ERNEST
Si
guardò intorno spaesato.
Un attimo prima era in un bellissimo prato fiorito che tirava calci
al suo pallone-reperto ed un attimo dopo si trovava a casa sua a
guardare se stesso ed una ragazza stesa sul suo letto. Cosa stava
succedendo? Non aveva mai visto quella ragazza, come poteva sognarla?
Forse era una creazione della sua testa, eppure gli sembrava
impossibile di aver creato una situazione così.
<<
Soccorri la ragazza
ed aiuterai te stesso.>> gli disse il se stesso
guardandolo
negli occhi<< Lei è come te e ti
aiuterà a capire. Ci uniremo
presto, Ernest.>>.
A quel punto
il sogno si
dissolse come sabbia trasportata dal vento ed il ragazzino si
ritrovò
nel buio più completo. Il vento raccolse anche lui e lo
sparò su
quella che sembrava una spiaggia. Okinawa. Sì, si trattava
sicuramente dell'isola più a sud del Giappone. Ma cosa ci
faceva lì?
Non ebbe il
tempo di
scoprirlo che qualcuno o qualcosa lo prese per il colletto del
pigiama e lo sparò senza troppe cerimonie fuori dal sogno
con un
“Tyler ha delle cose importanti da dirti,
rammollito!”.
Spalancò
gli occhi, scosse
la testa e si guardò attorno. Era a casa sua, nel suo letto
e si era
appena svegliato.
<<
Certo che si fanno
dei sogni ben strani a volte.>> si disse scuotendo la
testa<<
Molto strani.>>.
<<
ERNEST!>> lo
chiamò sua madre dal piano di sotto<< SEI
SVEGLIO? C'È TYLER
AL TELEFONO!>>.
<<
Tyler?>> era
ancora un po' confuso<< Oh! Tyler!
Arrivo!>>.
TYLER
Certo che
quello era un
posto ben strano.
Cunicoli
stretti e cupi,
nessuna finestra ne porte visibili. Sembrava un labirinto per
prendere in giro dei topi. Come si chiamava? Tyler's box? Boh, lui
non era un etologo. Sapeva solo che gli sembrava di camminare da ore
e che quel posto non cambiasse mai.
Fece per
svoltare a destra e
si ritrovò se stesso che ansimava come se avesse corso.
<<
Perfetto!>>
esclamò<< Pure me stesso non si
ritrova.>>.
<<
L'uscita la trovano
i migliori, sopratutto quelli fortunati come noi.>> disse
il
suo io stanco<< La storia vuole essere cambiata, quindi
ci
aiuterà ad uscire. Ricordatelo, Tyler, quando vi
cattureranno.>>.
Una folata di
vento fece
sparire tutto in una nuvola di polvere mentre il ragazzino si sentiva
come preso per i piedi da un arciere che lo lanciò a
sbattere la
testa contro un immenso pinguino completamente nero.
Si
massaggiò la testa per
la botta e si guardò intorno. Il bianco della stanza rendeva
il
pinguino gigante ancora più scuro e minaccioso, sopratutto
con
quegli occhi rossi che sembravano studiare accusatori il ragazzino.
Braci ardenti che lo avrebbero incenerito al minimo errore, al minimo
cenno di debolezza. Occhi da prozio Ray.
“Il
segreto dei Dark.”
risuonò nell'aria “Il potere che puoi creare
pensando solo ai
pinguini.”.
Tutto si fece
buio e Tyler
si svegliò con Izzy che gli tirava le coperte. La piccolina
doveva
essersi infilata nel suo letto durante la notte e lui non se n'era
accorto. Quattro anni, occhi arancioni e capelli scuri.
“Stupida
sorella minore.”
pensò con uno sbuffo prima di stringerla in un abbraccio e
ritornare
a dormire.
EGIDE
Prima
reazione: scappare.
Seconda
reazione: attenersi
alla prima reazione.
Eppure lui era
lì, su quel
campo che stava parlando con suo nonno Eugene. Insomma, lui. Un lui
non spaventato che gli dava le spalle. Le voci non si sentivano,
inoltre sembrava di essere in un altro mondo, estraneo a quello che
era abituato a vivere. Un passato che lui non comprendeva a pieno.
Il suo io si
voltò, poi
disse:<< Lo so che hai paura, ma il coraggio sta
nell'affrontarla.>> fece una pausa e
sorrise<<
Esattamente, vieni nel passato e combatti la paura,
Egide!>>.
Subito dopo la
visione si
sgretolò come un pupazzo di neve nel microonde ed il ragazzo
si
ritrovò nella completa oscurità. Si
guardò intorno colto dal
panico, poi intravide un puntino luminoso. Si mise a correre verso
quel puntino che si faceva sempre più grande fino a
raggiungere un
campo d'erba verde mossa dal vento. Era tutto così
rilassante da
agitarlo, poi si ricordò che era un sogno e fece un respiro
profondo
assaporando l'aria fresca. Per essere un sogno era parecchio reale.
Un ragazzino più piccolo di lui stava steso nell'erba quasi
sognante. Aveva i capelli verde pistacchio ed una divisa che lui non
aveva mai visto.
<<
Che bello! Ah!
Questa sensazione è splendida, non trovi?>>
disse a qualcuno
di indefinito, tanto che Egide si guardò attorno per capire
se
parlava con lui<< Sarebbe bellissimo se potessimo
assaporarla
sempre.>> l'erba iniziò a seccarsi
all'orizzonte<<
Peccato che non si possa vivere nei sogni per sempre.>>.
Egide si
svegliò con l'urlo
di sua madre che gli trapanava le orecchie con il suo nome.
La testa gli
faceva male
come se gli avessero dato una botta per farlo dormire.
“Prima
quel sogno su una
roba chiamata calcio, ora questo.” pensò studiando
il soffitto“Ma
proprio a me devono capitare sogni così idioti!?”.
GREGOR
Il campetto al
fiume. Tanti
ricordi felici, sopratutto negli ultimi tempi con degli amici con cui
condividere il tempo da trascorrere. La sabbia volava leggera
trasportata dal vento, eppure a lui sembrava di vedere tutto
attraverso un paio di occhiali da sole, tanto che provò a
toglierseli, ma sul naso non aveva proprio niente.
Una palla gli
sforò il
ciuffo di capelli, poi si sentì trapassare da qualcosa.
Ernest lo
aveva appena superato passandogli attraverso e la cosa non gli
piaceva troppo. Sembrava come essere svuotati, come se con l'amico se
ne fosse andato qualcosa di lui. Blade mosse le labbra, ma non
percepì alcun suono. Probabilmente era rivolto a qualcuno
dietro di
lui, così si voltò trovandosi di fronte a se
stesso. Si guardarono
interrogativi a vicenda, poi l'altro disse:<<
è così che
funziona, dunque.>> sorrise affabile<< Non
temere, questo
è ciò che sei, ciò che sarai e
ciò che aiuterà tuo
nonno,Gregor.>>.
Tutto
evaporò come una
pozza d'acqua riscaldata e Gregor si ritrovò a precipitare
nel
vuoto. Quando cadde rotolò a terra sentendo dolore come se
fosse
stato tutto vero. Un soffitto scuro illuminato da un pentacolo di
neon lo sovrastava ed illuminava quello che sembrava un campo
contenete mille sport diversi. C'era un angolo da calcio ed uno da
basket, ma anche un quadrato di ghiaccio per gli sport invernali.
<<
Il limbo è
qualcosa che tutti i Cinquedea possono trovare.>> disse
qualcuno nel nulla<< È dove tutto
ciò che abbiamo provato a
controllare si unisce rendendolo un posto unico. Non dimenticarlo,
Greg. Tu puoi fare la differenza e cambiare la reputazione della
nostra famiglia.>>.
Greg. Solo una
persona lo
chiamava così, ma era scomparsa molti anni prima, quando lui
era
ancora un bambino. Una persona che gli aveva promesso che sarebbe
tornata.
<<
Papà.>>
disse aprendo gli occhi e scoprendosi con il braccio alzato a cercare
di raggiungere qualcosa d'invisibile.
“Un
sogno.” pensò
“Certo, solo un sogno.”.
SYON
Divenne
bordeaux e cercò un
posto dove nascondersi, ma la ragazza gli passò attraverso
come se
nulla fosse. In quel preciso momento sentì come se Marceline
gli
avesse tolto qualcosa da dosso, un peso che gli impediva di sentire o
di vedere. Si vide con il braccio teso quasi a volerla fermare, poi
si voltò a guardarsi. Incrociare il suo sguardo lo
lasciò
interdetto.
Quello era
lui? Era
veramente lui? Non riusciva a crederci ad essere davanti a se stesso,
eppure era lì e lo stava guardando, e pure intensamente.
Come se
fosse stato certo che era lì pronto ad ascoltarlo.
<<
Non demordere.>>
disse<< Sarà difficile e soffrirai, ma non
demordere. È il
momento di scoprire la verità, Syon.>>.
Il paesaggio
prese fuoco in
una fiammata mentre al suo posto come una pagina che si bruciava e
mostrava i suoi segreti nascosti appariva quella che sembrava una
cella, e lui vedeva il mondo dall'interno di essa.
<<
Questa è la cella
della tua mente.>> disse il fantasma di una ragazza oltre
le
sbarre<< Liberati dalle costrizioni che ti hanno imposto,
sei
l'unico su cui posso contare.>> sorrise inginocchiandosi
mentre
Syon si buttava letteralmente verso di lei<< Lo so, per
te
dovrei essere morta, mio piccolo eroe. Però ogni Blaze che
deve fare
un'avventura sembra che abbia una sorella da difendere o, nel mio
caso da ritrovare. Neanche fossimo semidei.>> sorrise
prima di
svanire<< Ti voglio bene, fratellino.>>.
Syon si
svegliò con la
faccia sul cuscino e le guance rigate di lacrime.
“Possibile
che Andromeda
sia viva?” pensò guardando
nell'oscurità una foto sul comodino
“Possibile che tu sia viva, sorellona?”.
SVEN
Quegli uomini
non gli
piacevano. Non gli piacevano per niente. Non era il loro
abbigliamento futuristico o la loro aria poco raccomandabile. Erano
proprio loro che emanavano qualcosa di negativo. Era come avere i
sensi di ragno dei fumetti che leggeva Hao. C'era qualcosa in quegli
uomini che non lo convinceva per niente, qualcosa che gli faceva
salire la rabbia.
Li vedeva di
spalle e
sembravano intenti a parlare con qualcuno davanti a loro. Si
spostò
appena per vedere di chi si trattasse ed il sangue gli si
gelò nelle
vene. Era lui, o almeno uno ragazzino identico a lui in tutto. Suo
nonno Aitor no di certo, quindi era proprio lui.
<<
Quando arriverà il
momento scegli cosa ritieni più saggio.>>
disse a sguardo
basso prima che un ragazzino dai capelli arancioni più
piccolo di
lui gli si parasse davanti ed un muro di fiamme si formasse tra loro
e gli uomini<< Decidi se stare con chi potrebbe ridarti
tutto o
chi ti ha difeso senza conoscerti, Sven.>>.
Tutto si
dissolse come
foglie che cadono da un albero, poi nel buio più completo si
venne a
formare una stanza piena di trabocchetti e trappole. Sven non era mai
stato portato per quel genere di cose, anche se gli piaceva fare
buchi in terra e nasconderli con dei rami o della terra e vedere le
persone caderci dentro, non gli piacevano le reti o le pistole che
vedeva. La passione per le buche doveva averla ereditata da nonno
Scott, ma nessuno ne parlava molto. Non che molti potessero
parlagliene. Sua madre era morta quando aveva cinque anni e suo padre
lo aveva lasciato in affidamento chiedendogli scusa con le lacrime
agli occhi.
<<
Sei cresciuto,
Sven.>> disse un uomo dietro di lui facendolo voltare di
scatto<< Sembri proprio tuo nonno Aitor.>>
s'incupì<<
Avrei voluto essere un padre come lui.>>.
<<
Ah! Adesso lo
dici!?>> esclamò il ragazzino lanciandosi per
dargli un pugno
sulla pancia. Gli passò attraverso come fosse stato un
fantasma.
Rabbrividì sentendosi come privato di qualcosa e si
voltò
nuovamente a guardare l'uomo che non si era mosso.
<<
Ascoltami.>>
disse senza voltarsi, così Sven tornò davanti a
lui<< Tu sei
speciale, sei il figlio di due grandi difensori. Un po' monelli,
bisogna ammetterlo, ma grandi. E soprattutto combattivi. Si come loro
e potremo tornare assieme.>> si abbassò e gli
appoggiò una
mano sulla spalla<< Non credere a chi vuole la tua forza,
Sven.
Si fedele a te stesso e ricorda. Ti voglio bene.>>.
Si
svegliò con il
tamburellare insistente di un dito sulla fronte.
<<
Sven, sveglia.>>
disse una ragazzina di undici anni dai capelli rosa legati in due
code basse. Portava un paio di occhiali da vista tondi<<
Hai lezione, ricordi?>>.
<<
Sì, giusto.
Lezione. Solita routine alla Fireing, e chi se la
perde.>>
sbuffò alzandosi<< Magari venisse quel
ragazzino che ho visto
in sogno, Johanna. Magari.>>.
???
I ragazzini
erano davanti a
lei in quel campetto che odiava con tutto il suo cuore.
Quelle linee
avevano
rovinato la sua famiglia, avevano fatto morire suo padre e sua madre.
Non poteva sopportare di vederle, come non sopportava quelle porte da
hockey extra large e quei ragazzini a calciare il pallone uno verso
l'altro. Calciare, la sola idea le dava ribrezzo.
Allo stesso
tempo, però,
quelle linee la attraevano come un orso con il miele. Desiderava
correre, saltare, usare i piedi e colpire il pallone come quegli
stupidi in fondo alla collina. Come faceva da piccola. Come aveva
smesso di fare da tempo se non in casi di emergenza.
Distolse lo
sguardo
costringendosi al disgusto.
Quello era il
male. Quello
aveva solo fatto del male e tutti gli anni di allenamento dovevano
servire per eliminarlo.
Il ragazzino
in difesa(a suo
parere il più stupido di tutti) si voltò a
guardarla, poi sorrise e
la salutò con la mano.
Lo
ignorò appositamente,
poi vide una se stessa immobile di fianco a lei. Che guardava
sorpresa il campo. Rimase un po' lì, poi
disse:<< Di la
verità, non hai mai dimenticato, vero?>>
guardò verso il
cielo come a sperare che le cadesse addosso<< Non hai mai
dimenticato la gioia che provavi, Ninive.>> e con
ciò corse
giù per la collina mentre un muro di ghiaccio isolava la
ragazza dal
sogno per sempre.
Si
svegliò nella cella che
le faceva da stanza e si stiracchiò con uno sbadiglio. Si
alzò, si
vestì con la divisa attillata scura e mettendosi una fascia
color
porpora sul braccio destro, poi fece per uscire fissandosi una specie
di scatolina alla guancia destra.. Si voltò solo un attimo
indietro
verso le uniche cose che le erano rimaste.
<<
L'unica gioia che
provo è nel vedere il calcio morire.>> disse
fredda e
tagliente come una stalagmite.
APPUNTAMENTO IN
JIKAN ELEVEN-CONVERGENT
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