Imprinting 2ff
Cazzo, cazzo, cazzo. Ero proprio in ritardo.
Questa volta non me la sarei cavata tanto facilmente... nè con
il prof, nè con Silvia. Le avevo promesso che non l'avrei
fatta aspettare, e invece...
Ma che palle.
Quanto ci mette 'sta metro?! Ancora una fermata. Dai, dai, dai! Chi la
sentiva, poi.. Che strazio! Il macchinista doveva aver subito un trauma
di qualche genere contro la velocità oltre ai 20 all'ora.
Perchè mi ostinavo a prendere i mezzi, poi...!! Cominciai a
guardare fissamente fuori dal finestrino della metro.
Ecco la banchina di Cadorna. Le porte non si erano nemmeno aperte che
ero già fuori. Corsi fino all'uscita successiva, dove c'erano le
scale mobili. Ma non lo sapevano che a sinistrasi deve tenere libero
per chi ha fretta?!
Aspettai ancora, per troppo tempo, per quello che mi riguardava.
Tamburellai nervosamente le dita sullo scorrimano. Mi osservai attorno
scocciato, pronto a incenerire con lo sguardo chiunque mi stesse
guardando in quel momento.
Che palle! Le scale mobili non erano mai state così lunghe.
Una ragazza mi colpì con la sua ingombrante cartelletta. Stupida
liceale. Mi voltai verso di lei, felice di aver trovato qualcuno da
mortificare con il mio sguardo accusatore.
La guardai... e mi fermai un attimo.
Non era propriamente... bella. Era luminosa. Aveva una corporatura esile e minuta, come un folletto. Le
fitte onde di capelli chiari scuro, quasi miele, le
sfioravano dolcemente le spalle senza superarle. Aveva gli occhi chiari,
azzurri come l'acqua del mare dei Caraibi illuminati dal sole, allegri
e spensierati, illuminati da una luce stranissima, che non avevo mai
visto. Una leggera spruzzata di lentiggini le decorava il naso piccolo
ed elegante, da bambina, leggermente all'insù. I tratti erano
morbidi, dolci, quasi infantili ma al contempo adulti. Avrà
avuto 17 anni, non di più. Da
i capelli le spuntavano i fili delle cuffie
dell'mp3. Chissà cosa stava ascoltando. Non so come mai, ma
avrei dato
di tutto per poterlo senitire con lei. Sorrise leggermente tra sè e sè, provocando
una tempesta dentro di me che non avevo mai provato, nè avevo
mai pensato di poter provare. Ma da quando ero così... sentimentale?
Chi lo sa. Non sapevo nulla, in quel momento. Solo che avevo accanto a
me la creatura più meravigliosa dell'intero Universo. La guardai
di nuovo, senza pensare di poter sembrare scortese.
Era come.. distratta, in un certo senso. Sembrava non badare a nessuno accanto a lei, senza preoccuparsene. Aveva un'aria serena, spensierata anche dietro a quei segni di preoccupatezza e ansietà.
Ridacchiai un poco. Doveva essere in ritardo anche lei. Non avevo mai visto nulla del genere prima d'ora.
"Ehi, ragazzo! Fai attenzione!" disse una voce dietro di me, arrabbiata.
Fui bruscamente riportato alla realtà da un vecchio burbero, e
mi accorsi che stavo inciampando nella fine delle scale mobili. Erano
già finite? Oh, avrei voluto che durassero chilometri, per poter
stare ancora accanto a quella ragazza.
Lei si voltò e si accorse di me forse per la prima volta. Accennò una risata, e mi sorrise.
Poi tornò nel suo mondo, oltrepassò i tornelli, e si diresse verso la sua uscita.
La seguii. Non saprei dire come mai lo feci, ma era semplicemente la
cosa giusta da fare. Senza contare il fatto che mi ero totalmente
dimenticato dove dovevo andare.
La rincorsi, cercando di rimanerle sempre dietro, senza superarla o sarle accanto. Osservai l'abbigliamento.
Aveva dei pantaloni a sigaretta colorati senza cintura e delle all star
bianche pitturate - da lei - con un sacco di colori vivaci (rosso
acceso, giallo, verde prato, arancione..) una giacca azzurra chiara
aderente, dal cui bordo usciva una camicia a rombi bui e bianca, un
pò stropicciata. Una sciarpa morbida di lana colorata le
copriva il collo. Rimasi stupito di me stesso. Non ero mai stato
un grande osservatore... Ma era come se non potessi perdermi nulla di
una come lei.
Fece un pezzo di strada, poi curvò, curvò ancora e
girò a sinistra. Non era difficile capire che si era persa.
Continuava a girare la testa a destra e a sinistra, come a cercare un
luogo familiare, che non trovava. Si fermò tre volte a chiedere
l'indicazione, ma a quanto pare questo non fu granchè d'aiuto.
Se solo avessi saputo dove voleva andare...
Decise che quella era la strada sbagliata - aveva notato il segno M
della metro in fondo alla strada e aveva capito che stava tornando al
punto di partenza - e si girò di scatto, cogliendomi in fallo.
Non mi riconobbe, evidentemente, ma decise che avevo un'aria
affidabile, e camminò verso di me con fare deciso, del tipo:
"Mettiamo in chiaro che non sono qui per perdere tempo, ci siamo
capiti?" e mi chiese con aria impostatamente gentile: "Scusa,
sai dov'è il Teatro Litta? Mi sa che mi sono persa..." e
sorrise come a scusarsi.
Mi persi nella melodia della sua voce. Morbida e roca, decisa ed esitante, dolce e
seria. Avrei voluto sentirla parlare tutta la vita, avere quel suono
nell'orecchio, in modo far sembrare tutto più bello...
Sbattei due volte le palpebre. Dovevo decisamente riprendermi.
Le sorrisi, sperando di vedere in lei quel leggero sussulto che prendeva tutte le ragazze quando gli sorridevo a quel modo.
I suoi occhi si fecero più gentili, ma a parte questo, non notai nessun cambiamento.
"Guarda, devi girare qui a destra. Vedi? - la accompagnai -
Ecco: avanti giusto un pò...C'è un grosso palazzo grigio, che
è sempre il Teatro Litta, ma l'entrata dove c'è anche la
segreteria e quelle cose di questo genere è ancora un po
più avanti. Vedi? Quello."
S'illuminò e mi sorrise grata.
"Grazie, poi il resto lo conosco." Fece una faccia indecisa come a chiedersi se potesse permettersi una domanda.
"Ma tu... Ci lavori?" chiese infine.
"Già... Faccio la maschera quando non vado
all'Università... Il martedì." Non so
perchè glielo dissi, ma ormai non mi stupivo nemmeno più
di tanto: quella ragazza mi faceva fare delle cose che mai avrei
pensato di poter fare.
"Ah, ok!" Sorrise "Allora ciao." Si voltò e accennò una breve corsetta.
"Ciao... A proposito... Sei splendida. Pensavo che magari ti
potesse interessare." Dissi quando ormai era troppo lontana per
sentire. La vidi spegnere l'mp3, ed entrare nel portico. La seguivo
ancora?
Mi squillò il telefono: Silvia.
"No, tu ora mi dici dove cazzo sei!! Oh, ma per te 18.15 cosa
vuol dire?! Sono le 18. 40, genio mio. Dove sei? Ma dico! Cioè,
ma secondo te chi sono?" Sbraitò lei.
Non ottenne risposta, e proseguì.
"La tua ragazza. Ebbene sì. Si da il caso.... Che tu mi
debba almeno un minimo di rispetto! Allora?? Dove sei?!" Riprese
sempre più infervorata.
"In Paradiso..." Risposi stupidamente, senza pensare chi
avevo dall'altro lato, sebbene mi fosse appena stato chiarito il
concetto.
"Amore, se non arrivi qui entro 2 minuti sarà un
inferno! Non hai un'idea di cosa stia facendo il Blocchi... Giuro, sta
volta non la passerai liscia... Stai correndo?" chiese.
"Senti, Silvia: addio. Non me ne frega nulla del Blocchi,
sinceramente. Mi è piaciuto conoscerti. Non credere che tu non mi sia
piaciuta. Ho vissuto dei bei momenti con te. Ma ora devo andare.
Addio" dissi.
"Coosa CAZZO stai dicendo, ma sei imbecille??!? Con CHI sei??
Nico, giuro se non mi dai una spiegazione, io..." Ma non ebbi il
tempo di sentire il resto. Riappesi.
Senza pensare minimamente a cosa avevo appena fatto, cominciai a correre.
Entrai nel teatro.
"Ciao, Niccolò! Come mai sei qui, oggi? Ti manca il
lavoro?" Mi chiese Katia, la segretaria più giovane.
"Ciao, Kat. Mmm... senti, non è hai visto una ragazza...
sarà una liceale... Carina..."
Cercai disperatamente di
trovare una descrizione che non mi facesse sgamare al volo. Ma
purtroppo mi ero dimenticato del fatto che stavo parlando con Katia.
"A-ha!! Hai capito, il nostro Nico! Non si inseguono
così le ragazzine... No, no, no! Ahahaha.."
Scoppiò a ridere lei, come se non trovasse nulla di più
esilarante.
"Si, già... Certo. Senti, ma allora dov'è?" domandai sempre più impaziente.
"Non so se posso dirtelo..." attaccò lei, ma si
fermò davanti al mio sguardo supplichevole "...Ma penso
sia la ragazza che fa teatro qui. Sono andati in teatro a provare con
Jenni, lei e altre sette o otto ragazzi. C'è stato un casino
nella saletta delle prove, quindi sono nel teatro grande fino alle
19.50, perchè poi, sai, alle 20 comincia l'Amleto... Una brava
compagnia, non c'è che dire...Vengono da..."
Dava l'aria di non aver intenzione di fermarsi. Borbottai un "grazie" e cominciai a correre.
Andai sugli spalti a guardare le prove. Prima di cominciare fecero
qualche esercizio. Io non ne capivo assolutamente nulla di teatro, ma
indubbiamente lei era
magnifica. Cominciarono le prove di un qualche spettacolo romantico che
non conoscevo. La ragazza doveva essere una dei personaggi principali.
La musica, sempre più coinvolgente, sembrava fosse dettata dai
suoi movimenti. Si muoveva sul palco come se non avesse fatto altro
nella sua vita. Era...convincente.
Ci credevi. Era sensazionale. La voce, calda e senza nessun accento,
era alta e squillante. Passarono probabilmente 40 minuti senza che me
ne accorgessi.
Ad un certo punto l'insegnante - Jenni, mi ricordai - trillò: " Cate, Mette, ora mi fate la scena del bacio?"
Mi irrigidii un attimo. Lei si girò, sorrise, e annuì.
Venne fuori un ragazzo che prima non avevo notato. Era bello, spavaldo. Un perfetto idiota.
Caterina, mi aggiustai mentalmente il suo nome con il suo corpo, per entrare nel personaggio, probabilmente, guardò verso
il pubblico. Il suo sguardo si fermò un attimo su di me.
Inarcò leggermente le sopracciglia, poi sorrise come chi rivede
un amico che non vedeva da anni. Si voltò verso Matteo.
"Vai, metti pure la musica" disse lei con un piccolo sorriso canzonatorio sulle labbra morbide e sottili.
Partì una musica strana. Trasudava miele da tutte le parti, e mi
faceva schifo. Credo che non avrei mai potuto ascoltare nulla del
genere in vita mia se non fosse stato per... lei. Ovviamente.
Entrò in scena muovendosi sinuosamente, sguardo suadente, e
senza nemmeno avere il vestito di scena, potevo immaginare cosa avrebbe
indossato allo spettacolo finale.
Entrò anche Matteo, con una faccia che se non fosse stato che
sapevo che era tutto recitato lo avrei preso a schiaffi. Ci fu un breve
scambio di battute, poi quel deficente la prese di sprovvista per la
vita - sobbalzai.
Lei disse qualcosa che non capii (troppo preso a cercare tutti i modi
possibili per uccidere l'imbecille), e quando la musica arrivò
al culmine, le loro labbra si unirono, in una danza veloce e brusca,
bisognosa, in un certo senso.
Mi sentii morire. Era... splendida. Non c'era altra definizione.
Quel porco - che stava recitando ben poco - aveva il fiato affannoso, mentre si muoveva sulle sue labbra perfette.
Lei si staccò dolcemente da lui, e gli posò un dito affusolato sulle labbra.
"Ora devo andare" sussurrò piano. "Non dimenticarmi"
"Non potrei mai" dissi in contemporanea al porco.
Uscì di scena come danzando, mentre la musica vibrava nell'aria con la nota finale, e si zittiva.
Jenni battè le mani. "Bravi!! Splendidi! Davvero,
complimenti. Matteo, sembravi davvero preso in quel bacio. Cate, tu
invece sei riuscita a non lasciarti troppo coinvolgere, e rimanere un
po distaccata... Meravigliosi entrambi!"
Pensai che se fossi stato al posto dell'imbecille anche io avrei saputo simulare di essere davvero preso da quel bacio.
"Tks" borbottai.
***
Stavo fuori dal teatro, aspettando di vederla.
"Mi sa che le maschere nelle prove di teatro non servono, sai?" mi disse una voce morbida alle mie spalle.
Mi girai di scatto.
"Ci conosciamo?" Mi chiese con una luce strana negli occhi, e un sorrisetto.
"No... ma vorrei." Dissi, sorridendole a mia volta.
Il suo sorriso si allargò ancora di più. "Cate, piacere. Faccio teatro qui da un anno." Mi disse.
Le porsi la mano. "Nico, onorato. Faccio la maschera qui da due mesi." C'era qualcosa che non quadrava.
"Aspetta... da un anno... e ti perdi? Ancora?!" chiesi leggermente stupito.
Lei strinse dolcemente la mia mano, e fece un sorriso mezzo modesto e mezzo di scusa. " Bè. In realtà no..."
Ci misi un pò a capire cosa stava dicendo. Quando realizzai, sorrisi. Ancora.
Era per parlarmi. Per vedere che la seguivo. Dopotutto, era un attrice.
Ci avviammo fuori dal teatro camminando fianco a fianco, in silenzio.
"La tua ragazza lo sa che sei qui con me, ora?"
La guardai con finta saccenza. "Cosa ti fa pensare che io abbia una ragazza?" chiesi.
Lei mise su un'aria di chi ne ha viste tante, e, calcando molto il gesto, mi squadrò dalla testa ai piedi.
"I tipi come te non stanno soli molto a lungo." Disse con un sorriso furbo.
Cominciammo a parlare delle rispettive vite ed esperienze,
raccontandoci di tutto, sapendo di poterci fidare l'uno dell'altro,
senza problemi. Lei mi poneva delle domande, e io le rispondevo
sinceramente, stupendo me stesso per le risposte che tiravo fuori.
"Qual è il tuo rapporto con il passato, il presente e il
futuro?" Mi chiese lei, guardandomi con molta intensità.
Dovevano essere domande che aveva fatto anche a se stessa, ed era
curiosa di conoscere le mie risposte.
Sospirai. Ci pensai un poco.
"Rimpiango il passato, confido nel futuro, disprezzo il
presente. Vorrei saper vivere l'attimo, ma non lo so fare."
Voilà. E chi lo sapeva? Non io, di certo. Ero sempre stato
piuttosto sicuro di me, ma... dispirezzare il presente? Bè, mi
accorsi, era proprio così.
Lei aspettò un attimo prima di espormi il suo commento, come se
volesse che la risposta arrivasse dappertutto dentro di lei.
Annuì.
"E perchè non sai vivere l'attimo?" mi domandò alla fine.
"Non ne ho idea. Forse è meglio così, sai. Farei tante cose stupide. "
"Cogli l'attimo. Vivi il presente."
Spalancai gli occhi.
"Ora?" chiesi.
"Cosa c'è di più presente dell'ora?" Mi chiese filosoficamente lei.
Le guardai le labbra, e pesai che magari avrei anche potuto farlo.
Dopotutto, non ero proprio l'ultimo arrivato. Anzi, non ero niente
male. Avevo le file di ragazze dietro di me. Magari...
No. Non potevo. Cosa avrebbe fatto? Cosa avrebbe pensato?
"No...No, no. Non posso" Le sorrisi.
"Dai! Che rischi? Cosa vuoi fare di così tremendo?" scherzò lei.
Scossì la testa leggermente, sembre meno convinto. Quel sorriso,
quelle labbra così invitanti.... Scossi la testa più
vigorosamente.
"Dai, ora sono curiosa! Fallo! per favore..." Disse addolcendo la voce. Mi appoggiò distrattamente una mano sul petto.
Pensai al bacio, a teatro. La guardai. Il vento le spettinava i
capelli, ma lei non ci faceva caso. La camicia blu e bianca, sbottonata
fino agli ultimi due bottoni, faceva vedere sotto una canottiera senza
maniche con sopra disegnato un gilet, che aderiva perfettamente al
corpo, al ventre piatto, al seno... Tornai a guardarle il volto. I suoi
occhi erano dentro i miei.
La loro intensità mi fece perdere il filo. Forse...
Mi avvicinai a lei. Le accarezzai lentamente con tre dita il profilo
del viso, la mascella, la guancia, l'incavo del collo, e poi di nuovo
su, e giù, dietro, all'attaccatura dei capelli...
La sua pelle era morbida, delicata. Ormai ero così vicino che
potevo sentire il suo profumo delicato, di shampoo: pesca. Lei aveva
chiuso gli occhi, e mormorava la melodia di una canzone.
"Cosa canti?" sussurrai estasiato.
Appoggiò anche l'altra mano sul mio petto, e si avvicinò
un poco, un passo. Il suo profumo inebriante mi faceva impazzire.
Socchiuse le labbra per mormorarmi la risposta, seducente... Non
interposi altro tempo, altro spazio.
Il tempo si fermò. Eravamo solo noi due.
Sentivo il suo fiato fresco sulle mie labbra... Le presi la vita e
delicatamente l'avvicinai a me. Baciai morbidamente la sua mascella, la
guancia, l'angolo delle labbra... le labbra. Morbide, sottili,
delicate, dolci... Mi vennero in mente diecimila aggettivi per
qualificare quelle labbra che non avevano nulla di umano.
Un bacio casto, infantile, quasi, ma che riuscì a sconvogermi.
Lei rispose al bacio, terribilmente sensuale. Allacciò le sue
braccia sul mio collo, tirandosì su per le punte dei piedi.
Le mie labbra si muovevano con le sue, lente, come danzando,
assaporandoci. Sentì un desiderio urgente premere, ma lo
ignorai, troppo preso da quanto già il bacio mi dava.
Socchiuse leggermente le labbra, per permettermi di entrare, e il bacio
divenne più profondo, più intenso, più deciso.
Mi passò la lingua sulle labbra, e i nostri respiri divennero un
solo respiro, le nostre labbra si fusero, le lingue giocarono fino a
non riuscire a distinguerle.
"Oh, it's what you do to me?" Le cantai nelle labbra, un soffio affannoso.
Ed era quello che sentivo.
Hey there Delilah
What's it like in New York City?
I'm
a thousand miles away
But girl, tonight you look so pretty
Yes you do
Times Square can't shine as bright as you
I swear it's true
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do
to me
Oh it's what you do to me
What you do to me
"Mmm... " Canticchiò lei, poggiando la testa sul mio petto,
accarezzandomi distrattamente il braccio muscoloso.
Sorrisi, felice
che anche lei la conoscesse. Poteva essere tutto così perfetto?
Poteva? Mi chiesi, annebbiato dal suo odore prezioso.
Non la
conoscevo... pensai. Ma mi accorsi che non mi importava, che i rischi
che avrei potuto correre sarebbero valsi questo momento con lei, eccome.
La sentii
tirarsi su sulle punte dei piedi e stamparmi un bacio lieve sul labbro
inferiore, quasi sul mento, che mi fece perdere quel minimo di
autocontrollo che avevo ostentato fino a quel momento.
Avevo mai amato prima d'ora? Non vedevo nulla oltre a lei, il suo volto,
il suo sorriso, le sue ciglia chiare, e insieme vedevo tutto con
precisione e nitidezza.
"Ti amo."
"Possibile?" Mi chiese lei.
"Come ti senti?" chiesi.
Rise felice.
"Hai ragione. E' possibile."
La strinsi forte. Il mio cuore e il suo battevano all'unisono, lo sapevo.
Non so cosa mi avrebbe riservato il futuro. Mi bastava essere qui, ora, adesso, con lei.
Non avevo mai amato tanto il presente. La mia vita era stata così vuota... se solo ci pensavo!
"Ti amo. " disse semplicemente.
Le mie labbra
si riunirono alle sue, a sigillare quella promessa, ad assicurarle che
era tutto corrisposto, mille volte di più.
Ti amo, Cate.
|