So che non è da me ma…
questa storia è etero… l’unico etero
che accetto, ovvero Heather (^^) e Shun.
Non so neanche se definirla lemon, è un poco erotica, su, ma
la storia in sé non è incentrata su quello, almeno credo, si tratta del
contorno…
Stanotte mi spiego malissimo-.- Comunque, insomma… avevo il bisogno di esprimere cosa Shun
mi trasmette…
AND I LOVE HIM
– LE STELLE NEI TUOI OCCHI
AND I LOVE HIM
I give him all my love,
That’s all I do,
And if you saw my love,
You’d love him too.
I love him.
He gives me ev’rything
And tenderly,
The kiss my lover brings,
He brings to me,
And I love him.
A love like ours
Could never die,
As long as I,
Have you near me.
Bright are the stars that shine,
Dark is the sky,
I know this love of mine,
Will never die,
And I love him.
L’ennesima meteora attraversò in
un lungo arco luminescente la notte ellenica; la ragazza, il naso rivolto
all’insù, aveva ormai perso il conto. Un abbraccio inatteso ma ben noto la
cinse alle spalle e lei gettò indietro la testa, per posare un bacio dolce
sulla pallida guancia dell’apparizione incantata. Subito dopo, riportò lo
sguardo allo spettacolo luminoso delle preziose stelle d’oro, crogiolandosi tra
quelle braccia ad un tempo delicate e forti, lasciandosi sfuggire un sospiro di soddisfazione:
“Credo che in nessun posto il
cielo stellato sia bello come qui.”
“Sai” sussurrò il ragazzo “Prima,
quando il combattimento occupava i nostri pensieri ogni volta che venivamo in questo luogo, non potevo rendermi conto,
ottenebrato com’ero dall’angoscia, di quanto questo luogo fosse splendido… Non
potevo godere della sua magia… sembra impossibile, adesso, essere qui, insieme,
senza altro scopo se non quello di dare la caccia alle stelle cadenti che, per
una volta, non annunciano alcuna sventura, senza altro scopo che lasciarci
cullare dall’incanto di questo posto fuori dal tempo…”
E senz’altro scopo che lasciarci cullare dai nostri reciproci abbracci,
pensò la ragazza ma non disse nulla; descrivere una
tale emozione a voce era inutile, perché tanto non avrebbe saputo esprimerla
con semplici parole. Si limitò a tentare di trasmettergli il proprio
appagamento con un sospirato gemito di puro piacere mentre
i riccioli bruni carezzavano il collo sottile dell’amato.
In
risposta a quel gesto, egli la strinse più forte e la trascinò a terra con sé,
fino a farla sedere tra le sue ginocchia, mentre lui poggiava la schiena ad una
colonna la cui candida pietra scanalata intrecciava, grazie alla particolare
architettura, affascinanti giochi di luce con la luna e le stelle.
La ragazza strofinò la schiena
contro il torace armonioso del giovane e prese tra le sue le mani
di lui, se le portò alle labbra, baciando con adorante voluttà le lunghe
dita, la cui bianchezza gareggiava con il candore marmoreo da cui erano
circondati. Le bastò quel semplice gesto per desiderare ancora di più, non si
accontentò a lungo di posare le proprie labbra sulla pelle delle mani a lei
care; schiuse appena la bocca, quel tanto che bastava per accogliere in sé le
dita sottili e prese a suggerle, con avidità crescente, facendo correre la
lingua lungo i cuscinetti morbidi dei polpastrelli.
Il ragazzo reagì, stringendola a
sé con un’intensità maggiore e posandole baci sempre più arditi e prolungati
tra i riccioli scuri, sulle tempie, cercando il suo viso con un desiderio a cui
lei non seppe opporsi e che la spinse a voltarsi, gettandogli le braccia al
collo e rincorrendo le sue labbra con le proprie. Il bacio che ne risultò,
sigillò una volta di più quel legame consacrato dalle stelle fiammeggianti
nella notte, pulsanti in sintonia perfetta con i loro cuori, ormai dominati da emozioni
che non potevano più controllare e che li trascinavano in palpitazioni
febbrili.
La giovane si aggrappò con foga
alle tempie dell’amato, lo staccò momentaneamente da sé, per nutrirsi dello
smeraldo puro di quei due occhi nei quali si rispecchiavano gli astri in tutto
il loro splendore.
“Shun” mormorò lei, la voce
strozzata dall’incontrollata commozione che quel volto da sempre suscitava nel
suo animo “La mia scintilla di stelle, la stella più fulgida
dell’intero universo…”
Il ragazzo sorrise, incredulo
come sempre quando venivano cantate lodi in suo onore
che mai aveva ritenuto di poter meritare; vi era per questo timidezza, una dose
infinita di imbarazzo in quel sorriso che per l’amica era un balsamo in grado
di lenire ogni sua intima ferita.
“Non merito
queste tue parole, Heather-chan… lo sai…”
Lei si fece seria, incapace di
tollerare quella tristezza che, come sempre, giungeva a turbare lo spirito
incorrotto del suo tesoro, il dolore ed il tormento, sempre all’erta, sempre
pronti a logorare un cuore degno invece di accogliere in sé l’essenza stessa
della gioia; e un luccichio in più si accese nelle iridi già così luminose,
rendendole lucide come specchi che riflettevano angoscia. Quell’ulteriore barlume non era, tuttavia, una stella, ma una
goccia di lacrima sfuggita al controllo dei nervi sempre tesi all’estremo; la goccia
trovò uno spiraglio oltre le ciglia lunghissime ed intraprese il proprio
cammino attraverso la guancia dal colorito di neve. Heather si tese e lambì
delicatamente il frutto salato della tristezza di Shun, lo assaporò un poco,
trattenendolo in bocca, poi lo lasciò scendere in gola, desiderosa di
assorbire, in tal modo, un po’ di quel dolore e sottrarlo a lui.
“Se solo così potessi farti
sentire più leggero, amore mio… vorrei poterle bere tutte le tue lacrime, fino
all’ultima gocciolina.”
Le labbra di Shun si strinsero in
una linea sottile, nel vano tentativo di arrestare una nuova ondata di pianto
che non tardò a giungere, esplosiva, mentre lui si avvinghiava all’amata con
tutta la forza della propria disperazione, nascondendo il volto sul suo seno,
come in cerca di un protettivo rifugio materno. Lei accolse quello sfogo,
carezzandogli dolcemente la nuca, posando baci sulla chioma che aveva il color
marroncino chiaro delle foglie in autunno, unito alla splendente doratura
dell’ambra e del miele; infine, senza mai smettere di cullarlo come avrebbe
fatto una madre, una sorella, un’amica e un’amante, posò la guancia sulla
soffice morbidezza dei suoi capelli, passando le proprie mani su ogni frammento
delle membra tremanti, con l’illusione di poterle riscaldare, pur sapendo che
non il freddo della notte causava quei tremiti ma un malessere molto più profondo, impossibile da sconfiggere.
“Troverai mai un po’ di pace,
angelo mio? Ti lasceranno mai tranquillo gli incubi che ogni notte sconvolgono
il tuo sonno? Non è giusto che tu debba soffrire così… non tu…”
Lentamente, intanto, i singhiozzi
ed i fremiti di Shun andavano diminuendo, finché il giovane rimase immobile, il
respiro solo un poco affannoso, per qualche attimo in cui, tra i due, regnò
incontrastato il silenzio spezzato unicamente dai loro sospiri; poi lui si
decise a sollevare lo sguardo, ora saldo nonostante il lucore dei suoi occhi
tanto immensi e puliti. Quando parlò, lo fece con
convinzione, con il suo solito, saggio, generoso eroismo:
“E’ il prezzo che devo pagare per
un ingrato dovere compiuto e non lo rinnego; sarà il mio fardello ed è giusto
che io debba portarlo, lo devo alla violenza che mi è stato
richiesto di perpetrare in nome di Giustizia. Il dubbio è da sempre mio
compagno, l’incertezza che fosse davvero l’unica
strada…”
Heather ricambiava tristemente lo
sguardo, perché lei condivideva i medesimi dubbi ma
una certezza in più rendeva fermo il suo cuore: il giovane uomo, inginocchiato
e triste nella sua estrema bellezza di santo bambino, era l’essere umano più
puro e perfetto che mai avesse solcato la terra, era un angelo caduto in un
mondo tanto diverso da lui ed al quale erano state strappate selvaggiamente le
ali, al quale era stato richiesto un servigio portato avanti con abnegazione ma
che aveva aperto una ferita irrimarginabile ed il suo cuore ne avrebbe
sanguinato in eterno.
“La Giustizia ti appartiene,
mio Shun, tanti sono i miei dubbi, come i tuoi, lo sai
eppure, se dovessi ricercare la
Giustizia, la ricercherei unicamente nelle tue parole, nel
tuo sguardo, nei tuoi atti, nella tua anima integra…”
“Stai rasentando l’eresia,
Heather-chan” il sacro guerriero di Andromeda si
lasciò andare, finalmente, ad un sincero anche se mesto sorriso “Le parole che
dici andrebbero rivolte ad Athena e non ad un suo umile santo…”
Anche
lei sorrise, strizzandogli l’occhio in un’espressione monella:
“Di Athena,
tu sei il rappresentante più degno.”
Questa volta, la risatina che
Shun si concesse fu più vivace, più serena, mentre lui strisciava languidamente
contro la ragazza, portando il viso pericolosamente vicino al suo:
“Stasera parli troppo, cucciola;
mi sento in dovere di farti chiudere quella bocca una volta
per tutte.”
E, a
suggello della minaccia, incollò le proprie labbra a quelle di Heather, la cui
argentina risata si levò verso il cielo; poi fu solo silenzio, mentre i due
giovani si nutrivano l’uno dell’altro, lei lieta di aver contribuito, almeno
per il momento, con il proprio stravagante modo di parlare, a fugare un poco la
cupezza del compagno. La tristezza era sempre lì, ne era
consapevole, ma metterla a tacere per un po’ poteva già considerarsi un
successo.
Non posso pretendere di più, pensava, mentre la sua lingua giocava
avidamente con quella del giovane ed il suo corpo ricercava febbrilmente
contatti sempre più audaci, è struggente
quello che deve sopportare, è struggente la consapevolezza di non poter fare
nulla, questo dovermi sentire costantemente inadeguata; ma sono solo un’insignificante essere umano di fronte ad una creatura
troppo bella, troppo immensa perché il suo cuore possa alleggerirsi, anche di
un minuscolo frammento della sua angoscia.
Ed era terribile, al contempo,
rendersi conto che tutto quel dolore era parte integrante dell’estrema bellezza
del suo Shun; proprio perché assorbiva nel proprio cuore l’agonia dell’universo,
proprio a causa della sua disperata sensibilità, il santo di Andromeda
era così meraviglioso e speciale.
“Ti amo tanto” singhiozzò la
ragazza, quando si decisero a riprendere fiato, poggiando la fronte su quella
di Shun e le mani sulle sue spalle, facendole poi scendere lungo il petto
dell’amato e stringendo tra le proprie dita la stoffa verde della sua maglietta
leggera.
“Lo so… ed ogni volta me ne
stupisco, perché…”
Heather si affrettò a sollevare
una mano ed a posargliela sulle labbra:
“Se stai per dire
che non lo meriti taci, per favore… sono io a pensare costantemente che sia
tutto un bel sogno, ciò che mi è stato concesso… non solo il tuo amore…ma la tua
semplice vicinanza… l’averti conosciuto… il destino sempre così crudele è stato
fin troppo generoso con me, perché io non sono niente vicino a te, sono nulla…”
In una mossa speculare, il
ragazzo imitò il suo gesto e le tappò la bocca con due dita, il volto
imbronciato in un’espressione che ancora aveva in sé i connotati di un’infanzia
mai realmente vissuta:
“In quanto a dire stupidaggini,
non ti batte nessuno!”
Si fissarono lungamente, a
cercare appagamento l’una negli occhi dell’altro e si scoprirono, improvvisamente,
ridicoli in preda a quelle elucubrazioni che trovavano terreno fertile in giri
di parole insensati; scoppiarono a ridere, nel medesimo istante, Heather lo
attirò contro il proprio petto, quasi soffocandolo sul suo seno e sollevò il
viso verso la volta celeste in tripudio, come in tripudio
era il suo sguardo inebriato dal contatto, dall’amore che gli Dei le avevano
dato in dono. Era vero, non aveva senso continuare a gareggiare sminuendosi
reciprocamente alle percezioni dell’altro, era un modo talmente stupido di
passare quel tempo insieme che era stato loro concesso!
“Siamo due idioti” borbottò Shun,
agitandosi un po’ nel tentativo di respirare e smettendo poco a poco di ridere
finché, per qualche attimo, risuonarono unicamente i risolini intermittenti di
Heather che,
come sempre, faceva più fatica dell’amico a controllarsi quando l’ilarità si
impossessava di lei.
“Io sono un’idiota” soggiunse la ragazza “Tu sei un tesoro!”
“Ma la vuoi smettere?! Ti ho detto che è meglio se non
apri bocca!” la rimproverò bonariamente il santo di Andromeda e la giovane, nel
frattempo, si metteva a cavalcioni su di lui, obbedendo alle esigenze del
proprio corpo voglioso.
“D’accordo” sospirò, languida, strofinandosi
contro l’amato tentando, con ansiosa bramosia, di raggiungere con quei tocchi
ogni frammento delle membra adorate “La aprirò solo
per fare qualcosa di piacevole, da questo momento in poi…”
Al contempo, lo spingeva in
maniera insistente e gli occhi di Shun si sgranarono, curiosi ed anche un po’
inquieti per quel che leggeva nello sguardo della compagna; ciononostante si
abbandonò del tutto alla pressione delle mani amate, mentre esse lo
accompagnavano fino a farlo sdraiare a terra, la schiena aderente alla fredda
pietra, il resto del corpo sepolto sotto quello della
ragazza, caldo, eccitato da quel desiderio esplosivo che spesso lo coglieva di
sorpresa, in un certo senso impreparato a farvi fronte e ad assecondarlo. Non
gli dispiaceva, in ogni modo, l’audacia di Heather in questi casi, perché lo
aiutava a liberarsi di alcune inibizioni che non lo
abbandonavano mai del tutto, lo guidava in paradisi misteriosi di cui
probabilmente, da solo, non avrebbe mai scoperto l’esistenza.
La giovane strinse con forza le
ginocchia contro i fianchi del compagno, mise le mani a coppa intorno alle sue
guance, a fare da cornice al volto dagli incantevoli lineamenti che aveva costante dimora nei suoi pensieri e nei suoi sogni, da
quando erano bambini e da ancor prima che realmente le loro strade si
incrociassero nel mondo.
Io ti sogno, mio amore infinito, dall’istante stesso in cui sono venuta alla luce su questa terra e forse da prima che
prendesse forma un barlume delle nostre concrete esistenze.
Si chinò, accovacciandosi su di
lui, abbassandosi fino a portare il proprio viso a contatto con quello di Shun
e lo baciò nuovamente, non se ne sarebbe mai stancata, avrebbe desiderato
poterlo fare in ogni istante della sua vita; quando percepì il tocco delle mani di lui sui fianchi, un fremito incontrollabile la
scosse in ogni terminazione nervosa e non poté trattenere un gemito dettato dal
desiderio crescente che la stava incendiando in ogni angolo del suo essere più
intimo e nascosto. Da quel momento in poi, unicamente l’istinto si sarebbe
impadronito della sua persona e lei non avrebbe tentato in alcun modo di imbrigliarlo
nella controllata razionalità; afferrò quelle mani tenere e fini, le staccò da
sé e, con una decisione che nel quotidiano non le era mai appartenuta, le
sollevò, fino a portarle sopra la testa dell’amato e lì le imprigionò,
racchiudendo i polsi di Shun in un unico, possessivo pugno, mentre con la mano
libera scese a slacciare le onnipresenti bretelle bianche per poi sfilare la
maglietta dall’orlo dei pantaloni. Intanto, la sua lingua attraversava,
tracciando scie di saliva lucente, la pelle del giovane, le labbra, il mento,
le guance, il naso, quel leggiadro nasino un po’ all’insù che si divertiva a
stuzzicare ogni volta che ne aveva l’occasione. Poi la lingua scese lungo il collo, solleticò la gola,
soffermandosi sulla deliziosa fossetta della giugulare e, quando giunse in quel
punto per il quale lei aveva un debole, si lasciò andare ad un altro gemito.
Nel frattempo, trovandosi così
prigioniero, Shun si dibatté un poco ma senza
convinzione, era, dentro di sé, disposto a lasciarsi agire senza opporre
resistenza, perché sentirsi coccolato, adorato, posseduto in tal modo gli
permetteva di rifugiarsi in territori che nessuna angoscia esistenziale avrebbe
mai potuto violare ferocemente, variopinti paesaggi di emozioni positive nei
quali la tristezza assumeva la sottile consistenza di una vena malinconica,
presente ma non disturbante per quella che era la loro sacra, intoccabile
intimità, un elisio speciale tutto per loro due. Tuttavia,
tentò di mitigare la propria passività, perché aveva imparato ormai a conoscere
le fantasie di Heather, era stuzzicata, intrigata, eccitata dal suo fingere di
resisterle, di volerle fuggire.
Ma dove potrei fuggire? Pensò Shun, non chiedo altro che venire totalmente
sommerso dalle tue mani, dai tuoi sensi, dalle tue emozioni, in modo che tu
possa annullare tutto il resto per un po’, vorrei solo restare fermo e lasciar
fare tutto a te…
Quando
lei gemette, nel momento in cui lambiva, avida, la sua gola, lui non poté fare a
meno di farle eco, subendo la gradita tortura in quella zona sensibile del suo
corpo; si umettò le labbra, piegando un poco indietro la testa e l’espressione sensualmente
arrendevole che assunse fu per la ragazza una visione celestiale, di fronte
alla quale lei non seppe mantenersi salda.
“Sei così dolce” sospirò,
liberandogli le mani ed affondando le proprie nei suoi capelli folti, vaporosi
e soffici come una nuvola nella quale la giovane silver saint di Perseo amava immergere
le dita e smarrirsi, senza più ritornare. Pur trovandosi sciolto dal legame che, fino a quel momento,
gli aveva impedito di interagire, lui rimase fermo, le braccia sollevate,
inerti, chiuse del tutto gli occhi e deglutì, schiudendo appena le labbra con
un sospiro che conteneva in sé tanti significati: tenerezza, godimento,
sollievo, il tutto amalgamato con la goccia indispensabile del tormento sempre
acceso nel suo animo, nel quale coabitavano la robustezza del diamante e la
fragile delicatezza del cristallo.
“Perché ti abbandoni così a me,
cucciolo?” chiese la ragazza che, più ci rifletteva sopra e meno riusciva a
concepire che lui fosse lì, inerme, disponibile, tutto per lei, non ne
comprendeva il motivo, la gemma più preziosa dell’intero universo, la perla più
rara del cosmo, la stella più luminosa che mai avesse
brillato dalla notte dei tempi si donava a lei con tutto il suo
innocente candore. Ed a tale consapevolezza non poteva reggere senza venir sopraffatta dalle emozioni, il cuore le balzò in gola
fino a soffocarla, un’ondata di lacrime punse i suoi occhi ed i singhiozzi
giunsero ancor prima che lei potesse tentare di arginarli in qualche modo.
Ma
perché trattenerli, d’altronde? Perché non mostrargli di
quale tempesta emotiva e fisica egli fosse tramite? Perché non rendere
evidente, in tutto e per tutto, come l’umile santo di Andromeda,
così avvezzo a sottovalutarsi, potesse essere invece tanto importante, tanto
fondamentale da far quasi impazzire coloro che lo amavano con tutti se stessi?
Perché Heather non era l’unica a coltivare fervidamente in sé un tale trasporto
e neanche era gelosa che qualcun altro lo condividesse con lei, in quanto Shun
meritava di essere amato, meritava di venir nutrito,
vezzeggiato da tutto l’amore possibile. In quel momento, lei avrebbe voluto che
tutto l’affetto di cui Shun era circondato si raccogliesse in un'unica fonte
dentro di lei, in modo da poterglielo donare, farglielo sentire sottoforma di
un totalizzante dono da parte di coloro che gli erano cari.
Mentre piangeva, ci teneva a
rendergli chiaro, al di là di ogni dubbio, che i suoi
singhiozzi erano frutto di gioia suprema e non di tristezza; anche la gioia
poteva rivelarsi insopportabile, perfino dolorosa quando si manifestava in
maniera talmente intensa da non poter essere trattenuta all’interno di un corpo
e neanche all’interno di un cuore. Eppure, nonostante
fosse così difficile controllarlo e dominarlo razionalmente, a quell’impetuoso
fiume senz’argini non avrebbe rinunciato per niente al mondo. Si sdraiò
completamente su di lui, la testa poggiata sul petto profumato e continuò a
piangere, le spalle scosse da fremiti incontrollati.
“I tuoi atteggiamenti riescono
sempre a sconvolgermi” le giunse, in un soffio melodioso come il canto del
vento tra le fronde, il sussurro un po’ inquieto di Shun che, nel frattempo, si
decise a muovere una mano per carezzare bonariamente i ricci neri della
compagna, imbarazzato di fronte ad una reazione così eccessiva ma sempre pronto
ad asciugare le lacrime altrui. Heather lo abbracciò e rispose, dominando i
singhiozzi quel tanto che le bastò per dare comprensibile forma alle proprie
parole:
“Sei tu ad essere sconvolgente…
non ti rendi conto di quanto lo sei, ne sono consapevole ma…
l’amore che susciti in me mi fa ardere dentro al solo pensarci… al solo
sfiorare la tua immagine, l’idea di te, con la mente…”
Quindi
si sollevò di nuovo, per ritrovare il suo volto, lo smeraldo di quegli occhi
che la notte non riusciva a nascondere, gli accarezzò il viso con mano
tremante, scostandogli con protettiva dolcezza una ciocca dorata dietro le
orecchie, toccandolo con la cura che avrebbe usato nel maneggiare qualcosa di
sacro e puro, temendo di profanarlo con la grettezza delle sue dita così
banalmente umane:
“Come fa ad esistere una creatura
come te, amore mio? E com’è possibile che io ti stia realmente
sfiorando, che io possa toccarti così senza che tu svanisca come un’illusione
troppo bella per essere reale?”
In un impeto di commozione
estrema, le braccia di Shun si allargarono per poi circondarla in un abbraccio
quasi violento, facendola aderire completamente a sé, stringendola forte, in
qualche modo desideroso di proteggerla persino da se stessa:
“Sei una piccola pazza,
Heather-chan…”
Dall’inflessione che assunse
quella frase, la ragazza comprese che anche lui stava nuovamente piangendo; la sacerdotessa guerriero sapeva che il proprio continuo
sminuirsi, il proprio sentirsi inferiore, anche nei suoi confronti, lo
rattristava ma lei non poteva farci niente. Se in altri casi la propria
insicurezza la faceva star male, ritenersi al di sotto di
Shun non le dispiaceva affatto, perché tutti, dal suo punto di vista, erano al
di sotto di Shun, la perfezione apparteneva unicamente a lui. Non glielo disse
perché si sarebbe arrabbiato, non tollerava simili discorsi ed in quel momento
la ragazza voleva unicamente crogiolarsi tra le sue braccia e dilatare
all’infinito quegli istanti miracolosi.
Una meteora attraversò il cielo,
dando l’impressione di sfrigolare per qualche istante, tracciando una scia luminosa proprio mentre Heather sollevava il capo,
in tempo per seguirne il tragitto nello sguardo aperto davanti a lei.
“Una stella è caduta nei tuoi
occhi” mormorò, come in estasi, talmente seria che il ragazzo la osservò a
lungo, quasi non comprendesse il senso di quella frase e di quell’espressione.
Poi riuscì solo a ridacchiare ancora mentre sussurrava, di rimando, timido nella propria
incredulità:
“Lo ripeto… sei
pazza… e questo cielo straordinario ti sta dando alla testa ancora di
più…”
“Pazza di te…”
Sospirare tali parole ed infilare
le mani sotto la maglietta di Shun, sollevandogliela fino a lasciare scoperto l’addome
e parte del petto, fu tuttuno; istintivamente, comprendendo al volo cosa stava
per accadere, il giovane alzò le braccia ed accompagnò i movimenti dell’amica,
aiutandola finché lei gli passò l’indumento sopra la testa e glielo sfilò, per
accostarlo poi di lato, non prima di averlo stretto un attimo sul cuore,
affondandovi il volto perché in esso era presente il
profumo del suo tesoro. Quindi anche lei si liberò
della propria camicetta nera, prese le mani di Shun e le portò sul proprio
seno, invitandolo, con i movimenti e lo sguardo, a darle quel genere di piaceri
che desiderava unicamente da parte sua. Lui la accontentò, la accarezzò con
mosse delicate ma sensuali al tempo stesso, Heather gli
diede la possibilità di mettersi seduto, le labbra gentili del giovane
attraversarono la sua pelle e la percorsero insieme alle dita tremanti, sempre
così incerte nel compiere gesti affrontati con un’innocenza che lo rendeva
ancor più desiderabile, irresistibile alle percezioni della ragazza innamorata.
Si spogliarono a vicenda, poi i
loro corpi, inginocchiati l’uno di fronte all’altro, si intrecciarono
in un casto abbraccio, un tipico inizio che precedeva ogni loro amplesso, una
simbolica promessa che, quanto stavano per donarsi, era frutto unicamente
dell’amore trascendente ogni sensazione fisica, ogni insignificante piacere
corporale; in quell’abbraccio appoggiarono il capo l’uno sulle spalle
dell’altra ed avrebbero ricavato appagamento da quella semplice posizione che
li univa in un’unica essenza spirituale, se Heather non avesse cominciato a
dare morsetti leggeri sulla spalla nuda di Shun, rendendo impossibile per
entrambi resistere oltre alla loro comune necessità di scoprirsi una volta di
più nelle intime sfere. E non era raro che fosse proprio la ragazza a prendere per mano l’amante per condurlo lungo le vie di un
rituale che tanto spesso ormai avevano sperimentato ma che sapeva ogni volta di
nuovo, ad ogni esperienza era diverso, alimentava i loro sensi con sapori ed
emozioni pressoché infinite. La silver saint di Perseo accompagnava il bronze saint di Andromeda verso un’audacia che
l’innocente purezza del giovane, senza il suo aiuto, non osava neanche
immaginare, timido e ritroso lasciava che, almeno in quel frangente, lei gli
facesse da guida quando, nella vita di tutti i giorni, la ragazza si appoggiava
a lui, contando sul suo animo saldo, sul suo coraggio, sulla sua saggezza nell’affrontare
ogni cosa, ogni aspetto della realtà che, tanto spesso, la terrorizzava. Senza
di lui si sarebbe sentita perduta in ogni singolo attimo della sua esistenza,
lui era la sua forza, la sua coscienza, il suo sogno
diventato realtà e tutto quello che poteva offrirgli, in cambio, era se stessa,
non aveva null’altro, non aveva niente che fosse realmente degno di lui.
E così si sentiva, qualunque cosa
facesse, non all’altezza, anche nell’intimità, ma il desiderio, il bisogno
estremo di lui, unito al bisogno di donargli qualcosa, anche piccola,
minuscola, insignificante, la rendeva ciò che nel quotidiano non riusciva
assolutamente ad essere: coraggiosa, curiosa, audace… forse troppo e, le prime
volte, quando in tal modo lasciava via libera ai più istintivi impulsi, il
senso di colpa, la paura di risultare eccessivamente disinibita in quel campo
al suo amore, la tratteneva, le creava complessi non meno ossessivi della
bramosia che in lei sorgeva immediata se solo l’immagine, il ricordo, il
pensiero di Shun le sfiorava la mente, ovvero ogni
attimo delle notti e dei giorni. Eppure, solo con lui le accadeva una cosa
simile, nessun altro le era mai interessato da quel punto di vista e il
compagno lo sapeva e l’amava così com’era, benché si mostrasse sempre timido,
quasi restio a spingersi troppo oltre, nonostante le emozioni esplosive e sempre
sorprendenti che simili momenti stimolavano in lui, non le aveva
mai fatto pesare nulla, non si era mai mostrato infastidito… forse solo
imbarazzato ma faceva parte della sua indole, della sua candida, innocente
essenza.
Appoggiandosi a lui con tutto il
proprio peso, la ragazza gli impose, con la gentile fermezza dei gesti, di
sdraiarsi nuovamente e riprese a baciarlo, a succhiarlo, a morderlo leggermente
seppur ad ogni tocco con un’insistenza sempre più prepotente, il respiro sempre
più affannoso, percorrendo in tal modo ogni frammento della pelle eternamente
liscia come quella di un bambino, la cui marmorea bianchezza veniva
esaltata dal disco lunare che, come la ragazza, godeva nell’accarezzare e
coccolare l’angelo sfuggito alla protezione del cielo.
Dal canto suo il giovane, come
sempre quando l’amica si trovava così particolarmente trascinata da quell’enfasi
possessiva, la lasciava del tutto libera, incapace di tenere il suo passo, di
anticipare le sue mosse, di prendere ogni sorta di iniziativa
e si limitava a sospirare, emettendo a tratti mugolii di soddisfazione quando
il godimento che provava lo coglieva, sotto tanti aspetti, di sorpresa, un
piacere estremo in virtù del quale appariva spesso spaventato, smarrito,
incredulo.
Le labbra della ragazza
scendevano sempre più in basso e lei tremò quando
giunse a sfiorare il rado velo di bionda peluria che ornava il pube del ragazzo,
trattenne il fiato per qualche secondo, prima di assaporare le intimità del suo
tesoro, che reagì prontamente a quel dono d’amore con cui la giovane stava
gratificando sia lui che se stessa; quando non poté resistere oltre, Shun tentò
di ritrarsi, temendo di mancare di rispetto alla compagna se si fosse liberato
nella sua bocca, ma lei lo trattenne e bevve ogni singola goccia del suo seme
come se si trattasse di nettare divino, assaporandolo sulle labbra e
lasciandolo scendere in gola, impregnando con esso le proprie dita per poi
succhiarle con avidità. Il ragazzo non poté fare altro che esalare un sospiro
che si tradusse in un fievole lamento di frustrazione perché, in quel genere di
cose, Heather lo sconfiggeva sempre.
La silver saint si sollevò in
ginocchio, impaziente di affondare gli occhi nel viso stravolto dal piacere e
nulla la appagò maggiormente di quelle gote arrossate alla luce della luna, le
iridi lucide come specchi preziosi nei quali le stelle giocavano a rincorrersi,
litigando tra loro per trovare in essi dimora; un’ennesima,
nuova manifestazione dello splendore di Shun che, come le altre, accolse nel
suo cuore, dove sarebbe rimasta in eterno, gelosamente custodita.
Un roco mormorio sfuggì alle sue
corde vocali:
“Non mi scapperai mai, amore mio… anche se non sono degna di te, anche se nessuno al
mondo può essere degno di te, anche se non ti merito e ne sono consapevole…
ormai ti ho trovato e… dopo aver cominciato ad amarti, non si può rinunciare a
te, significherebbe la morte… perderei me stessa, perderei il cuore e l’anima…
non posso lasciare che tu fugga via da me…”
Le palpebre schiuse del giovane
si spalancarono in tutta la loro ampiezza, le sue braccia avvolsero la ragazza
e per lei furono esattamente come ali bianchissime del più bello e buono tra
gli angeli del Paradiso, un angelo che era lì, per lei
e che la proteggeva dai mali del mondo con quel suo abbraccio tenero, delicato
ma al contempo vigoroso, un abbraccio che niente e nessuno avrebbe mai potuto
sciogliere se loro due non l’avessero voluto… e lei non lo voleva… dentro di sé
sentiva che non lo voleva neanche lui.
“Non ho nessuna
intenzione di fuggire, cucciola… non vado da nessuna parte, perché ho
bisogno anch’io di te, sebbene tu continui a non crederci… sebbene tu non
riesca a riconoscere la forza che hai dentro…”
“Sei tu la mia forza… solo tu…”
Lui scosse leggiadramente il capo ma non ribatté null’altro, perfettamente consapevole
che, quando l’amica si intestardiva in tal modo, nessuna parola sarebbe servita
a farle cambiare idea, per cui fece affidamento solo sugli atti, per
dimostrarle quanto lei fosse importante, anche se avrebbe voluto che Heather si
sentisse importante nel mondo e non unicamente in funzione sua. Fece scivolare
le mani lungo il busto della compagna, che si tese in ogni fibra del suo
organismo, incapace di trattenere un’esclamazione di piacere, le afferrò
saldamente i fianchi e lei abbassò il capo con un esile lamento, il fiato
corto, aggrappandosi alle spalle del giovane e tenendolo in tal modo incollato
al suolo, mentre le sue gionocchia si avvinghiavano
con energia alle anche di Shun. Lasciò che le mani di Andromeda
la accompagnassero, assecondando il loro gentile invito e si abbandonò con
tutto il proprio essere, con il corpo, con il cuore, con la mente e con
l’anima, nel momento in cui lo accolse dentro di sé, piangendo poi di estatica
gioia per tutta la durata della loro unione.
Infine si accasciò su di lui,
entrambi faticavano a regolarizzare il respiro, il
sudore gradito della fatica generatrice di piacere scorreva sui loro corpi;
Heather stentava a calmarsi, anche dopo l’appagamento completo non poteva
smettere di baciare la pelle deliziosa dell’amato, con calma, leccando
languidamente le goccioline di sudore salato che si mischiava con le lacrime di
entrambi. Lui la teneva stretta a sé, contemplando il cielo
stellato il quale, con le sue stille di fiammeggianti comete, partecipava
della loro commozione.
Poi la ragazza si spostò di lato ma non si staccò da lui, rimase sdraiata al suo fianco,
un braccio intorno alle spalle di Shun, una mano a tormentargli senza posa i
riccioli d’oro, strofinando la fronte sulla spalla levigata.
Dopo un interminabile silenzio, durante
il quale nessuno dei due ebbe bisogno di altro se non del reciproco contatto,
Heather parlò, percependo stonata la propria voce in quell’incanto sospeso ed
immobile nello scorrere eterno del tempo:
“Ogni volta vorrei che non
finisse mai… eppure finisce… finisce sempre e torna la vita di tutti i giorni,
tornano i ricordi e torna la tua tristezza che non riuscirò
mai a sconfiggere… non posso nulla contro la sofferenza del tuo cuore…”
“Anche tu soffri, amore mio,
chiunque condivida la nostra esistenza è destinato a soffrire… ogni creatura
vivente, credo, subisce la sofferenza che la vita impone ma
noi non siamo soli Heather-chan, ed in questo, ne sono convinto, siamo tra i
più fortunati al mondo, noi, i miei fratelli, tutti i nostri compagni saints,
perché ci amiamo e condividiamo qualcosa di immenso ed importante per l’intero
universo… non essere soli, amarsi reciprocamente con tutta l’intensità di cui
siamo capaci, costituisce la più grande felicità che si possa ottenere… quindi,
grazie a tutti voi, io sono felice…”
“Si può coltivare in cuore, al
medesimo tempo, la più intensa felicità e l’estrema sofferenza?”
“Noi ne siamo la prova vivente”
annuì lui, convinto, senza distogliere lo sguardo dalla volta celeste, mentre la
ragazza, sollevandosi su un gomito ed appoggiando il capo su una mano, contemplò
il medesimo cielo riflesso negli occhi dell’amato, la principale fonte di ispirazione per il suo spirito creativo e fantasioso. Si
sentiva come un pittore che rimirava il suo modello, o un poeta che invocava la
musa… una musa nelle sembianze di un avvenente angelo, giovane nell’aspetto,
quanto privo di età nella saggezza che dimostrava in
ogni parola, in ogni azione, nel suo modo di affrontare la vita in ogni
variegata sfaccettatura.
“E allora la terremo sempre
stretta questa felicità” assentì finalmente la silver saint, sorridendo e
chinandosi a posare un bacio vellutato, casto, sulle labbra dell’amico “Per
quel che mi riguarda, se la felicità consiste nel non essere soli, la nostra
non morirà mai, perché l’amore che sento per te oltrepasserà
i confini della morte stessa.”