oltrelestelle5
Oltre
le stelle
Autore: ellephedre
Disclaimer:
i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Quinta
parte - Accettarsi
Sentiva il sole del mattino sugli occhi. Sul viso, una piacevole brezza
che entrava dalla finestra aperta. Udiva persino il cinguettio degli
uccellini che salutavano il giorno-
«Usagi!!!»
Nonché l'urlo di sua madre. Aprì un occhio.
«È ora di svegliarsi, Usagi!»
Ora di svegliarsi.
Mamoru!
Allungò il braccio.
Ah già, non era più lì.
E lei non aveva nemmeno il pigiama addosso. Si mise seduta e con lo
sguardo lo cercò attorno al letto; lo
individuò e se lo infilò in fretta.
Ma che ore erano... le undici?!
«Usagii!»
«Sono sveglia, mamma!» urlò di rimando.
Si stiracchiò, aprendo la bocca in un grosso sbadiglio
soddisfatto. Era tardi, ma almeno avevo dormito bene.
Udì dei graffi alla porta. Andò ad aprirla
e trovò Luna fuori. La gatta entrò
guardandosi intorno, circospetta.
«È andato via ieri notte.»
«Ah, bene. Tua madre stava scalpitando per venire a
svegliarti. Ho
cercato di trattenerla come ho
potuto.»
Usagi si abbassò ad accarezzarle la schiena.
«Grazie.
Prometto che
non
ti metterò più in queste situazioni. È
stata
solo... la
pazzia di una volta.»
Luna pensò che era una fortuna. Da gatta, l'unica cosa che
poteva fare lei per distrarre la madre di Usagi era miagolare per farsi
dare da mangiare. Non era molto, in termini di tempo.
Dal sorriso che aveva in faccia Usagi però, era chiaro che
se
la pazzia non si fosse ripetuta in camera sua, si sarebbe svolta
sicuramenteo altrove.
Emise un sospiro rassegnato. Almeno Usagi era felice. «Allora
io vado
da Artemis.»
«Oh, è vero. Hai da farti perdonare il tradimento
con
Yaten.»
«Ma cosa dici?»
Usagi notò il rossore persino sotto il
pelo
scuro. «Scherzo. Ciao Luna.»
Mentre ancora ridacchiava, Luna uscì dalla finestra.
Sembrava che avesse preso a cuore la promessa che le aveva fatto la
sera prima.
Usagi sapeva bene che non sarebbe stato facile per Luna: dirle cosa
fare
era
stata una vera vocazione per la sua amica gatta. Quello stesso istinto
era stato
molto
utile, in fondo. Tante volte Luna era stata la sua forza, il suo
sostegno e la voce della ragione; ne aveva avuto un disperato bisogno,
soprattutto agli inizi. Era da un po' però che aveva
iniziato a
trovare più pesanti di un tempo le critiche e i continui
consigli, per quanto ben intenzionati. Gli insegnamenti di Luna
dovevano
aver dato i loro frutti però: ormai sapeva in anticipo cosa
le avrebbe detto. Ed era d'accordo con i suoi punti di
vista, in genere, motivo per cui non trovava più utile
sentirseli
ripetere in continuazione, come se non ci fosse altro modo per lei di
arrivarci da
sola.
Forse era stata un po' brusca la sera prima, ma era ancora convinta di
aver
fatto la cosa migliore: ora Luna avrebbe iniziato a trattarla da pari e
a lungo andare sarebbero state più in
armonia l'una con l'altra.
Si guardò distrattamente intorno e notò che la
sua stanza
era in disordine. Se la sera prima ci fosse stata più luce,
persino Mamoru gliel'avrebbe fatto notare.
O forse no. Sorrise fra sé e sé.
Lui era un po' troppo preciso, da quel punto di vista... in fondo
c'erano tante cose da fare nella vita. Non aveva molto
senso continuare a riordinare quel che poi avrebbe nuovamente messo in
disordine di lì a poco. Almeno, quella era la conclusione a
cui
era arrivata personalmente: l'ordine le piaceva, ma, le volte in cui si
era
prodigata per metterlo in pratica, aveva notato che inevitabilmente
qualche ora dopo le cose erano tornate esattamente come prima.
Sbuffò.
Quasi sicuramente era un problema solo suo, però... era
fatta così. Comunque negli ultimi giorni aveva avuto
scusanti più che valide per pensare a qualcosa di diverso.
Tuttavia, quella era giornata di pulizie casalinghe e a sua
madre non
sarebbe piaciuto per niente trovare la sua stanza in quello stato.
Si decise a mettere un po' a posto: voleva dimostrare di essere
diventata anche lei un po' più adulta e responsabile.
Alla fine non si trattava che di qualche vestito sparso in giro, del
letto di rifare e
delle cose sulla scrivania da sistemare.
Si mise al lavoro di buona lena; aveva addosso aveva un certo buon
umore. Quel primo
pomeriggio
doveva passare da Motoki. La notte prima Mamoru
le aveva portato la lettera che aveva scritto per lui, secondo
l'accordo fatto il giorno prima. Dopo lei sarebbe passata da lui e
sarebbero
usciti insieme da qualche parte, per godere insieme di un
bell'appuntamento in
piena regola. Un progetto che poteva mettere di buon umore una
qualunque ragazza
innamorata, anche se sospettava che fosse la sola idea di averlo di
nuovo a portata di bacio a renderla felice.
Ridacchiò e iniziò a sistemare i vestiti che
aveva
buttato sopra una sedia. Scostando l'ultimo, trovò... la
sua
spilla. La spilla magica.
Fermò ogni movimento, rimase semplicemente a guardarla.
La prese in mano e si diresse sul letto, sdraiandovisi sopra. La
alzò sopra il viso e la aprì.
Eccolo lì, il cristallo. Rosa scuro e lucente. Enorme, se
paragonato a qualunque altro gioiello.
La fonte del suo potere.
Non le capitava spesso di osservarlo; le volte in cui si ritrovava ad
aprire la spilla erano principalmente le volte in cui iniziava la
trasformazione.
Il cristallo catturava ogni raggio di sole che entrava dalla
finestra.
Lei lo mosse piano, osservando i giochi di luce che creava
con la
sua superficie.
Chissà cosa sarebbe accaduto se
qualcun altro avesse mai visto quello che conteneva quel suo
accessorio. Le venne da ridere: probabilmente avrebbero fatto a gara
per comprarlo all'asta per
chissà quanti
miliardi di yen, senza nemmeno immaginare il potere che
conteneva. Per fortuna, quello non era in vendita.
La spilla si apriva solo per lei o per persone che possedevano un certo
grado di potenza. Aveva fatto una prova, una volta, con le amiche della
scuola media che aveva frequentato. Nel caso fossero riuscite ad
aprirla, era stata pronta a spiegare che all'interno c'era solo un
ninnolo molto, molto
luminoso. Ma loro non erano nemmeno riuscite ad alzare il coperchio e
alla
fine avevano
creduto che fosse rotto.
Mamoru e le altre guerriere invece non avevano mai avuto problemi.
Tutti insieme avevano concluso che nemmeno eventuali nemici
avrebbero
incontrato difficoltà ad aprire la spilla.
Il Regno delle Tenebre e la Luna Nera avevano puntato proprio al
cristallo d'argento, nella sua versione presente e futura, convinti di
poterlo usare per i loro scopi.
Ma aprire la spilla era un conto, usare il potere del cristallo era
tutt'altra cosa. Per
quello era necessario una forza molto più grande, un potere
che lei
stessa era capace di richiamare solo in rare occasioni e sempre con
grande dispendio di energie. Tuttavia, probabilmente sia Metallia che
il
grande
Saggio erano stati abbastanza potenti da essere in grado di
sfruttare quanto lei il potere del cristallo.
Eppure... il cristallo era lei. Parte di lei. Il suo potere era il
proprio.
Fino a qualche giorno prima non aveva preso
effettivamente consapevolezza di una questione importante: poteva fare
uso del potere del cristallo anche senza il cristallo, no? Nelle
battaglie più importanti lo faceva sempre, come se fosse una
sua capacità innata.
Sarebbe dovuto essere sempre così.
Ricordò le volte in cui l'avevo dimenticato a casa ed era
dovuta
tornare di corsa a prenderlo. Era stato ai tempi delle sue prime
trasformazioni.
O la volta in cui Kaolinite glielo aveva rubato, impedendole di fatto
di trasformarsi. Rammentò l'impotenza, il pericolo corso da
tutti, Mamoru
compreso.
Quel potere che ora stringeva in una mano non avrebbe dovuto poterle
venire sottratto sotto forma di un semplice oggetto.
Era una grave debolezza.
Non sapeva come, ma... doveva allenarsi. Doveva fare in modo di poter
combattere senza portarselo continuamente appresso.
Sarebbe stato molto difficile probabilmente, ma ora...
Richiuse la spilla, portandosela al petto.
Ora le risultava insopportabile il pensiero di portarla con
sé. Era
come dichiarare implicitamente a se stessa che doveva sempre e in
qualunque momento essere pronta per una battaglia. Non voleva
più avere addosso quella sensazione, quella
consapevolezza.
Almeno, non ora.
Per qualche altra settimana, come minimo.
Non ora.
Non riusciva a sopportare l'idea di dover di nuovo difendere la
vita di Mamoru e delle sue amiche. Non poteva pensarli di nuovo in
pericolo.
Rei aveva detto che non avrebbero avuto guai per almeno un altro paio
di anni, ma poteva riferirsi a vere e proprie guerre di molti mesi, non
a semplici battaglie, destinate a concludersi nel giro di pochi scontri
o di uno scontro solo. Era già successo in passato.
Prese a ricordare quegli episodi.
E sospirò, alzandosi dal
letto.
Quei pensieri la stavano deprimendo.
Appoggiò la spilla sul materasso.
Oggi non
succederà nulla, si disse.
Nulla.
In fretta, terminò di sistemare il resto della stanza.
Infine uscì, guardandosi dietro di sé un'ultima
volta.
«Buongiorno mamma!»
«Finalmente Usagi!»
«Era capace di dormire fino a domani.»
Shingo non la smetteva mai di prenderla in giro. Ne sorrise e si
fermò, a pochi passi da tutti loro.
Quella che aveva davanti era una scena incredibilmente familiare. Sua
madre ai fornelli. Suo fratello che la prendeva in giro. Suo padre
con in mano il giornale, a tavola.
«Ma che hai?»
«Niente, Shingo.»
«Su, Usagi, vieni a mangiare.» Sua madre
appoggiò
sul tavolo
un primo piatto di cibo.
«Ma... è già pronto il
pranzo?»
«Tuo padre deve partire tra poco per fare un servizio e deve
mangiare
presto.»
Kenji Tsukino staccò gli occhi dalla lettura del quotidiano
e annuì. «Sì,
ho un servizio fotografico e un'intervista con un giovane politico.
Un'ottima
occasione per me.»
«Ho capito.» Usagi si sedette a
tavola.
Vedendosi servire un piatto davanti, suo padre mise da parte il
giornale. «Allora, Usagi, ieri hai fatto una gita. Dove sei
andata?»
«Ahh...» Dove si poteva andare e tornare in un
giorno? «A... Yokohama.»
Nei volti dei suoi genitori si dipinse la perplessità.
Già. Yokohama
non distava neanche una cinquantina di chilometri da Tokyo.
Prese a ridere nervosamente. «Anche se è
così vicina, non significa che la
conosca
bene. Ami ha organizzato un piccolo tour guidato delle principali
attrazioni, giusto per un paio di giornate. Abbiamo camminato ed
esplorato un po' la città, soprattutto.» Bella
bugia.
Suo padre sembrò soddisfatto dalla risposta.
«Giusto, non si
finisce mai
di conoscere bene un luogo. È stata un'ottima idea. La tua
amica Ami
è proprio una buona influenza per te.» Come padre,
Kenji era proprio soddisfatto: Usagi aveva come
amiche ragazze che sembravano tranquille e
giudiziose.
Nel tempo aveva apprezzato un certo cambiamento in sua figlia e
sospettava che avesse avuto a che fare con la loro compagnia.
Ikuko
finì di servire l'ultimo piatto e si sedette a sua volta a
tavola.
Si
augurono tutti buon appetito e iniziarono a mangiare.
«Mamoru non è venuto con voi?» chiese
Ikuko.
Kenji vide la forchetta di Usagi cadere nel piatto.
«Cosa?»
Ecco, quel tipo invece non era certo una buona influenza. Non gliene
importava nulla di quanto fosse intelligente, era semplicemente troppo
grande per Usagi. Alla loro età, tre anni di differenza
erano un'enormità.
«Non ha giornate libere?» continuò Ikuko.
«Mamoru?» Usagi si ritrovò solamente a
ripetere
quel nome,
non sapendo
cos'altro dire.
«... sì.»
Sua madre la stava guardando come se il cervello le fosse andato a
male e Usagi cercò di adattarsi alla situazione,
improvvisando.
«È... andato a fare un viaggio.»
«Ah sì? Dove?»
«A... Kyushu?»
«Non ne sei sicura?»
«No. Voglio dire, sì. A Kyushu.»
«Che bello.»
Usagi rimase in attesa di ulteriori commenti, ma non ne arrivarono.
«Torna domani, però» aggiunse. Non
dovevano certo
stupirsi
di vederlo, uno di quei giorni.
Un viaggio!
Kenji rimescolò il cibo nel piatto con una certa forza. Quel
ragazzo aveva troppo denaro a disposizione. Aveva persino una
macchina e un appartamento propri e nessun genitore a controllarlo. Non
che fosse colpa sua e nturalmente a lui spiaceva per la sua situazione,
almeno in generale. Tutto
ciò però non faceva che renderlo troppo adulto
per sua figlia.
Quantomeno aveva avuto l'impressione che fosse un bravo ragazzo: la
piccola Chibiusa gli aveva spesso parlato di lui. Si era molto
attaccata al fidanzato di Usagi, quindi, se non altro, Chiba doveva
essere paziente
con i bambini. Chibiusa aveva
spesso insistito per unirsi ad Usagi le volte in cui usciva con lui e
questo era stato un gran bene: con una bambina fra loro, difficilmente
poteva succedere tra loro qualcosa che non doveva accadere.
Ora però Chibiusa era tornata dai suoi genitori e a Kenji
non sfuggiva che, oggi più di un tempo, c'era il pericolo
che
sua
figlia facesse qualcosa che non doveva fare. Fisicamente era ormai
adulta, anche se mentalmente era ancora una ragazzina. Quel ragazzo
poteva farsi venire strane idee e spingerla a cose per cui era pronto
lui, ma non lei.
Forse lo stava giudicando peggio di quanto non meritasse,
ma
aveva visto fin troppi amici, quando era stato altrettanto giovane,
comportarsi in modi che non aveva approvato allora e che
certamente non approvava oggi. Non erano fatti che poteva ignorare,
specie ora che si trattava di sua figlia.
Sospirò silenziosamente. Se solo fosse stato possibile
separarli per qualche tempo: lontani, forse
entrambi avrebbero capito che al mondo c'erano altre persone. Usagi
magari si sarebbe invaghita di qualche altro ragazzo e avrebbe avuto
una relazione meno impegnata, qualcosa di più adatto alla
sua
età. Così sarebbe stato tutto relativamente
indolore.
Per un attimo gli sembrò strano che Chiba
non si trovasse già lontano. Cercò di
rifletterci, ma non riuscì a capire da dove gli fosse
venuta quell'idea.
Lasciò perdere e si concentrò sul cibo che aveva
davanti. Non aveva molto tempo prima di uscire.
Usagi allontanò gli occhi da suo padre e iniziò a
mangiare anche lei.
Ogni volta che parlavano di Mamoru, suo padre assumeva un'espressione
corrucciata. Sentir nominare Mamoru non era mai stato di suo
gradimento.
Non le era sfuggito quanto fosse stato contento, quando aveva saputo
che
sarebbe partito per gli Stati Uniti.
E ora era chiaro che... non lo sapeva. Né lui,
né
sua madre
né suo fratello, che non aveva trovato minimamente strano
sentir nominare la vacanza che lei si era inventata sul
momento. Eppure proprio Shingo l'aveva presa in giro, dicendo che
le sarebbe toccato
un anno da zitella, totalmente ignaro di quanto lei fosse stata male.
All'età che aveva e per quello che sapeva di lei e Mamoru,
Usagi semplicemente non gliene aveva fatto una colpa.
... e così, per la sua famiglia, Mamoru non era mai
andato
negli Stati Uniti.
Continuò a mangiare in silenzio, chiedendosi se non
avesse
sistemato più di quello che aveva inizialmente
pensato.
Doveva andare da Motoki per saperlo con certezza.
Sua madre parlò di nuovo. «Forse potresti
invitarlo a cenare
uno di questi giorni. Una sera in
cui sia presente anche papà.»
Si udirono alcuni colpi di tosse. Suo padre si si stava battendo il
petto.
«Non vedo perché» commentò
lui. «Non
c'è motivo
per cui questo ragazzo ci debba incontrare entrambi così
formalmente.»
Kenji sapeva che Ikuko lo aveva invitato a casa, in passato. Non aveva
approvato l'accoglienza che sua moglie aveva dato
in casa
loro a Mamoru Chiba,
ma almeno uno di loro due aveva incontrato e conosciuto il 'nemico'. Da
parte sua, lui non aveva voluto in alcun modo far diventare quella
relazione
più seria, facendoselo persino presentare. Anche
perché
aveva pensato che quel rapporto potesse
finire da un momento all'altro.
«Non ignorare la realtà. Sono quasi due anni che
stanno
insieme.»
Due anni? Detto così, sembrava tantissimo tempo. Era
tantissimo tempo. Ma erano solo- «Sono ragazzini.»
Usagi sapeva riconoscere che sedici anni erano pochi per
avere un
fidanzato fisso, almeno in genere. Tuttavia, lei era
tutt'altro che normale, anche se i suoi genitori non lo sapevano. Di
questo non poteva far loro una colpa, ma non poteva nemmeno
più lasciare che ignorassero ciò che era, almeno
in
parte. «So quello che faccio, papà. Ed
è una
storia
seria.»
Suo padre assunse un'espressione stupita e terrorizzata.
«È troppo
presto perché tu dica una cosa simile.»
Usagi sospirò: non lo era affatto. «Per ora vorrei
solo che
lo conoscessi meglio. Tutto qui. Puoi farlo?»
Ikuko vide sua figlia guardare Kenji come già aveva
guardato lei la mattina di un paio di giorni prima.
Era successo qualcosa. Non sapeva cosa, ma era successo qualcosa.
Voleva saperlo, perché nulla di quello che le veniva in
mente poteva aver messo addosso alla sua bambina uno sguardo
del
genere. Per quanto riguardava ciò a cui non aveva pensato...
l'universo
delle sue paure era più vasto di quanto non desiderasse
immaginare.
Ricordò all'improvviso che Usagi era stata molto
triste negli ultimi mesi. Le era sembrata una cosa naturale
eppure ora
non sapeva spiegarsene il motivo. Come poteva non ricordarlo?
«Se ci tieni, va bene.»
Kenji capitolò davanti alla serietà dello sguardo
di Usagi. Pensò che, se non altro, era ora che avesse modo
di
giudicare personalmente e a fondo quel ragazzo.
Inoltre, c'erano
sicuramente cose che doveva mettere in chiaro. Due anni. Scosse
la testa e riprese a mangiare.
Ikuko scorse il sorriso dolce che Usagi rivolse prima a suo padre e poi
a lei.
Era successo qualcosa, ma Usagi era ancora capace di sorridere
così. Anche il giorno prima era tornata a casa felice e
serena.
Le cose erano ancora a posto in fondo.
Anche se, da quel momento, voleva prestare più attenzione. E
magari trovare il momento giusto per parlare con lei.
Per saperne di più sulla vita di sua figlia e non avere
più, in futuro, l'impressione di parlare con
un'estranea.
Un paio d'ore più tardi, Usagi suonò alla
porta di Mamoru.
Lui le aprì la porta poco dopo.
«Sai che puoi usare le tue chiavi per entrare.»
Lei saltellò in casa, sorridendogli. «Non volevo
essere
sfacciata.» Appoggiò la borsa in un angolo e si
tolse le scarpe, quindi si
girò verso di lui e alzò la testa,
tirando fuori la labbra. Come aveva previsto, Mamoru si sporse verso di
lei per baciarla.
Lei lo incontrò a mezz'aria, stampandogli un bacio giocoso
sulla
bocca.
Lui sorrise apertamente.
Era da quando aveva preso la strada per arrivare a casa sua che Usagi
si
sentiva euforica. Dentro di sé l'aveva definita la
'sindrome della
luna di miele': non erano certo sposati, ma era da molto
poco che
si erano conosciuti in una maniera più intima e questo
sembrava
averle messo addosso non solo un continuo buon umore ma anche un
persistente desiderio di effusioni varie.
L'espressione di Mamoru le confermò che erano effetti
tutt'altro
che sgraditi, perciò diede loro libero sfogo e, ridendo, gli
saltò in
braccio, le gambe attorno alla vita e le braccia intorno al collo.
Si accorse dell'errore nell'istante stesso in cui dondolarono
pericolosamente
all'indietro.
«Ahhhh! Attento, attento!»
Mamoru indietreggiò di un paio di passi, stringendola;
riuscì a ritrovare l'equilibrio solo inginocchiandosi.
Scoppiò a ridere.
Scossa anche lei dalle risate, lo abbracciò felice. «Grazie
per avermi salvato»
scherzò,
dandogli un bacio sulla guancia.
Lui le sembrò momentaneamente sorpreso.
Quando lo sentì strofinare il naso contro il suo, lei
riconobbe l'espressione di... tenerezza. In
passato, l'aveva vista tante volte. Un tempo l'avrebbe definita
più semplicemente un'espressione
d'amore, ma ora era in grado di notare la differenza: erano tante le
espressioni dell'amore. E ora lei le amava tutte.
Appoggiò la bocca su quella di lui e presto cercarne il
sapore fu un bisogno impossibile da controllare. Col corpo si spinse in
avanti, quasi inconsciamente.
Lui accolse il silenzioso invito e si
sdraiò sulla schiena, portandola con sé.
Forse un giorno il contatto tra loro avrebbe smesso di
sembrarle la cosa più incredibile che potesse esistere, ma
in quel momento assaporò il calore contro di lei, il calore
che nasceva dentro di lei, e sperò solo che non accadesse
mai.
Strano quanto persino il pavimento potesse sembrare comodo, in quei
momenti.
Le dita persero la presa sui capelli neri e si appoggiarono sulle
piastrelle dure. Beh, lei stava sicuramente comoda, ma lui...
Staccò le
labbra dalle sue. Era ora di alzarsi.
Privato della sua bocca, Mamoru scese a baciarle prima le
guance e poi il collo. «Già... forse non
è il posto migliore per...»
Usagi non trattenne le risate sommesse, acuite dal fiato sul collo.
Anche lui non riusciva a smettere!
Si allontanò del tutto, appoggiandosi sulle braccia tese; lo
guardò con occhi divertiti. «Credo che tu abbia
ragione.» Con un paio di rapidi balzi, era già in
piedi che lo
guardava dall'alto,
girata dalla parte opposta.
Anche al contrario, l'espressione perplessa di lui era veramente buffa.
«Non parlavo sul serio.»
«Troppo tardi» lo canzonò, ridendo anche
della
posizione da
cui ancora non si era mosso.
Eppure, anche sdraiato e per terra, Mamoru riuscì ad
assumere
piano piano l'espressione di chi stava per colpire.
Ma che-?
«Carina la gonna.»
Lei richiuse le gambe in un unico scatto, rendendosi conto di averle
avute spalancate
quasi sopra la testa di lui. Si allontanò di un
paio di passi,
fumante.
Mamoru iniziò a ridere di gusto, rimettendosi in piedi.
Oh, non era possibile che proprio quando pensava di averla vinta...
«Quelli come te hanno un nome, lo sai?»
«Davvero?»
Usagi annuì vigorosamente. «Hentai. Mamoru
hentai.»
Lui non sembrò particolarmente colpito dall'epiteto.
«Veramente eri tu che ti stavi mettendo in mostra.»
In mostra?!
«Sempre tu mi eri saltata addosso neanche cinque secondi
prima. Adesso che ci
penso...
quelle come te hanno un nome, Usa.»
Di solito aveva un cuscino in mano, in questi casi.
«Se cerchi un cuscino, è dietro di te. Se vuoi,
puoi provare
a prenderlo.»
«Nessun problema.» Partì di scatto verso
il divano.
Mamoru fece lo stesso e due metri dopo Usagi si
sentì sollevare,
mentre la caricava
sulle spalle. «Cado, cado!» Rise sonoramente in
mezzo alle
grida.
Lui la appoggiò sul divano qualche istante dopo, seduta,
ridendo e sistemandosi accanto a lei.
Allargò naturalmente il braccio sullo schienale,
permettendole di appoggiare la testa sulla sua spalla.
Le uscì un sospirò. «Sono andata da
Motoki.»
«Io sono andato all'università.»
Usagi alzò gli occhi nella sua direzione. «Non
sanno
niente
di una tua partenza, vero?»
Lui scosse la testa. «Mi è anche capitato di
incontrare il
professore che mi aveva
presentato l'offerta di scambio. Oggi me l'ha proposta di
nuovo.»
«Come?»
«Era come se non me l'avesse mai fatta.» Le
sorrise. «Hai
sistemato
davvero molte cose.»
Un'altra conferma di quello che aveva già scoperto.
«Anche
per Motoki non eri mai partito. Sono andata a dargli la lettera,
ma quando sono entrata nella sala
giochi, la prima cosa che mi ha chiesto era se dovevo incontrarmi
lì con te questo pomeriggio.»
«Quello che mi sembra strano è che... nella mia
segreteria
c'erano messaggi dell'università. E anche uno di
Motoki.»
Usagi rimase in silenzio, a riflettere. «Forse non sono
spariti
perché tu invece dovevi sapere cosa era accaduto in questi
mesi,
anche se poi è stato tutto quanto cancellato. Ma...
è
solo un'ipotesi.» Sospirò.
«È
frustrante
non riuscire a
spiegare quello che ho fatto io stessa.»
Lui inclinò la testa di lato, appoggiandola sulla sua.
«Non ti preoccupare.»
Usagi non poté far altro che annuire.
«Com'è
andata col tuo
professore?»
«Quando ho rifiutato la proposta, ha passato minuti interi ad
elencarmi a cosa stavo rinunciando. Alla fine sono stato costretto a
dirgli che abbandonavo la
facoltà. A quel punto mi ha chiesto una
spiegazione.» Gli uscì un sospiro rassegnato.
«Non avevo preparato qualcosa da
dire e ho finito con l'inventare una scusa sul momento.» Si
girò verso di lei, una
mezza risata in volto. «Gli ho detto che stavo per sposarmi.
Quando lui ha protestato ancora, gli
ho detto che la mia ragazza era incinta. Solo allora si è
arreso.»
Usagi ridacchiò divertita.
«So che era impossibile, ma per un momento ho
desiderato potergli
dire la verità. Aveva creduto in me, mi aveva sostenuto con
quel
progetto. Si sarebbe meritato qualcosa di diverso da una
bugia.»
«Non è facile spiegare, vero?»
Dal tono che aveva usato, Mamoru capì che c'era altro dietro
quelle poche parole. «No, non lo è. A chi hai
dovuto
spiegare?»
«Il problema è che non posso. Parlo dei miei
genitori. Mi
considerano ancora una ragazzina e per quello che sanno...
è giusto. Ma... ecco, per fare un esempio mi piacerebbe
poter dire loro
che
vorrei fare un viaggio da sola con te senza che questo crei problemi a
nessuno. Ho nascosto per tanto tempo tutta una parte della mia
vita, ma forse... solo ora sto iniziando a considerarlo un
problema.»
Lui si limitò ad ascoltarla.
«Penso che la mamma abbia capito qualcosa. Un paio di volte
mi sono
comportata poco 'da me' a casa, in questi giorni.
È una fortuna che
non ci saranno battaglie per qualche tempo, almeno.»
Gli
aveva parlato
la sera prima del presentimento di Rei. Di quella che era
più probabilmente una vera e propria previsione.
«Ah, ma
c'è una cosa bella. La mamma ha suggerito che tu
venissi a cena da noi, con mio
padre presente. Finora si è sempre rifiutato di incontrarti
come
si deve, ma questa volta ho insistito.» Usagi notò
l'immediato
irrigidirsi nel corpo di lui e si mise dritta sul divano.
«Non sarai
mica nervoso?»
Mamoru fu sul punto di negarlo, a lei e a se stesso. Poi
cambiò
idea. «Un po'. Incontrandomi, tuo
padre cercherà di capire chi sono e quali intenzioni ho
verso di te. E... potrò fargli sapere la verità
solo
fino ad un certo punto. Non è il modo migliore per fare la
sua conoscenza.» Scosse la testa. «Con tua madre
è
stato
diverso, lei non mi
ha mai visto come una minaccia per te. Tuo padre sì invece.
Ricordi il mio primo incontro con lui?» Lo choc del
padre di
Usagi, le urla e la sua poco dignitosa
ritirata, con la scusa del jogging, gli erano rimasti in testa.
Decisamente, non uno dei suoi
momenti migliori.
Lei non sembrava della sua stessa opinione. «È
stato tanto
tempo fa.
A me piacerebbe solo che ti conoscesse, in
modo che possa fidarsi di te un po' di più. Non mi
piace l'idea di fare ogni cosa le cose alle loro spalle, ora che
vorrò vederti più spesso.»
Dargli modo di fidarsi maggiormente di lui?
Mamoru non era certo che il
risultato sarebbe stato quello. Avrebbe dovuto passare metà
del tempo a cercare di non
tradirsi, tentando di stare attento a non dire qualcosa di troppo o
persino a non guardare Usagi troppo a lungo. Era abbastanza
convinto che chiunque li avesse visti assieme avrebbe finito
col notare quanto era profondo il loro rapporto. In tutti i
sensi. A maggior ragione, lo avrebbe capito una persona che di
proposito avesse cercato indizi in
merito, come poteva essere un padre.
Mamoru ne sapeva molto poco, ma preoccuparsi per Chibiusa gli aveva
dato una
certa idea del grado di apprensione che poteva provare Kenji Tsukino.
Ad esempio, sapeva che lui stesso avrebbe ucciso con le sue mani il
folle che
avesse mai
osato avventurarsi in camera di sua figlia sotto il suo stesso tetto,
se mai fosse venuto a
sapere una
cosa del genere.... eppure era stato proprio lui a comportarsi
così, la sera prima.
Si ritrovò con sentimenti contrastanti: da una parte non
riusciva a
pentirsi di essere andato da Usagi; dall'altra,
all'improvviso, non gli
sembrò un gesto particolarmente rispettoso nei confronti dei
genitori
di lei. Sperò di non farselo leggere negli occhi quando li
avrebbe incontrati: non era mai stato bravo a mentire su certe faccende
personali. Era
stato un vero fallimento persino col suo stesso professore.
La voce di Usagi lo distolse dai suoi pensieri. «Allora
verrai?»
«Certo.»
Lei gli sorrise e si appoggiò ancora meglio contro il suo
fianco. «Sai, ieri sera mi sarebbe piaciuto rimanere
tranquillamente
addormentati...
dopo. Una prossima volta è meglio lasciar stare la mia
stanza. Ma... mi è piaciuto molto che tu sia venuto ieri
sera. Grazie.»
Grazie per quello che avevano fatto? Gli venne da ridere.
«Direi che
è stato... un piacere.»
Usagi rise anche lei a denti stretti, poi lo colpì
piano al petto. «Senti, perché non ci sdraiamo un
po'
adesso? Guarda.»
Si appoggiò lungo il divano, di fianco, il viso rivolto
verso lo schienale e
le gambe su quelle di lui, ancora seduto; poi si avvicinò
ancora di più al bordo, di lato, probabilmente per testare
se ci stavano in due.
«Sembra un po' stretto.»
Lei divenne pensierosa e controllò di nuovo la propria
posizione.
Gli uscì un sorriso. «Ma proprio per questo
comodo, da un altro punto di
vista. Va bene.» Si
allungò anche lui sul divano, sistemandosi tra lei e lo
schienale, su un fianco.
Usagi scoprì di avere abbastanza posto per riuscire a
sdraiarsi sulla schiena e,
felice, sistemò la testa nell'incavo del collo di Mamoru,
appoggiandosi su un suo braccio.
Poco dopo sentì la mano di lui scendere piano
sul petto.
Iniziò
a provare quel desiderio che ormai ben conosceva, prima di accorgersi
che le dita si erano fermate proprio in mezzo ai suoi seni.
Lì diedero un paio di colpetti leggeri.
«La tua spilla... non l'hai avuta indosso in questi giorni.
»
Ecco una cosa di cui avrebbe preferito non parlare.
Senza saperlo, lui continuò. «Ci ho pensato e...
sei riuscita
ugualmente ad usare il tuo potere senza ricorrere al cristallo, anche
se in modo
minimo. Forse esiste la possibilità che un giorno tu possa
arrivare
a trasformarti anche senza averlo con te.»
Come?
«Pensavo che magari potrei aiutarti. Ad allenarti
intendo, se
pensi di avere bisogno di qualcuno contro cui combattere...
Cos'hai?»
Si mise a ridere come una sciocca e lo abbracciò forte.
«Cosa c'è?»
«È che... è la stessa cosa che ho
pensato questa
mattina.
La trasformazione senza il cristallo, voglio dire. E pensavo
che volessi chiedermi perché non l'avevo con me
oggi.»
«Non è nella tua borsa?»
Usagi negò col capo e lui rimase in silenzio, visibilmente
sorpreso.
Oh. Lui aveva creduto che lei avesse comunque il cristallo a portata di
mano, anche se non su
di sé.
Usagi si irrigidì: Mamoru non avrebbe approvato. Avrebbe
avuto ragione, ma non-
«Ho capito.»
«È solo che-»
«Usa, lo so. Però... tra qualche giorno ricomincia
a
portarlo. Nemmeno
io posso immaginarti in pericolo.» Le mise un braccio intorno
alla vita
e appoggiò il viso sui
suoi capelli.
Lei chiuse gli occhi, meravigliandosi di come ogni tanto la sua anima
lo riconoscesse come la propria
parte mancante, esattamente come se lo stesse incontrando per
la
prima volta. Si lasciò cullare dall'intensità di
quella
sensazione, totalizzante ma portatrice di una infinita calma.
In quel momento era dove niente e nessuno le avrebbe fatto del
male, con l'altra parte di sé.
La mente si sgombrò e iniziò a vagare
sul nulla della tranquillità.
A lato, vedeva la tenda del balcone sollevarsi da terra,
la luce del giorno tanto più forte là
fuori, rispetto all'interno della stanza.
Sentiva aria, sulle gambe, sul viso... appena. L'orlo della gonna si
muoveva piano, cullato dal vento.
I capelli della frangia si spostavano, accarezzandole la fronte.
Rimase ferma, con lo sguardo fisso a notare tutto e niente.
In pace.
Percepiva anche il calore del corpo di Mamoru. Il suo respiro sui
capelli. E, in quel silenzio, come portato dal vento, quel suono...
Si concentrò, appoggiando meglio la
testa sul suo petto. Lo sentiva appena, ma era proprio il
battito
del cuore di lui.
Gli angoli della bocca si spostarono all'insù
con infinita
ma inesorabile
lentezza, mentre la assalivano i ricordi di innumerevoli
momenti.
Quel battito lo avrebbe sentito tante volte, in futuro, ma lo
aveva fissato nella mente già da tempo,
testimone di una vicinanza conquistata e riconosciuta come
necessaria. La prima volta, la ricordava ancora distintamente, lo aveva
udito con
sorpresa all'orecchio, la testa appoggiata contro il petto di Tuxedo
Kamen, mentre lui la allontanava da un nemico.
La volta che ricordava come più cara, lo aveva
udito con la testa affondata tra le sue braccia, mentre lui la
stringeva dopo aver ricordato il loro passato, quando per la prima
volta davanti a loro c'era stato un vero futuro da vivere insieme.
Erano talmente tante le occasioni in cui quel suono l'aveva cullata,
rassicurata.
Era un battito lento e portatore di calore la cui vicinanza le era
mancata
come l'aria stessa, nei mesi appena trascorsi.
Chiuse gli occhi, volendo solamente... sentire.
Nel successivo istante, vide senza vedere. Sopra di lei il cielo era
scuro, immenso. Stelle brillanti,
dal numero infinito. E sempre in alto, su un lato, c'era uno strano
astro,
quasi del tutto blu, enorme. Meraviglioso.
Lei aveva le braccia nude,
addosso un vestito quasi impalpabile, leggero. Rimaneva sempre quel
battito,
all'orecchio. Alzando lo sguardo incontrò gli
stessi occhi,
lo stesso viso, lo stesso sentimento. Dalle labbra che quasi la
toccavano udì un nome diverso,
ma
sempre, sempre il proprio.
Sbatté le palpebre e fu di nuovo tutto come prima.
Serenity.
Il primo vero ricordo della sua vita passata, vissuto e non raccontato.
Era stata Serenity. Con Endymion.
Aveva sempre saputo di essere stata Serenity, ma erano state
davvero una cosa sola nei momenti di pericolo e in quelli solamente.
Mentre ora... si era ritrovata come Usagi, sulla Luna, con Mamoru.
Tutto quello che aveva provato chissà quante centinaia di
migliaia di anni prima continuava ad essere
identico a ciò che provava adesso, grazie a quell'unica
costante.
Con altri nomi, con altre vite, quel rapporto tra anime per
loro era
sempre uguale.
Si erano persi e poi ritrovati, in un altro tempo e in un altro pianeta.
E ora erano Usagi e Mamoru, sulla Terra.
E ugualmente erano Serenity ed Endymion, sdraiati su un divano,
tranquillamente vicini, come avevano sempre desiderato.
Insieme.
Dopo guerre e tragedie, secoli dopo, erano ancora lì.
Quello che aveva in quel momento sarebbe stato suo per sempre,
qualunque cosa fosse successa in futuro.
«Credo che si metterà a piovere più
tardi» commentò Mamoru, sentendo aumentare la
forza dell'aria che
entrava
dalla finestra e vedendo diminuire la luce del sole.
Usagi alzò lo sguardo su di lui. «Non ha
importanza. Ti
amo.»
«Come?»
«Ti amo.» Si abbandonò al calore del suo
abbraccio.
«Dalla pioggia alla dichiarazione mi è sfuggito un
passaggio.» Mamoru si mise a ridere. «Ma ti amo
anche
io.»
Nel buio del solaio entrava solo la luce della luna.
Dopo il temporale del primo pomeriggio, le nuvole si erano rapidamente
dissolte.
Non c'era polvere dove lei appoggiava le mani. Sua madre doveva aver
pulito
da poco; credeva ancora che la nipotina Chibiusa fosse tornata a stare
dai suoi genitori.
Finendo di salire le scale, Usagi si alzò in piedi: non
rischiava
più di sbattere la testa contro il soffito.
Si diresse verso la luce della piccola finestra. Accanto c'erano un
lettino, un comodino e una scrivania.
Il piccolo letto... Sorrise. Era proprio da bambina. Minuto e con
sopra le coperte decorate con buffi
animali.
Vi si sedette sopra. E vi si sdraiò,
raggomitolandosi
per
starci tutta.
Chibiusa le mancava.
Nei mesi passati, in assenza di Mamoru, era stato quasi lacerante il
bisogno che aveva sentito di averla accanto. Senza di lei e senza
Mamoru,
era stato come vivere con un cuore incompleto, una metà
persa in un colpo
solo. Per tanto tempo erano stati in tre e, all'improvviso, era rimasta
solo lei.
Eppure aveva sempre saputo che Chibiusa stava bene. Anzi, che stava
persino
là, in quel futuro dove lei e Mamoru erano insieme e felici.
Quel pensiero l'aveva confortata: vi aveva fatto ricorso
più
volte, per togliersi di dosso la tristezza che l'aveva oppressa.
Da quando Mamoru era tornato, aveva smesso di pensarci, ma, da poco,
era nato in lei un pensiero sfuggevole: quanto sarebbe
stato
bello poter uscire di nuovo tutti e tre
insieme. Solo dopo si era ricordata che Chibiusa non c'era.
Certo, era cosciente che sarebbe potuta tornare da un momento
all'altro, ma oramai erano quattro mesi che non lei non si faceva
vedere. Nei
precedenti viaggi era passato molto meno tempo tra una visita e
l'altra. Certo, se fosse arrivata anche solo un mese prima...
Ebbe in testa l'immagine di Chibiusa che spariva nel vuoto, il
seme di stella rubato.
Di scatto, si mise seduta sul letto.
No, per fortuna non era stata lì.
Sospirò e scosse la testa.
Nonostante tutta la felicità di quei giorni, quelle immagini
ci avrebbero messo qualche tempo ad abbandonarla del tutto.
L'unica cosa da fare era concentrarsi su quanto di bello la circondava.
Ricordi, sensazioni.
Lo sguardo le cadde sulla scrivania.
Sorrise.
Se Chibiusa fosse tornata, probabilmente non avrebbero più
litigato per l'attenzione di Mamoru, come una volta.
In fondo, la bella lampada incantata di cui Chibiusa le aveva parlato,
aveva nascosto
più segreti di quanti lei avesse immaginato.
E in quella battaglia, anche grazie a quel ragazzo dai capelli argento,
Chibiusa era cresciuta.
Ricordò lo sguardo perso nel vuoto
che aveva visto
spesso nel piccolo viso di lei, così simile al suo. Il primo
amore.
Già, Chibiusa era cresciuta da quando era arrivata
lì per la
prima volta, in quel giorno lontano, nel parco, armata di una pistola
giocattolo.
Una bambina che cresceva.
Ogni tanto si era domandata come mai la futura se stessa continuasse a
mandarla nel presente.
Non pensava fosse indolore vivere lontani dalla propria
figlia, perdersi quei momenti in cui piano piano lei diventava grande.
Allo stesso tempo, capiva la necessità di farla allenare, di
farla diventare una guerriera abile. In un mondo futuro, di pace,
questo non
sarebbe stato possibile.
E poi la se stessa futura avrebbe saputo che-
Gli occhi le si spalancarono.
La se stessa futura avrebbe saputo che Chibiusa li avrebbe aiutati a
sconfiggere Nehellenia, con l'aiuto di Pegasus.
Avrebbe saputo che contro il Faraone 90 Chibiusa sarebbe stata
fondamentale per Hotaru e che da questo sarebbere dipese le sorti delle
battaglia.
Avrebbe anche saputo che... Trattenne il respiro.
Non c'era stato alcun bisogno di Chibiusa contro Galaxia. Ecco
perché non era tornata.
C'è
una buona notizia. Ho
percepito anche che non avremmo battaglie
per almeno un paio d'anni.
Nella mente le risuonarono le parole di Rei.
Niente battaglie per i due anni che sarebbero venuti.
Niente Chibiusa.
Scosse la testa.
Forse stava esagerando. Magari Chibiusa sarebbe tornata in visita.
Forse non a
lungo, ma almeno in visita.
Lo sperò tanto. Semplicemente, senza di lei le cose non
erano
più come prima.
Portò le ginocchia al petto e appoggiò
lì la testa,
guardando la luna fuori dalla finestra, ormai non più piena.
Cercando di rilassarsi, chiuse gli occhi.
All'improvviso, dietro di sé udì un
insieme di rumori... magici.
Quando si girò, una luce intensa le accecò la
vista.
Un tonfo. «Ahi!»
E una voce femminile. Che lei non riconosceva.
Balzò in piedi sul pavimento e assunse una posizione
di difesa.
Non aveva la spilla. Era di sotto.
Ironico che le paure di quella mattina si dovessero concretizzare con
tanta velocità.
Maledizione.
Prima che potesse pensare ad altro, nella parte del solaio non
illuminata dalla luce si mosse una figura.
Il suo stesso corpo
impediva alla già poca luce presente di arrivare a coprire
quell'angolo della stanza, perciò si spostò
appena e
riuscì a vedere meglio.
La
figura ora era
in piedi. Sembrava una ragazza. In una posa... inoffensiva.
Era comunque un'estranea dentro casa sua, perciò non si
fidò.
«Chi
sei?»
Le sembrò di sentire una breve risata dalla sconosciuta. La
vide avanzare a passi lenti verso la luce.
Si preparò ad attaccare, pensando a come fare per riuscire a
spostarla dal proprio cammino e correre rapidamente di sotto.
Fermò ogni movimento quando vide la faccia della ragazza.
La
propria faccia.
Ma che-?
Un nemico?
Un'illusione?
Mille idee le attraversarono la testa e la sconosciuta parve capirlo.
Si fermò e andò a toccarsi i capelli, portandoli
sotto la luce. Parlò per la prima volta. «Non
capisci?»
I capelli della ragazza non erano biondi. Per via della poco luce
all'inizio non capì bene, ma poi... rosa. E i
codini non erano rotondi, ma coni rovesciati e alti.
Non era possibile.
Non- «Chibiusa?»
Ebbe come l'impressione che fosse stata la sua voce a giungere a quella
conclusione, ben prima della sua testa.
La ragazza le sorrise dolcemente.
Nella curva di quelle labbra Usagi riconobbe
il sorriso di Mamoru, quel particolare che solo lei aveva notato, nel
tempo.
Nel viso della ragazza brillarono gli stessi occhi marroni della
bambina che lei aveva amato.
«Chibiusa?» ripeté, avvicinandosi.
Un cenno della testa confermò le sue parole.
«Anche se nessuno mi chiama
più
così.»
«Chibiusa?»
«Sì, Usagi. Sono Chibiusa. O Usagi. Sono
Usagi.»
Usagi alzò una mano per toccarle il viso e non ci furono
né proteste né movimenti.
Si stupì nel venire a contatto con la pelle fresca,
nonostante
ogni altra prova che aveva avuto.
Era vera.
E grande. Alta quanto lei e all'incirca con la sua stessa
età.
Vestita come una principessa.
«Ma...»
«Sediamoci Usagi. Ti spiego.»
Usagi si lasciò prendere la mano, facendosi condurre verso
il letto. Ancora una volta, nel gesto tranquillo e deciso, la
nuova Chibiusa
le
ricordò Mamoru.
Anche da seduta, Usagi continuò a guardarle il viso,
memorizzando le fattezze
ormai
adulte. Erano le sue, ma, allo stesso tempo, erano proprio quelle di
Chibiusa.
«Sei... »
«Cresciuta» finì Chibiusa.
Usagi annuì.
«Sì» le confermò lei, poi
fece
una pausa, come
se stesse cercando le parole giuste.
Chibiusa cresciuta. Per quale motivo doveva tornare indietro da grande?
Forse... «C'è qualche problema, un
nuovo nemico?»
«No no, sta tranquilla. Nessun nemico.» Vi fu
sorpresa per la conclusione a cui era arrivata.
Usagi si
tranquillizzò. «Ma allora
perché...»
«Aspetta. Aspetta un attimo.» Chibiusa rimase a
contemplarla
per qualche
istante; poi, all'improvviso, le
gettò le braccia al collo.
«Mi
sei mancata
tantissimo, Usagi.»
Nel profumo dei suoi capelli Usagi riconobbe l'odore di Chibiusa. Un
po'
cambiato,
più maturo, ma sempre quello stesso odore.
La abbracciò
forte e sorrise di gioia: ecco, in quell'abbraccio improvviso
riconosceva molto di
se
stessa. «Anche tu, Chibiusa. Mi sei mancata da
morire.»
Si staccarono.
Chibiusa continuò a guardarla
con aria commossa e le sembrò che deglutisse un
groppo alla gola. «Secondo quello che ha detto Puu, qui non
sono
passati più
di quattro mesi da quando sono venuta l'ultima volta.»
Già.
«Per me... sono passati anni da quando sono sono
stata in questo tempo.» Un sospiro. «Usagi...
questa sarà
l'ultima volta che ci vedremo, prima che io nasca.»
Per Usagi fu come una pugnalata al cuore. Anche se, nel vederla grande,
in un
angolo della sua mente lo aveva
già capito. Chiese lo stesso, stupidamente. «Non-
Non
tornerai come...»
«No, non tornerò da bambina qui.»
Usagi rimase in silenzio, ogni parola dimenticata. Se avesse cercato di
parlare, probabilmente avrebbe solo pianto.
Chibiusa continuò. «L'ultima volta che sono venuta
in questo
tempo è stato
durante
l'ultima battaglia contro Nehellenia. Vi avevo promesso che
sarei tornata. Volevo tornare, ma la mamma non me l'ha
permesso.»
Lei stessa
le aveva proibito di tornare?
«La mamma mi ha raccontato solo recentemente in modo preciso
cosa
è accaduto in questi mesi, in questo tempo. Anni fa non
l'avrei
mai detto, tanto ero arrabbiata con lei, ma... è stato
meglio
che
io non sia stata qui. Era pericoloso e sarei stata...
d'intralcio.»
«No!» Si affrettò a smentirla.
«È
vero,
sarebbe stato
molto
pericoloso per te, ma... non hai idea di quanto tu mi sia mancata in
questi
mesi. Se tu fossi stata qui, io credo che forse sarei stata meno
male,
che forse...» Sospirò e mosse la testa da un lato
all'altro. «Saprai di cosa sto
parlando. Ma anche così, no, per il tuo bene è
stato
meglio che tu non sia stata presente. Ma non perché saresti
stata
d'intralcio.»
Chibiusa le appoggiò una mano su una spalla.
«Grazie.
Sì, so cosa è successo con Mamoru.
Dev'essere stato difficile... a dir poco.»
Usagi non poté far altro che annuire.
«Ma è passata, Usagi. Ora siete felici.»
Chibiusa che le faceva forza. Lo aveva fatto già da
piccolina, ma ora...
«Sai, mi sembra così
strano parlarti così, mentre
sono grande. È... diverso.»
Usagi le mostrò un sorriso. «Stavo pensando la
stessa cosa.»
Chibiusa ridacchiò, tirando fuori la lingua con fare
sbarazzino. «Ci somigliamo di carattere anche dopo tanti
anni.»
«Sì.» Con una mano, Usagi le
accarezzò il
viso. «Mi
somigli davvero molto.»
«È vero, lo dicono tutti.» Il tono
sembrava
quasi...
soddisfatto.
«Tutti chi?»
«La mamma, il papà, le altre guerriere e... beh,
le
persone.» Sorrise, quasi come se
nascondesse un segreto. «Le
persone su cui regniamo. Dicono che somiglio
sempre più ad una vera
regina.»
«Col nostro aspetto?» Usagi era incredula.
Chibiusa scoppiò a ridere, piano. «Sì.
Non mi ero
mai accorta di quanto fosse assurdo.»
«E... tu stai bene, nel futuro?»
Chibiusa tornò lentamente seria e guardò nel
vuoto, come se avesse la mente in un mondo lontano.
«Sì, sto
molto bene. Ho delle amiche ora, care amiche. E... sento
di
aver trovato il mio posto. A casa mia. È un traguardo, se ci
pensi.» Sorrise e poi si voltò verso di lei,
guardandola negli
occhi. «Usagi, il mio apprendistato era finito. Dentro di me
avevo imparato ad
essere una guerriera. E nella battaglia che stavi per combattere tu non
c'era più bisogno di me.»
E per questo non era tornata. Come aveva sospettato.
«Chibiusa, nonostante quello che dicevo a volte, tu per me
non eri un
peso, eri come...»
«Una sorellina?»
Usagi si ritrovò ad annuire, sorpresa.
«Me l'ha detto la mamma. Anche tu eri come una sorella per
me,
Usagi. Ma... tu hai solo sedici anni. E una sorella che
è
anche tua figlia non è proprio la cosa migliore.»
Usagi fu sul
punto di protestare, ma Chibiusa la interruppe. «So
che mi
volevi
bene, ma ora
che sono grande come te credo di riuscire a
capire
meglio perché ti facevo arrabbiare tanto spesso.
Per la
verità, non so nemmeno come reagirei se capitasse a
me
di
dover vivere con la mia futura figlia intorno.» Le sorrise ma
allo
stesso tempo assunse
un'espressione più grave. «Mamma ha detto che non
c'è
nessun problema a parlartene, ora.
Dice che tu e Mamoru sapete quanto tempo manca più
o meno
prima che... il presente incontri il futuro.»
«Sì.»
«Non sono poi così tanti anni, Usagi. È
giusto
che tu sia
solo una ragazza
ora. Che tu stia sola con Mamoru, che tu cresca per diventare quello
che sarai in futuro. Non chiedermi se ci saranno altre battaglie prima
di allora, questo non posso dirtelo.»
Usagi si sentì prendere le mani fra quelle di lei.
«Avrai una vita intera per stare con me. Crescendo, ho
rivisto un po'
più di te nella mamma. Mi ha detto che è questo
il
periodo a partire dal quale tu... inizierai a diventare lei. Sai,
quando
stavo qui non facevo che chiedermi come tu potessi essere la mia
mamma, che quando voleva
invece riusciva a essere così elegante e seria.»
La
osservò
attentamente. «Mi è stato detto anche che l'hai
deciso da
poco.»
Usagi annuì ancora una volta.
«Vedi? Sono cambiate così tante cose in questi
mesi per te.
L'Usagi che
conoscevo io non avrebbe mai preso una decisione del genere.»
L'Usagi che conosceva lei era stata così sicura che la
piccola Chibiusa sarebbe stata ancora a lungo una costante della sua
vita...
«Io e te staremo ancora insieme, perciò non essere
triste.» Chibiusa le
strinse più forte le mani e aspettò che lei
alzasse
lo
sguardo
per continuare. «Ho già parlato con le ragazze e
con Mamoru, tu
eri l'ultima
che volevo salutare, prima di lasciare questo tempo.» La
abbracciò. «Ti voglio bene, Usagi. La prossima
volta che ci
rivedremo, avrò la vista sfocata e non
sarò più
lunga di
cinquanta centimetri.»
Nonostante le lacrime che ormai le stavano cadendo dagli occhi, Usagi
trovò il modo di ridere.
Chibiusa le diede un bacio sulla guancia e, quando si
allontanò,
Usagi vide che stava piangendo anche lei, pur cercando di
trattenersi.
«Ricordati che quando tornerò dall'altra parte, ci
sarai
proprio
tu ad aspettarmi. Sto solo tornando da te.»
Usagi non riuscì a lasciarle le dita.
Chibiusa si passò l'altra mano sulle guance, asciugandole.
Inspirò profondamente e la guardò dritta negli
occhi,
serena. «Allora... arrivederci, mamma.»
E sparì, in un bagliore di luci.
La Chibiusa dei suoi anni adolescenziali se ne andò
così, in una notte d'estate.
Usagi non si mosse, sentendo ancora la sua mano tra le proprie.
Si trovava sul lettino dove tante volte Chibiusa aveva dormito.
Ancora prima, nel proprio letto, aveva spesso sentito
il respiro della
bambina che dormiva beata, per poi calciarla nel mezzo della notte.
Le mille scocciature, le mani con cui tirava la giacca di Mamoru per
farsi prendere in braccio, le battute intelligenti, le liti per
prendere il pezzo di torta più grande, le battaglie da
Sailor ChibiMoon, la sua testardaggine, il suo coraggio...
Usagi sentì un vuoto dentro, all'altezza del petto.
Si strinse il torso con entrambe le braccia, per non crollare.
Respirò e tentò di dare aria al corpo intero.
Infine, ricordò.
Chibiusa sarebbe tornata alla vita proprio da dentro
di lei. Sarebbe nata da lei e Mamoru.
Lei l'avrebbe stretta di nuovo un giorno, piccolina, pronta a darle
tutto il suo
amore.
L'avrebbe vista crescere, l'avrebbe educata, amata e poi... l'avrebbe
lasciata sola per affrontare una battaglia. E allora quella sua bambina
sarebbe tornata nel passato, dove sarebbe andata tante altre volte,
dopo.
Le
sarebbe mancata anche allora ma un giorno, finalmente, sarebbe rimasta
a casa,
con lei.
Con lei, sua madre, e con Mamoru, suo padre.
Per vivere insieme ancora, prima che diventasse grande come l'aveva
appena vista
e cominciasse a costruire una propria vita, un proprio destino.
A quel punto pianse davvero, e furono lacrime di gioia e tristezza.
Sì, Chibiusa era tornata dove doveva stare, con l'altra se
stessa, quella di cui era davvero figlia in ogni senso.
Chibiusa, la piccola Usagi.
Si asciugò le lacrime e fece un profondo respiro.
Sua figlia.
Avrebbe avuto una figlia.
Avrebbero avuto una figlia.
Non era affatto la fine.
Tutto doveva solo ancora iniziare.
Camminava nel parco, in pieno pomeriggio.
Era una giornata come le altre, eppure nuova.
Andava dalla ragazza che amava, con la consapevolezza che non avrebbe
più rivisto quella bambina che aveva tanto amato.
Parte di lui, parte di lei.
Ma sarebbe tornata, in futuro, in una forma diversa e lui sapeva che,
inverosimilmente, l'avrebbe amata ancora di
più.
Tornò a guardarsi intorno.
Coppie che passeggiavano, gente che leggeva, cani coi loro padroni,
bambini
che correvano.
Vita. Uno scorcio di esistenza quotidiana.
La loro non era mai stata una vita normale.
Eppure, qualche tempo, avrebbero vissuto completamente la
quotidianità tanto comune ad altri.
Li aspettavano anni di pace.
Ed erano già iniziati.
Mamoru sorrise apertamente e iniziò a correre.
Era sdraiata sull'erba, nel parco, gli occhi al cielo.
Sotto di lei, un manto erboso. Intorno a lei, quell'odore di terra che
aveva sempre trovato così piacevole, così vivo.
Usagi girò la testa di lato. La mano era appoggiata sulla
distesa
verde.
Osservò la brezza del vento muovere delicatamente i fili
d'erba, come in una danza. Ne accarezzò uno, dalla radice
fino alla punta. Contro le
sue
dita, danzò. Lei ricambiò la sua armonia con un
sorriso dell'anima.
Alzò nuovamente lo sguardo.
Il sole le accecava la vista, fonte di vita.
In un lato del cielo, timida, sbiadita, stava la Luna. Era ancora
presto per iniziare a illuminare la notte.
Luna.
Era stata casa, un tempo.
Forse, col passare dei mesi, degli anni, avrebbe ricordato sempre di
più.
Ora vedeva solo quel cielo scuro e immenso di quell'unico ricordo, con
a lato... la Terra.
Lei l'aveva guardata da lassù, in un'epoca lontana.
E ora viveva proprio lì, proprio qui.
Questa, ora, era casa.
Un tempo era stata una principessa della Luna, erede del potere di quel
pianeta.
Ora...
Affondò la mano nella terreno.
Ora era un'abitante della Terra.
Sarebbe stata la sua regina.
Quella Terra che aveva a lungo sognato da lontano ora era parte di lei,
totalmente parte di lei.
La amava.
Ed era lì che avrebbe costruito un futuro.
«A cosa stai pensando, lì sdraiata?»
Sorrise allo sguardo felice sopra il suo. «A questo
mondo.»
Gli tese una mano.
«Vieni anche tu.»
Lui prese la mano offerta e si sdraiò accanto a lei.
FINE
Note del Luglio 2010:
Questa fanfic appartiene alla saga di 'Oltre le stelle'. Il sequel
diretto è 'Oltre le stelle - scene' e prosegue poi con
storie dedicate ad Ami e Rei e agli altri personaggi in due
one-shot e una raccolta di one-shot, fino ad arrivare al sequel di
'Oltre le stelle', 'Verso l'alba', una fanfiction in cui sto cercando
di costruire una sorta di proseguimento vero e proprio di Sailor Moon e
dare attenzione anche a tutte le altre guerriere (Makoto e Minako in
primis, ma anche le Outer Senshi e alcuni nuovi personaggi di mia
creazione), nonché naturalmente a Usagi e Mamoru. Vi sono
storie d'amore, momenti drammatici, combattimenti e situazioni comiche,
tutto cercando di rimanere sempre IC.
Ringrazio le 84 persone che hanno messo 'Oltre le stelle' tra i
preferiti e tutti coloro che hanno recensito questa storia. Per me
sentire cosa pensate (critiche o complimenti che siano) è
sempre un enorme e grandissimo piacere.
ellephedre
NdA
originali:
Un po' mi sono commossa.
La fine della mia prima storia a capitoli.
Questa forse è stata la parte più
difficile da scrivere; molte scene non le avevo già avute in
mente, come in precedenza. Ma, con pazienza, mi sono venute mentre
scrivevo e sono soddisfatta del risultato finale.
Spero che il finale vi sia piaciuto.
Grazie a tutti coloro che hanno seguito questa storia.
Grazie alle ventotto persone che l'hanno inserita tra i preferiti.
Grazie per averla voluta tenere sempre d'occhio. A chi di voi non ha
mai lasciato un commento, chiederei solo un paio di parole,
perchè è sempre bello sapere cosa ha attirato la
vostra attenzione.
Un grazie particolare a tutti coloro che mi hanno lasciato un commento.
È stato sinceramente una gioia leggere ciò che
pensavate.
Mi avete fatta ridere, mi avete reso fiera del mio lavoro, mi avete
dato persino idee per scrivere :)
Mi riferisco alla breve one-shot che ho scritto già per
metà in risposta alle domande 'Mamoru verrà mai a
sapere cosa ha detto Usagi alle sue amiche? Le amiche si tradiranno?'
Sarà un pezzo divertente (spero almeno di riuscire a rendere
bene il divertimento). Non si adattava come tono al finale di questa
fanfic, però ho voluto scriverne comunque.
Lo pubblicherò fra non molto, ma solo dopo la one-shot su
Rei, un'idea che mi ha molto preso. Anche quella fanfic sarà
comunque collegabile all'universo di 'Oltre le stelle'
(ovvero, la
Usagi che troverete lì sarà proprio questa Usagi,
più o meno due anni dopo; la sua però
sarà giusto una breve apparizione).
Ancora non ho deciso se continuare questa saga, anche se ho diverse
idee (al momento l'idea che prende corpo nella mia mente è
di scrivere cosa inizia a succedere due o tre anni dopo la fine di
questa storia), ma se metterò per iscritto tutto
ciò, non si tratterà di un progetto piccolo, per
cui probabilmente non lo pubblicherò in tempi brevi.
Un paio di note:
- 'hentai' per chi non lo sapesse è un termine giapponese
che indica tutto ciò che è 'pervertito'. Si
potrebbe tradurre sia così che con 'maniaco'.
- Kyushu è l'isola più meridionale
dell'arcipelago giapponese. È considerata un buon luogo di
villeggiatura per quel che poco che so, anche per via del clima caldo.
- Yokohama è davvero molto vicina a Tokyo. Date le
dimensioni delle due città, sono di fatto
considerate un unico grosso conglomerato urbano a livello di
densità abitativa
Ah, a luciadom che mi chiedeva di inserire un carattere più
grande: un trucco che funziona è quello di allargare i
caratteri della pagina tramite il browser; si può adattare i
testi alla dimensione preferita se si fa così.
Salutandovi, volevo consigliarvi, nel caso vi sia piaciuta la mia
storia, di leggere le storie che ho messo fra i preferiti. Meritano.
Grazie di aver letto e spero di sentirvi in una recensione.
Ciao a tutti
ellephedre
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