Ouroboros

di Rexam
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Capitolo 11 – La decisione finale

“Attento a ciò che scegli. È possibile che tu lo ottenga!”

«Ho sempre creduto che ce l’avresti fatta!»
Nathan era in piedi, come una statua di cristallo osservava Matthew in ginocchio davanti a lui. Matthew, che era scappato urlante da quella folle torre della rovina, uscito in cerca d’aria e, incespicando, capitato lì, quasi come se fosse suo destino. Ormai tutto era chiaro. La nebbia si era dipanata, mostrando una voragine di oscurità.
«Allora…», disse Matthew tremante, «allora è tutto vero? È successo per davvero?»
Nathan lo guardò con un’espressione malinconica, inclinando il capo.
«Si», disse infine senza alcuna tonalità.
«E io…», proseguì Matthew, sempre in ginocchio davanti a lui, le mani a toccare l’erba fredda, «sono morto?»
Nathan tornò alla sua enigmatica espressione di sempre, chiudendosi nel suo alone di mistero.
«Ah, è tutto qui il problema, vero?»
Matthew non capiva più niente, sentiva solo il cuore martellargli forte nel petto. Avrebbe voluto estirparlo per far finire tutto. Non era riuscito a tornare. A salvare lei. A salvare se stesso.
Giunto sull’isola, Matthew era stato felice di scoprirsi vivo, ma il fato trucca le carte in modo bizzarro.
«Cos’è quest’isola?», chiese, poi, rincarando la dose.
«Te l’avevo già detto, no? Questa non è un’isola! Non è un’isola…», rispose Nathan rimarcando più volte le sue parole.
«E allora che cos’è?», chiese infine, le lacrime agli occhi a bruciare le calde guance con scie roventi.
Nathan si accovacciò a terra, stando in punta sui piedi e ponendo le braccia sulle ginocchia.
«Rispondi a una domanda, Matt: tu sei sopravvissuto? Qual è l’ultima cosa che ricordi del naufragio? Forse un’isola lontana che cercavi disperatamente di raggiungere mentre i polmoni bruciavano per la richiesta d’ossigeno? Non tutti riusciamo a metabolizzare certi dolori con facilità… Abbiamo bisogno di tempo, abbiamo bisogno che ci sia qualcuno ad indicarci la strada e che, a piccole dosi, ci permetta di ricordare quanto abbiamo lasciato indietro, perché troppo doloroso. Tu hai affrontato tutto questo. Charlotte è stata rinchiusa qui per tutto questo tempo.»
Sentendo quel nome, Matthew si fece forza e guardò Nathan dritto negli occhi. In quei tunnel oscuri in cui era facile perdersi. I loro volti erano vicinissimi, così vicini da potersi quasi toccare. Sentiva il respiro di Nathan su di lui come una presa psichedelica.
«Ma tu l’hai liberata.», proseguì il ragazzo scuro, «Hai vinto i tuoi fantasmi e reclamato la tua identità. Ora sei libero di andare.»
«Andare dove?», chiese Matthew.
«Questa è una tua scelta. Tu hai affrontato la tempesta e le violenti onde oceaniche. Sei arrivato sull’isola oppure no? Magari tutto questo è solo una tua proiezione onirica o forse questo posto è…»
«…il Purgatorio?», concluse Matthew.
Nathan sorrise e fece spallucce con noncuranza, quasi a voler dire “ogni cosa è possibile”.
«Dietro di me troverai due strade, Matthew. Due vie verso differenti destini. Entrambi ti ricondurranno a Charlotte, ma in quale modo o in quale tempo spetta solo a te decidere. E pagarne il prezzo.»
«Il prezzo?»
«Ma è chiaro. Non lo sai? Ogni cammino ha un costo, oltre ad una destinazione, ed ora spetta a te pagarlo.»
«Continuo a non capire…», disse Matthew, fra i brividi.
«Allora non pensarci e vai avanti, ti verrà qualche idea lungo la strada.»
Detto questo Nathan si alzò nuovamente in piedi e Matthew fece altrettanto, non senza difficoltà. Era ancora provato per quanto accaduto, ma si sentiva sereno, come se si fosse liberato di un grosso peso sul cuore. Si girò indietro ad osservare quella folle torre. Fu solo un momento e Nathan era sparito, come se non fosse mai esistito.
A quel punto, camminando lentamente, trascinato dal peso dei suoi ricordi, Matthew si mise in marcia verso il suo destino.




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