The Man who loved her light too much

di Evee
(/viewuser.php?uid=4027)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Evee's corner

 

H^o^la!

Ebbene sì, come promesso (o, meglio, minacciato) sono tornata, incapace di smettere di tormentare la mia OTP e desiderosa di dare un seguito a quella che ho voluto chiamare “The Dark Blue Saga”, benché nel mio cuoricino “The White Lady who lost her soul” avrà sempre il posto d'onore.

Dato che squadra vincente non si cambia, non mi dilungo troppo a preavvertirvi su ciò che state per leggere: è sempre una fic con un titolo dal sapore hitchcockiano e spropositato, classificata un po' a caso, a PoV alternati dei protagonisti, infarcita di canzoni, condita con tanto dramma e cliffhanger dalla dubbia riuscita, aggiornata ogni domenica. Le sole differenze con “White Lady” è che ci sarà molto meno sangue e un po' più sentimento (ma non troppo, eh) e che per accompagnarvi e deprimervi nella lettura ho scelto i ritornelli delle canzoni dei miei amati Mumford and Sons, che al solito daranno il titolo ai capitoli... Anche se forse per il primo sarebbe stato più adeguato “La quiete prima della tempesta”, essendo solo preparatorio del terreno che poi mi appresterò a devastare.

Dunque, grazie infinite a tutti voi coraggiosi che avete trovato l'ardire di continuare a seguirmi. E se avete anche la forza di lasciarmi il vostro parere ve ne sarò immensamente riconoscente, perché si sa che i sequel di rado sono all'altezza delle attese, e per questo mi è salita un'ansia da prestazione considerevole... Anzi, una fifa Blu.

Spero a presto e buona lettura, vostra

- Evee

 

The Man

Image and video hosting by TinyPic

who loved her light too much

 

I - After the storm

 

{And there will come a time, you'll see, with no more tears
And love will not break your heart, but dismiss your fears
Get over your hill and see what you find there
With grace in your heart and flowers in your hair}

 

Quella notte il suo sonno non fu più tormentato dagli incubi.

Anzi, quando socchiuse gli occhi e vide chi c'era accanto a sé, temette quasi di trovarsi ancora nel mondo dei sogni. A stento riusciva a credere a quanto gli era successo solo poche ore prima, ma quella ragazza addormentata nel suo letto era una prova sufficientemente tangibile da convincerlo che sì, era accaduto per davvero: Kisara era realmente tornata da lui, ed aveva veramente ritrovato la sua memoria passata. Così lui, per spiegarle il significato della visione che aveva avuto, le aveva finalmente svelato la verità. E benché si trattasse di narrare una vicenda che un tempo non aveva neanche la forza di ricordare, al punto che avrebbe preferito non averla vissuta affatto, fu un racconto molto più facile di quanto si fosse aspettato. Sì, probabilmente la Vodka aveva aiutato a sciogliergli la lingua ma... non era quello il vero motivo. Era perché, finalmente, quella storia assurda non lo confondeva più, ma aveva un senso. Serviva a qualcosa. Ad avvicinarlo a quella ragazza, a legarla a sé prima che potesse scivolare dall'orlo della disperazione su cui l'aveva condotto. La vera difficoltà, semmai, fu quella di riuscirci senza svelarle anche quanto ne avesse bisogno, di trovare le parole giuste per attenersi ai fatti omettendo, al contempo, le ragioni delle azioni che ne erano state causa. Ma lei lo aveva comunque incalzato con così tante domande, e lui aveva dovuto darle così tante risposte che, quando ebbe terminato di raccontare tutto ciò cui aveva assistito nel Mondo della Memoria del Faraone, era ormai passata la mezzanotte. E, dato che il temporale infuriava ben più di prima, ma soprattutto dato che non voleva proprio lasciarla andar via, l'aveva persuasa a fermarsi lì a dormire.

Anche se convincerla era stato infinitamente più arduo del farle credere che era già vissuta nell'Antico Egitto e che possedeva un drago per spirito.

Alla fine, però, aveva avuto la meglio lui ed era riuscito ad abbattere la sua caparbia resistenza, facendole capire che sarebbe stato da pazzi andarsene in giro con quel tempo. In realtà era ben più da pazzi accogliere un'assassina nel proprio letto, ma ormai Seto sapeva che non c'erano più ragioni per temerla. Né considerava fastidioso l'aver condiviso un tale momento di intimità con una persona che aveva conosciuto appena qualche giorno prima, perché Kisara era tutto fuorché un'estranea per lui. Forse qualcuno avrebbe potuto sentirsi a disagio trattandosi di una donna, per giunta talmente bella. In particolare, una con la quale si sono avuti dei trascorsi sentimentali per nulla superati. E, in effetti, doveva ammettere che quella circostanza non gli era del tutto indifferente... ma non perché la ritenesse imbarazzante. Era un altro l'aggettivo più appropriato per descriverla.

Eccitante.

Sì, era decisamente eccitante.

Risalì piano la figura sinuosa che le coperte lasciavano intravedere, raggomitolata verso di lui sul fianco, ondeggiando fino ad indugiare su un lembo di pelle che la camicia che le aveva prestato per la notte non era riuscita ad occultare alla vista. Si alzava ed abbassava con estrema lentezza, fino a farlo sprofondare nell'incavo alla base del suo collo, ed inducendo il suo stesso respiro a seguire un ritmo sereno ma troppo inadeguato al battito crescente del suo cuore. Avrebbe proprio voluto impadronirsi delle sue labbra socchiuse, per rubarle quell'ossigeno che a causa sua gli era venuto a mancare. Anzi, avrebbe voluto far suo quel morbido tepore che tutto il suo corpo emanava, sostituendolo al troppo calore procurato dalle coperte e dai vestiti, che si stava facendo sempre più insopportabile e soffocante.

Era normale che gli provocasse un tale effetto?

Fino ad allora non aveva mai avuto troppi problemi a tenere a bada i propri ormoni, ma era vero anche che non si era nemmeno mai trovato in una situazione simile con un'altra donna. Soprattutto non con una che avesse desiderato in quel modo e men che meno ossessionato con un sentimento simile, fin troppo irrazionale e che in quel momento era semplicemente fuori controllo.

Doveva cercare di darsi una calmata.

Ma probabilmente la sola cosa che avrebbe potuto aiutarlo a scacciare quella sensazione era una doccia fredda, ed il suo corpo non sembrava volerne sapere di separarsi da quella ragazza. Né di privarsi di quel frustrante languore in cui era così dolorosamente piacevole crogiolarsi... Eppure la distanza materiale fra loro era irrisoria, non sarebbe stato difficile accorciarla fino a soddisfarlo. Ma non osava farlo. Si era approfittato anche troppo di quella situazione, e soprattutto non si sentiva affatto in grado di sconfinare in quel campo a lui totalmente sconosciuto. Nella migliore delle ipotesi si sarebbe reso ridicolo, nella peggiore rischiava che lei lo respingesse brutalmente, con presumibile violenza più fisica che verbale. Aveva scoperto sulla sua pelle quanto sapesse essere pericolosa, nonostante quel suo aspetto così incantevole.

Un paradosso che quei capelli di nuovo candidi, sparpagliati sul suo cuscino, non facevano che accrescere a dismisura.

I loro lunghi riflessi luccicavano nella penombra, scivolando verso di lui per avvinghiarlo, arretendolo come il canto di una sirena. Incapace di trattenersi e confidando di uscirne impunito, allungò con circospezione una mano fino a sfiorarne una ciocca, raccogliendola tra le sue dita.

Fu proprio allora che la sua sveglia si mise a suonare.

 

***

 

Kisara aprì gli occhi di scatto, allarmata.

Era talmente abituata ad essere sempre vigile e all'erta, che neanche quando dormiva i suoi sensi la abbandonavano del tutto, pronti a captare il minimo rumore nonché potenziale fonte di pericolo. Tuttavia ciò che l'aveva appena svegliata era soltanto la insopportabilmente acuta, ma pur sempre innocua, suoneria di un orologio digitale, che il ragazzo di fronte a lei si affrettò a zittire con un movimento brusco ed un'espressione scocciata.

Quando poi, voltatosi, i suoi occhi azzurri incrociarono i suoi, avvertì il cuore saltare un battito e poté distintamente percepire il viso andarle in fiamme. Era la prima volta che si risvegliava con una persona accanto, realizzò. In realtà se n'era sempre ben guardata, benché non le fossero mancate le occasioni. Le era capitato svariate volte di adescare alcune delle sue vittime più sprovvedute, ma nessuna era sopravvissuta abbastanza per toccarla, figuriamoci per passare la notte con lei. Ed aveva sempre respinto con gelida fermezza ed intima repulsione qualunque altro uomo avesse tentato di portarla a letto.

Almeno fino a quella notte.

Ancora non riusciva a capire come avesse fatto Kaiba a convincerla a rimanere. Vero, era tardi e sembrava che fuori fosse appena scoppiato il finimondo. Vero, il suo letto a due piazze era abbastanza grande per poterci stare entrambi senza che ciò gli arrecasse il minimo disturbo. Vero, la sua proposta era un mero atto di cortesia e non implicava apparenti doppi fini... Si trattava solo di dormire. Ed infatti non era successo niente.

Ma, allora, perché aveva la netta impressione che fosse accaduto l'esatto opposto?

Era a disagio quando si era infilata tra le sue coperte, e si sentì terribilmente imbarazzata nel risvegliarsi tra di esse. Non erano nient'altro che un lembo di stoffa, ma rappresentavano anche un confine impalpabile che lui le aveva permesso di attraversare. Un confine superato il quale non si può più tornare indietro... Ma, in fondo, lo sapeva che se aveva osato farlo era solo perché anche lei lo voleva. Se c'era una persona al mondo con cui avrebbe mai potuto aprirsi, entrare in confidenza, e forse provare persino qualcosa era proprio lui, dopotutto. Doveva ancora metabolizzare appieno quello che le aveva raccontato sul loro passato, ma poteva comunque percepirlo, il filo del destino che li univa. Perché, da quando le aveva restituito quelle carte che sosteneva contenessero il suo spirito, non c'erano parole per spiegare come si sentiva in sua presenza. Non era semplicemente serena. Non era soltanto contenta... Si sentiva completa.

Si sentiva se stessa.

-Mi dispiace, non era mia intenzione svegliarti.- si scusò lui.

Kisara allora si scostò dal viso i troppi capelli spettinati dal sonno e si tirò repentinamente su a sedere.

-No, non è affatto un problema.- riuscì a dirgli, sforzando una voce che sentiva troppo impastata -E poi immagino dovrai andare al lavoro...-

Kaiba a quelle parole inarcò un sopracciglio con fare perplesso.

-Di solito è quello che faccio, ma di certo non la domenica.-

Rimase un attimo interdetta, provando intima vergogna per la sua totale incapacità di distinguere i giorni della settimana. Ma, d'altronde, non erano mai stati rilevanti: Kurosawa l'aveva educata privatamente, ed il suo lavoro non era affatto come quelli che vengono regolati da un orario d'ufficio... La quotidianità era un concetto a lei del tutto sconosciuto.

-Oh... E' vero.- fu costretta a riconoscere -Perché allora hai messo la sveglia?-

La mano del ragazzo attraversò l'aria in un gesto di sufficienza.

-Non mi piace essere improduttivo, e poi non voglio perdere l'abitudine. Anche se non ne avrei bisogno, ormai mi sveglio sempre prima che suoni.- le spiegò con fare annoiato -Comunque, non farti problemi e torna pure a dormire, se lo desideri.-

Kisara si affrettò a scuotere la testa in segno di diniego. Nemmeno lei era solita indugiare nella pigrizia, ed aveva approfittato anche troppo della sua ospitalità.

-No, è davvero giunto il momento che me ne vada.- mormorò, scostando le coperte.

Kaiba non disse nulla, ma avvertiva il suo sguardo implacabile su di sé mentre scivolava giù dal letto, impediva alla sua camicia di risalirle le gambe esposte, appoggiava i piedi sul freddo parquet, e raggiungeva gli abiti lasciati ad asciugare accanto al termosifone. Nel mentre le sfuggì uno starnuto, che la costrinse a fermarsi e a portarsi le mani alla bocca. In effetti il bruciore persistente che sentiva alla gola lo aveva lasciato presagire, che si era raffreddata.

-Grandioso.- gemette tra sé.

-Puoi ritenerti fortunata, invece.- la rimproverò Kaiba, che nel frattempo si era alzato a sua volta per scostare le tende -Con tutta l'acqua che hai preso mi stupisce che non ti sia venuta una polmonite.-

Lei allora afferrò i suoi vestiti e si diresse in bagno per cambiarsi, scoccandogli un'occhiata fugace mentre lo superava.

-Ho la pelle dura, tranquillo.- ribatté con fierezza.

Lui abbozzò uno dei suoi sorrisi sarcastici.

-Sì, lo so.-

 

***

 

Gli sfuggì un sospiro sconsolato.

Tempo pochi minuti e lei sarebbe stata di ritorno, vestita di tutto punto, pronta per andarsene. Mentre lui non era affatto pronto a salutarla.

Non di nuovo.

Non poteva accettare che lo abbandonasse ancora, specialmente dopo quella notte. Senza neanche sapere quando l'avrebbe rivista. Senza nemmeno sapere se l'avrebbe rivista. Non avrebbe retto ad un'altra separazione. Perché, se prima tutto gli suggeriva che doveva rassegnarsi e dimenticarla, ora tutto lo avrebbe portato a sperare... In cosa, non avrebbe saputo dirlo con precisione. Tutto ciò di cui era certo era che aveva bisogno di lei. La voleva nella sua vita. La voleva sempre al suo fianco. Peccato, però, che si trattasse di un desiderio irrealizzabile...

O forse no.

 

***

 

Le sfuggì un sospiro sconsolato.

Ad ogni bottone della camicia che apriva, le sue dita si facevano sempre più incerte e riluttanti a proseguire. Era di seta leggera, ma morbida ed accogliente, l'esatto opposto di quei ruvidi jeans e di quello stretto dolcevita che avrebbe dovuto tornare ad indossare. D'altronde, non aveva altra scelta. Quel pensiero la sconfortò profondamente, ma era arrivato il momento di tornare coi piedi per terra. Davvero non sapeva che cosa si fosse aspettata dal rivedere Kaiba. Certo, aveva finalmente ottenuto delle risposte sul suo passato, ma gli interrogativi sul suo futuro erano rimasti aperti ed impellenti.

Che fare?

Dove andare?

Tanto per cominciare, via da lì. Finché fosse rimasta in presenza di quel giovane non sarebbe riuscita a pensare ad altro, e lei aveva bisogno di riflettere con lucidità sulla questione. Finì dunque di cambiarsi e ritornò da lui, decisa a salutarlo.

-Vado.- gli annunciò, impegnando lo sguardo colpevole nell'atto di ripiegare la camicia, la cui sola utilità era quella di offrirle un pretesto per sfuggire al suo.

-Permettimi di riaccompagnarti a casa, allora.- lo udì offrirsi.

Un sorriso ironico le comparve sulle labbra.

-Se anche volessi, non potresti farlo comunque, dato che non ne ho una.-

-Come sarebbe?- le domandò con scetticismo -Dovrai pur stare da qualche parte.-

Kisara si strinse nelle spalle.

-Certo, ma non ho mai avuto un posto fisso. Spesso mi fermavo in un hotel, a volte in uno degli appartamenti che Kurosawa mi metteva a disposizione. Immagino che ora dovrò prenderne uno mio in affitto, ma non ha molto senso cercarlo prima ancora di essermi trovata un altro lavoro.- gli spiegò.

-Fermati qui, allora.-

Le sue mani si bloccarono, abbandonando una manica piegata a metà.

-Come?- esclamò, alzando gli occhi stupefatta.

Kaiba però la osservò con serietà, le braccia conserte.

-Fermati qui.- le ripeté -Almeno fino a quando non avrai trovato di meglio. Tanto, come avrai potuto di notare, questa villa al momento ha più di una stanza in disuso...-

-Non posso accettare.- si affrettò ad interromperlo -Non saprei davvero come fare a ricambiare un simile favore...-

-Io sì.- ribatté lui con un sorriso enigmatico, lasciandola interdetta -Dopotutto è per causa mia se non hai più un lavoro, mentre io per colpa tua ho perso ben quattro membri del mio personale...-

Kisara spalancò la bocca, incredula.

-Mi stai dicendo che vorresti assumermi? Sul serio?!?-

-Non è mia abitudine fare simili proposte per scherzo.- le disse con fermezza -Ho visto quello che sai fare, e devo ammettere che lo sai fare bene. Forse sarà un'occupazione un po' noiosa rispetto a quella cui eri abituata ma... avrei davvero bisogno di una persona come te, nel mio corpo di sorveglianza. Che ne dici?-

Le sue labbra si aprirono nel sorriso più aperto e sincero che avesse mai fatto, e che non avrebbe mai creduto di essere in grado di fare.

-Grazie.-

 

*

 

Le piaceva quel lavoro.

L'aveva capito sin dal primo giorno, e dopo solo una settimana quell'impressione si era già trasformata in una vera e propria convinzione. Certo, aveva dovuto abituarsi a collaborare con altre persone e, soprattutto, superare i pregiudizi sessisti dei suoi colleghi. Dopotutto era l'unica donna del gruppo, e la sua giovane età non aiutava affinché la prendessero sul serio... Non le erano sfuggiti i commenti volgari che le indirizzavano poco velatamente, né le insinuazioni su come o, meglio, cosa avesse fatto per farsi assumere. Ma si era rivelato un problema ben maggiore il suo superiore, un energumeno che rispondeva al nome di Fuguta e che, come ebbe modo di scoprire, era anche quella stessa guardia del corpo alla quale aveva sparato la prima volta che aveva cercato di uccidere Kaiba. Appena aveva saputo della sua assunzione, era andato nel suo ufficio a manifestargli apertamente la sua contrarietà, cercando di persuaderlo a cambiare idea. Ma tutto ciò che ottenne fu la minaccia che sarebbe stato lui ad essere messo alla porta, se avesse osato mettere nuovamente in discussione la sua decisione. Il che non fece che rafforzare l'astio che Fuguta provava verso di lei, e la sua volontà a renderle la vita alla Kaiba Corp. semplicemente impossibile.

Comunque, aveva risolto entrambe le questioni e guadagnato unanime rispetto nell'attimo stesso in cui, durante il primo addestramento, era riuscita a mettere al tappeto il suo finora imbattuto superiore in appena due minuti.

Ed anche se non fosse successo così in fretta, non avrebbe lo stesso cambiato idea sul suo nuovo lavoro. Era bello indossare la sua divisa, e sapere di far parte di un gruppo. Era bello avere di nuovo con sé un'arma, e sapere che se mai l'avesse usata non sarebbe stato per uccidere, ma per proteggere qualcuno. Per proteggere lui.

Ma, più di ogni altra cosa, le piaceva abitare a Villa Kaiba.

Con suo stupore, lì era stata accolta sin da subito senza riserve: sebbene fosse soltanto una semplice dipendente, il personale la circondava di mille, inutili premure, mentre il piccolo Mokuba aveva sempre per lei un sorriso e una frase gentile.

Sapeva che era solo una sistemazione momentanea, ma proprio non avrebbe potuto immaginare un posto migliore dove vivere. Era bello condividere con lui i pasti, ascoltando suo fratello raccontare con entusiasmo la propria giornata. Era bello addormentarsi nella sua stanza, e sapere di non essere sola in quella casa.

Era un po' come appartenere ad una famiglia, in fondo.

 

[e arriverà un momento, vedrai, senza più lacrime
e l'amore non ti spezzerà il cuore, ma scaccerà le tue paure

supera la tua salita e guarda cosa vi scopri

con grazia nel tuo cuore e fiori tra i tuoi capelli]

 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2945494