FEBBRE
Non
seppe spiegare l'immensa gratitudine che provò non appena si
chiuse
il portone alle spalle e lo scroscio violento di pioggia
arrivò
attutito alle orecchie. Nonostante avesse preso la metro – la
fermata era praticamente a due passi dal condominio in mattoni rossi
– era bagnata fradicia; i capelli lunghi gocciolavano, e Dio
solo
sapeva quanto si sarebbero increspati di lì a breve. Il
cappuccio
del giubbotto non l'aveva salvata, l'ombrello nemmeno: era
definitivamente morto con una raffica di vento particolarmente
violenta.
Un
saluto al valoroso e coraggioso soldato, morto per una buona causa.
Una
vampata di
calore dovuta alla corsa disperata la fece boccheggiare e togliere la
sciarpa blu di lana, stando attenta a non inciampare sui gradini o
bagnare più del previsto in giro.
Giunta
al terzo
piano rovistò frenetica alla ricerca delle chiavi
perché,
ovviamente, non erano al loro solito posto; dovevano
essere
scivolate nelle profondità oscure e infingarde della borsa.
Quella
era
decisamente una giornata no.
Tanto
per cominciare
non avrebbe dovuto piovere: le previsioni non l'avevano annunciato.
Ma, d'altra parte, quando mai ci azzeccavano ultimamente? Il mondo si
ribaltava come gli pareva.
Seconda
cosa, doveva
trovarsi a casa già da ben due ore;
però era arrivato un
grosso ordine di antiche edizioni – la più vecchia
risaliva a tre
secoli fa – quindi Sam le aveva chiesto gentilmente di
rimanere.
Aveva soffocato le proteste e la preoccupazione inviando un semplice
messaggio di scuse; e quando la risposta era giunta aveva sospirato
sollevata leggendo che là andava tutto bene e che sarebbero
sopravvissuti fino al suo ritorno – come era accaduto durante
tutta
la giornata, tra l'altro. E le precedenti tre
L'ascensore
era
fuori uso. Da mesi. Un minimo di bile saliva in gola per forza,
specie quando si desiderava solo accasciarsi in qualche angolino a
dormire. Ormai il danno era fatto, e il rumore del terzo giro delle
chiavi nella toppa le scatenò quasi un'ondata di pianto al
culmine
della gioia. Quando entrò nell'ingresso illuminato
debolmente dalla
luce proveniente del soggiorno si annunciò piano, sperando
non
fossero già tutti al calduccio sotto le coperte.
«Sono
tornata.»
Dalla
cucina le
zampettò incontro il suo piccolo carlino color champagne;
abbaiò
una sola volta e le annusò le caviglie, contento di
rivederla.
«Ciao
anche a te Lafayette» gli accarezzò la testa
fermandosi dietro le
orecchie «Sei sveglio solo tu?
Lasciami togliere le
scarpe, da bravo.»
Tirò
fuori la
lingua e le lecco la mano, felice di ricevere tante attenzioni dalla
sua padrona; si allontanò di pochi passi ma un richiamo dal
soggiorno lo portò là, così da
lasciarla asciugarsi le punte dei
capelli alla bell'e meglio con la sciarpa e spogliarsi in pace.
Non
badò al
gorgoglio dello stomaco e vi si diresse anche lei, sorridendo nel
riconoscere una vocina famigliare intenta a leggere con qualche
difficoltà; si fermò sullo stipite della porta,
appoggiandosi a
braccia conserte per gustarsi lo splendido quadretto delle persone
più importanti della sua vita semi sdraiate sul lungo divano.
«Il
leone è uno
degli a – anim –» aggrottò la
fronte, adorabilmente
concentrato.
«Animali»
dissero
in contemporanea i due adulti, aiutandolo.
All'udire
la sua
voce il bambino alzò di scatto la testa dal libro che
reggeva tra le
manine, sgranando gli occhioni azzurri; si scostò la coperta
di pile
che lo copriva fin quasi al mento e le corse addosso, gettandosi tra
le sue braccia spalancate e pronte ad accogliere quel frugoletto di
sei anni.
«Ciao
mamma!»
Le
si scaldò il
cuore, come ogni volta. Perché niente era più
bello di quella dolce
frase in italiano. Era un piccolo gioco della loro famiglia, iniziato
da quando suo figlio aveva imparato a parlare; lui la salutava nella
sua lingua madre e lei rispondeva sempre in inglese.
«Ciao,
tartarughina!»
Al
che seguiva la
risata argentina e un abbraccio forte forte, per quanto glielo
permettessero le sue braccine.
«Oggi
come ti
senti? Sei stato buono?»
Il
bambino annuì e
poi si scostò, permettendole di guardarlo in quegli occhi
così
diversi, ma così simili ai suoi.
«Sto
meglio, non ho
la febbre. Vero papà?»
L'uomo,
che mai aveva smesso di guardarli, si alzò e
annuì con un
sorrisetto «Niente
febbre» confermò «Nessuno dei
due.»
«Meno
male» premiò il figlio con un bacio a schiocco
sulla guancia «Mi
spiace aver fatto tardi. Avrei voluto cenare con voi.»
Il
marito le si avvicinò e le accarezzò la schiena,
mentre gli occhi
azzurri brillavano in modo strano «A me niente
bacio?» chiese con
tono deluso.
Lei
e il piccolo si guardarono, trattenendo a stento una risata
«Mmh,
no! E' un'esclusiva del mio nanetto e di nessun altro. Inoltre non
vorrei prendermi anch'io la febbre; è solo il primo giorno
in cui
non l'avete.»
«Sono
molto contrariato, Anna.»
«Facciamo
in questo modo, signor contrariato:
mi preparo qualcosa da mangiare e poi forse – e dico forse
–
avrai il tuo bacio.»
«La
cena è già pronta, devi solo riscaldarla. Che
dici Peter, facciamo
pagare di più alla mamma? Direi che due baci possono
bastare.»
«Sì!
Sì!»
«Ah,
ma grazie tante! Volete proprio che mi ammali?» chiese,
fintamente
arrabbiata.
Peter
ridacchiò – aveva capito che la mamma stava
scherzando –,
decidendo di defilarsi alla ricerca di Lafayette; l'aveva intravisto
passare in corridoio con qualcosa di colorato in bocca, e voleva
capire di cosa si trattasse.
Nel
frattempo lei aveva acceso il microonde e si era dedicata alla
contemplazione del piatto al suo interno, attività che aveva
scoperto essere molto rilassante specie per pensare alle questioni
più disparate e sciocche o anche alle più serie
senza dare di
matto. Era talmente assorta che sobbalzò impaurita quando
qualcosa
di morbido le cadde in testa finendo a coprirle gli occhi.
«Ehi,
Richard!» protestò, scostando un lembo di un
asciugamano viola.
La
risata bassa la avvolse con calore, e il suo volto coperto da un filo
di barba entrò nell'ormai ridotto campo visivo
«Asciugati quei
capelli, o prenderai seriamente un malanno.»
«Oh,
giusto» borbottò, allontanandosi dalla cucina per
frizionarsi la
chioma indomabile; fortuna non era bagnata sulla cute, quindi il
pericolo influenza sembrava scongiurato. Ormai era solo un po' umida
dappertutto, specie sui jeans.
Sporse
la testa in cucina, sorridendo con calore «Grazie.»
Lui
scrollò le spalle, esibendosi nella perfetta espressione
malandrina
che tante volte l'aveva stregata nel corso della loro relazione ed
ammirato molto spesso quando vestiva i panni di sir Guy di Gisborne
nella serie televisiva Robin Hood. Davvero,
come resistere a quello sguardo che ti scrutava e pareva spogliarti?
Come respingere quelle labbra sottili piegate verso l'alto che non
chiedevano altro d'essere baciate?
Ancora
si stupiva dei momenti passati in quegli anni: dall'incontro fortuito
proprio nel giardinetto posteriore al condominio – non
avrebbe mai
ringraziato
abbastanza Lafayette
–, della speranza persa molte volte giacché non si
incrociavano
quasi mai sulle scale o sui vari pianerottoli, della frequentazione
impacciata, dei momenti lunatici – di entrambi, mica
esclusivamente
di Richard –, le gelosie e fraintendimenti, terminando in
quell'amore a volte contrastato da loro stessi che successivamente
aveva visto il coronamento. E da lì v'era stato un
susseguirsi di
momenti dolci, tragici – il suo primo evento mondano, la sua
prima
première, la conoscenza dei parenti – fino alla
convivenza, al
matrimonio e alla gravidanza tanto attesa. Se glielo avessero detto
anni prima si sarebbe limitata a ridere ed alzare le spalle, pensando
che una fortuna del genere non potesse capitare ad una ragazza come
lei, un po' nerd e un po' fangirl amante della tranquillità
e con
pochi ma buoni amici. La solitudine era sempre apprezzata, anche se
lei non si era mai definita sola, nemmeno
quando aveva lasciato l'Italia per una nuova destinazione. E non era
stata abbandonata a se stessa nemmeno durante il periodo di riprese
de Lo Hobbit: Richard
l'aveva portata in Nuova Zelanda, chiedendoglielo con un tale ardore
e una dolcezza infiniti da non rifletterci due volte. Perché
lo
amava e per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche sopportare un
volo lunghissimo ed estenuante – lei non apprezzava molto i
viaggi
in aereo, però quelle pastiglie le erano state di immenso
aiuto –;
sopportare la pressione che il ruolo di Richard richiedeva –
l'essere il Re dei Nani poteva presentare notevoli vantaggi o
insormontabili svantaggi, dipendeva dalle situazioni. Di certo
trovarselo alla porta il giorno del suo compleanno con abiti e
parrucca di scena aveva contribuito a rendere la festività
più...
stimolante e divertente. Molto
divertente.
E
aveva sopportato stoicamente i principi di infarti isterici ogni qual
volta veniva chiamata perché “Richard
si è infortunato
sul set! Si è spaccato il labbro col proprio
scudo!”
Se
ci ripensava adesso trovava tutti quei piccoli contrattempi piuttosto
divertenti; avevano contribuito a rendere il soggiorno movimentato e
aiutatola a comprendere quanto ampio fosse l'amore per quella persona
eccezionale.
Con
l'asciugamano stretto in testa a mo' di turbante rientrò
nella
stanza, abbracciandolo e beandosi della solidità del petto
coperto
da un maglione; espirò soddisfatta quando sentì
le braccia
avvolgerla, proteggendola da qualsiasi forma di negatività,
e
percepì distintamente le sue dannate labbra sulla fronte.
«Ti
amo tanto.»
«Anche
io, straniera.»
Ridacchiarono
entrambi, rimanendo abbracciati e in silenzio a godersi la compagnia
dell'altro finché i gridolini di Peter e gli ansimi di
Lafayette non
li riportarono alla realtà.
«Quello
è un mio calzino?» domandò l'uomo,
indicando la macchia rossa che
penzolava dalle fauci del cane.
Anna
alzò la testa e lo guardò «Uno di
quelli vecchi.»
«Ah.»
Ne
approfittò per sporgersi sulle punte e posargli un bacio a
fior di
labbra, sciogliendosi poi dal contatto. Ricevette uno sguardo
insoddisfatto e, successivamente, una divertita alzata di
sopracciglio.
«Ma
come? Non avevi detto d'aver paura di ammalarti?»
«Quanto
sei noioso, Armitage» lo rimproverò,
picchiettandogli l'indice sul
petto «Non meriteresti il secondo bacio. Però,
data la mia
magnanimità, te lo concederò più
tardi.»
«Oh,
non vedo l'ora, mia signora.»
Altro
che la sua frase-quasi-ma-non-sexy. Maledetto uomo dalla voce
baritonale! Questo era da classificarsi come un colpo basso.
Bassissimo.
Armitage
1 Anna 0.
Ogni
replica venne inghiottita a causa dei rumori piuttosto alti che
arrivavano dalle altre stanze; era tempo di riprendere il ruolo di
mamma.
«Peter,
non correre in casa, te l'avrò ripetuto decine di volte! Se
non stai
attento rischi di farti male o rischi di far cadere l'albero
addobbato!»
Il
bambino si fermò dal rincorrere il suo piccolo amico, e la
guardò
dispiaciuto «Ma non sono caduto»
protestò debolmente.
Anna
gli si avvicinò, piantando le mani sui fianchi
«Sarebbe potuto
accadere. E poi cosa ti ho sempre detto? Il rispetto per i vicini
prima di tutto. Pensa a chi ci abita sotto, si saranno chiesti se ci
fosse un qualche terremoto.»
«Va
bene.»
«Perché
non le mostri la letterina?» gli suggerì Richard,
pronto come
sempre a risolvere la situazione con tono conciliante.
«Quale
lettera?»
Peter
si rianimò come se nulla fosse capitato, camminando veloce
verso il
tavolino del soggiorno «Quella per Babbo Natale,
mamma» gliela tese
e lei la afferrò, leggendo il nome del destinatario vergato
in
quella scrittura infantile e un po' disordinata.
«Papà
mi ha aiutato, e ha detto che l'avremmo imbucata
prestissisimo!»
Risero
entrambi, rivolgendosi un rapido sguardo «Bé,
prestissisimo no,
probabilmente prestissimo. Hai
scritto tutto?»
«Sì!
Gli ho detto che sono stato buono tante volte, ma qualche altra no,
vi ho fatto arrabbiare. Ho promesso di essere più bravo, e
gli ho
chiesto se per favore poteva
portarmi l'elicottero con i soldatini! Ho anche scritto l'indirizzo
sulla busta, papà mi ha detto di metterlo anche lì»
commentò entusiasta, talmente tanto che perfino lei si
dimenticò di
quel piccolo particolare dell'esistenza del
fantomatico uomo
vestito di rosso.
Si
rigirò il pezzo di carta, sorridendo affettuosa
«Perfetto! Vorrà
dire che domani mattina la spedirò e tra pochissimi giorni
arriverà
in Lapponia.»
Peter
annuì più volte, gli occhi azzurri brillanti di
aspettativa «Ho
visto dov'è la Lapponia! È vicina a
noi» si fermò a contare
«quattro dita» esultò, mostrandogliele
«Arriverà presto,
allora.»
«E
non saremo gli ultimi ritardatari visto che mancano ben due settimane
a Natale» si intromise Richard, arruffando i capelli del
figlioletto.
Il
timer del microonde suonò, distogliendo Anna da discorsi
riguardanti
renne, elfi dai buffi cappelli a punta e una slitta carica di doni.
Tolse il piatto e dovette ricacciare l'acquolina in bocca nel notare
carne e patate; sistemò tutto sulla tavola e si sedette,
venendo
imitata dai suoi uomini.
«Buon
appetito.»
«Grazie!»
Un
quarto d'ora dopo tutto era stato spazzolato, pronto per essere
lavato. Peter iniziava a sentire una certa sonnolenza però
prima
d'andare a letto vi era un altro piccolo rito, e non aspettava altro.
Lasciò i genitori dirigendosi verso la libreria, scelse uno
dei tomi
su uno scaffale alla sua portata e ritornò sul divano,
impaziente.
Lafayette
arrivò subito, trotterellando e reclamando un po' di
coccole, al che
lui – guardandosi ben bene attorno per accertarsi d'essere
solo –
lo afferrò con entrambe le mani e lo issò su,
poggiandoselo in
grembo. Lasciò che gli leccasse le dita e batté i
piedi tra loro,
creando un ritmo costante mentre ascoltava il rumore dell'acqua del
lavello e quello delle stoviglie che sbatacchiavano tra loro; a
questi si aggiunse il suono gorgogliante dell'acqua che bolliva e del
liquido versato nelle tazze.
Ma
quanto ci mettevano?
Dopo
un'eternità – preannunciata
dal silenzio e dalle
chiacchiere più nitide dei genitori – eccoli
arrivare: mamma con
due tazze in mano e papà con una. Peter si esibì
in un enorme
sorriso quando ricevette la sua, annusando rapito il profumo del
latte caldo e chiedendo a Lafayette di non muoversi perché
sennò
l'avrebbe urtato.
Rimase
seduto in mezzo – come da tradizione – e
mostrò soddisfatto la
sua scelta dopo una generosa sorsata.
«Ottimo!»
commentò sua madre.
«Come
ogni anno nel periodo natalizio» aggiunse papà,
ammiccando «ormai
è un rito. Dunque, inizio sempre io a leggere?»
Peter
abbassò un attimo gli occhi, vergognandosi della richiesta
che
pronunciò subito dopo con voce sottile «Posso
provare?»
Richard
sbatté le palpebre due volte e poi le sue labbra si aprirono
in un
sorriso orgoglioso «Mi sembra più
che giusto! Ormai è tempo
che tu legga durante le nostre serate. A te l'onore.»
Gli
porse il libro mentre Anna si premurò di togliergli la tazza
dalle
mani; e quando voltò la testa verso di lei ricevette un
sorriso e
una strizzatina d'occhio in segno d'incoraggiamento.
Lo
aprì e sfogliò le pagine fino a trovare il primo
capitolo; si
concentrò per bene mentre leggeva mentalmente le parole ed
iniziò.
«In
una caverna sotto terra viveva uno hobbit.»
Si
erano susseguiti altri due capitoli e poi era giunto il momento di
andare; Peter ormai non riusciva a tenere gli occhi aperti,
perciò
Richard lo prese in braccio mormorandogli che ora avrebbe potuto
dormire e lo portò il più silenziosamente
possibile nella sua
cameretta. Nel frattempo Anna si occupò delle tazze;
ripensò con
dolcezza ai momenti appena trascorsi, e a quel piccolo rituale che
era diventata abitudine perfetta e solo loro. Nemmeno a casa,
là in
Italia, aveva trascorso una serata del genere dove tutti si sedevano
con una tazza fumante di latte o tè – aveva
scoperto di gradirlo
molto di più con un goccio di latte mentre Richard, d'altra
parte,
quasi quasi preferiva la variante col limone, lieve smacco alla sua
personalità così britannica –
ascoltando una buona storia. Il
tutto durante i preparativi per le festività natalizie, il
che
comportava dover leggere mentre le lucette dell'albero danzavano e
creavano nuovi giochi, nuovi ritmi ora calmi e poi più
veloci.
Semplicemente
un'atmosfera... magica.
La
metteva di buonumore a dispetto di com'era andata la giornata, dei
problemi o della felicità riscontrate. E sapeva per certo
che anche
per Richard era così; lui glielo aveva confidato tempo
addietro,
quando era incinta e trascorrevano le serate nello stesso modo. Un
piacevole momento solo loro, senza il peso della popolarità
o dei
problemi che una coppia poteva affrontare.
Per
Peter, poi, quel momento era davvero magico e loro cercavano sempre
di renderlo tale; modulavano le voci per interpretare meglio i vari
personaggi, recitando solo per vederlo stupito, meravigliato o
ansioso, partecipe delle tante avventure che l'avevano accompagnato
da quando ne aveva memoria – e anche prima.
Udì
gli inconfondibili passi del marito mentre finiva di asciugarsi le
mani sul canovaccio, e la sua alta figura comparì, mezza
assonnata e
con i capelli arruffati.
«Stamattina
ha chiamato mia madre. Voleva sapere come stavamo.»
«Mi
sembrava strano non l'avesse fatto, in effetti. Sai che si preoccupa
sempre quando vi ammalate. E ha chiamato anche me, oggi
pomeriggio.»
Richard
soffocò uno sbadiglio «Ah sì? Che ti ha
chiesto?»
«Solo
se potevo suggerire un'idea per il regalo di Natale.»
«Mmh.
Ecco perché continuava a domandarmi se mi si fosse rotto il
rasoio
elettrico.»
Davvero,
non riuscì proprio a ricacciare la risata in gola
«E non ti è
venuto un qualche sospetto?»
«Sì,
ma dovevo badare anche a Peter e – oh, che
meraviglia» mugolò
soddisfatto, quando lei gli passò una mano tra i capelli e
lo
accarezzò.
Era
come un gatto troppo cresciuto, anche se non li apprezzava. Era
più
un tipo da cane, e lei non poteva non considerarlo un punto –
l'ennesimo – a suo favore.
«Cosa
le hai risposto? Perché quando mi ha telefonato sembrava
ancora a
corto d'idee.»
«Ho
detto di scegliere in base al suo gusto. Fosse per me rimarrei senza
regali, contando tutto quello che hanno sacrificato per rendermi
l'uomo che sono oggi.»
Ah,
ecco l'umile Richard! Il cuore le balzò in petto constatando
quanto
poco la notorietà avesse intaccato il suo animo.
Ringraziò tutte le
divinità conosciute per il suo essere così normale
nonostante
l'evidente fama dopo la trilogia diretta da Peter Jackson.
«Un
Natale senza regali non è Natale» disse,
parafrasando la celebre
battuta di Jo March in Piccole Donne «Credimi,
fosse per me e per i
tuoi genitori ti riempiremmo di doni.»
Richard
le rifilò la sua migliore occhiata contrariata, ma ogni
protesta
venne zittita sul nascere «Non guardarmi così,
è la pura e
semplice verità. Non ti sei mai arreso in quegli anni in cui
non
trovavi una parte, hai lavorato sodo dimostrando una dedizione senza
eguali e hai sempre trovato del tempo per la tua famiglia, sia
“vecchia” che “nuova”. Nel tuo
cuore abbiamo sempre occupato
il primo posto.»
«Questo
perché senza il vostro sostegno non sarei mai andato
avanti.»
«Chissà.»
«No,
Anna» la corresse, scuotendo la testa «Il mondo
dello spettacolo è
un campo minato. Una piccola mossa falsa e vieni messo sulla
graticola. Senza qualcuno che ti vuol bene e ti appoggia, che ti
sostenga nei momenti difficili e in quelli più belli...
tutto
diventa vano, tramutandosi in cenere. Per questo sono grato ai miei.
Per questo sono grato a te.»
Le
baciò il dorso della mano, portandosela sulla guancia in una
muta
richiesta di carezza. E lo accontentò, regalandogli il
secondo bacio
promesso; non avrebbe trovato parole giuste con cui ribattere senza
cadere in un banale grazie, perciò
la mossa migliore si dimostrò il silenzio.
Quando
si staccarono per riprendere fiato – era durato un bel po',
proprio
come le piaceva – continuò il discorso.
«Comunque
ho detto a tua madre di non preoccuparsi; le ho proposto il porta
orologi, mi sembrava lo volessi.»
Il
sorriso fu la prova sperata: aveva centrato
l'obiettivo-regalo-Richard
«Te ne sei ricordata? Ne avevamo parlato mesi fa!»
«Avrò
una pessima memoria, lo ammetto, però alcune cose mi
rimangono
impresse, sai?»
Le
avvolse le braccia attorno ai fianchi, guardandola tanto intensamente
da sentire le guance in fiamme e il cuore galoppare peggio di una
ragazzina; le sembrò d'essere tornata indietro, durante i
primi
tempi di conoscenza.
«Non
riesco neppure ad immaginare una vita senza di te. È
assolutamente
inconcepibile» disse serio, sottolineando la portata delle
frasi.
Lei
allacciò gli occhi ai suoi facendogli comprendere d'aver
capito, in
quanto la sua risposta sarebbe risultata altrettanto importante
«La
mia sarebbe stata così grigia,
e vuota! Mi hai donato
così tanto che non credo d'aver mai ricambiato, anche se so
che un
rapporto non si basa certo su questo.»
«Abbiamo
l'un l'altro e abbiamo il piccolo Peter. Sono più che
soddisfatto»
si sporse a baciarla di nuovo, iniziando una dolce catena costellata
di piccoli e soffici incontri di labbra. Sopirono ogni parola
superflua, ogni stupido dubbio. Non dovevano temere poiché
non erano
soli. Non lo sarebbero mai stati, nemmeno in futuro.
«Papà,
dai! Faremo tardi a scuola!» urlò Peter, cercando
di infilarsi il
cappello nel modo giusto; aveva già indossato guanti e
sciarpa per
evitare una nuova febbre – non aveva proprio voglia
d'ammalarsi di
nuovo e rimanere in casa tutto il giorno senza combinare nulla.
Si
caricò lo zainetto sulle spalle e ne approfittò
per giocare un
altro pochino con Lafayette mentre aspettava.
Arriveremo
in ritardo. Di sicuro!
«Hai
tutto? Mi pare di sì. Rimani al caldo e non compiere
movimenti
bruschi, non vorrei trovarti svenuta a terra quando
tornerò» disse
in fretta Richard, ricontrollando che termometro, pastiglie e acqua
si trovassero sul comodino «Per qualsiasi
problema chiamami,
lo sai. Terrò il cellulare in tasca durante l'intervista,
quindi ti
sentirò. Altrimenti chiama mia madre, lei ce l'ha sempre con
sé.»
«Per
l'amor del cielo Richard, respira! È solo
influenza» borbottò,
poggiandosi un fazzoletto bagnato sulla fronte bollente.
Si
sentì osservata e, curiosa, lo guardò notando
l'espressione
mortalmente dispiaciuta «Mi dispiace, amore mio.»
Come
poteva restare indifferente di fronte a quegli occhi da cucciolo
ferito? «Avrei dovuto aspettarmelo con due malati
in casa. Non
ho più le difese di una volta, ma non importa»
minimizzò, agitando
la mano destra e sospirando pesantemente.
Le
si avvicinò, chinandosi pericolosamente verso le sue labbra
«Non
sei pentita del momento post lettura, quindi?»
bisbigliò
cospiratore, con un timbro piuttosto malizioso.
Incrociò
le braccia al petto ed assunse l'espressione più offesa che
riuscì
a produrre – con un febbrone del genere risultò
un'impresa
piuttosto ardua. Tutto pur di non lasciargli la soddisfazione di
saperla anche fin troppo entusiasta di quel lungo momento conclusosi
tra le lenzuola. Tanto il maledetto era a conoscenza
dell'apprezzamento, era piuttosto evidente.
«Ti
odio.»
Richard
rise, riuscendo a contagiarla per la seconda volta in poche ore; le
diede prima un bacio sul naso e poi uno sulla bocca rosea proprio
mentre Peter entrava, scocciato.
«Andiamo?»
«Sono
prontissimo!» si aggiustò i lembi del cappotto
antracite e si
sistemò la sciarpa blu – la sua
– al
collo.
«Ti
amo.»
Gli
sorrise affettuosamente di rimando, guardandoli sparire ed ascoltando
i loro passi e le loro voci finché non si chiusero la porta
alle
spalle.
«Anche
io, Richard» disse, chiudendo gli occhi «Non
sai quanto.»
Dopotutto,
l'essere malata poteva fruttarle qualche vantaggio.
CANTUCCINO
DELL'ATTRICE
Sono
tornata a scrivere, e non posso crederci.
Buonasera!
Debutto in questa sezione con questa storiella leggera e zuccherosa
che spero vi abbia strappato qualche sorriso; il clima natalizio ha
ghermito il mio cuore, e chiedeva a gran voce di produrre qualcosa. E
quale modo migliore se non questo? Premetto che di solito non amo
molto cimentarmi in storie su personaggi reali e famosi,
perché ho
sempre difficoltà a capire come sono davvero. Insomma, noi
li
conosciamo tramite interviste o i loro lavori cinematografici
–
purtroppo :'(. Però ho scelto Richard Armitage
perché, bé... trovo
sia una persona straordinaria con un grandissimo talento e
perché lo
apprezzo sia come uomo che come attore, avendolo visto recitare nei
suoi ruoli principali di Thorin Scudodiquercia, Guy di Gisborne, John
Thornton e John Porter; dire che l'ho amato in tutti i ruoli sarebbe
riduttivo!
Avevo
questa scena in testa di un Richard seduto accanto ad un bambino che
leggeva e lo aiutava (omaggio alla famosa scena madre di Nord e Sud,
dove ho solennemente giurato che nei miei sogni Richard sarebbe stato
il padre dei miei figli XD), quindi DOVEVO scriverla qui. Il resto
è
venuto da sé!
Non
so se questa one-shot avrà prequel, sequel e via dicendo; ma
da un
po' di tempo mi frulla l'idea di una storia con N.P e attore, quindi
chissà. Diciamo che per adesso vorrei concentrarmi e tornare
nella
sezione Lo Hobbit (ispirazione permettendo! E qui mi scuso sempre con
le mie ragazze!)
Insomma,
grazie per aver letto anche le note ^^; per qualsiasi vostro parere
vi rimando alle recensioni o messaggi privati, sarò sempre
lieta di
scambiare chiacchiere e pareri con voi!
Un
bacione e grazie del vostro tempo,
Eruanne
P.S.
Solo le intere frasi in corsivo sono in italiano, il resto è
tutto
“parlato” in inglese :)
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