Melissa... memorie dalla trincea
Melissa... memorie dalla trincea
“Attenzione!
Scattare, dovete rimuovere quelle mine prima che sia tardi presto!!!”
Non
mi piaceva dare ordini, ma non potevo fare altro, o quello o la morte… La
barricata non avrebbe retto a lungo, dovevamo spostarla più in avanti e
strappare altri preziosi metri verso la vita e la vittoria, al nemico…
I
soldati erano corsi in avanti per rimuovere dal terreno di battaglia le mine dei
nemici per permetterci di avanzare… Vederli cadere, sotto il fuoco delle armi,
tra il filo spinato, nelle esplosioni che aprivano la strada a noi, infondo
uomini come loro, che al loro contrario avevano avuto il privilegio di una più
lunga vita, era uno spettacolo raccapricciante… Ma era la vita che avevo scelto,
forse non per vocazione… ma per mio padre…
“Ora,
avanzare!!!”
“Ricevuto
sergente maggiore!”
Ancora
esplosioni coprivano le parole dei miei soldati, quasi come miei figli, che
avevo addestrato e visto crescere… ed ora li vedevo morire…
Ma
infondo, ciò non mi rendeva infelice, perché anche io li avrei raggiunti presto;
quanto tempo mancavo da casa ormai? Due, tre anni? Ormai avevo perso il conto.
Forse non lo avevo mai nemmeno mai tenuto, tanto era impegnata a pianificare,
combattere, uccidere…
Ad
un tratto una mina… era esplosa ancora una mina… quelle maledette mine, quelle
che mi avevano portato via mio padre… L’aria sollevata fece volare via il
berretto militare che avevo in testa, lasciando i miei capelli corti volare
liberi…
“NO!”
Corsi
a riprenderlo… l’unica cosa che mi ricordasse mio padre, l’unica cosa che mi
faceva fare un salto indietro, a quando Melissa era ancora una bambina e i suoi
capelli erano liberi al vento, lunghi, morbidi… A quando per lei la guerra era
un gioco, un’avventura della quale le narrava stupende vicende il suo adorato
papà… Ed ora eccola invece Melissa… cosa sono diventata? Ogni tanto me lo
chiedo, e l’unica risposta che mi viene in mente è: il sogno di mio
padre…
Lui
voleva un ragazzo, a cui poter trasmettere le sue passioni, a cui insegnare come
montare un fucile, a cui insegnare a sparare, a pilotare un aereo da guerra… del
quale essere orgoglioso un giorno, per poterlo chiamare finalmente “Generale”.
Ed
eccomi invece: una bambina dai capelli neri e morbidi, lunghi e di seta.
Non
mi aveva odiata… Anzi, mi aveva esaltata. Mio padre ogni giorno mi prendeva
sulle sue ginocchia e mi diceva “ Melissa, sarai la più brava generale che io
abbia mai visto!” .
E
a me piaceva così tanto ascoltare le sue storie sulle battaglie, sull’onore,
sull’amore per la patria e per la famiglia, sul rispetto…
Poi
finalmente, eccolo arrivare, quel regalo… Arrivò a casa, mi chiamò e mi mise in
testa un berretto militare.”Sei bellissima con quel berretto Melissa! Il mio
sogno sarebbe di vedertelo indossare se mai diverrai un Generale, ma non ti chiedo nulla piccola mia”.
Non
passava giorno che io non indossassi quel berretto, raccogliendo i capelli in
una folta coda. E correvo usando i cuscini come trincea, le mie bambole come
reclute; e appena arrivava mio padre alzavo la manina alla nuca e salutavo il
mio superiore…
Ma
poi, quell’orrendo giorno… Partì per quell’atroce strumento per avanzare il
progresso che l’uomo definisce guerra. Non ero triste quel giorno. Lo guardai
sulla porta mentre si allontanava, alzai ancora la manina e lo salutai, come
sempre.
Ma
non fu felice quando tornò. Non era più mio padre, e tutto per quelle mine…
Gliene era esplosa una vicino, e per pararsi aveva rimesso la sua gamba, e la
sua memoria… tutta la sua intera vita cancellata, dissolta come la nebbia
sparisce tra le nuvole al mattino. Non era più il mio papà; lo avevo perso,
perdendo così tutta me stessa, la mia forza, la mia volontà. Ormai al mattino,
sapevo solo alzarmi e mettermi in testa quel berretto militare, per sentire
ancora la sua mano calda che mi accarezzava i capelli…
Mi
avvicinavo a lui e guardavo quella protesi alla gamba che segnava il suo
abbandono della vita, della mia immagine… Mi sedevo ai suoi piedi sperando
assiduamente di sentire ancore quelle belle storie che mi raccontava, anche se
erano baroccamente abbellite… Mi addormentai, un giorno, per stare lì a tenergli
compagnia; e fu in quel giorno che sentii la sua mano toccarmi la testa, e
mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime lo sentii dire “ Melissa sei
bellissima con quel cappello… vorrei vedertelo quando sarai generale!” . L’unica
frase che disse dopo tre anni, il primo e solo ricordo… Decisi allora che le
armi sarebbero state il mio futuro, avrei realizzato il sogno di mio padre,
avrei comandato io quelle mine che me lo avevano portato via, anche se non erano
riuscite ad allontanarmi dal suo cuore…
Tagliai
radicalmente i capelli…
Ed
ora eccola Melissa… il sogno di mio padre…
Gli
spari delle mitragliatrici continuavano a fare da sfondo a tutto quell’orrore,
mentre i soldati avanzavano; ed io in prima fila, fiera, con la paura che mi
pervadeva e scoppiava come quelle mine dentro di me, ma con gli occhi che non
volevano lasciar trapelare il sentimento che mi portavo dentro…
Corsi
verso il nemico, mi gettai a capofitto nella battaglia, per la patria, per
l’onore, per mio padre!
Ed
eccola arrivare verso di me, la morte. La vidi chiaramente a terra, che mi
attendeva, che aspettava agognante la mia figura, per portarmi con sé in un
mondo privo di sofferenze, ma privo anche di valore, di onore, di motivi.
Sapevo
che l’avrei vinta, non avrebbe portato via anche me. Io dovevo ancora realizzare
il sogno di mio padre, ancora non ero Generale.
Mi
scontrai anche io, come mio padre, con quell’esplosione, e caddi a terra anche
io. Mentre gli occhi mi si chiudevano gettai una lacrima amara… avevo fallito…
ed ora cadevo… nell’oblio…
Quando
riaprii gli occhi ero in una tenda…
“
Sergente maggiore! si è ripresa finalmente!”
“Cosa
è accaduto?”
“
è stata coinvolta da un’esplosione, ma fortunatamente era lontana e non è stata
ferita gravemente! Abbiamo vinto Sergente, la guerra è finita! Si torna a
casa!”
Allargai
un sorriso: ce l’avevo fatta, avevo vinto l’oblio, non aveva preso anche me! Con
il cappello sui capelli d’ebano raccolsi le mie cose, uscii dalla tenda,
respirando a pieni polmoni l’aria nuova di libertà. Dopo tre anni, potevo
tornare a casa!
Mia
madre ormai non era più ad attendermi, ma qualcuno c’era! Perché mio padre non
mi aveva ancora del tutto lasciato…
Entrai
per salutarlo…
“
Come sta?”
“
Non ha più dato segni di miglioramenti signorina, da quando lei è partita se ne
sta sulla finestra, e fissa di fuori… non parla, non riconosce nessuno…”
Sospirai
e mi sistemai il cappello, per poi entrare.
Era
lì, seduto, proprio come me lo avevano descritto: solo, quasi sentisse il peso
di tutti i suoi anni, con lo sguardo fisso, ma non vuoto…
“Papà…”
Non
si voltò… Mi avvicinai… Mi sedetti ancora ai suoi piedi, dopo avergli sistemato
una coperta sulle spalle…
“
sai papà, abbiamo vinto… ce l’abbiamo fatta, niente più guerra! Io non ho avuto
paura, ho combattuto come dicevi tu…”
“Melissa…”
Alzai
gli occhi… Non potevo credere di averlo sentito davvero, forse era il mio dolore
ad avermelo fatto immaginare… Eppure
“
Sei bellissima con quel cappello…”
“Papà…!”
“cosa
sei ora?”
“sergente
maggiore…”
Non
potevo sapere se avesse riacquistato la memoria, ma sapevo per certo che con
quel gesto ancora non aveva perso la speranza di lottare per farlo.
La
sua flebile voce colmava il mio cuore di gioia, i suoi occhi, avevo ben visto,
non erano spenti, non erano vuoti, erano assopiti, velati dalla paura di non
avermi più accanto a lui, quella stessa paura che anche io fino a pochi secondi
prima, provavo con ogni parte di me stessa…
“
sono fiero di te… Melissa…”
Ancora
delle parole. E mentre gli occhi mi traboccavano di lacrime, per la prima volta
di gioia, con fierezza portai la manina alla nuca, e salutando dissi con voce
mozzata dai singhiozzi
“
anche io lo sono… di te…”
FINE
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