Fragili resti

di Daisy Ross
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II.
Vuota
{Marlene}


 
(Ottobre, 1979)

Un metro e cinquantasette, capelli scuri e aggrovigliati, occhi blu.
Marlene si squadrò da capo a piedi davanti lo specchio. Si accorse di avere delle pesanti occhiaie violacee, i vestiti tutti sporchi e stropicciati. Sul lato sinistro della fronte, proprio sotto l’attaccatura dei capelli, una piccola linea ricurva, appena più chiara della sua pelle, delimitava i tratti di una vecchia cicatrice. Ma ciò che più di tutto emergeva era più in basso – sotto l’occhio gonfio per il pianto, in corrispondenza dello zigomo scavato: un grosso taglio obliquo, ancora sanguinante, che si allungava fino al labbro superiore.  
Attirava l’attenzione allo stesso modo di una luminescente insegna al neon nel bel mezzo del deserto.
Marlene non poté guardarlo per un secondo di più. Con il pugno ben chiuso, colpì lo specchio con tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo, gridando forte; e fu solo un barlume di secondo, che mille cocci di vetro erano già sparsi sul pavimento.
Li fissò, furiosa, confusa, disorientata. Poi, come rendendosi conto solo in quell’istante di ciò che aveva appena fatto, si chinò e iniziò a raccoglierli, uno per uno, mentre altre lacrime le rigavano il viso. Adesso anche la mano con cui aveva colpito il vetro sanguinava; avrebbe dovuto medicarla in fretta, come Moody le aveva insegnato, così da rimettersi in forze. Aveva dovuto fare la stessa cosa con quel brutto taglio sul viso: il Mangiamorte che glielo aveva procurato – Avery? Non ne era certa, il cappuccio gli era caduto solo per un momento prima che l’uomo si ricoprisse il volto – era morto, anche se non di sua mano. Lei, però, non poteva restare vulnerabile. Essere deboli, in guerra, non era consentito.
Ma il silenzio di quella casa, rotto solo dai suoi singhiozzi, stava diventando soffocante. Marlene non ne poteva più. Una volta, tanto tempo prima, avrebbe rimediato chiamando Lily, o Mary, o Alice, o una delle sue amiche Babbane. Aveva tanti amici, Marlene, e una famiglia, calda e calorosa…ora, però, si sentiva più sola che mai.
Lily, James, Remus e tutti gli altri…ai suoi occhi, loro erano dei combattenti. Erano quelli forti; riuscivano a trovare positività e pace anche laddove sembrava non vi fosse più speranza. Mentre lei, Marlene, era quella che non sapeva far altro che piangere.
Guardava il proprio futuro e non vedeva…niente.
Era come se nulla avesse davvero importanza. I suoi giorni erano vuoti, i suoi giorni sarebbero sempre stati vuoti. Era un buco nero che trascinava via tutto ciò in cui avesse mai creduto. 
Si sentiva trascinare via anche lei, qualche volta.
Era vuota.










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Toh, oggi ero in vena di cose strappalacrime, ed è uscita fuori questa...cosa. Oltre che un momento James\Lily e  - ah, dovrei smetterla di scrivere storie tristi. Davvero, dovrei proprio smetterla. Ne ho fin troppe archiviate nel pc, temo che prima o poi word mi si ritorcerà contro ;_;
Anyway, sono super fiera di me stessa per aver aggiornato presto (probabilmente è il motivo per cui fuori sta facendo una bufera di quelle che non si vedevano dall'Era Glaciale), e grazie mille per le recensioni dello scorso capitolo. Come sempre, se voleste lasciare un commento anche qui sarei più che felice :P
A presto

Martina  




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