CAPITOLO 1
Il sole spuntava appena dietro le
punte dei cipressi, quando quel lunedì 14 Settembre Tina
uscì dal pesante portone dell'Abbazia disabitata. Come ogni
mattina, da ormai una settimana, percorse un piccolo vialetto ghiaiato,
fino ad uno spiazzo con una fontanella. Poggiò lo zaino su
un muricciolo che tracciava il limite del chiostro della vecchia chiesa
e riempì una bottiglia.
"Buongiorno" squillò una voce alle sue spalle.
" 'giorno" rispose a mezza voce.
"Ci siamo alzate col piede sbagliato?" ironizzò sempre la
stessa voce, facendosi più vicina.
"Piantala Alessandro, non è giornata" la ragazza rimise lo
zaino in spalla e si avviò lungo il viale di cipressi.
Alessandro, un ragazzone alto più di un metro e ottanta con
i capelli neri a spazzola, gli occhi altrettanto scuri e profondi ed il
mento costantemente sbarbato, ridacchiò e la rincorse,
alzando un po’ di polvere con la punta rinforzata in metallo
delle sue scarpe antinfortunistiche.
"Sei carina quando ti immusonisci" la sgomitò per attirare
la sua attenzione, ma invano.
Tina continuò a camminare con passo svelto e lo sguardo
scuro fisso davanti a sé.
"Avanti, dimmi perché sei così
pensierosa” insistette l’amico, tornando serio.
"Non far finta di nulla, sai benissimo cosa c'è" rispose
quella a mezza voce.
Alessandro si fermò assieme a lei accanto ad una jeep bianca
un po’ malandata. Aspettò che Tina facesse
scattare la chiusura automatica, poi montò velocemente sul
sedile del passeggero.
"E' per l'incontro con l'avvocato, vero?" disse appena dentro, voltando
il viso verso di lei. La fissò in silenzio per qualche
momento, scrutando il piccolo cruccio che le arricciava le labbra e
qualche piega sulla fronte.
"E' solo il secondo lunedì di scavo e già abbiamo
problemi" borbottò Tina mettendo in moto e partendo
“Ci ho messo l’anima a pianificare questa
campagna”
"Lo so"
"In più ho intenzione di usare la documentazione per la mia
tesi di dottorato. Quindi non posso proprio permettere che un
contadinotto qualunque blocchi gli scavi, perché non ha dove
altro portare a pascolare le sue pecore!"
La gomma anteriore sinistra perse aderenza per qualche attimo sfiorando
la strada sterrata di fianco la carreggiata.
"Tieni gli occhi sulla strada, per cortesia!" la riprese Alessandro
balzando sul sedile "So benissimo cosa significa questo scavo per te,
visto che, se ti sforzi di ricordare, troverai che c'ero anch'io a
passare le notti in bianco insieme a te per programmare tutto e trovare
i fondi"
"Hai ragione, scusa" le spalle della ragazza si rilassarono leggermente
e la tensione nelle braccia diminuì, favorendo una guida
più fluida e soprattutto più sicura.
“Vedrai che andrà tutto bene”
tentò di rassicurarla il ragazzo, poggiandole una mano sulla
spalla.
“Sai quando dovremmo incontrare
l’avvocato?” chiese Tina con gli occhi fissi sulla
strada tutta curve, per non uscire fuori carreggiata.
“Carlo ha detto che sarebbe passato oggi pomeriggio in
Abbazia e l’avrebbe portato con sé”
La ragazza accolse quella spiegazione con un semplice cenno affermativo
del capo.
Trascorsero il resto del viaggio in silenzio, fin quando arrivarono a
destinazione sul promontorio del sito archeologico. Bisognava lasciare
la strada principale ad un certo punto e percorrere una serie di
terreni accidentati attraverso una fitta boscaglia, addirittura un
piccolo ruscello che per fortuna, vista la siccità del
periodo, non era in piena ma era ridotto solo ad un rivolo
d’acqua facilmente sorpassabile con un passo lungo. Tina
avrebbe potuto tentare di arrivare fin su con la jeep, Carlo Giometti,
il loro direttore scientifico, riusciva ad inerpicare facilmente la sua
4X4 nuova di zecca fino alla collinetta su cui stavano lavorando. Ma la
jeep di Tina non era altrettanto nuova, tantomeno lei era
così pratica di guida su terreni sconnessi, quindi preferiva
lasciarla a metà strada in una radura, assieme alla macchine
degli altri ragazzi. Quel lunedì però non poteva,
poiché il primo giorno della settimana era quello in cui si
portavano su le provviste per i successivi giorni di lavoro. Boccioni
d’acqua, pacchi di pasta, cassette di frutta, piatti e
bicchieri di plastica ed altre vettovaglie simili. La jeep
spuntò con un fastidioso ronzio, che sottolineava lo sforzo
del motore, e si fermò in una piccola spianata di terreno
proprio accanto ad una delle aree di scavo limitate da alcuni picchetti
in metallo.
"Salve ragazzi" Alessandro scese per primo, salutando il resto della
squadra che sonnecchiava ancora, disordinatamente seduta sul terreno o
su qualche masso.
"Siamo già dieci minuti in ritardo, a lavoro!" un attimo
dopo comparve anche Tina, che batté le mani come per
richiamare la loro attenzione “Datemi una mano a svuotare la
jeep, e poi tutti nelle proprie aree”
Un’ ordinata fila indiana di ragazzi trasportò il
contenuto dalla’auto ad una baracca poco distante. Era una di
quelle costruzioni prefabbricate, che si possono acquistare in un
qualsiasi centro commerciale che abbia un reparto dedicato alla
falegnameria, di quelle che si usano come deposito per gli attrezzi.
Loro l’avevano affettuosamente soprannominata baracca e la
usavano come ufficio e magazzino. Accanto ad essa avevano creato una
tettoia con alcune lamiere di ferro rette da pali di legno conficcati
nel terreno. Al di sotto c’erano due lunghe tavole
rettangolari molto rudimentali, con altrettante improvvisate panche,
che al momento erano occupate dagli zaini e le felpe dei ragazzi,
assieme ad altro materiale poggiato lì in attesa di essere
usato durante quella giornata di lavoro.
Terminata quella operazione, Tina richiamò a sé i
ragazzi della sua area e si inerpicò su un altro piccolo
sentiero fino ad arrivare su un terrazzo naturale dal quale spuntava
solo un muretto di mattoni in un mare di terreno grigio e polveroso.
"Anna, stamattina vorrei che finissi di pulire quel crollo, e per
favore metti in evidenza le pietre"
Una ragazza abbastanza minuta, con grandi occhi castani nascosti dietro
ad un paio di anonimi occhiali, annuì silenziosa e raggiunse
il posto che le era stato indicato.
"Federica tu ti dedicherai a quella fossa, vorrei capire se
è semplicemente una buca di palo oppure una specie di fossa
granaria per le provviste"
Un' altra ragazza, stavolta bionda e alta, raccolse secchio e paletta e
si mise a sua volta a lavoro.
"Stefano, te invece ti vorrei qui con me, devi aiutarmi a togliere
questo strato di humus che credo sia abbastanza spesso"
gettò uno sguardo al ragazzo alla sua sinistra, uno di quei
tipi alternativi con capelli lunghi, barbetta e piercing "Credo che
dovremmo usare il piccone, faremo prima"
Detto questo, tirò su le maniche di una vecchia maglia con
una stampa sbiadita, che aveva riciclato come indumento da lavoro,
legò i suoi lunghi e mossi capelli castani in una coda ed
infilò dei guanti da lavoro. Dal pantalone largo, pieno di
tasche e con qualche macchia di terreno umido sulle ginocchia,
cacciò la sua trowel ,che poggiò sul muretto, e
col piccone cominciò a smuovere il terreno.
La prima parte della giornata passò così tra il
rumore di pale, picconi, carriole e secchi. Durante la pausa di
metà mattina l'aria fu piuttosto tesa, visto che nessuno
capiva il motivo per cui una delle responsabili d'aria fosse di
così pessimo umore. La risposta arrivò poco prima
di pranzo.
Tina aveva affidato la sua area di scavo a Stefano, il più
grande ed esperto dei suoi tre collaboratori ed era discesa in baracca
per aiutare i ragazzi che avevano il turno cucina a preparare tutto
l'occorrente. Con il capo chino, nascosto dietro una pila di piatti e
bicchieri di plastica si scontrò con qualcosa.
"Ma che accidenti ..."
"Mi scusi"
Una donna dall'aspetto molto compito tentava di mantenersi in piedi su
dei vertiginosi tacchi a spillo che sprofondavano nel terreno
dissestato, reggendo nella mano sinistra una ventiquattrore marrone.
"Ah, questa è bella! Hanno organizzato una sfilata di Gucci
nel suggestivo panorama della campagna toscana oppure lei ha
evidentemente perso la via della città?"
Tina sfiorò un’ultima volta, con i suoi caldi
occhi castani leggermente socchiusi, il tailleur blu scuro con un
generoso spacco sulla coscia sinistra, poi si voltò per
tornare alle sua faccende.
"Veramente io dovrei..."
"Guardi, io non so lei chi sia e come ci sia arrivata qui, ma non ho
proprio tempo da perdere” la liquidò Tina,
continuando a camminare.
"Se mi avesse dato il tempo di parlare, le avrei spiegato chi sono e
cosa voglio. Immagino che questa collaborazione sarà
più difficile del previsto, date le premesse”
La voce della sconosciuta si fece improvvisamente sicura e perentoria,
tanto che Tina fu costretta a fermarsi e voltarsi nuovamente verso di
lei.
"Chi è lei?" chiese, cominciando ad immaginare di chi si
potesse trattare e sentendosi una cretina alla sola idea di averle
risposto in maniera tanto sgarbata.
"Avvocato Giulia Dardi, sono stata contattata dal professor Giometti,
il responsabile di questa campagna di scavo" dopo aver trovato
equilibrio sulle scarpe, l'avvocato appariva molto più
tranquilla e sicura di sé.
Tina l'ascoltò in silenzio, sgranò un
po’ gli occhi quando capì che la sua supposizione
era stata giusta e spostò nervosamente il peso da un piede
all’altro. Si prese qualche istante per osservare la donna
davanti a sé. Era alta, con quei tacchi la superava di
diversi centimetri, tanto che doveva tenere il mento leggermente alzato
per poterla guardare negli occhi. Il suo sguardo era pacifico, gli
occhi verdi leggermente socchiusi, ma non duri, probabilmente
concentrati. I capelli lisci scuri, che le sfioravano il collo per poi
accarezzarle le spalle fino a metà schiena, mossi da un
leggero venticello, Tina notò che con i riflessi del sole
sembravano rossi, quasi mogano.
"Dovrei incontrare il signor Corelli" proseguì Giulia,
tossicchiando per richiamare l’attenzione
dell’archeologa.
"Certo, mi segua" Tina scosse la testa sbattendo le palpebre e si
voltò celermente riprendendo a camminare a passo svelto,
scansando pietre e rami.
"E' piuttosto impervio qui"
"E' uno scavo archeologico, cosa si aspettava di trovare? Noi viviamo
fra la terra e le rocce quando lavoriamo"
Tina si voltò per assicurarsi che l'avvocato la seguisse e
notò che, sebbene a fatica e traballando, era riuscita a
starle dietro. Arrivata alla baracca aprì la porta e si fece
da parte per cederle il passo.
"Aspetti qui, Alessandro arriverà a minuti" le
assicurò gentile ma distaccata, ancora in imbarazzo per la
figuraccia di poco prima. Poggiò ciò che reggeva
su uno scaffale in un angolo e si avviò all'uscita.
"Non mi ha ancora detto con chi ho avuto il piacere di parlare" la voce
pacata di Giulia la bloccò sulla soglia, una mano che teneva
la porta aperta e un piede già all'esterno.
“Tina Basile" si presentò e le spalle si
rilassarono leggermente.
L'avvocato la guardò annuendo semplicemente, soddisfatta di
quella risposta e lei uscì.
All'esterno si scontrò subito con Christian, uno dei ragazzi
di Alessandro.
"Ehi, puoi dire ad Ale che c'è qui l'avvocato che chiede di
lui?"
"Quale avvocato?"
"Tu digli così e basta, per favore"
Christian rimase perplesso, tuttavia annuì e si
allontanò.
Pochi minuti più tardi da dietro una collinetta spuntarono
due figure. Mentre si avvicinavano Tina riconobbe Alessandro e il
professor Giometti. Aveva tutta l’aspetto di un professore
universitario, aveva pensato la ragazza più di una volta,
eppure non aveva quell’aria tronfia da pallone gonfiato che
spesso avevano i baroni. Era alto quasi quanto Alessandro, ma
decisamente più corpulento. Aveva i capelli castani con due
striature bianche sulle tempie e portava spesso un velo di barba sul
mento, mentre nascondeva gli occhi piccoli e stretti dietro un paio di
occhiali dalla montatura semplice e leggera.
"Salve Tina"
"Carlo, mi fa piacere vederti"
"Ti ringrazio, fa piacere anche a me" il professore le
arrivò di fronte insieme ad Alessandro e le sorrise
accondiscendente.
“Ti aspettavamo per il pomeriggio”
insinuò Tina, rivolgendogli uno sguardo interrogativo.
“Ah sì, giusto. Beh, l’avvocato mi ha
chiesto di poter spostare l’appuntamento in mattinata e,
siccome io avevo anche alcune cose da sbrigare nel pomeriggio, ho
accettato volentieri” spiegò l’uomo
accarezzandosi il mento velato da un sottile strato di barba brizzolata.
“L’avvocato dov’è?”
domandò a quel punto Alessandro, guardandosi distrattamente
attorno.
“L’ho fatta accomodare in baracca” Tina
indicò con il pollice la struttura alle proprie spalle.
“Fatta? E’ una donna? Ci sarà da
divertirsi, allora” ironizzò Alessandro ammiccando
comicamente.
Carlo gli posò una mano sulla spalla, come a voler sedare il
suo entusiasmo.
“Ecco, appunto di questo volevo parlarvi”
spostò lo sguardo serio tra i due ragazzi “Cerca
di tenere le mani a posto, almeno con il nostro avvocato,
Alessandro” lo riprese subito, con un accento divertito nella
voce, che stemperò il rimprovero “Vorrei che vi
interfacciaste insieme con l’avvocato, mi piacerebbe
conoscere anche il parere di Tina in tutta questa faccenda”
“Non ti fidi di me, eh? Guarda che non sono solo un
Dongiovanni, so fare anche la persona seria”
obiettò il ragazzo, senza alcun risentimento, anzi con aria
giocosa.
“Non è che non mi fidi di te …
semplicemente mi fido più di Tina” il professore
gli strizzò l’occhio facendogli capire che stava
semplicemente stando al suo gioco.
“Bene, io non ho alcun problema” approvò
la ragazza con un’alzata di spalle, alla fine di quello
scambio di battute.
“Nessun problema nemmeno per me”
assicurò Alessandro mettendo le mani in tasca con
tranquillità.
“Perfetto, allora vi lascio alle vostre questioni.
Provvederete voi a riportare l'avvocato alla sua auto, vero? Le ho
fatto lasciare la sua utilitaria nella radura, la mia jeep è
molto più adatta per arrivare fin qui"
Carlo non aspettò la risposta di nessuno dei suoi due
sottoposti, si aggiustò gli occhiali sul naso e si
avviò verso la sua auto.
"Perché vuole che assista anch'io a questa riunione? Sei tu
il capocantiere" bisbigliò Tina con la fronte corrugata in
un’espressione titubante.
"L'hai detto tu che questo è il tuo progetto, Tina. Io sono
il capocantiere solo ufficialmente, perché tu non avevi
l'esperienza necessaria per questo ruolo, è normale che
Carlo ti voglia partecipe, in più l’ha detto anche
lui, che si fida più di te che di me" concluse Alessandro
ridacchiando.
Lei alzò le spalle con aria non del tutto convinta ed
aprì nuovamente la porta della baracca per entrare.
"Avvocato Giulia Dardi, questo è il responsabile dello scavo
Alessandro Corelli. Il professor Giometti ha chiesto che assistessi
anche io a questa riunione, spero non le dispiaccia" proferì
Tina in aria estremamente formale, mentre spostava un secchio colmo di
sacchetti di ceramica numerata da una sedia polverosa e sedeva di
fronte all'avvocato.
Alessandro tolse alcuni resti di ossa da una tavola di legno poggiata
su due mattoni e sedette lì.
"Non c'è alcun problema, ma se non vi spiace vorrei
cominciare, ho degli altri appuntamenti nel pomeriggio. Signor Corelli,
lieta di conoscerla" Giulia parlò osservando i movimenti dei
due archeologi e l'interno della baracca che le pareva estremamente
strano, infine il suo sguardo si posò sul capocantiere.
"Alessandro va bene, dimmi cosa posso fare per liberarti il prima
possibile" lui passò disinvoltamente a darle del tu,
sorridendo in maniera amichevole.
Tina gli lanciò un’occhiata obliqua con un
sopracciglio alzato, ma non commentò.
"Dunque, avrei bisogno di tutti i permessi della sovrintendenza,
dell'università e la liberatoria firmata dal signor Prisco
per effettuare ricerche sul suo terreno, in più dovrei fare
un giro in tutta l'area di scavo per capire meglio la questione dei
confini" elencò l’avvocato in tono estremamente
professionale, leggendo degli appunti da un'agenda.
"Per quanto riguarda i permessi qui abbiamo solo delle fotocopie, gli
originali sono in dipartimento nel mio studio, potrei farteli avere in
settimana" Alessandro si grattò il mento come faceva sempre
quando era intento a riflettere per risolvere un problema "Diciamo per
venerdì prossimo?"
"Se non riesci prima, venerdì va bene" Giulia
continuò a tenere gli occhi incollati alla sua agenda e
scrisse qualcosa.
"Per quanto riguarda il giro dell'area di scavo potete farlo anche
subito, Tina sarà felice di accompagnarti" Alessandro si
alzò sorridendo e tendendo una mano all'avvocato "Io
purtroppo ho delle questioni da sbrigare, ma spero di rivederti presto"
Tina lo osservò con le sopracciglia aggrottate ed
un'espressione perplessa, faticava a capire il comportamento del suo
amico. Prima sembrava volerci provare con l’avvocato,
ignorando completamente le raccomandazioni che Carlo gli aveva fatto
pochi minuti prima, poi si lasciava sfuggire un’occasione per
restare da solo con lei.
Giulia non parve accorgersi di nulla di tutto ciò. Si
alzò a sua volta e strinse la mano di Alessandro con aria
compita. Dopo che il ragazzo fu uscito, si voltò verso Tina
osservandola con la sua aria pacifica.
"Spero di non farle perdere troppo tempo" pronunciò sempre
in maniera estremamente formale e distaccata.
"L'area di scavo non è poi così grande. Venga, le
faccio strada" Tina si alzò ed uscì nuovamente
alla luce calda del sole.
"Da quanto scavate qui esattamente?" Giulia tentava di evitare i sassi
troppo sporgenti e stare al passo con lei affannando leggermente.
"Questo è il secondo lunedì. Attenta a quella
radice, lì"
Tina non ebbe il tempo di finire di avvertirla che il tacco si era
impigliato e Giulia aveva perso l'equilibrio. L’archeologa
riuscì ad afferrarla per un gomito e contemporaneamente
tentò di tirarla su per l'altra mano.
"Non sono le scarpe più adatte per camminare su un'area di
scavo" commentò ironica.
"Grazie" si limitò a rispondere l’avvocato,
stringendo un po' di più la sua mano per rimettersi in piedi.
Sentendo quella stretta, Tina abbassò lo sguardo sulle loro
mani. Quella di Giulia, perfettamente curata con la pelle liscia e le
unghie curate e laccate di rosso, la sua abbastanza ruvida, con qualche
callo da lavoro e le unghie corte. In quel momento se ne
vergognò e la ritirò bruscamente dalla stretta
dell'avvocato.
"Non devo esserle molto simpatica, vero?" interdetta, Giulia la
osservò tentando di capire qualcosa in più di
quella ragazza che le pareva così sfuggente.
Tina mise le mani in tasca e riprese a camminare, stavolta
più lentamente e scegliendo percorsi meno accidentati.
"Si sbaglia, non è lei il problema"
"E qual è allora, se posso permettermi?"
"Credo che tutto questo sia ridicolo, insomma è chiaro che
non abbiamo infranto alcun punto dell'accordo. Il signor Prisco sapeva
benissimo che alle operazioni di sopralluogo sarebbe seguito uno scavo
vero e proprio" Tina teneva gli occhi fissi al terreno, le spalle curve
ed il viso corrucciato.
"Se non ho capito male questo lo avevate ben chiarito a voce, ma nel
contratto il punto in questione è trattato un po’
superficialmente. Accennate soltanto alla possibilità di
condurre una vera e propria campagna di scavo, nel caso in cui i
sopralluoghi avessero dato risultati estremamente interessanti. Non
è così?" Giulia la osservava di profilo, tenendo
il suo passo e standole a fianco, con aria estremamente professionale.
“Chill sta facenn o’ sciem pe nun ghì a
uerr” borbottò a mezza voce l’archeologa.
“Prego?” Giulia la osservò confusa,
chiedendole con lo sguardo di chiarire quell’affermazione.
Tina si accorse di aver parlato in dialetto e sorrise arrossendo
leggermente e scuotendo la testa.
“Mi scusi, è un detto napoletano, significa:
quello lì fa la parte dello scemo per non andare in guerra.
Quando sono nervosa mi viene spontaneo parlare in dialetto”
“Capisco, beh era carino comunque … non avevo mai
sentito il napoletano fino ad ora” Giulia sorrise a sua
volta, sciogliendo un po’ della fredda formalità
in cui si erano entrambe rinchiuse.
“Quindi lei crede che Prisco abbia firmato di proposito quel
contratto sapendo che un punto non era specificato bene per poi potersi
appellare a quello e chiedervi dei risarcimenti”
continuò l’avvocato, tornata seria.
Tina si fermò accanto ad un picchetto metallico che
delimitava una parte dell’area di scavo, incrociò
le braccia al petto e percorse con lo sguardo le colline del
circondario fino a posare gli occhi sul viso concentrato di Giulia.
“Purtroppo non ne ho le prove, ma ne sono convinta”
“Se crede che possa essere così, delle prove non
deve preoccuparsene, è compito mio trovarle e convincere il
giudice a ritenerle valide”
Tina la osservò attentamente e non le parve più
tanto austera, infatti le sorrise.
"Grazie"
"Prego. E visto che abbiamo appurato che il problema non sono io, che
ne dici se ci dessimo del tu?" propose Giulia in tono più
leggiadro e amichevole.
"Certo, perché no. Guarda, siamo arrivate. Questo
è il punto dello scavo più indagato finora,
è solo una settimana ma si vede qualcosa" Tina le
mostrò alcuni ragazzi, che lavoravano in un canale alto
più o meno trenta centimetri.
"Di cosa si tratta?"
"Crediamo sia la strada che porta al castello"
"Avete un castello?"
Giulia si voltò di scatto a guardarla, con una strana aria
stupefatta e a tratti anche entusiasta.
"A dire il vero non lo abbiamo ancora, ma supponiamo ci sia. Per il
momento abbiamo messo in luce solo un ambiente quadrato" Tina appariva
più rilassata e serena, parlare del suo lavoro le faceva
spesso questo effetto.
"Mi piacerebbe vederlo, se non ti scoccia"
"Certo che no! E' nella mia area, vieni, da questa parte"
Tina ricominciò a camminare spedita sul terreno sconnesso,
tuttavia gettava sempre uno sguardo alle proprie spalle per assicurarsi
che Giulia ci fosse.
"Attenta qui, c'è un dislivello" si fermò dopo
aver saltato un gradino di almeno mezzo metro e guardò in su
verso l’avvocato.
"Non credo di riuscire a scendere"
"Ma dai, non è difficile"
"Non lo sarebbe se avessi le scarpe da ginnastica, e nemmeno sarei
sicura di farcela" Giulia si corrucciò in una piccola
smorfia di disappunto e fece spallucce con aria impotente.
Tina sorrise scuotendo la testa con aria bonaria.
"Facciamo così, tu salta e io ti prendo" propose con molta
praticità.
"Potresti farmi cadere"
"Dovrai fidarti"
Giulia la guardò negli occhi e capì che non
scherzava, si fissarono per qualche secondo poi Tina tese entrambe le
mani verso l'alto e lei le afferrò. Quando Giulia
saltò non atterrò bruscamente come aveva pensato,
perché un braccio dell’archeologa era corso
attorno alla sua vita e ne aveva rallentato la caduta. La gonna e la
giacca si erano leggermente scomposte, così si
scostò piano da lei e cercò di darsi una
sistemata.
Tina si schiarì la voce.
"Ecco, questa è la mia area e quello lì
è l'unico ambiente che abbiamo scavato finora" si
grattò la nuca, mentre parlava e teneva lo sguardo fisso
davanti a sé sulle poche rovine già in luce.
"Cos'è quel buco lì su quel lato?" Giulia le si
affiancò per osservare meglio, le loro spalle quasi si
sfioravano.
"Potrebbe essere un focolare, se così fosse, quella potrebbe
essere l'aula di rappresentanza del castello" si voltò un
istante verso di lei ed osservò di sfuggita il suo viso
concentrato "In altre parole, la sala del trono"
"E' affascinante"
"Sì, lo è davvero"
Passarono ancora qualche attimo ad osservare quell'ambiente, poi Tina
l'accompagnò a terminare il giro dello scavo che comprendeva
altre tre aree, mostrandole i limiti di scavo e i confini
dell’area che avevano deciso di indagare per quella campagna.
Infine, si ritrovarono davanti alla sua jeep.
"Sali, ti do un passaggio fino alla tua auto"
"Non ce n'è bisogno, posso arrivarci a piedi"
"Mi sa che a piedi per oggi hai fatto già abbastanza.
Avanti, sali" Tina ridacchiò, mentre sedeva sul sedile del
guidatore.
Giulia si arrese e a sua volta salì in jeep prendendo posto
sul sedile del passeggero.
Tina mise in moto e partì, poi gettò un'occhiata
di sbieco accanto a sé.
"Spero che i tuoi appuntamenti del pomeriggio siano meno movimentati di
questo"
"In fin dei conti non è stato affatto sgradevole, anzi"
Giulia sorrise ricambiando la sua occhiata.
"Sono contenta che ti sia piaciuto" tagliò corto Tina,
tornando a concentrarsi sulla strada.
Arrivarono alla fine del sentiero che discendeva dalla collina e al di
là di una radura era visibile un’utilitaria blu
scuro un po’ isolata dal resto delle macchine.
“Quella lì è la tua auto?”
chiese Tina, deviando il suo tragitto proprio verso quel punto.
Giulia annuì.
Poco dopo la jeep si fermava sul ciglio della strada, la ragazza spense
il motore e si voltò appena verso il sedile del passeggero.
“Beh, la gita è terminata” si strinse
nelle spalle e restò in attesa che l’altra dicesse
o facesse qualcosa.
Giulia la osservò per qualche istante, poi aprì
la porta e si sporse per uscire dall’alto abitacolo della
jeep, non potendo evitare che la gonna le si alzasse appena quando
spiccò un piccolo salto.
Tina seguì con attenzione il suo movimento, poi distolse lo
sguardo puntandolo sul contachilometri.
Giulia richiuse la portiera e si affacciò al finestrino
mezzo abbassato.
“A presto, Tina”
“Ciao”
L’archeologa si voltò solo quando fu sicura che
lei fosse ormai di spalle, diretta verso la sua auto e la
osservò salire a bordo, mettere in moto e partire. Quindi,
fece un lungo respiro e partì a sua volta per ritornare
sullo scavo, al suo lavoro.
Più tardi, nella sala multimediale dell’Abbazia,
che per quei tre mesi di scavo sarebbe stata la loro casa, Tina stava
lavorando al computer. Concentrata com’era a scrivere il
diario di scavo non si accorse di una presenza alle sue spalle.
“Ciao bellissima”
“Dio! Emanuele!” Tina sobbalzò sulla
sedia perdendo il controllo anche delle dita, che scrissero una serie
infinita di “e” ed “m” sullo
schermo. Si girò di sfuggita per osservare il ragazzo, che
ridacchiando si mise con il viso appoggiato sulla sua spalla destra e
la bocca vicino al suo orecchio, dove aveva urlato poco prima il suo
saluto. Aveva i capelli biondicci e disordinati, lunghi abbastanza da
sfiorargli le spalle e coprirgli in parte gli occhi, che erano di un
azzurro un po’ torbido e con una costante sfumatura giocosa
ad animarli.
“Sono venuto a portarti i rilevamenti di oggi, ho pensato che
potevano servirti” spiegò lui tranquillamente
appollaiato su di lei.
“Hai fatto bene, grazie. Lasciali pure qui, appena ho finito
con il diario li inserisco in archivio” Tina voltò
nuovamente il viso in avanti e parlò senza staccare gli
occhi dallo schermo, cancellando tutte quelle lettere inutili e
riprendendo il filo del suo scritto.
“E poi, volevo chiederti anche un’altra
cosa” continuò Emanuele, allungando le braccia
oltre lo schienale della sedia e poggiando le mani sulla scrivania ai
lati dei fianchi di Tina.
“Mm” assentì quella con il capo, ancora
concentrata a picchiettare i tasti del computer.
“Sigaretta insieme dopo cena?”
“Uhm, ok. Ora però lasciami finire qui e spostati
che mi togli l’aria” staccò un attimo
gli occhi dallo schermo per incontrare quelli di lui ad un centimetro
dal proprio viso e con sguardo scettico lo invitò a
distanziarsi.
L’altro rise e si rimise dritto, le scompigliò i
capelli e, prima che lei potesse tirargli dietro qualcosa,
uscì di corsa dalla sala.
Immersa com’era in quel mare di misure, rilevamenti e dati
statistici, Tina sentì appena il suono della campana che
annunciava la cena. Si stiracchiò, facendo scricchiolare la
schiena e le dita poi si alzò e raggiunse gli altri in
cucina.
Le due tavolate erano già apparecchiate, una era
già piena, all’altra sedevano solo Alessandro ed
Emanuele, per il momento. Tina prese posto accanto ad Alessandro a capo
tavola e quindi di fronte ad Emanuele, poi un po’ alla volta
anche quel tavolo si riempì di altri responsabili di aria e
studenti e il chiacchiericcio coinvolse pian piano tutti.
“Vino?” chiese ad un certo punto Emanuele,
avvicinando la bottiglia al bicchiere di Tina.
“No no, lo sai che non bevo” lei sporse una mano a
fermare il collo della bottiglia che già si stava piegando.
“Sì, lo so, ma pensavo che per una sera potessi
fare un’eccezione” insistette il ragazzo,
ammiccando.
“Sei così insicuro del tuo fascino da doverti
affidare al vino?” intervenne Alessandro.
“Coglione!” lo apostrofò Emanuele,
tirandogli un calcio.
L’altro si limitò a ridere tornando ad occuparsi
della sua costoletta di agnello.
“Non mi piace proprio il vino rosso” concluse Tina,
con un sorriso di scuse verso Emanuele.
Quello alzò le spalle e infine abbassò il braccio
posando nuovamente la bottiglia sul tavolo.
“Hai parlato con Giometti?” chiese la ragazza al
capocantiere.
“Ah sì, ha chiamato poco prima di cena. Voleva
sapere com’è andato l’incontro con
l’avvocato” spiegò Alessandro.
“Perché sono sempre l’ultimo a sapere le
cose su questo scavo? Oggi è venuto
l’avvocato?” si lamentò Emanuele,
improvvisamente disinteressato alla mela che stava mangiando e
spostando lo sguardo tra i due colleghi.
“Sì, l’avvocato Giulia Dardi”
spiegò Tina, pulendosi le mani “Sembra in gamba,
credo che farà un buon lavoro”
“Un’avvocatessa” commentò
Emanuele, sorridendo sornione “Sì, ci si potrebbe
fare davvero un buon lavoro”.
Tina alzò gli occhi al cielo, Alessandro diede uno
scappellotto all’amico.
“Toglietelo dalla testa”
l’apostrofò.
“Sì, toglitelo dalla testa” gli fece eco
la ragazza.
“Gelosa?” indagò Emanuele, strizzando
l’occhio.
“No, semplicemente è già stata puntata
da Alessandro, quindi è tutto fiato sprecato. Tempo due
settimane al massimo e la bella avvocatessa cadrà ai piedi
del bell’archeologo”
Il capocantiere gonfiò il petto e gettò uno
sguardo di superiorità al collega.
L’altro alzò le spalle e tornò ad
occuparsi della sua mela dandole un grosso morso.
“Poco male, l’avvocatessa sarebbe stata solo un
passatempo. E’ altro che mi interessa sul serio”
non a caso il suo sguardo si fermò su Tina, la quale fece
finta di non cogliere l’allusione e si rivolse ad un collega
per chiedergli di alcune fosse che aveva trovato quella mattina.
Finita la cena i ragazzi si alzarono rapidamente, alcuni corsero in
sala multimediale per concedersi qualche ora di svago collegandosi ad
internet, altri avevano il turno pulizie ed erano costretti a fare
avanti e indietro fra la cucina ed il lavatoio con pile di piatti e
bicchieri tra le mani, altri semplicemente si chiusero in stanza a
chiacchierare.
Tina raggiunse la sua celletta singola, un privilegio
dell’essere responsabili di area, indossò una
felpa, prese il pacchetto di Camel, poggiato sulla scrivania che
fungeva da comodino, armadio, sedia e tavolo, ed uscì.
Accanto alle scale trovò Emanuele ad aspettarla.
“Pronta?”
“Mm-mm”
Scesero insieme ed uscirono dal grosso portone di legno.
Camminarono in silenzio per qualche minuto, seguiti solo dal rumore dei
loro passi sulla ghiaia.
“Questo posto è incantevole di sera”
commentò Tina, facendo lampeggiare l’accendino e
aspirando una prima boccata di fumo.
“Non ti piace granché il casino, vero?”
Emanuele la imitò, sbuffando poco dopo una densa nuvola di
fumo attorno a loro.
La ragazza si poggiò con il bacino ad un muretto e con il
viso rivolto verso l’enorme scheletro scoperchiato
dell’Abbazia. Alcuni faretti posti in punti strategici
rendevano la costruzione simile ad un’apparizione notturna
nel buio più completo della campagna toscana.
“Sono un tipo piuttosto solitario, in effetti”
ammise, facendo ardere nuovamente la cenere della sigaretta.
“Io invece da solo non ci riesco a stare” con la
sigaretta stretta tra le labbra, Emanuele usò le mani per
darsi uno slancio e salire a cavalcioni sul muretto, con le gambe
penzoloni ad ognuno dei due lati. Tina guardava l’Abbazia e
lui guardava lei, di profilo avvolta tra le spire del fumo che lei
stessa espirava.
“E’ per questo che al compleanno di Alessandro ti
trovai nascosto in un angolo del pub circondato da tre ragazze
… cercavi di combattere la solitudine?” Tina
incurvò le labbra in un sorrisetto irriverente continuando a
guardare di fronte a sé.
Emanuele scoppiò a ridere dandole uno spintone scherzoso.
“Metti sempre tutto sul piano sessuale”
l’accusò.
“Solo quando si parla di te” lo rimbeccò
lei, ridacchiando.
Lui fece ancora un tiro alla sigaretta, continuando a sorridere.
“Non è di quella solitudine che ho paura. Una
ragazza per appagare i miei appetiti sessuali la posso sempre trovare.
Qualcuno con cui condividere il mio mondo, beh …
è più difficile”
Si fece serio e riflessivo, mentre gettava la sigaretta diventata ormai
un mozzicone.
Tina lo ascoltò, mantenendo sempre la stessa posizione. Solo
gli occhi si mossero, verso l’alto a fissare il cielo
stellato.
“Tina”
Emanuele si mosse appena, avvicinandosi con il viso al suo. Lei rimase
immobile, gli occhi al cielo, le labbra strette e la sigaretta che si
consumava da sola tra le dita.
Il ragazzo azzardò ancora una mossa, strofinando il naso
contro la sua guancia e lasciandole un rapido bacio sulla mandibola.
Fu allora che, con movimenti calmi ma decisi, Tina scostò i
fianchi dal muretto e si rimise dritta, gettò la sigaretta
spegnendola con la suola delle scarpe, infine si voltò verso
Emanuele.
“E’ meglio rientrare, si è fatto
tardi” gli poggiò una mano sulla spalla e si
sporse verso di lui per dargli un amichevole bacio sulla guancia.
Quindi, mise le mani in tasca e s’incamminò verso
il caseggiato adiacente all’Abbazia.
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Solo poche parole, dopo questo primo capitolo piuttosto
corposo. Questa storia la stavo pubblicando un paio di anni fa, poi per
questioni personali la sospesi e decisi di cancellarla dal sito. Oggi
la ripubblico perché nonostante tutto mi piace molto,
sebbene sia molto distante dal mio modo attuale di scrivere, per questo
ho deciso di non rimaneggiarla, altrimenti finirei per
snaturarla...invece credo che sia perfetta così
com'è, con lo spirito che avevo quando la scrissi.
Spero vi abbia lasciato qualcosa....bella o brutta poco importa,
l'importante è che abbia suscitato qualcosa. Se vi va,
fatemi sapere cosa :)
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