La mia primissima Lucci/Kaku! E’ una coppia che adoro, ma sulla quale non mi sono
mai cimentata, adesso però ho deciso di dare il mio minuscolo contributo all’altrettanto
minuscolo fandom italiano. Nella speranza che cresca
a dismisura ^__~
Adesso le solite avvertenze di rito…Perché
i rompiBIIIP sono sempre in agguato ^^’
Non ci sono scene di sesso esplicito in questa fanfic, ma si parla pur sempre di amore
omosessuale. Come sempre, se la cosa vi disturba, NON leggete,
l’autrice ve ne sarà grata!
Edit: dimenticavo la cosa più importante!!! ^^' Questa fic è ispirata alla fanart della mia superadorata virtualsis, nonchè beta, Arikel. Potete ammirarla qui --> http://yaoi.y-gallery.net/view/444707/
Ma attenzione! E' NC17
Dopo uno dei soliti allenamenti di
routine, Kaku si diresse verso il suo alloggio per
fare una doccia con calma. Il pomeriggio assolato era
immobile e quieto, nell’aria si sentivano solo suoni in lontananza. Ad Enies Lobby la vita continuava, ma lì, nel cortile che
metteva in comunicazione gli edifici privati dove i membri del CP9 vivevano,
lavoravano, si preparavano, tutto era pressoché immobile…A parte un boato con
conseguente rumore di vetri infranti.
Un evento del genere avrebbe forse allarmato
un altro uomo, ma Kaku aveva il controllo perfetto
delle proprie emozioni, e il sangue freddo che era indispensabile nella sua
professione. Si fermò a riflettere un istante. Kalifa
e Blueno erano in palestra con lui fino ad un minuto
fa, ed il rumore era arrivato dalla direzione opposta; Fukouru
era via per una missione; il sonoro yoioiiii che
aveva sentito non appena uscito dalla palestra gli aveva fornito informazioni
per lo più accurate riguardo l’ubicazioni di Kumadori, che non poteva trovarsi in nessun modo vicino al
luogo da cui era arrivato il boato.
Mancavano all’appello Jyabura e
Lucci. Il che spiegava tutto.
Di Lucci si potevano dire tante cose, ma non che fosse una persona mite o incline al perdono e alla
tolleranza, e Jyabura, era semplicemente Jyabura, e non poteva fare a meno di provocare neppure per
salvarsi la vita.
Ordinaria amministrazione quindi, Kaku
non aveva niente di cui preoccuparsi. Continuò sui suoi passi, che lo portavano
nella stessa direzione dove i suoi due colleghi dovevano trovarsi, ma decise
che sarebbe stato inutile intervenire, la lite si sarebbe
risolta da sola, come sempre.
Tuttavia, sulla soglia dell’edificio dove
si trovavano gli appartamenti dei membri del CP9, incontrò proprio Jyabura, spettinato, ansimante e con i vestiti tutti
spiegazzati.
La sua innata buona educazione gli
impedì di mettersi a ridere in faccia al collega più anziano, ma quest’ultimo gli sbarrò la strada, appoggiando un braccio
allo stipite della porta ed impedendogli di attraversarla.
“Ma che diavolo ci trovi in quel
pazzo psicopatico?” chiese Jyabura, ancora col fiato
corto.
Kaku si limitò a sorridergli in
maniera enigmatica. La relazione che aveva con Lucci non era esattamente un
segreto, ma neppure un argomento di cui parlare apertamente. Oltretutto Jyabura non era il tipo di persona che avrebbe scelto come
proprio confidente, se mai ne avesse voluto uno.
Fece un passo in avanti invadendo lo spazio personale
dell’altro uomo, nella speranza che questi cogliesse l’indizio e gli lasciasse libero il passaggio. Ma ovviamente il suo collega
aveva deciso di essere difficile.
“Dico sul serio” continuò, infatti, senza retrocedere di un
millimetro “è pieno di sé, prepotente e se ti aspetti
che ti prenda sul serio…”
Ma Kaku
non lo lasciò finire, “non sono affari tuoi” tagliò corto, e scostò con un
gesto brusco il braccio del collega che ancora occupava la soglia.
Non aveva idea di cosa fosse successo
tra lui e Lucci, questa volta, per provocare qual tipo di commenti, né gli
interessava saperlo.
Ma ormai il pomeriggio era
rovinato. La sensazione piacevole che provava dopo aver sfogato un po’ delle
sue energie con gli allenamenti, si era trasformata in stanchezza pura e
semplice, e poi la verità era che Jyabura, per quanto
noioso fosse, aveva toccato un tasto dolente.
Kaku ammirava e stimava Lucci, in
combattimento era semplicemente impeccabile e la sua dedizione alla causa della
giustizia assoluta lo aveva ispirato da sempre. Era un modello, in pratica, fin
da quando si erano conosciuti, da ragazzini. E sapeva
inoltre che Lucci lo stimava a sua volta, anche se non era il tipo da fare
apprezzamenti, ammirava il suo stile durante la lotta, e si fidava delle sue
capacità.
Non per niente Kaku era
implicitamente il suo partner ‘ufficiale’ ogni
qualvolta una missione richiedesse la presenza di due agenti.
Solo che per Kaku
c’era di più. Molto di più. Ma il fatto che Lucci avesse
accettato che diventassero partner anche a letto, oltre che sul lavoro, non
voleva dire che provasse anche lui la stessa cosa.
Per di più se Lucci avesse mai
pensato che i sentimenti, qualunque fossero, avessero potuto intralciare in
qualsiasi modo il loro lavoro, non ci avrebbe pensato due volte a troncare la
loro relazione. Paradossalmente Kaku avrebbe persino approvato
una scelta del genere. Poteva non avere la freddezza di Lucci, ma era anche lui
perfettamente consapevole di quale fosse il suo ruolo, e di quali dovessero essere le sue
priorità.
E allora perché le parole di Jyabura l’avevano messo di cattivo umore?
Giunto ormai nel suo appartamento,
liberatosi con calma dei vestiti, Kaku potè finalmente godersi una doccia calda. La
sensazione era così piacevole che decise di rimanere a
godersela un po’ più a lungo del solito. Così, mentre lasciava che l’acqua gli
bagnasse il viso, scendesse sul torace e sulla schiena
e in fine sulle sue lunghe gambe, rilassando i muscoli ancora tesi, riuscì a
riflettere con più calma sulla conversazione di pochi minuti fa.
E realizzò che Jyabura
si sbagliava.
Lucci non era tipo da sussurrare
parole dolci all’orecchio dell’amante. Molte volte, dopo che avevano fatto
sesso, era stato perfettamente capace di alzarsi e ritornare nella sua stanza,
senza dire una parola.
Non avrebbe mai detto a Kaku che
l’amava, e non l’avrebbe mai ammesso neppure con sé stesso.
Non gli avrebbe mai fatto un complimento dopo una missione
andata a buon fine, tanto il successo era un obbligo scontato per i membri del
CP9, né gli avrebbe detto di stare attento.
Non gli avrebbe preso la mano mentre erano per strada, e non
perché a Lucci potesse minimamente interessare il parere degli altri, ma perché l’avrebbe considerata una smanceria
inutile.
In pratica, non avrebbe mai avuto nessuno degli
atteggiamenti che si potevano considerare perfettamente normali tra due amanti,
a prescindere dal sesso o dalla professione.
E in fondo, ne assumeva pochi anche
di quelli che si potevano considerare normali per un essere umano comune.
Certamente Lucci era tutt’altro che una persona
qualunque.
Però poi c’erano delle volte…
Quelle in cui Lucci lasciava che Kaku gli guardasse le spalle senza necessità di
chiederglielo, perché sapeva che lui sarebbe stato lì, e metteva praticamente
la propria vita nelle sue mani.
Quelle in cui lasciava che Kaku partisse da solo
per qualche missione pericolosa, senza salutarlo, perché aveva la piena fiducia
nelle sue capacità e sapeva senza ombra di dubbio che sarebbe tornato sano e
salvo.
Quelle in cui era lui a rientrare
dopo qualche missione, stanco, e lasciava che Kaku lo
svestisse e lo conducesse sotto la doccia, l’unico a poter constatare di
persona che in fondo, anche Rob Lucci aveva dei
limiti fisici.
E c’erano quelle volte in cui Lucci restava
a dormire, e Kaku si svegliava la mattina dopo con la
testa appoggiata sulla sua spalla e un braccio attorno alla sua vita.
Soprattutto poi, c’erano quelle in cui Lucci lasciava che fosse Kaku a
sdraiarsi sopra di lui, tra le sue gambe, che entrasse dentro il suo corpo, gli
baciasse il collo e la bocca e gli passasse le sue dita agili e sottili tra i
capelli.
C’era voluto del tempo, prima di arrivare a quel risultato,
e ce n’era voluto ancora di più perché Lucci lasciasse
che Kaku lo prendesse mentre era disteso sulla schiena,
in modo da poter vedere quelle emozioni che trasparivano sul suo viso, e che
non riusciva a tenere nascoste.
Quelle volte Lucci cercava di
mantenere la sua fredda compostezza, ma finiva per conficcargli le unghie nella
schiena, noncurante dei segni che sarebbero rimasti sulla sua pelle, e per
affondare il viso tra il collo e la spalla del suo amante.
Tra i membri del CP9, nonostante tutto, c’era un legame
speciale. Con il tipo di lavoro e di vita che facevano, anche se nessuno lo
avrebbe detto ad alta voce, i colleghi diventavano l’unica famiglia e gli unici
amici; i soli a conoscere le vere abitudini, la vera personalità, persino il
vero nome gli uni degli altri.
Lucci però non aveva mai lasciato avvicinare nessuno, forse
perché nessuno gli aveva mai insegnato come fare, o perché, come molti
pensavano, non ne vedeva l’utilità.
Kaku era l’unica eccezione. E questo il ragazzo lo sapeva.
Bisognava arrivargli molto vicino davvero, per comprendere
che anche Lucci aveva qualcosa da dare, e il fatto che in genere fosse così
restio a farlo, la diceva molto lunga riguardo ciò che
provava per Kaku. Perché a lui e solo a lui, Lucci
stava donando qualcosa di importante, forse
inconsapevolmente, perciò Kaku decise che quel dono
lo avrebbe custodito con cura, sempre.
Quelle riflessioni avevano restituito definitivamente il
buon umore al giovane agente, che rivestitosi dopo la doccia, decise che valeva
la pena sfidare la sua buona sorte.
Andò a bussare alla porta di Lucci, lo trovò seduto in
poltrona a leggere chissà quale rapporto su chissà quale lavoro,
perfettamente impeccabile come sempre, come se lo scontro con Jyabura non fosse mai avvenuto, mentre l’inseparabile Hattori era appollaiato sulla sua spalla, assopito.
Lucci non si degnò di rivolgergli la parola, ma gli lanciò
uno sguardo che prometteva sciagura, se l’avesse disturbato
per qualcosa che non fosse di vitale importanza. Ma Kaku amava vivere pericolosamente.
Gli si piantò davanti, e chinandosi fino ad appoggiare le
mani sui braccioli della poltrona, catturò la bocca dell’altro in un bacio che
trasmetteva un messaggio inequivocabile.
Colto alla sprovvista, Lucci non
trovò di meglio che ricambiare il bacio, ma quando dovettero separarsi per
riprendere fiato, piantò i suoi occhi gelidi e scuri in quelli dell’altro,
evidentemente decidendo la sua sorte.
Comunque, doveva essere il giorno
fortunato di Kaku.
“Chiudi la porta” gli disse Lucci in un tono piatto, ma
l’espressione del suo sguardo era decisamente
differente.
Kaku obbedì immediatamente, mentre
Hattori prendeva il volo fuori
dalla finestra, tubando infastidito per il brusco risveglio.