la strada di casa
La strada di casa
‘So open your eyes and see
The way our horizons meet
And all of the lights will leave
Into the night with me
And I know these scars will bleed
But both of our hearts believe
All of these stars will guide us home.’
(All Of The Stars, Ed Sheeran)
Dicono le
leggende che un tempo, su questa penisola, vivesse una geniale maga dai
capelli di fiamma. Una ragazza prodigio, in grado di compiere le
più ardue magie.
Per lei non esistevano cose impossibili.
Dicevano che aveva coraggio da vendere, che aveva combattuto contro a draghi e demoni, e che aveva vinto, sempre.
Sostenevano
che la sete di conoscenza l’avesse portata oltre i limiti
concessi agli uomini. Che avesse invocato la magia del caos e che Lon
in persona si fosse impossessata del suo corpo, per governare il
più temibile degli incantesimi e impedirle di sprofondare il
mondo nel Mare del Caos.
Avevano ragione, su ogni cosa.
Infine, si vociferava che fosse morta tra atroci sofferenze, bevendo una camomilla.
Beh, su questo si sbagliavano, per fortuna.
Ho la gola
secca, le palpebre incollate e dolori ovunque. Se questo è
l’aldilà, voglio un dannato risarcimento. Provo ad aprire
gli occhi, ma qualcosa li ferisce. Una luce abbacinante. Li richiudo,
frastornata. Sulle labbra sento il sapore del sale. Ci passo piano la
lingua. Sono secche e screpolate. Le mie dita affondano in qualcosa di
soffice e zuccheroso. Nelle orecchie ho lo sciabordio dell’acqua.
È diverso dal rumore che farebbe il gorgogliare di un fiume.
Questo assomiglia, piuttosto, al paziente ripetersi delle onde che si
infrangono sul bagnasciuga. Prendo un respiro e provo di nuovo a
guardarmi attorno. Il sole ferisce le mie iridi, al punto che sono
costretta a portarmi una mano alla fronte, riparandomi gli occhi.
È tutto incredibilmente bianco. La spiaggia su cui sono seduta,
la schiuma delle onde che si infrangono ai miei piedi, l’abito
che indosso. Solo il cielo è azzurro. Di un azzurro così
intenso da lasciare senza fiato.
Non credevo
che l’aldilà potesse essere così simile a
ciò che mi sono lasciata alle spalle. Mi sollevo, mettendomi
seduta. Il vestito che indosso è umido, e la sabbia si è
appiccicata sul corpetto e sulla gonna. Una manica è strappata.
Lo guardo meglio, sbattendo le palpebre, e solo in quel momento lo
riconosco. È l’abito con cui mi hanno vestito a
Sailunne, l’abito che indossavo quando Joy mi ha rubato dal
tempio. Avvicinando un pezzo di stoffa al viso scopro che puzza di
pesce in una maniera disgustosa.
Un gabbiano plana al mio fianco, squadrandomi con interesse. Lo stesso sguardo con cui guarderebbe una sardina gigante.
«Sciò,
bestiaccia!» esclamo, prima di rendermi conto di un fatto
inquietante. Questo mondo è terribilmente simile a quello da cui
vengo. Simile in maniera quantomeno sospetta.
Provo a
sollevarmi, ma le gambe non mi reggono. Sono rigide, come se le avessi
tenute ferme a lungo. Compio qualche passo, barcollando, poi cado sulle
ginocchia. All’improvviso, un’ombra mi sovrasta.
«Piano, Lina. Non vorrai rischiare di ammazzarti proprio adesso, vero?»
Mi volto di scatto, verso quella voce così familiare.
Il demone mi osserva con un sorriso divertito, galleggiando nell’aria.
«Xellos?»
«È un piacere rivederti, Lina. Ne è passato, di tempo.»
Le sue parole mi lasciano allibita.
«Questo vuol dire che… non sono morta?»
«Non più di quanto lo sia io.»
«Ma come…?»
Xellos
infila una mano in tasca e ne estrae qualcosa di piccolo e lucente.
Qualcosa che lancia verso di me con un movimento aggraziato. Sulla
sabbia, davanti al mio naso, atterra l’anello di Gourry. La
pietra è liscia e trasparente. Lo fisso, incapace di parlare. La
mia mano si tende a sfiorarlo. È freddo, perfetto. È come
lo ricordavo.
«Come diavolo…?» Scuoto la testa, sollevando lo sguardo su Xellos. Lui fa spallucce.
«Accordi, cara Lina. Tu lo sai, io non faccio mai niente per niente.»
«Che
tipo di accordi?» non posso fare a meno di domandare, sospettosa,
stringendo l’anello nel palmo della mano. Nonostante tutto, sono
diffidente.
«Domandalo al tuo amico Joy. O forse dovrei dire, al duca di Solaria.»
Scuoto la testa, ma sto sorridendo. Testardo, ostinato Joy. Non si è arreso.
Mi lascio
cadere all’indietro, sulla sabbia tiepida di sole, l’anello
stretto al petto, e scoppio in una fragorosa risata. Sopra di me i
gabbiani si librano leggeri, le ali spiegate, lanciando grida stridule.
Sono viva. Viva.
Poi, vengo colta da un dubbio. Mi sollevo di scatto, rivolgendo la mia attenzione a Xellos.
«Dove siamo, Xellos?»
«Sulla
costa occidentale del Continente, Lina. Non è stato facile
recuperare quell’anello, sai? Abbiamo dovuto chiedere
l’intervento dei demoni marini. C’è voluto del
tempo…»
«Quanto tempo?»
Xellos sospira.
«Centoventicinque anni, Lina.»
Spalanco la bocca. Il mio cuore perde un colpo.
«Cosa?!»
Lo guardo, attonita. «Stai scherzando, spero! Non può
essere trascorso tutto questo tempo…»
Il mio
pensiero va a Gourry. Centoventicinque anni… anche considerando
la minima percentuale di sangue elfico che scorre nelle sue vene, a
quest’ora Gourry dovrebbe essere più vecchio di
Matusalemme. Se è ancora vivo.
Mi porto una mano alla fronte, sgomenta. Poi, sollevando lo sguardo sul demone, lo vedo ridere sotto i baffi.
«Ti stai prendendo gioco di me, Xellos?»
Lui sorride, scuotendo l’indice davanti a sé.
«In effetti sì, Lina. Ah, quanto mi sei mancata, ci siamo sempre divertiti un mondo, insieme!»
«Parla
per te!» rispondo, irritata. «E sputa il rospo, quanto
è passato dal combattimento a Solaria?»
Xellos finge di contare sulle dita di una mano.
«Fammi pensare, dunque… a occhio e croce, direi poco più di sette mesi.»
Tiro un
sospiro di sollievo. Sette mesi persi, certo. Ma davanti alla
prospettiva di un’intera vita gettata alle ortiche, cosa volete
che siano?
La gioia
esplode tutta insieme dentro di me. Sono viva, posso riprendere in mano
la mia esistenza. Sollevo l’orlo del vestito e corro, corro verso
il mare. Le onde si sbriciolano sulla riva in scintille argentate.
Spalanco le braccia e mi lascio cadere nell’acqua, ridendo. Tutto
mi inebria, tutto mi entusiasma. Scuoto la testa e dai miei capelli si
staccano gocce minuscole che brillano al sole. Prendo a calci la
schiuma, spruzzo schizzi ovunque. E grido, grido di felicità.
«Sono viva! Vivaaaaa!»
Xellos,
dalla riva, mi osserva perplesso. È un essere millenario, eppure
non riuscirebbe a capire questo momento nemmeno se si sforzasse. Esco
dall’acqua e mi precipito verso di lui, gettandogli le braccia al
collo, senza smettere di ridere. Gli stampo un bacio a schiocco sulla
guancia.
«Sono viva, Xellos! Non sono mai stata così felice!»
Lui sbianca di colpo, indietreggiando, e si porta una mano alla bocca. Sembra che stia per vomitare.
«Non.
Farlo. Mai. Più» dice, respirando a fatica. «Puah!
Che orrore, tutta questa allegria… mi sento male.»
«Noioso!»
dico, dandogli una pacca sulla spalla che lo fa traballare. «La
vita è una cosa meravigliosa!»
Xellos arriccia il naso, guardandomi storto.
«Mia
cara, posso chiederti di contenere l’entusiasmo? Il tuo buon
umore sta mettendo a dura prova il mio self control.»
«Non ci posso fare niente. Sono spudoratamente felice. Vuoi un altro bacio?»
Xellos rabbrividisce.
«Sono tentato, ma… no, grazie! Mantieni una certa distanza, anzi» risponde, tendendo il bastone tra me e lui.
Faccio spallucce, strizzandogli un occhio. Dei, quanto mi era mancato tutto questo.
Inspiro e sospiro. L’aria ha un profumo buonissimo. Sa di sale e vento. Di viaggi e di speranza.
In questo
momento un rumore di zoccoli, alle mie spalle, cattura la mia
attenzione. Un meraviglioso stallone bianco sta correndo sulla
spiaggia, nella nostra direzione. Si ferma a qualche passo da noi,
nitrendo e scrollando la criniera. Non ha cavaliere, ma ha magnifiche
bardature e una sella di cuoio lucido. Mi avvicino, tendendo una mano e
facendogli una carezza sul naso morbido. Lui scuote la testa, gli occhi
grandi e acquosi. Le sue briglie hanno impresso lo stemma del ducato di
Solaria. Le sfioro piano, poi mi rendo conto che, dalla bisaccia che
c’è attaccata alla sella spunta una pergamena arrotolata.
«Credo
che quello sia un messaggio per te» azzarda Xellos, senza
smettere di guardarmi sospettoso. Se avessi saputo che era così
facile fargli saltare i nervi, l’avrei sbaciucchiato più
spesso.
Sfilo la pergamena e la srotolo. Solo due parole sono vergate sulla carta ingiallita: Ti aspetto.
La sua
firma, sotto, è un pretenzioso svolazzo di inchiostro. Da quando
è diventato duca, deve essersi montato la testa.
«Come faceva a saperlo?» domando, voltandomi verso Xellos.
Il demone inclina la testa di lato.
«Come
ti dicevo, Lina, si è creata una collaborazione interessante con
il ducato di Solaria. Il tuo amico ci sa fare e devo ammettere che non
è stato difficile venire incontro alla sua unica richiesta:
ritrovarti. Del resto, eravamo tutti d’accordo: sarebbe stata una
gran noia, quaggiù, senza di te.»
Aggrotto le
sopracciglia. Non mi piace pensare che Joy si sia dovuto sporcare le
mani con i demoni per me. E, soprattutto, non mi piace quel
‘tutti d’accordo’. Tutti chi, esattamente?
«Prima hai parlato di accordi. Che tipo di accordi?»
«Oh, mia cara, ormai dovresti conoscermi e sapere che questo…»
«Fammi indovinare, è un segreto?» lo anticipo.
Xellos sorride, sventolando l’indice della mano destra davanti al naso.
«Proprio
così!» dice, sollevandosi in volo. «A presto, Lina
Inverse. Sono sicuro che le nostre strade si incroceranno molto prima
di quanto immagini…» e così dicendo scompare
nell’azzurro terso del cielo.
Sto ancora
guardando il punto in cui il demone si è eclissato quando sento
il cavallo posare la fronte sulla mia schiena e darmi qualche colpetto
leggero.
«Hai
ragione, è del tutto inutile farsi domande, da lui non otterremo
mai nient’altro che risposte sibilline» dico, afferrando le
briglie e infilando un piede nella staffa. L’abito di seta bianca
è un intralcio inutile così strappo la gonna, facendone
un indumento più comodo per il lungo viaggio che mi aspetta. Le
mie gambe nude sono quasi più bianche della stoffa che ho appena
stracciato e sento il pelo ispido dell’animale strusciare contro
la pelle tesa delle cosce. Ma non importa. Sono tanto entusiasta che
affronterei anche un viaggio a dorso di mulo. Mi isso sulla sella, le
redini strette nel pungo.
«Coraggio, portami a Solaria» esclamo, indicando l’orizzonte.
Le guglie
del castello di Solaria svettano contro il cielo arancione del
tramonto. Ho cavalcato senza sosta, sfiancando il destriero, i capelli
che si srotolavano sulla mia schiena come lingue di fuoco, le gote
rosse per l’aria sferzante. Con i talloni colpisco piano i
fianchi del cavallo e percorro l’ultimo tratto di strada,
raggiungendo il ponte levatoio.
Il ducato
è diverso da come lo ricordavo. In sette mesi Joy l’ha
rivoluzionato. Osservo ammirata le case del borgo ridipinte di fresco.
I tetti di paglia delle abitazioni sono stati riparati e, dove
necessario, sostituiti; i giardini appaiono curati e rigogliosi. Ho
sempre sospettato che quello che mancava davvero a Joy fosse uno scopo.
Ora che l’ha trovato ci si è immerso anima e corpo. Sono
orgogliosa di lui.
Arrivo nel
cortile principale e scendo da cavallo. Si sta facendo scuro. Il sole
è un disco infuocato all’orizzonte e proietta ombre
multiformi sui muri del palazzo. Joy mi aspetta seduto ai piedi della
scalinata principale. Ha un mantello nero buttato su una spalla, e
veste la solita espressione corrucciata. Solleva il viso e mi guarda.
Un lungo sguardo. Io sono indolenzita, arruffata e sbrindellata. E
inizio ad avere freddo. Lui si solleva, piano, venendo verso di me.
«Ce ne hai messo, di tempo» dice, arrivandomi davanti.
«La colpa non è mia: mi hai mandato il cavallo più lento che avevi. Facevo prima a piedi, credimi.»
Lui rotea gli occhi al cielo.
«Ci
avrei giurato. Torna dal regno dei morti, e la prima cosa che fa
è venire qui a lamentarsi! Lina, Lina… bentornata, eh.
Vieni qui» mormora, spalancando le braccia. Contro qualunque
previsione lo lascio fare. Lascio che mi stringa a sé, e lo
stringo a mia volta. Affondo il viso nei suoi vestiti. Sono morbidi,
sanno di buono.
Non sarei
qui, se non fosse per lui. Per la sua tenacia e la totale
incapacità di arrendersi. E, di certo, per la sua faccia tosta.
Il pizzicotto che gli faccio al braccio lo fa saltare via come una molla.
«Ahi! Sei impazzita?» esclama, sgranando gli occhi.
«Io?
Sei tu quello pazzo! Come ti è saltato in mente di metterti a
fare affari con i demoni? Non lo sai che, quando entri nel giro,
uscirne poi è praticamente impossibile?» lo rimprovero,
incrociando le braccia al petto.
Lui sbuffa.
«Senti
da che pulpito! E poi era l’unico sistema che avevo, per
ritrovare quel maledetto anello. Nel continente, era finito!A chi altro
avrei dovuto rivolgermi per ripescarlo?»
Sospiro.
«Perché, Joy? Ti avevo chiesto di lasciarmi andare, ero pronta…»
«Tu,
forse. Io no» dice, con disarmante sincerità, scuotendo la
testa. Solo in questo momento mi rendo conto dei fili grigi che
sporcano le sue tempie. I suoi riccioli scuri sono striati di bianco.
Allungo una mano, sfiorandoli. Lui mi lascia fare, un po’ sulle
spine.
«Joy…»
sussurro. «Come hai fatto a riportarmi indietro?» dico,
tanto piano che potrebbe non avermi sentito. Invece ha sentito.
«Ti ho semplicemente tenuto.»
«Ma io… io ho lasciato andare la tua mano. Credevo di aver attraversato il confine…»
«Non
hai mai attraversato il confine. Io… ti ho tenuto per un lembo
del mantello» confessa, in un sussurro. «Quando ti sei
voltata per andartene…» scuote la testa, «io non
potevo sopportarlo, sai? Non sarei riuscito a lasciarti andare.
È stato più forte di me.»
Socchiudo le labbra. Questa spiegazione mi lascia senza parole. Perché dice più di quello che vorrei sentire.
«E hai continuato a tenermi… per tutto questo tempo?» domando, incerta.
«Il tempo necessario a ritrovare l’anello.»
Aggrotto le sopracciglia, stringendo in un pugno le dita con cui ho accarezzato i suoi capelli.
«Che prezzo hai dovuto pagare, Joy?»
«La cosa non ti riguarda» risponde, asciutto.
«Mi riguarda eccome!» la mia voce è sporcata da una sfumatura di rabbia. «Che prezzo? C’è sempre un prezzo da pagare, qual è stato il tuo?»
«Anni» sussurra lui, infine, distogliendo lo sguardo. «Anni di vita.»
«Sei pazzo.» Sono sconvolta. E arrabbiata. E…
Lui riporta
il suo sguardo su di me. Qualcosa brucia nel fondo delle sue iridi
grigie. Qualcosa che mi disorienta. Qualcosa che, me ne rendo conto
solo adesso, non posso in nessun modo ricambiare, se non con
l’amicizia.
«Non
l’ho fatto per te, Lina. L’ho fatto per me. Per non dover
trascorrere quegli anni che ho ceduto nel rimpianto di non essere
riuscito a riportarti indietro. L’avevo promesso, in fondo.»
«Joy…»
«Lo
so, Lina. Credi che non lo sappia? Se mi sono imbarcato in questa
impresa è stato per lui. So qual è il mio posto.
Perciò fingi che non abbia detto niente, per favore.»
Deglutisco.
«Grazie, Joy» dico, mordendomi il labbro inferiore. «Grazie.»
Lui fa spallucce, sul volto ha stampata la sua aria più indifferente, quella che nasconde la sua fragilità.
«Figurati. Non è questo che fanno gli amici?»
«Solo
quelli veri» rispondo, facendo un passo avanti e prendendo il suo
volto tra le mani. «Solo quelli veri» ripeto, posando la
mia fronte alla sua.
Chiudiamo gli occhi e restiamo così per un tempo che mi sembra infinito. È la voce di Joy a spezzare il silenzio.
«Lina, il dovere di un vero amico è anche quello di essere sincero sempre e comunque, vero?»
«Sempre e comunque.»
«In
questo caso… credo che tu abbia bisogno, con una certa urgenza,
di fare un bagno: puzzi più di una pescheria. Senza offesa,
eh.»
Anouk
è diversa da come la ricordavo. Sembra più alta, o forse
è solo perché tiene la testa dritta invece di starsene
china su se stessa lasciando che i capelli le coprano il volto. Adesso
che la guardo bene, mi chiedo come possa non aver notato prima
l’incredibile somiglianza che la lega a suo fratello. Hanno gli
stessi occhi grigi e profondi. Occhi che possono vedere ciò che
al resto degli uomini è precluso. Occhi che sanno indagare oltre
la membrana invisibile che separa la vita dalla morte. Occhi pieni di
ombre, ma anche, e soprattutto, pieni di luce.
È
mattino, e un tiepido sole autunnale riscalda l’aria. Camminiamo
nei giardini del palazzo, mentre la bambina mi mostra l’aiuola di
piante aromatiche e il muro con i rampicanti di rose di cui si occupa
personalmente. Joy, alle nostre spalle, ci segue in silenzio. Tutto
questo gli appartiene, adesso. E io so che saprà farne qualcosa
di grande. C’è qualcosa di abbagliante, in lui. Qualcosa
che non ho scorto subito, ma che è sempre stato lì.
Gourry, invece, ha colto al primo sguardo il buono che c’è
in lui. Gourry guarda dentro alle persone e vede ciò che sono,
non si lascia ingannare dalle maschere che indossano. Una dote che
è sempre stata prerogativa dei bambini, e dei puri di cuore.
Gourry.
Anouk si
ferma davanti a un cespuglio di rose. Hanno petali rosso rubino, e un
intenso profumo di lampone si solleva dalle corolle aperte.
«R...
ros…a» dice, incerta. Da qualche mese ha ricominciato a
parlare. Le sorrido, per incoraggiarla. «Li… Lina»
conclude, indicando i fiori.
«Cosa? Si chiamano come me, queste rose?»
La bambina
annuisce, poi guarda suo fratello. Il suo sguardo deciso mi suggerisce
che si aspetta che lui mi spieghi perché.
«È
per il colore» borbotta Joy, fingendo di levarsi un pelucco
invisibile dalla manica della tunica. «Il colore di queste rose
ci ricordava i tuoi occhi. Così, quando le abbiamo piantate, le
abbiamo chiamate come te. Spero non ti dispiaccia.»
Mi rendo conto che sto arrossendo. Mi hanno paragonato a tante cose, in questa vita. Mai, però, a un fiore tanto bello.
Quando
Anouk si allontana con l’annaffiatoio stretto nella manina, tra
me e Joy cala un silenzio improvviso. Ieri sera abbiamo parlato a
lungo. Davanti a un fuoco che ardeva vivace abbiamo mangiato e bevuto,
e sorriso, anche. Mi ha raccontato del suo regno, di quello che
vorrebbe fare per migliorarlo. Ha accennato al Dono, al fatto che, da
quando è diventato il duca di Solaria, tutto ha assunto un senso.
Poi, mi ha raccontato di Gourry.
«Ha
vissuto qui, per un po’. Si è leccato le ferite»
aveva detto Joy. «L’abbiamo fatto tutti. Tuttavia, dopo
qualche tempo, mi ha rivelato di non potersi fermare. Aveva bisogno di
muoversi, di viaggiare. “Mi sono abituato, ormai” ha detto,
quando gli ho chiesto di ripensarci. “Se mi fermo,
impazzirò.” Così l’ho lasciato partire, non
avrei potuto trattenerlo. Ma non ho mai smesso di vegliare su di lui.
Ha viaggiato da solo, per un po’. È stato a Zephilia, dai
tuoi genitori. Poi è ripartito e, da un paio di mesi, si
è aggregato a una compagnia di ventura. Svolgono piccole
missioni, niente di pericoloso. L’ho tenuto lontano dalla guerra.
Adesso sono… piuttosto influente. Non lo dico con vanto, ma
è senza dubbio utile. Gourry non è mai stato in pericolo,
in questi mesi. Come vedi, ho mantenuto la promessa che ti ho
fatto.» Joy aveva bevuto un sorso di vino dal suo calice.
«Quanto al suo cuore… per quello, come puoi immaginare,
non ho potuto fare molto. Ha sofferto e soffre ancora adesso, non
poteva essere altrimenti. Non gli ho rivelato che ti stavo trattenendo
sul confine: se non fossi riuscito a recuperare quell’anello,
l’avrei illuso inutilmente. Ho imparato dai miei errori.»
Sì, penso. Da questa storia abbiamo imparato tutti qualcosa.
Guardo Anouk che, in fondo al giardino, annaffia con cura i suoi fiori.
«È una bambina speciale» dico.
«Sì,
lo è. Stiamo imparando a conoscerci. Lei ha bisogno di me e
questa, per me, è una cosa nuova. Nessuno ha mai avuto bisogno
di un tipo me» dice, e nelle sue parole scorgo un filo di
tristezza per quello che ha sempre creduto, erroneamente, un fratello.
Nayden era un uomo crudele, ma Joy gli ha sempre voluto bene. So che,
nonostante tutto, gli manca. Ci sono ferite che non si rimarginano mai.
«Ti sottovaluti, Joy. Senza di te, io…»
Lui sorride, scuotendo la testa.
«Ah,
se mi avessero detto che saremmo finiti così, io e te! Non ci
avrei mai creduto, probabilmente. Tu che mi lusinghi e io… io
che sentirò la tua mancanza. Perché adesso devi andare da
lui. So che non vedi l’ora di iniziare a cercarlo, ed è
giusto così.»
Si volta verso di me. I suoi occhi sono malinconici.
«È
il momento di dirsi addio. Gourry ha fatto parecchia strada da quando
è partito. Ha messo tra lui e questo ducato quanta più
distanza è riuscito a percorrere. Ti ci vorranno giorni, forse
settimane, per raggiungerlo. Devi andare, Lina.»
Lo guardo negli occhi, incapace di parlare. Ha ragione, devo andare. Il mio posto non è qui.
Eppure… è difficile dirgli addio.
L’uomo
che mi sta davanti mi ha odiata, schernita e osteggiata con
caparbietà. Poi, però, mi ha aiutata e salvata. In tutti
i modi in cui può essere salvata una persona.
L’uomo che ho davanti ha sacrificato una parte della sua vita per me.
«Non potrò mai ripagare il debito che ho con te, Joy.»
«Aspetta
a parlare, Inverse. Chissà, può darsi che arriverà
il giorno in cui avrò bisogno del tuo aiuto. Mai dire mai.»
Sospiro, pronta a voltarmi. Poi ci ripenso.
«Tu mi hai riportato alla vita. Qualunque cosa io possa fare per te, non sarà mai abbastanza.»
Joy si avvicina, infilandosi una mano in tasca.
«Ma
tu hai già fatto qualcosa per me. Mi hai permesso di accettarmi,
di comprendermi. Senza di te non sarei mai riuscito a guardare in me
stesso. Tu mi hai costretto a confrontarmi con i miei demoni, e a
vincerli. Mi hai restituito le mie origini. Non ti sembra abbastanza?
Ora, se posso avanzare un’ultima pretesa, ti chiederei di restare
lontana dai guai, ma sarebbe come chiedere a un gatto di non farsi le
unghie sul divano nuovo: impossibile. Perciò, cerca di essere
felice. Questo lo puoi fare?»
Dalla tasca estrae un lungo pezzo di stoffa nera. La mia bandana magica. L’ha conservata, per tutto questo tempo.
«Credo di sì» mormoro.
Joy si
avvicina, legandomi la fascia sulla nuca. Poi mi stringe a sé,
baciandomi la fronte. Sento le lacrime premermi agli angoli degli occhi.
«Una
volta ti ho detto che non capivo come potesse, Gourry, amarti
così tanto. Mi sembrava assurdo. Ora, invece, mi domando come si
possa non farlo. Non amarti… è dannatamente difficile
Lina Inverse.»
Il suo respiro caldo mi sfiora le guance.
«Vai
da lui, Lina. Ha bisogno di te. E tu hai bisogno di lui. Voi vi
appartenete, io in questa storia ci sono capitato solo per sbaglio.
Addio…»
Quando mi
volto, un’ultima volta, lo vedo fermo in mezzo al roseto di rose
rosse che ha creato per la sua sorellina. Una figura pallida,
abbigliata di scuro, i riccioli neri che si muovo leggeri spinti dalla
brezza. Poi Anouk gli corre incontro, prendendogli la mano. Sorridono
entrambi. E allora capisco che anche lui proverà a essere felice.
La locanda
si trova a un crocevia di confine, ed è gremita. Non serve che
vi spieghi che tipo di avventori frequentano un posto come questo, vero?
Ho
viaggiato per dieci giorni, fermandomi solo il dovuto necessario. Ho
chiesto a tutti quelli che ho incontrato sul mio cammino e ho seguito
le sue tracce fino a qui.
Mi avvicino
alle vetrate, il cappuccio ben calcato in testa, e scruto attraverso i
vetri impolverati con le mani intorno ai lati del viso per vedere
meglio. E, finalmente, lo scorgo. Il mio cuore perde un colpo.
Gourry.
È
seduto a una tavolata di uomini, un boccale di birra in una mano, e
sembra davvero interessato a quello che il suo vicino di posto sta
raccontando, gesticolando a più non posso. Ma lo conosco
abbastanza per sapere che non sta ascoltando una parola. Il suo
cervello è in modalità off. Un po’ mi viene da
ridere, vedendo con quanta partecipazione il suo amico sta snocciolando
il suo racconto. Deve trattarsi di un’impresa eroica. Ma Gourry
è perso nel suo mondo. Sorride, ogni tanto annuisce, ma è
completamente scollegato. Se ci fossi io, davanti a lui, gli avrei
già dato una manata in mezzo alla fronte.
Lo osservo
ancora qualche minuto, prendendomi i miei tempi. L’ho cercato a
lungo, credevo di averlo perso per sempre, ma adesso sono curiosa di
vedere come se la sta cavando senza di me. Voglio capire se ha tenuto
fede alla promessa che mi ha fatto.
È
più magro di come lo ricordavo, e ha ombre scure sotto agli
occhi. Ma il suo colorito è sano, anzi, mi sembra addirittura
abbronzato. Segno che ha passato parecchio tempo all’aria aperta.
Questo mi consola, perché significa che ci sta provando.
Nonostante tutto, sta provando a vivere, come gli avevo chiesto di
fare. Noto che si sta facendo ricrescere i capelli. Adesso gli sfiorano
le spalle e li tiene raccolti in una coda, legati da un laccio di
cuoio.
A un certo
punto, qualcuno dal fondo della tavolata, fa una battuta. Ridono tutti
di gusto e Gourry si unisce a loro. Questa volta sembra che abbia colto
il senso del discorso. Mi sento più leggera. Mi sarei infuriata
se, ritrovandolo, l’avessi scoperto intento a piangersi addosso.
O, peggio, a farsi del male.
Cosa?
Pensate che dovrei offendermi, credere che mi abbia dimenticato? No. Io
sono felice. Sono felice perché lui ha trovato un sistema. Un
modo per sopravvivermi.
Non è facile, sapete, quando si tratta della grande Lina Inverse.
Resto
dietro questa vetrata fino a quando i mercenari non finiscono di
pranzare. Lo guardo finire il suo pasto mangiando di gusto, scuotere
gentilmente la testa quando la cameriera, una tizia decisamente
procace, si offre di versargli altra birra, e ignorare le conseguenti
battute salaci dei suoi compagni di viaggio.
«Gabriev,
sei peggio di un monaco!» grida qualcuno, e io tolgo la mano
dall’elsa del pugnale che tengo infilato nella cintura. Tutto
sommato, mi sarebbe dispiaciuto fare finire il loro amichevole pranzo
in un bagno di sangue. E non guardatemi così. Non è che
sia così gelosa, insomma… solo un pochino.
Quando ti
innamori di qualcuno che darebbe del filo da torcere a un dio e
diffonde bellezza attorno a sé semplicemente respirando, tendi a
diventare un po’ paranoica, ecco.
Quando si
alzano, uscendo dalla locanda, estraggo una pergamena dalla tasca e
fingo di guardarla con interesse. Il mantello e il cappuccio mi
nascondono, facendomi apparire un anonimo viaggiatore indeciso su quale
strada imboccare.
I mercenari si sistemano le spade nelle cinte, stiracchiandosi, poi tra loro cala il silenzio.
«E quindi… ci si saluta qui, Gabriev?» domanda uno di loro, guardando Gourry con aria seria.
«Temo
di sì» risponde lo spadaccino, con un’alzata di
spalle. «Vado a Nord, ormai è deciso.»
«Potremmo accompagnarti per un tratto di strada…» azzarda qualcuno.
Gourry scuote la testa.
«Vi ringrazio, ragazzi, ma non dovete preoccuparvi per me. Penso di sapermela cavare da solo.»
Un lieve
sorriso compare sulle mie labbra nel sentire quelle parole. Sono le
stesse che ci siamo scambiati durante il nostro primo incontro.
I mercenari sembrano ormai rassegnati a perdere il più in gamba del loro gruppo.
«E va
bene, se hai deciso non insistiamo. Anche se ci dispiace lasciarti
andare, ci sai proprio fare con quella» dice qualcuno, accennando
alla spada che Gourry tiene in un fodero sulla schiena.
Lui sorride, un sorriso gentile e tranquillo. Non si è mai fatto vanto delle proprie qualità.
Si
accomiatano con grandi pacche sulle spalle e raccomandazioni di ogni
tipo. Suggerimenti tipicamente maschili che non riporto per il bene
delle vostre orecchie.
Quando
Gourry, infine, si avvia sulla strada opposta a quella che imboccano i
mercenari, arrotolo la pergamena e me la infilo in tasca, pronta a
seguirlo.
Camminiamo
in silenzio per parecchi minuti. Gourry percorre un tratto di strada
principale, poi si inoltra nella foresta che costeggia il sentiero,
scomparendo tra le conifere. Ha un passo svelto, ma allo stesso tempo
rilassato, a cui mi adeguo senza problemi: è anche il mio passo.
Siamo abituati a camminare insieme, io e lui. Il sole filtra tra gli
alberi, disegnando ombre multiformi sul terreno ai nostri piedi. Sotto
le suole sento scricchiolare foglie secche e aghi di pino, l’aria
profuma di muschio e resina. Non mi stancherei mai di respirarla: sa di
vita.
Gourry
fiancheggia un gruppo di betulle dai tronchi bianchi e nodosi, e
svanisce tra di esse. Lascio passare qualche minuto, poi mi avventuro a
mia volta nel fitto della boscaglia. Attorno a noi c’è un
silenzio innaturale, rotto solo dal cinguettio degli uccelli e dal
pigro frusciare delle foglie sugli alberi.
Quando lo
scorgo, finalmente, vedo che si è fermato in mezzo a una radura.
È immobile, ma riesco a percepire la tensione nei muscoli delle
spalle. Lascia scorrere la mano sull’elsa della spada, sfilandola
lentamente dal fodero.
Mi stavo chiedendo quanto ci avrebbe messo a rendersi conto di essere seguito. Non molto, evidentemente.
«Chi
sei?» domanda, voltandosi senza fretta. Il sole ferisce le sue
iridi. In controluce scorge solo la mia sagoma. Vedo il dubbio
affacciarsi sul suo volto. Lentamente abbassa la spada.
E so cosa sta pensando, accidenti a lui.
«Ti serve aiuto, ragazzina?... ti sei persa?»
Faccio un passo avanti, lasciando cadere il cappuccio sulle spalle. I miei capelli catturano i raggi del sole, infuocandosi.
«Sì, in effetti. Mi ero persa» dico, guardandolo negli occhi. «Ma ho appena ritrovato la strada di casa.»
Gourry
sbatte le palpebre, trattenendo il respiro. Sono gli unici movimenti
che si concede, per il resto sembra fatto di marmo. Dopo alcuni secondi
la spada gli cade di mano, affondando tra le foglie secche che
ricoprono il sentiero.
«Lina»
sussurra. Chiude gli occhi e li riapre. Poi scuote la testa, incredulo.
Il fatto che io sia qui, davanti a lui, va contro qualunque logica.
Faccio un altro passo verso di lui. Mi tremano le mani.
Gourry deglutisce.
«Non è vero, non può essere vero.»
«L’avevo promesso, che sarei tornata da te. E tu lo sai che io mantengo sempre la parola data.»
Solo quando sono davanti a lui vedo una lacrima che, piano, gli sta rigando una guancia.
Gourry si morde il labbro inferiore, poi socchiude le labbra, lasciando uscire un flebile sospiro.
«Ma tu sei vera, o sei un sogno?»
Sorrido.
«Piuttosto vera, direi, a giudicare da come brontola il mio stomaco.»
Tento di
scherzare ma sono tesa quanto e più di lui. Perché
c’è una cosa che devo fare e non posso più
rimandare.
Lui si
muove verso di me, forse vorrebbe abbracciarmi, toccare la mia pelle
per sapere se sono reale. Ma lo blocco posando una mano tra me e lui.
«Aspetta. Prima c’è una cosa che devo… che voglio fare. E se mi interrompi adesso, non troverò più il coraggio di farlo» dico, infilando una mano in tasca.
Sospiro,
poi piego una gamba, inginocchiandomi davanti a lui. Tra l’indice
e il pollice stringo l’anello che ha dato inizio a tutto, nel
bene e nel male.
«Gourry
Gabriev» esclamo, davanti al suo sguardo allibito. «Vuoi
sposarmi? Vuoi sposare una ragazza con un pessimo carattere, un
po’ prepotente, poco virtuosa, spesso manesca, che con tutta
probabilità si rivelerà una pessima moglie, ma che ti ama
più di ogni altra cosa?» dico, tutto d’un fiato,
senza smettere di guardarlo.
Lui apre la
bocca, ma non esce alcun suono. Il silenzio è assordante e
inizio a capire cosa deve aver provato quando, tenendo in mano questo
stesso anello, ha aspettato che gli rispondessi. Se avessi una lama che
mi pende sopra la testa, sarei meno angosciata.
Poi,
inaspettatamente, Gourry si lascia cadere in ginocchio davanti a me, e
mi prende tra le braccia, sprofondando il volto tra i miei capelli. Sta
piangendo. Sento le sue lacrime sciogliersi sul mio collo.
«Oh, Lina» sussurra. «Lina.»
È tutto molto commovente, d’accordo, ma… mi sposa o no?
«Emh… Gourry?»
«Cosa?»
«Mi sposi o no?»
«Vediamo,
fammi pensare» dice lui, staccandosi da me e portandosi un indice
alle labbra. «In effetti, dalla dichiarazione che mi hai appena
fatto, sembrerebbe più vantaggioso, per me, non
sposarti. Chi mai vorrebbe una moglie manesca e prepotente? Inoltre,
scommetto che non sai cucinare, che non rammendi calzini e che non sai
rifare nemmeno un letto.»
«Sono una maga, non una colf» puntualizzo, guardandolo male.
«Lo so. Sei una maga, la mia maga.»
Prende l’anello dalle mie mani e, dopo averlo guardato un’ultima volta, lo scaglia lontano, nel folto della foresta.
«Al
diavolo. Ci ha portato più guai che altro. Io ti sposo, Lina. Ma
giurami che non avremo più a che fare con gli anelli.»
«Per una volta, Gourry, mi trovi pienamente d’accordo.»
Gourry
sorride, mi prende il volto tra le mani e mi bacia. Un bacio che mi
toglie il fiato. Poi mi spinge tra le foglie che ricoprono il terreno e
il loro profumo di autunno riempie l’aria intorno.
C’è una frenesia quasi disperata nei nostri movimenti. Un
bisogno fisico che fa male da quanto è intenso. Mi sfila gli
stivali, mentre gli slaccio la cintura dei pantaloni. Ci spogliamo a
metà, perché non abbiamo tempo. Devo sentirlo sopra di
me, dentro di me, adesso.
È
doloroso, come e anche più della prima volta. Non
c’è spazio per la tenerezza. Le dolci attenzioni con cui
ha sciolto le mie resistenze quella notte le riserveremo ad altri
momenti. Ora c’è solo questa urgenza che ci scuote dentro,
che ci lacera la carne, che ci divora. Grido, tirando la sua testa
verso il mio seno, e lui mi morsica attraverso la stoffa. E lo sento,
finalmente, riempire il mio vuoto, riversarsi in ogni angolo come luce
nel buio. Colmare quell’abisso che si è spalancato dentro
di me quando pensavo di averlo perso per sempre.
Gli strappi si ricuciono, le ferite si rimarginano.
I cocci rotti tornano al loro posto, ricomponendosi, saldandosi assieme. Ogni cosa si aggiusta, ritrova un senso.
E io riprendo a respirare. Torno a vivere.
Siamo io e
te, Gourry. Solo io e te. In questa radura nel bosco, fusi insieme,
talmente intrecciati che pare impossibile stabilire dove finisce
l’una e incomincia l’altro.
E questo è il nostro secondo inizio.
Manca
solo l'epilogo, dopodiché anche The Borderline sarà
conclusa. Quasi non ci credo. Che dire, se non che anche per me
è stato un viaggio bellissimo? Un viaggio con una sosta
piuttosto lunga, è vero. Ma spero di essermi fatta perdonare.
Alla
prossima, con l’epilogo e la colonna sonora dell’intera
storia, capitolo per capitolo. E grazie, come sempre, a chi legge e
commenta. Le vostre parole mi hanno spinto avanti. Vi devo un doveroso
inchino.
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