontrata ho vissuto solo per lei,
ho respirato solo
per lei. Quando avevo lei con me, non avevo bisogno di altro.
Il primo
violino l’ho ricevuto all’età di dieci
anni. Un
regalo di mio padre, che sperava che uno strumento delicato come quello
placasse la mia indole ribelle. Non avevo ancora compiuto otto anni che
già mi
avevano espulso da due scuole diverse per aver picchiato un compagno di
classe.
E ancora oggi, se ripenso al motivo per cui l’ho fatto, non
me ne pento.
Avevano insultato mia madre, definendola una poco di buono, solo
perché se ne
era andata di casa.
Non
potevano certo sapere che mia madre era stata rinchiusa
in un centro di salute mentale, dopo aver perso la ragione a seguito
della
morte di mio fratello. Un banalissimo incidente in bicicletta ce lo
aveva
portato via per sempre. Incidente capitato proprio davanti ai suoi
occhi.
Povero fratello mio! Aveva da poco compiuto undici anni.
Con mio
padre andavamo sempre a trovarla, ed io attendevo
con ansia il giorno della visita a mia madre. Avevo solo quattro anni
quando
lei sparì dalla mia vita e quindi potevo solo desiderarla al
mio fianco. Purtroppo
tutte le nostre visite settimanali si concludevano allo stesso modo.
“Oh
Marco, bambino mio! Sei tornato da me!”.
Ed io, pur
di ricevere il suo affetto, non le dicevo mai di
non essere lui.
Questo suo
annullare me stesso, per riavere mio fratello,
mi aveva portato a diventare un bambino violento. Oggi sorrido al
pensiero dei
danni che ho fatto. Se ripenso come ero allora e come sono adesso,
nessuno
direbbe mai che io sia stato quel bambino tanto violento e ribelle.
La musica
mi ha salvato.
La musica
mi salva tutte le volte.
E’
passato un mese da quando ho ricevuto la chiamata di Adelaide,
sorella minore di mia moglie, quando mi comunicò che il
rettore dell’Istituto
Musicale Einaudi era andato a trovarla, pregandola di metterci in
contatto.
Sapevo
cosa voleva da me. Fin da quando eravamo giovani che
aveva tentato di farmi restare al suo fianco. Andrea Guardi,
mio compagno di liceo e poi di università, era diventato il
rettore di uno dei
più prestigiosi conservatori della città. Persino
il giorno del mio matrimonio,
insieme a me sull’altare, mi disse: “Come tuo
testimone sono in dovere di
offrirti un posto prestigioso, per mantenere decorosamente la magnifica
donna
che stai per sposare”.
invece, non ho mai ceduto alle sue
offerte. Eppure questa volta qualcosa mi diceva che dovevo
tornare e
così, dopo aver dato le dimissioni alla Julliard, salutato
gli studenti ed
organizzato il viaggio, eccomi di ritorno. Da quanto non passeggiavo
per le
strade della mia città! Non sembra più neanche il
luogo che ho abbandonato
quando sono fuggito via da qui.
Il taxi mi
lascia davanti a quella che una volta era la mia
casa. Un villino circondato da un bel prato verde, e la siepe che lo
recinta
crea un ambiente fuori da comune. Poco o nulla è cambiato in
questi vent'anni.
Sono solo aumentate le case nel vicinato, gli alberi sono cresciuti, ma
i suoni
e gli odori sono quelli di un tempo. Mi avvio verso l’entrata
della mia vecchia
casa guardandomi attorno. Sulla destra il grande gazebo bianco
è ancora lì, con
le poltrone ricoperte da soffici e candidi cuscini.
Bentornato
amore mio...
Amore
guarda, le rose sono fiorite questa mattina!
Tesoro
che ne dici se qui piantassimo un ciliegio? Sarebbe stupendo vederne la
fioritura dal nostro soggiorno
Ci
pensi, amore? Questa è la casa dove invecchieremo insieme!
Sono così felice!
Sorrido.
Nonostante gli anni trascorsi lei è ancora qui,
dove l’ho lasciata vent'anni fa, seduta sotto quel gazebo, a
leggere un libro.
“Francesco!”
una voce mi ridesta dai miei pensieri.
“Adelaide
cara!”
Corro
incontro a mia cognata. Ci abbracciamo senza dir
nulla. Gli anni sono passati anche per lei, in questa casa che non ho
venduto
solo per far sì che lei avesse un posto dove vivere.
Così è rimasta qui, ad
accudirla, ed è qui che è venuta a vivere con suo
marito, Ettore, un avvocato
di successo.
“Quanto
tempo è passato, fratello!” dice con la voce rotta
dall’emozione.
“Lo
so, piccola Adelaide, perdonami se non sono tornato
prima” rispondo, mortificato per non essere più
tornato.
“Non
importa, sapevo che prima o poi questo giorno sarebbe
arrivato!” dice sorridendo e facendomi strada verso
l’ingresso.
“Vedo
che non hai toccato nulla” dico stupito del fatto che
ogni cosa fosse esattamente come la ricordavo.
“E’
naturale che io abbia lasciato tutto com’era! –
dice
prendendo il mio soprabito – Questa è pur sempre
casa tua. Vieni che ti
accompagno nella tua camera così ti rinfreschi e ti riposi.
Mio marito sarà a
casa per ora di cena, quindi hai tutto il tempo per riprenderti dal
lungo
viaggio”.
“Ma…
Adelaide… questa è…”.
“Certo
fratello, questa è la vostra stanza. Non mi sono
permessa di usarla. Io e mio marito in questi anni abbiamo usato quella
che era
la mia vecchia camera, mentre per nostro figlio, Mirko, abbiamo
allestito la
camera degli ospiti – sorride. Mi è mancato il suo
sorriso. Era poco più che
adolescente quando sono andato via, e sono felice della donna che
è diventata –
Adesso ti lascio riposare” e mi lascia solo in quella che, un
tempo, è stata la
testimone di ogni mia gioia e dolore. Ha ragione Adelaide. Questa
è la mia stanza.
La nostra stanza. Ed io avrei potuto andare anche in capo al mondo, ma
alla
fine dovevo tornare qui da lei.
Disfo la
valigia, sistemando i vari abiti nell’armadio e le
maglie nei cassetti. Apro la mia valigia porta documenti e da
lì tolgo la
cornice che sempre mi segue in ogni viaggio. La poso sul comodino.
Quanto è
bella questa fotografia. L’unica che io abbia mai scattato in
tutta la mia
vita.
Ti prego Francesco, lo sai che
non sono fotogenica
Ma
che dici, sei assolutamente stupenda, amore mio
Clic.
Il sorriso
in questa foto è così spontaneo. Non
l’ho più
vista con questo sorriso. Le ho rubato un istante e me lo sono tenuto
per me,
come il più dolce dei ricordi. Un sospiro e decido di
uscire. Tutto insieme non
riesco a sopportarlo. Lei è ancora qui, tra queste mura, ed
io non sono ancora
pronto.
Avviso
Adelaide che non sono stanco e che vado a fare una
passeggiata.
“Mi
raccomando, Francesco, cerca di non perderti. In questi
vent'anni il quartiere è stato stravolto”.
Le
sorrido, rassicurandola, ed esco.
Passeggio
sovrappensiero, ripensando alla mia vita in
questi venti anni lontano da qui: il viaggio in America,
l’arrivo alla
Julliard, l’amore e l’affetto degli studenti. Senza
accorgermene mi ritrovo in
una nuova zona, che una volta non era abitata.
“Ma
guarda quante case e negozi. Il progresso e la civiltà
vanno avanti!”.
Mi trovo a
passare davanti ad una gelateria. Dò un rapido
sguardo all’interno, per tornare poi a riprendere il mio
cammino. Non è possibile
– penso. E torno
indietro per guardare meglio all’interno.
Dalla
vetrata vedo una ragazza che sorride mentre serve i
clienti. Forse gli occhi mi stanno giocando un brutto scherzo, ma
somiglia
tanto a lei. La vedo accorgersi di me, e così mi decido ad
entrare.
“Benvenuto!
In cosa posso esserle utile?” mi chiede con un
sorriso, ma io non l'ascolto. Sono troppo preso ad osservarla. I lunghi
capelli
corvini, gli occhi color nocciola, la forma del viso. Possibile che me
la
ricordi tanto? Somiglia a lei quando era poco più di una
ragazzina. La osservo
meglio, avvicinandomi cautamente. No, non le somiglia. Sorrido. Mi sono
sbagliato, lasciandomi suggestionare dal suo ricordo.
La
ricorda, ma non è lei.
“Posso
aiutarla a scegliere, se non sa cosa prendere” mi
dice nuovamente, sempre con il sorriso sulle labbra. Questa volta noto
che non
è più spontaneo come prima. Forse l’ho
spaventata.
Mi
avvicino al bancone a guardare tutti i gusti presenti.
Non immaginavo che in tutti questi anni i gelati triplicassero i loro
gusti.
Metto una mano sotto il mento, come a voler raccogliere le idee.
Puffo? Ma che gusto è
il puffo? – penso. Forse è meglio
chiedere consiglio.
“Ecco
signorina, non saprei veramente cosa scegliere”.
“Beh,
dipende dai suoi gusti! Preferisce creme o frutta?”
sorride.
“Oh,
non ne mangio uno da tanto. Lei cosa mi
consiglierebbe?” rispondo sorridendo nuovamente. Temo si sia
spaventata prima,
quando mi sono messo a fissarla, e non voglio pensi che sia un maniaco.
“Oh
beh, io prenderei un cono gelato con cioccolato,
fragola e tanta panna montata. Ma non è detto che a lei
possa piacere”.
Non posso credere che
anche a lei piaccia questo accostamento assurdo –
penso.
“Allora
cioccolato, fragola e tanta panna montata sia!”
dico, facendo la mia scelta.
“Ne
è sicuro? Non sono accostamenti che piacciono molto
insieme di solito” domanda stupita.
“Non
sono tanto inusuali. Conosco qualcuno che ha i suoi
stessi gusti, quindi, vada per quelli”.
E’
inevitabile che pensi a lei. Anche lei amava questi due
gusti messi insieme. E più panna c’era, meglio
era. Sorrido nuovamente alla
ragazza, ricacciando via i pensieri tristi.
Mi prepara
il gelato, mi fa lo scontrino, la pago e la
saluto.
“Arrivederci
e torni presto a trovarci” dice, con un
inchino.
Fuori
dalla gelateria c’è un ragazzo che
l’aspetta. Mi
volto a guardarli: lui le lascia un bacio sulla guancia e lei
arrossisce.
Sorrido nuovamente e proseguo per la mia strada, con in mano questo
bizzarro
gelato. Mi siedo su una panchina e lo assaporo.
Sì, fa decisamente
schifo (***).
Mi sto
rilassando, quando mi sento chiamare.
“Maestro
Giusti? Maestro Giusti?”.
Un ragazzo
di circa sedici anni mi si avvicina. Non molto
alto, capelli rossicci e brillanti occhi verdi.
“Sì?
Sono io”.
“Buona
sera maestro Giusti – e fa un inchino – Io sono
Mirko,
il figlio di Adelaide e Ettore Grimaldi. Sono venuto a prenderla per
accompagnarla a casa per la cena”.
“Oh
bene ragazzo! Grazie! Non credo che sarei riuscito a
tornare presto. Credo di essermi perso nel paese dove sono
cresciuto!”.
Sorride ed
insieme ci avviamo verso casa, mentre il giorno
inizia a lasciare il posto alle prime luci della sera.
I
pensieri di Ness
Ciao a
tutti!
Eccomi qui
con la trasposizione di questa nuova storia, o
meglio una versione Extra. Infatti l’ho già
pubblicata con altri nomi ed altri
luoghi. E’ per questo che resto molto sul vago
nell’ambientazione. Ho deciso di
farlo per dare la possibilità anche ad altri di leggerla.
Ci tengo a
farvi sapere che l’idea è nata da una canzone
del grande Domenico Modugno. Il titolo è “Il
maestro di Violino”. Potete
cercarla tranquillamente in rete e troverete che
c’è un film con questo titolo.
Della
trama del film ho solo usato la differenza di età, e
il viaggio in America del Maestro. Tutto il resto è frutto
della mia fantasia.
Nel caso in cui dovessero esserci altre somiglianze ve lo
farò sapere. Ad oggi
non ho ancora potuto vedere il film, essendo un film del 1976.
Spero vi
piaccia.
Ness
(*)L’ Istituto
Musicale “Einaudi” non
esiste. E’ frutto della mia immaginazione, dovendo adattare
il nome del
precedente istituto, a questa nuova versione. Il nome scelto
è un omaggio a Ludovico
Einaudi, uno dei più grandi pianisti e compositori italiani,
conosciuto in
tutto il mondo. Se non lo conoscete (cosa di cui dubito fortemente) vi
invito
ad ascoltare “Experience”, secondo me una delle
più belle sinfonie da lui
create.
(**)La Juilliard
School (spesso chiamata
semplicemente la Juilliard) è una delle
principali scuole di arti,
musica e spettacolo del mondo. Situata a New York, nell'edificio del
Lincoln
Center, offre corsi di danza, teatro e musica a più di 800
studenti. (fonte. Wikipedia).
(***)Questa è una bugia bella
e buona! Quelli sono i miei
gusti preferiti e li adoro messi insieme! Ma ho pensato che sarebbe
stato più
carino che a lui non piacessero.
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