La neve cade, aspettando te

di ShioriKitsune
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La neve cade, aspettando te

*    *    *

Bagna la penna nell'inchiostro. Lo strofinare della punta sulla carta ruvida è l'unico rumore, assieme al suo respiro calmo, a fargli compagnia in quell'afosa notte di luglio.

Sfilandosi la giacca e posandola ordinatamente sullo schienale in legno scuro, Rivaille pensa che le loro divise non siano adatte per quel clima.

Sospira e torna a scrivere, alza lo sguardo e l'alba sorge dietro ai vetri chiusi.

Non ne fa un dramma: ha perso il conto delle notti passate chino su quella scrivania, mentre all'esterno il resto del mondo tace.

Si alza e si avvicina alla finestra. Lo sguardo vaga lontano, verso il confine: confine imposto da loro stessi nella speranza di sopravvivere alla minaccia incombente dei titani. Ma non poteva esserci speranza se ciò che donava loro la salvezza aveva anche il potere di privarli della libertà, condannandoli a vivere la loro misera esistenza come spaventati uccelli in gabbia. Una gabbia d'oro, forse, ma pur sempre una gabbia.

Rivaille poggia la fronte contro lo stipite, chiudendo gli occhi. Ha imparato a convivere con i suoi demoni senza lasciare che questi intacchino la sua risolutezza, ma le notti come quella sono il suo punto debole.

Perché di giorno è semplice non pensare alle sue mani macchiate di sangue. Ma di notte, quando la candela accesa gli permette di scrutare il suo riflesso nello specchio, i sensi di colpa diventano un fardello troppo pesante da trasportare senza che le sue spalle si curvino.

Fuori ha un ruolo da rispettare: il più forte dell'umanità, che non lascia trapelare le emozioni perché tutto ciò che conta è portare a termine la missione, non importa il prezzo da pagare. Di notte, solo nella sua stanza, lascia che quelle emozioni gli portino via il sonno e la speranza.

Ma Rivaille sa di non essere solo in quell'agonia.

Lì, disteso tra le alte fronde, Eren osserva il cielo che pian piano si rischiara.

Occhi giovani che scrutano un mondo troppo duro con la consapevolezza che la sola forza di volontà non basterà a cambiare le cose. Che l'umanità è debole e le sue possibilità di vittoria rasentano il nulla.

Eppure, quegli occhi brillano di una luce insolita in quel mondo buio dominato dalla rassegnazione. La luce di chi non ha intenzione di mollare.

Rivaille ha imparato ad amare quella luce. È consapevole del fatto che potrebbe non durare - perché tutto è incerto lì dentro le mura - e che un giorno quegli stessi occhi potrebbero spalancarsi e comprendere che quella non è una lotta per la libertà, solo per la sopravvivenza.

Ma forse è proprio la scommessa dietro quelle iridi che lo obbliga a non darsi per vinto.

 

Eren si mette lentamente a sedere, le spalle rivolte alla fortezza. Sa che Rivaille è dietro i vetri chiusi della finestra e per questo non si volterà. Consci della presenza l'uno dell'altro, ma in un muto accordo di rispettare quei sacri momenti di riflessione senza intromissioni, il più giovane si è tenuto alla larga dal capitano. Per quanto volesse solo sgattaiolare nella sua stanza a notte fonda, sapeva che il maggiore non era pronto per un confronto.

E così aveva atteso, atteso fin quando i giorni non erano diventati settimane e le settimane mesi.

Il caldo era passato e le foglie coloravano il paesaggio di sfumature autunnali.

Eren le osservava staccarsi dai propri rami e cadere, cadere fino all'ultima, non potendo evitare di domandarsi se anche l'umanità avrebbe fatto la fine di quelle foglie.

E quando l'ultima di esse cadde e la prima neve imbiancò il suolo, Rivaille si sedette al suo fianco.

 

«Che ci fai qui fuori? Ti prenderai un malanno».

 

Una frase di circostanza che vuole dire tutto e niente allo stesso tempo. Eren stringe le ginocchia al petto, guardando dritto davanti a sé.

 

«Neanche lei dovrebbe essere qui, caporale Rivaille».

 

Rivaille lo sa e per questo non risponde. Rimangono lì, in silenzio, per un tempo che sembra infinito. Basta uno sguardo ed ogni tassello torna al suo posto.

 

«Ce ne hai messo di tempo».

 

Altre parole sono superflue e le labbra si raggiungono per prime. Eren sospira in quel caldo bacio che sa di casa.

Il maggiore lo stringe come se da ciò dipendesse la sua stessa vita, affondando le dita in quella chioma morbida resa umida dalla neve.

Si baciano per raccontarsi tutto ciò che nessuno dei due direbbe a voce, e lo fanno senza chiudere gli occhi, perché spezzare il contatto visivo è impensabile.

 

Vorrei che fossi venuto prima

 

Ti ho sempre osservato

 

Stiamo facendo la cosa giusta?

 

Ha davvero importanza?

 

Vorrei essere venuto prima

 

Non ha importanza ormai

 

Le guance di Eren si rigano di lacrime e Rivaille si allontana un po', asciugandole con i polpastrelli. Il suo sguardo è serio.

 

Non devi piangere

 

Non lo farò, finché ci sarai tu

 

Un debole sorriso.

Rivaille si alza, afferrando la mano dell'altro. «Rientriamo, prima che il sole sorga».

 

Ed Eren non può far altro che annuire.

 

 




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