Elric
Elric
«Al… A te piace Winry?»
Una domanda.
Una sciocca, stupida domanda uscita per
caso e per sbaglio.
Sdraiato sul letto della stanza
d’albergo che avevano assegnato a lui e ad Al, Ed fissava il
soffitto con la fronte corrugata. Perché si era lasciato
sfuggire quelle parole?
Al, seduto sul letto con un libro di
alchimia in mano, alzò la testa e puntò i suoi occhi
vuoti su di lui, così privi di espressione e poveri di aiuto
in momenti del genere. Ed non riusciva mai a capire cosa pensasse suo
fratello, se lui riusciva a mascherare il tono della voce.
«Che domande sono, fratellone?»
chiese sorpreso. «Certo che mi piace Winry. La conosciamo da
sempre»
«No, io intendevo…»
Si bloccò.
Stupido, chiudi la bocca.
Ha frainteso, ti è andata
bene. Non tentare oltre la fortuna.
«Mm… Okay» mormorò
abbassando le palpebre. «Per te sarebbe un problema se
andassimo a trovarla? Cioè, so che l’abbiamo vista di
recente, e che l’altro giorno le abbiamo anche telefonato, però…
mi chiedevo se stava bene; sai, giusto per esserne certi»
La voce del Comandante Supremo ancora
gli riecheggiava nelle orecchie: “Winry
Rockbell. Proprio una cara e brava ragazza...”
Una
minaccia, se non nelle parole sicuramente nel tono. E
considerato da chi proveniva, non poteva che essere terribilmente
reale.
«Vuoi
andare a Rush Valley?» chiese Al. «Il tuo auto-mail ha
qualcosa che non va?»
«Mh...»
Menti,
idiota, menti.
«Sì.
Mi pare di sì» borbottò Ed.
«Ah,
va bene. Per me non c’è nessun problema. Partiamo domani?»
«Sì»
Al guardò il fratello per un lungo istante, da dietro il casco
vuoto. Poi abbassò di nuovo la testa e si immerse nel suo
libro d’alchimia.
Ed
riprese a fissare il soffitto.
Non
ho frainteso.
Ho
capito benissimo cosa volevi chiedermi, fratellone...
Il
treno correva veloce sui binari lucenti, e il paesaggio fuori dai
finestrini scivolava davanti ai suoi occhi vuoti senza quasi lasciare
traccia.
Al
era seduto composto accanto al finestrino, e osservava il panorama
senza parlare.
Ed,
davanti a lui, si rigirava tra le dita l’orologio d’argento che
lo qualificava come cane dell’esercito. Il resto dello
scompartimento era vuoto, l’unico rumore era il sussultare profondo
del treno.
I
fratelli Elric condividevano ben più di un quarto di sangue:
erano l’uno la famiglia dell’altro, il sostegno, il patrimonio,
ma anche il debito e il rimorso rimasti.
Ed
doveva ad Al un corpo, Al doveva a Ed un braccio.
L’uno
era causa e principio della vita dell’altro, perché da
quando avevano contratto quel debito erano rinati, e avevano
consacrato la loro esistenza alla sua estinzione.
Poi,
c’era anche una persona che condividevano.
Qualcuno
che come loro non aveva altri cui appigliarsi.
Qualcuno
il cui nome significava casa.
Winry
Rockbell, amica d’infanzia e meccanico personale di Ed e dei suoi
auto-mail, era soltanto una ragazza come loro. Orfana, bionda e sola,
era cresciuta con gli altrettanto orfani, biondi e soli fratelli.
E
nella comune solitudine avevano trovato la salvezza.
Ma
ora, la salvezza rischiava d’incrinarsi.
“Al...
A te piace Winry?”
Certo
che mi piace, fratellone.
E
non perché la conosciamo da sempre o perché siamo amici
da tanto tempo; mi piace perché è lei.
Lei
e nessun altra.
Mi
piace anche quando urla, e ci insulta, e ci picchia... quando piange,
e quando ride, e quando dorme.
Credo
di esserne innamorato.
Perché
lei, con te, fratellone, è l’unica che sappia vedere dentro
quest’armatura vuota. L’unica che mi abbia conosciuto prima di
ottenere questa pallida imitazione di corpo, l’unica che ancora mi
consideri... normale. Vivo.
Credimi,
ti sono infinitamente grato per avermi salvato, fratellone; non
riesco neanche ad esprimere fino a che punto io sia felice di essere
ancora qui, e, seppure nel rimorso, felice di doverti restituire un
braccio.
Ma...
Mi
manca la vita di un essere umano.
Gli
sguardi che si posano su di me sono increduli, divertiti, spaventati.
Per una volta vorrei attraversare una folla e passare inosservato,
ragazzino come tanti tra milioni di persone.
Vorrei
mangiare un gelato.
Inciampare
e farmi male.
Baciare
una ragazza.
Ma
non posso.
Nessuna
ragazza mi guarda come se fossi un ragazzo.
Nessuna...
tranne lei.
Perdonami
fratellone.
Ti
prego, ti prego perdonami...
Perché
non riesco a rinunciare a questo sentimento.
Non
posso.
Mi
aggrappo ad esso come alla vita stessa, lo stringo spasmodicamente al
mio cuore immaginario e arranco, sperando in futuro di poterlo
accostare a un muscolo pulsante.
Se
smettessi di amarla, morirei.
Anche
se so che tu la ami a tua volta.
Fratellone,
sei la cosa più importante della mia vita. Ma questo
sentimento lo è altrettanto.
Non
posso abbandonarlo senza stramazzare al suolo, non posso andare
avanti senza la mia illusione... non ce la faccio.
Fratellone.
Edward.
Non
capirai mai come mi sento in questo corpo perennemente freddo, e
io spero, spero davvero che tu non debba mai capirlo.
Perdonami
se puoi”
«Che
hai da fissarmi?»
Al
quasi sussultò, accorgendosi all’improvviso dello sguardo di
Ed puntato nel suo.
Non
si era reso conto di aver smesso di osservare il panorama.
«Ah, s-scusa» balbettò, ringraziando di non avere un viso da
far arrossire. «Mi sono incantato»
Ed
sbuffò, appoggiando il mento al polso.
«Pensi
a troppe cose, Al» disse secco. «Non devi sobbarcarti
tutto il peso di questa situazione. Ricordati che siamo in due, eh»
Come
se potessi dimenticarlo...
«Sì.
Sì, scusami fratellone»
La
stazione di Rush Valley era ancora una volta piena di vita e
movimento; ovunque volgevano lo sguardo, Ed e Al vedevano gente.
Gente ed auto-mail, naturalmente.
Winry
aveva detto che sarebbe venuta a prenderli al loro arrivo, ma
nonostante fossero fermi da dieci minuti accanto a un alto palo della
luce, non si era ancora vista.
«Forse
non ci trova» ipotizzò Al.
«Certo.
In fondo sei alto solo
due
metri» ironizzò Ed. «Te lo dico io: la cretina si
è dimenticata!»
Una
chiave inglese urtò con un tintinnio inquietante poco sopra il
suo orecchio destro, mandando a sbattere il sinistro contro il palo.
«La
cretina è qui» ringhiò una voce irritata, mentre
Ed si accasciava a terra privo di sensi.
«F-Fratellone!»
esclamò Al, vagamente preoccupato.
«Ciao
Al, com’è andato il viaggio?» chiese Winry melliflua,
mentre Ed si riprendeva e, aggrappato al palo, tentava di rialzarsi.
«B...Bene»
mormorò Al incerto. «Winry, forse il fratellone non sta
tanto bene»
Ed,
grondando sangue da una tempia, sollevò l’auto-mail che
sostituiva il suo braccio sinistro. La mano rimase diritta per un
istante, poi si piegò inerte.
«Mi
sa che si è rotto» disse piatto.
«Lo
hai rotto di nuovo?!» sbottò Winry furiosa.
«Ehi,
sei stata tu!»
«Non
scaricare la colpa su di me, sai?!»
«Ma
lo hai rotto tu!»
«Insisti?!»
Al
sospirò – metaforicamente parlando – mentre i toni si
alzavano. La gente attorno a loro iniziò a guardarli stranita.
E
lui si sentì irritato per la confidenza che Ed e Winry
mostravano di avere ancora una volta.
«Basta
così, fratellone» disse gentilmente, sollevando Ed per
la collottola. «Stai ancora sanguinando, e non credo che tu
voglia farti uccidere del tutto»
«Ma
è stata colpa sua!» protestò lui, agitando le
gambe in aria.
«Winry,
scusaci» continuò Al, ignorandolo. «A quanto pare
abbiamo bisogno del tuo aiuto per rimetterlo in sesto... di nuovo»
Winry
sbuffò, le mani sui fianchi. «Bah. Suppongo di doverlo
fare, visto che sono il migliore meccanico in circolazione»
commentò con nessuna modestia. «E un inetto del suo
stampo non potrebbe tirare avanti senza il meglio disponibile!»
«Cos’hai
detto?! Nanetto?!»
esplose Ed.
E’
un deficiente,
pensò lei, dandogli le spalle. E, mentre incitava Al a
seguirla, un sorriso le stirò le labbra, senza che i fratelli
Elric potessero vederlo.
Sì,
sei un deficiente... ma sono contenta che tu sia qui.
«Ohh,
che piacere rivedervi!» gorgheggiò Garfiel, l’ambiguo
meccanico da cui stava Winry, quando li vide. «Ed, il tuo
auto-mail come sta?» chiese, avvicinandosi in maniera
preoccupante.
«B-B-Bene»
balbettò lui arretrando, blu in faccia.
«Bene
un corno!» rettificò Winry, scoccandogli un’occhiata
fulminante. «E’ riuscito a disintegrarlo appena ha messo
piede giù dal treno! Così se prima aveva soltanto un
difettuccio, ora è completamente da rifare!»
Al
tappò la bocca di Ed prima che ribattesse.
Stai
zitto, fratellone, che ti è andata bene: prima il tuo
auto-mail non aveva niente di niente.
«Su,
dai: vieni qui, che vediamo per bene cos’ha l’auto-mail»
proseguì Winry, battendo una pacca energica sul lettino da
lavoro del signor Garfiel.
Ed,
mugugnando tra sé, si levò la giacca e obbedì.
Di
fronte al suo petto nudo, il padrone di casa sembrò andare in
brodo di giuggiole, al che Al, impietosito, decise che lo avrebbe
distratto. Mentre si faceva controllare una giuntura che funzionava
benissimo, gettò un’occhiata di striscio a Ed e Winry.
Lei
gli stava esaminando il braccio con il solito occhio professionale,
lui guardava altrove e borbottava ancora contro l’ingiustizia del
mondo.
Tutto
era come sempre, eppure c’era qualcosa di diverso.
«E’
da togliere» sbuffò Winry dopo una breve verifica. «Devi
lasciarmelo qui almeno oggi, perché sei riuscito a danneggiare
un componente interno particolarmente difficile da raggiungere»
«Tutto
oggi?» insorse Ed.
«Certo:
volevo provare a inserire una piccola percentuale di carbonio qui,
dietro il gomito... penso che lo renderebbe più resistente,
e...»
«Tu,
sadica sperimentatrice folle! Non farmi perdere tempo per queste
ca...»
«Queste
cosa?»
Gli
occhi di Winry si fecero improvvisamente minacciosi. Ma non avrebbero
mai potuto essere più espliciti della pesante chiave inglese
che era comparsa improvvisamente nella sua mano.
«Queste
carinissime e importantissime cose» si affrettò
a ritrattare Ed. «Hai tutto il tempo che vuoi, naturalmente»
Come
se non ti facesse piacere restare un po’ di più...,
si trovò a pensare Al.
Winry,
sfoggiando tutt’a un tratto un sorriso deliziato, afferrò al
volo gli attrezzi per staccare l’auto-mail, e iniziò a
lavorare sulla spalla di Ed.
Lui,
mentre lei non guardava, sbuffò piano.
Ma
sì... va bene così.
Lei,
convinta di non essere vista da nessuno, si lasciò andare a un
piccolo sorriso.
Resterà
qui tutto oggi, e anche domani, forse.
Al,
che aveva gli occhi puntati su entrambi, si trovò a sentire
una fastidiosa sensazione a livello dello stomaco, sebbene uno
stomaco non l’avesse.
«Non
vedo nulla che non va» se ne uscì Garfiel in quel
momento, pulendosi le mani macchiate d’olio in una pezza sporca.
«Sei sicuro di aver sentito quell’attrito?»
«Eh?»
fece Al, riscuotendosi dai suoi pensieri. «Oh, p-potrei anche
essermi sbagliato! Comunque grazie per il controllo»
«Ma
ti pare?» sorrise l’uomo.
Per
fortuna non sembrava affettuoso come con Ed.
L’auto-mail
che gli avevano dato per quella giornata era scomodo e pesante, e
funzionava molto peggio del suo. Ed mosse le tozze dita d’acciaio,
cupo, e il signor Garfiel lo accarezzò con occhi amorevoli.
«Mi
dispiace davvero tanto di doverti dare questa schifezza» si
scusò tristemente. «Ma è quanto di meglio c’è
in negozio»
«Di
certo non compete con quelli di Winry» bofonchiò lui,
avendo cura di non farsi sentire. «Va bene così»
aggiunse poi, a voce più alta. «Se è solo per
oggi, posso resistere»
Saltò
giù dal lettino, cercando la maglia, e si rivestì in
fretta e rabbrividendo; aveva la sgradevole sensazione di essere
osservato... e il fatto che il signor Garfiel fosse lì accanto
non lo rendeva affatto tranquillo.
«Al,
andiamo a prenotare una stanza» disse rapido.
«Sì»
annuì il fratello, pronto a partire. «Winry, noi
torniamo dopo!» salutò, mentre Ed già si fiondava
fuori dalla porta.
«Aha...»
rispose lei senza guardarlo, già immersa nei complicati
meccanismi dell’auto-mail che doveva sistemare, e lui uscì,
rivolgendo un cenno esitante anche al signor Garfiel.
Quando
si fu richiuso la porta alle spalle, Winry alzò la testa e
fissò per qualche lungo istante il legno scuro che teneva
lontani i rumori della strada.
Sospirò
appena.
Ed
attraversò la città a disagio; vedere tutta quella
gente che si vantava dei suoi auto-mail non gli dava una bella
sensazione. Cosa c’era di così entusiasmante nel perdere una
parte di sé e sostituirla con freddo metallo?
Sotto
i guanti, strinse la mano artificiale che gli avevano dato in
sostituzione.
Quando
Winry li aveva lasciati per l’ultima volta, a Central City, le
aveva promesso che avrebbe recuperato il suo corpo e quello di Al, e
che l’avrebbe fatta piangere di gioia... ma non le aveva fornito alcuna
data.
Non
ne aveva una nemmeno lui.
E
poi...
Se
Al avesse recuperato il suo corpo, cosa
sarebbe successo?
«Fratellone,
è quasi ora di pranzo; non hai fame?» domandò Al
in quel momento, distogliendolo dai suoi pensieri. Il suo stomaco
gorgogliò, risvegliandosi all’improvviso.
«Ah,
già» borbottò, guardandosi attorno alla ricerca
di un ristorante. «Andiamo dopo a cercare una stanza, va bene?»
Vide
un’insegna, poco distante, che indicava una stradina laterale e
annunciava ottima cucina e prezzi modici.
«Speriamo
che sia un locale ampio» ghignò Ed, avviandosi a passo
spedito.
Al
lo seguì, incapace di ridere per la battuta, e si infilò
in quello che era poco più di un vicolo sentendosi grosso come
una montagna. Contrariamente ad ogni aspettativa, però, il
locale all’interno era abbastanza grande da contenerlo comodamente.
«Siamo
fortunati» commentò Ed, scostando la tendina e chiedendo
permesso.
Al
esitò per un istante, distratto da un rumore nel vicolo. Poi,
dopo essersi accertato del silenzio più totale, lo seguì.
Come
sempre, ordinarono per due e mangiò tutto Ed. Per fortuna
essere un cane dell’esercito prevedeva anche un generoso stipendio,
altrimenti avrebbero patito la fame ben presto... chi dei due
poteva patirla, almeno.
Al
termine del pranzo, il maggiore dei fratelli Elric si stravaccò
sulla sedia, profondamente soddisfatto.
«Ahh,
che mangiata» commentò felice. «E poi è un
bel posto, vero Al?»
«Sì,
fratellone» rispose lui in automatico.
Ed
si accigliò appena.
«C’è
qualcosa che non va?» chiese, improvvisamente sospettoso.
«Pe...Perché
me lo chiedi?» ribatté l’altro, senza riuscire a
mascherare il turbamento nella sua voce.
«Non
so, mi sembri un po’ strano ultimamente... Ti ho già detto
che siamo in due, mi pare; se hai un problema puoi parlarne con me,
lo sai, no?»
Al
strinse i suoi pugni di acciaio sotto il tavolo.
Posso
parlarne con te? Come no!
«Fratellone...»
si trovò a dire, con voce a malapena vibrante. «Tu non
puoi risolvere tutto»
Ed
rimase interdetto.
«Cosa
stai cercando di dire?» chiese, sporgendosi verso di lui da
sopra il tavolo.
Ahh,
mi sono lasciato scappare troppo!,
pensò Al amaramente.
«Niente,
è il solito discorso» rispose sbrigativo.
Con
“il solito discorso” si riferiva, ovviamente, alla sua
condizione. Ed si incupì.
«Scusa»
mormorò, per la milionesima volta.
Per
un attimo aveva pensato che Al non fosse preoccupato per la sua
armatura, ma per lei.
Il
problema, invece, era sempre uno.
Al
non poteva pensare a una ragazza con il corpo che si ritrovava.
Non
poteva pensare a una vita normale senza soffrire.
Non
poteva vivere come lui.
Però...
c’era pur sempre qualcosa di strano, nel suo comportamento degli
ultimi tempi.
Da
quando alla stazione di Central City gli aveva detto, ironico, “Oh,
l’amore! Che belle parole, fratellone!”,
c’era stata una nota stonata nel loro rapporto.
Quella
frase, quella voce divertita, erano sembrate forzate.
Da
piccoli avevano litigato per decidere chi avrebbe sposato Winry. Ora
ci ridevano sopra. Ma
quanto era sincera la loro risata?
«Dai,
andiamo a cercare una stanza per la notte» se ne uscì,
alzandosi dalla sedia.
«Va
bene, fratellone» mormorò Al, imitandolo.
Pagarono
– e il negoziante gongolò nel presentare loro il conto –
poi uscirono di nuovo nel vicolo stretto che tanto metteva a disagio
Al. Ed andò avanti, il pensiero ancora rivolto alla
conversazione tirata di poco prima, ma il minore dei fratelli Elric
sentì di nuovo un rumore strano.
Si
fermò, guardandosi alle spalle, e il fruscio si ripeté
per la terza volta. Era un acciottolio sommesso, come di qualcosa che
cerca di farsi strada in un mucchio di cianfrusaglie. E poi ci fu
una specie di pigolio.
Al
si fermò, e fece qualche passo indietro. A una certa distanza
dalla porta del ristorante c’erano delle casse di legno vuote, che
forse un tempo erano servite per trasportare del cibo; si chinò,
grosso e cigolante com’era, e ne scostò una.
Lì
sotto, c’era un gattino di non più di un mese, bianco e
rosso.
Qualcosa
dentro di lui si sciolse per l’ennesima volta: non sapeva resistere
agli animaletti piccoli e morbidi.
«Ehi,
piccolino... che ci fai qui tutto solo?» chiese in un sussurro,
tendendo un dito freddo a sfiorare il naso roseo e umido del
cucciolo.
Quello
miagolò, con voce flebile come un pigolio, e tremante gli
leccò il dito.
«Al?
Che stai combinando?» chiamò Ed dal fondo del vicolo,
cercando di vedere oltre la sua ampia schiena.
«Ah...
io...» rispose lui, nel panico.
Accidenti!
Non posso lasciare qui questo gattino! Ma se Ed scopre le mie
intenzioni, è la volta buona che cancella il cerchio alchemico
che mi tiene in vita!
Sentì
i passi del fratello farsi più vicini, e, nel panico, prese il
cucciolo per la collottola e se lo infilò nell’armatura.
«Mh?»
fece Ed, raggiungendolo e sbirciando oltre la sua spalla. «Che
c’è?»
«Ehm,
mi era sembrato di sentire un rumore!» ribatté Al in
fretta, decidendo che una mezza verità poteva sembrare più
plausibile.
Il
fratello sbuffò. «Devi smetterla di cercare randagi in
tutte le città che visitiamo!»
«Non
stavo cercando randagi!» si indignò Al.
«Beh,
meglio. Perché dubito che ci siano alberghi che li ammettono.
Forza, andiamo a cercare questa stanza»
Oh
maledizione.
L’albergo!
Se
ne era completamente scordato!
E,
con la piccola palla di pelo calda che ballonzolava nella sua gamba
destra, si avviò dietro a Ed ansiosamente.
Speriamo
che nessuno se ne accorga!
Come no.
Il gattino ebbe la
geniale pensata di ricominciare a miagolare, probabilmente per la
fame, nemmeno dieci minuti dopo.
Nella strada ancora
affollata, Ed si fermò per un attimo e tese l’orecchio.
«Al, senti
qualcosa?» domandò al fratello, corrucciato.
«I-Io?»
balbettò quello, nel panico. «No, fratellone, niente!»
«Mi
sarò sbagliato»
Ripresero a
camminare, e il cucciolo miagolò più forte, vedendosi
inascoltato. Al simulò un accesso di tosse improvviso. Ed si
fermò. Si girò. Lo fissò.
«Al, tu non
hai polmoni»
«Ehm,
ecco... io...» balbettò Al, arretrando leggermente.
«Cos’hai in
quell’armatura?» lo interruppe Ed, facendosi più
vicino.
«Niente!»
«E’ un
niente molto rumoroso!»
«Fratellone,
aspetta... posso spiegare!»
«Tiralo
fuori»
«Fratellone...»
«Tiralo
fuori! Non possiamo portarlo con noi, quanti milioni di volte te
l’avrò detto? E’ un gatto, non lo faranno mai stare in un
albergo!»
Al esitò,
combattuto.
Ed aveva ragione,
naturalmente. Ma lui non poteva... non voleva...
«T-Tanto non
ho bisogno di dormire, io!» si sentì dire, quasi senza
esserne conscio. «Non ho mai sonno, resto fuori con lui!»
Sulla fronte del
fratello si gonfiò una vena. «E domani, eh?»
chiese aspro. «Che te ne farai domani? E dopo? E il giorno dopo
ancora?! Più resterà con te, più difficile sarà
lasciarlo andare! Quindi liberatene adesso!»
«Non voglio!»
gridò Al.
Era tutto il giorno
che si sentiva nervoso, era tutto il giorno che il suo nervosismo
veniva inconsciamente rivolto a Ed, ed era tutto il giorno che Ed lo
trattava come se fosse stato il suo padrone, e non suo fratello!
«Trovati da
solo la tua stanza!» esplose amaramente e, voltate le ampie
spalle dell’armatura, si allontanò di corsa e rumorosamente.
Parecchie teste si voltarono nella sua direzione, quando passò.
Ed sbuffò, e
si passò una mano tra i capelli.
«Stupido
Al!»
Il negozio era
ancora chiuso per la pausa pranzo, e la gente ci passava davanti
senza guardarlo. Ciò a cui le persone rivolgevano davvero gli
occhi, invece, era la gigantesca armatura scintillante nel sole di
mezzogiorno che fendeva la folla come una rompighiaccio fende la
banchisa.
Curiosamente, il
suo cigolio assomigliava a un fievole miagolio.
Al non era riuscito
a pensare ad altri posti in cui rifugiarsi. Fermo davanti al negozio
del signor Garfiel, tuttavia, esitava ancora.
Ed lo avrebbe
sicuramente cercato lì, come prima cosa; rifugiarvisi significava farsi
trovare subito.
Ma lì
c’era anche Winry.
Bussò piano.
Nessuna risposta.
Ritentò, un
po’ più forte, ma ancora non ottenne nulla.
Allora chiamò
a voce alta, rischiando di buttare giù la porta con i grossi
pugni di metallo, e finalmente sentì la serratura scattare.
«Aaal!»
esclamò Garfiel quando lo vide, allungando la ‘a’ del suo
nome per almeno tre secondi. «Non pensavamo di vedervi indietro
così presto! E dov’è Ed?»
I suoi occhi
ansiosi cercarono la familiare figura del fratello più minuto,
senza trovarla.
«Lui... Lui
non c’è» mormorò Al. «Posso vedere
Winry?»
«Come?
Winry?» ripeté Garfiel. «Ma Ed dov’è?»
insisté poi, puntando a quello che era il suo vero interesse.
«Non lo so.
Ah, avrebbe anche un goccio di latte?»
Al tese il
ginocchio e staccò il polpaccio destro. In equilibrio sulla
gamba sinistra, sollevò il pezzo di armatura ed estrasse il
gattino miagolante. Sembrava abbastanza scombussolato, dopo la
camminata.
«Che amore!»
squittì Garfiel, vedendolo. «Vieni, entra! Ho tutto
quello che serve!»
Dieci minuti dopo
Winry li raggiunse in cucina, mentre entrambi erano in estatica
contemplazione del micino che leccava avidamente del latte tiepido.
«Al!»
esclamò lei, sorpresa, e poi le cadde l’occhio sul cucciolo.
«Ahh, non dirmelo: l’hai rifatto»
«Ehm,
i-io...» balbettò lui, ancora una volta lieto di non
poter arrossire. «Non potevo lasciarlo lì!»
L’espressione
esasperata di Winry si tramutò rapidamente in un sorriso
rassegnato, mentre prendeva una sedia e si univa ai due al tavolo.
«Che carino!»
commentò, studiando il gatto da tutte le angolazioni. «Avrà
sì e no un mese... dite che si è perso?»
«Forse»
Al si strinse nelle spalle sferragliando, ma i suoi occhi non erano
puntati sul cucciolo.
Erano su Winry.
Lei era così
dolce.
Anche
se lui conosceva il suo lato più rude e mascolino, sapeva
anche che c’erano momenti in cui era davvero bellissima.
Non riusciva a definirla in altro modo.
Se chiudeva gli
occhi poteva rivedere la sua espressione, mentre impugnava la pistola
davanti a Scar. Così piena di rabbia, ma anche così
fragile...
Se ne era andato,
quella volta.
Per proteggerla,
aveva allontanato Scar.
Chissà
cosa le aveva detto Ed, per farle lasciare la pistola.
..
«Immagino che
Ed non sia molto contento di lei» commentò Winry in quel
momento.
«Lei?»
fece Al senza capire.
«Sì; è
una gattina, non vedi?»
«Oh, non ci
avevo fatto caso»
«E’ per
questo che Ed non c’è?» sorrise Winry, con
l’espressione rassegnata che riservava ai litigi dei fratelli
Elric.
Al strinse i pugni
sotto il tavolo.
Sempre, sempre
Ed...
«Lui è
uno scemo» disse tagliente. «Non capisce niente!»
Winry non smise di
sorridere. «Al. Tu sei una persona molto buona»
mormorò.
Lui si sentì
arrossire di piacere, sebbene sapesse che era solo un’illusione.
«Quello non è
soltanto uno scemo: è un cretino integrale, infantile,
arrogante, egocentrico, testardo e con un gigantesco complesso di
inferiorità!» completò lei, con un cenno vago e
una mezza risata.
«Ehi!»
si indignò il signor Garfiel. «Per la sua altezza è
perfettamente proporzionato!»
«Ah beh, se
lo dice lei...»
Il ‘perfettamente
proporzionato’ fece la sua comparsa in negozio soltanto molte ore
dopo, quando ormai si era quasi al tramonto. Facendo il minor rumore
possibile, sgusciò all’interno e si guardò attorno
con circospezione.
«Non c’è»
gli disse la familiare voce di Winry, facendolo trasalire.
«W-W-Winry!»
balbettò lui, appiattendosi contro il muro.
«E’ sul
retro, con il gatto» continuò lei, le braccia incrociate
sul petto, e poi sospirò. «Sapevo che saresti tornato»
Ed bofonchiò
qualcosa, guardando altrove. «Sono qua solo per il mio
auto-mail» puntualizzò poi, in tono sostenuto.
«Che non è
ancora pronto. Hai trovato una stanza per la notte?»
«Sì.
Una singola»
Gli arrivò
un pugno in testa.
«Ahia, perché
cavolo...?!» sbottò lui, ma Winry lo zittì con
un’occhiataccia.
«E’ inutile
che fai l’arrogante, sappiamo tutti e due che Al è sempre in
quella tua testaccia bacata» spiegò secca. «Quindi
vai di là e chiedigli scusa»
«No»
grugnì Ed. «Ha sbagliato, e lo sa. Gliel’ho detto
mille volte che non può raccogliere tutti i randagi che trova!
Poi ci si affeziona, lo sappiamo, e noi non possiamo portarci dietro
nessuno!»
Winry si incupì
appena.
«Ed, questo
lo sa anche lui» disse piano.
Ed distolse lo
sguardo.
«Non li
raccoglie per tenerseli. Li raccoglie perché non può
lasciarli lì; perché li vede totalmente abbandonati,
e sa cosa vuol dire; perché vorrebbe che qualcuno, un giorno,
raccogliesse anche voi...»
«Noi ce la
possiamo cavare da soli» la interruppe lui. «Mi occupo io
di tutto, non abbiamo bisogno di nessuno»
Neanche di quell’uomo.
Winry sospirò
di nuovo, profondamente.
«Voi non
siete soli» mormorò con voce bassa e lievemente
incrinata. «Perché se foste soli... non sareste con me.
E anche io sarei sola»
Ed rialzò lo
sguardo, turbato.
«Scusa»
disse piano. «Hai ragione»
Lei gli rivolse un
mezzo sorriso.
Lì,
nell’ingresso del negozio, con il sole che tingeva d’arancio
l’ovest, rimasero fermi per un lungo istante. Poi Ed le voltò
le spalle, dirigendosi verso l’uscita.
Sulla soglia si
fermò, la mano sana a stringere lo stipite.
«Torno
domani» disse. «Per l’auto-mail... e per Al»
Winry sorrise.
«Va bene»
Notte fonda.
Un grillo friniva
da qualche parte, nel buio, e le stelle punteggiavano freddamente il
cielo. Non c’era luna.
Al era seduto sul
retro del negozio, a terra, con la schiena appoggiata alla parete.
Di notte si
annoiava. Tutti dormivano,
soltanto lui no.
Stupido fratellone,
si trovò a pensare. Non potevo lasciarla lì...
Avrebbe tanto
voluto sospirare. Non gli piaceva
stare solo, al buio; ma la cosa che meno gli piaceva in assoluto era
stare senza Ed.
Ed era tutto ciò
che gli era rimasto: la sua famiglia, il suo sostegno, il rimorso;
il principio e la fine. E senza il suo onnipotente fratello, senza la
presenza che era sempre stata nella sua vita, mancava qualcosa.
Un pezzo fondamentale.
Stupido fratellone!
Se la prendeva
sempre con lui per i gatti!
Non ci
arrivava?
Non capiva perché li raccoglieva?
Quasi richiamato
dai suoi pensieri, un fievole miagolio giunse dalla porta socchiusa
al suo fianco. Abbassando lo sguardo, Al vide il muso della gattina
spuntare dallo stipite, esitante.
L’aveva lasciata
che dormiva in una cesta preparata da Winry, ma evidentemente aveva
ancora fame, o forse si sentiva sola. Tese una mano, quella
mano di gelido ferro che non sopportava, che allontanava molte
persone e che ne avrebbe spaventate molte altre, ma quel cucciolo
ingenuo non sembrava averne paura. Si avvicinò, instabile
sulle gambette storte, e la leccò di nuovo, come quel
pomeriggio. Provò ad arrampicarcisi sopra, ma le sue unghie
scivolarono con uno stridio, e ricadde immediatamente.
Al la raccolse e la
tenne tra le braccia, vicino al suo corpo freddo.
Avrebbe voluto
scaldarla.
Avrebbe voluto un
corpo caldo.
Avrebbe voluto
suo fratello accanto...
La porta cigolò
appena aprendosi di più, e Winry fece la sua comparsa con uno
sbadiglio.
«Ciao Al»
salutò, sedendosi al suo fianco, ancora in pigiama.
«Che ci fai
sveglia?» le chiese lui sorpreso.
«L’ho
sentita miagolare» rispose lei, accennando alla gattina. «E
ho pensato che ti avrebbe cercato»
«Credo che
abbia fame»
«No, le ho lasciato del latte e lo ha
fatto fuori; penso piuttosto che si senta sola»
«Oh...»
Al guardò la
gattina, acciambellata tra le sue braccia fredde, e la sentì
fare delle fusa impercettibili.
Forse è per questo che ha
cercato proprio me, non poté
fare a meno di pensare. Perché siamo simili.
«Io non
potevo lasciarla là» disse di nuovo, come se fosse stato
davvero importante.
«Lo so»
rispose lei semplicemente.
«Ed
non capisce» continuò lui, ormai compreso nel ruolo e
deciso a sfogarsi. «Per lui è tutto facile: ha una
missione, sa sempre cosa deve fare e non si lascia distrarre. Non
ha bisogno di nessuno. Ma io ho bisogno di tante cose, sono debole,
e... mi sento sempre in colpa: per salvarmi ha donato il suo stesso
braccio. Mi ha creato un corpo freddo e che odio, ma lo ha fatto
senza esitare nemmeno un istante a sacrificare una parte di sé.
Cosa posso fare io, di fronte a un fratello simile? Posso sforzarmi
di imitarlo, ma non sarò mai come lui!» strinse la
gattina un po’ troppo forte, e quella miagolò appena.
«Scusa...» borbottò Al. «A lui sono rimasto
solo io, e a me è rimasto solo lui» proseguì poi,
amaro. «Nostra madre è morta, nostro padre ci ha
abbandonato, e nessuno può accompagnarci mentre cerchiamo di
recuperare i nostri corpi! Eppure... eppure io vorrei che ci fosse
qualcuno! Vorrei che non fossimo completamente soli! E’ per questo
che quando vedo chi è stato abbandonato lo voglio aiutare!
Perché devo,
non posso farne a meno!»
Winry lasciò
che parlasse, che dicesse tutto. Le ginocchia raccolte contro il
petto, il capo appoggiato alle braccia, lo guardò mentre si
sfogava e le confessava ogni cosa.
Alla fine, sorrise
tristemente.
«Al, tu
vuoi molto bene a Ed, vero?» chiese. Al non rispose, e lei proseguì. «Anche lui te
ne vuole. Siete sempre stati voi due, lo sai. Anche io... non sono
davvero parte del gruppo. In fondo sono sempre stata fuori»
«No,
questo non è vero!» insorse Al. «Tu sei sempre
stata una parte fondamentale, Winry!»
Lei gli rivolse un
sorriso mesto. «Grazie; ma sappiamo tutti e due che in cima
alla lista dei pensieri di voi fratelli Elric ci sono solo i fratelli
Elric»
«Non è
vero! Tu sei...!»
Al si bloccò
di scatto.
Oddio, cosa stava
per dire?
«Io sono?»
ripeté Winry, interrogativa.
«Tu sei...
molto importante per noi» ritrattò Al in fretta.
«Davvero. Il fratellone non aveva niente al braccio quando ti
ha chiamata, era soltanto preoccupato per te!»
Winry si sentì
arrossire, e sperò che nel buio non si vedesse.
«P-Per me?»
balbettò, guardando altrove. Il suo battito cardiaco aveva
accelerato all’improvviso.
«Sì. Dopo tutto quello che è successo...» mormorò Al,
sentendosi inspiegabilmente depresso. «E anche io ero
preoccupato» aggiunse dopo un’esitazione.
Winry sorrise. «Non
dovevate... io sto bene, davvero. Ve l’ho detto: ce la farò»
Fu qualcosa al di
là della sua capacità di controllo.
Probabilmente, se
avesse dovuto farlo coscientemente, Al non sarebbe mai stato in grado
di trovare il coraggio necessario... e invece riuscì a
parlare. E disse qualcosa di così audace che non si sarebbe
mai aspettato di sentirlo uscire dalla sua bocca.
«Un giorno
riprenderò il mio corpo. E poi tornerò qui, Winry»
Non alzò lo
sguardo neanche una volta, ma rimase a fissare la gattina
acciambellata tra le sue braccia che ronfava piano.
«Tu mi
aspetterai?»
Winry gli lanciò
un’occhiata interrogativa.
Lui trovò la
forza di guardarla negli occhi, e la fissò per un lungo
istante.
«Quel
giorno... dovrò dirti una cosa»
E lei capì.
La sua prima
reazione fu un rossore diffuso, che si affrettò a nascondere
dietro ai capelli, e la seconda il cuore che schizzava su per la
gola.
«Al, io...»
mormorò nervosamente.
Io sono innamorata di Ed.
«Non dire
nulla adesso» la interruppe lui. «Quando riavrò il
mio corpo ne parleremo»
Calò il
silenzio, un silenzio greve e carico di imbarazzo.
Al non era uno
sciocco, né un cieco.
Aveva gli occhi per
capire che Ed amava Winry, e l’orribile sensazione che anche lei
ricambiasse.
Ma non si sarebbe
arreso.
Avrebbe
riacquistato il suo corpo, e quel giorno avrebbe anche trovato il
coraggio di farsi avanti.
Fratellone, io ti voglio un gran
bene... ma non ho intenzione di lasciarti vincere senza lottare. Non
con lei.
Il sole sorse
all’alba tingendo di un rosa intenso l’oriente. Anche quella
sarebbe stata una bella giornata, l’ideale per viaggiare.
Ed si presentò
al negozio molto presto, nervoso e sfoggiando profonde occhiaie.
Aveva dormito ben poco quella notte, a causa del senso di colpa e
della rabbia, e alla fine si era rassegnato ad alzarsi all’alba pur
di non rotolarsi ancora in quel maledetto letto d’albergo.
Bussò piano
alla porta, con scarse speranze di trovare qualcuno sveglio – e
soprattutto molto nervoso all’idea di trovarsi davanti Al – ma
con sua grande sorpresa gli fu aperto subito.
«Sapevo che
saresti venuto presto» disse Winry sulla soglia, rivolgendogli
un sorriso luminoso. «Il tuo auto-mail è pronto»
«Ah, grazie»
fece lui sbattendo le palpebre.
L’auto-mail,
giusto.
Se ne era quasi
dimenticato. Quasi.
Entrò alle
sue spalle, e si trovò nella penombra del negozio ancora
chiuso. Una lampada era accesa sul tavolo da lavoro, e il suo
auto-mail era posato su un panno in tutto il suo luccicante
splendore.
«Devo
toglierti quello che ti abbiamo dato, siediti» disse Winry
accennando al lettino.
Ed obbedì,
e, dopo essersi levato di nuovo la giacca, si sedette come il giorno
prima.
Lei si mise a
lavorare in silenzio.
Il luogo era lo
stesso, la situazione pure... ma c’era qualcosa di diverso
dall’ultima volta.
Forse era la
penombra, o forse che erano soli. Fatto è che c’era una strana
intimità.
Il rumore metallico
delle viti e il tintinnio degli attrezzi di Winry erano gli unici
suoni nella penombra, il loro respiro era calmo e impercettibile. Lei
deglutì.
«Questa
notte ho parlato con Al» disse all’improvviso, per sciogliere
una tensione che si era fatta troppo alta. «La gattina resterà
qui, non devi preoccuparti»
Ovviamente
tralasciò i dettagli della conversazione.
«Ah, era
una femmina?» commentò Ed, a disagio.
«Sì.
Ma non le abbiamo ancora dato un nome»
«Ah»
Silenzio.
Di nuovo il
pesante, imbarazzato silenzio di sempre.
Winry tolse
l’auto-mail sostitutivo, e iniziò a montare quello
ufficiale.
Idiota che non sono altro,
si disse Ed. Ho insistito tanto per venire a trovarla,
senza che ce ne fosse bisogno, e poi non so dirle niente. Volevo
solo accertarmi che stesse bene, certo, ma già che c’ero...
Ancora tintinnii
lievi, e il fruscio di Winry che si muoveva.
Nell’aria
aleggiava un buon profumo, insieme all’odore dell’olio e del
ferro. Ed abbassò le palpebre, e inspirò a fondo.
«Rosa»
mormorò piano.
«Come?»
fece lei alzando lo sguardo.
«C’è
profumo di rosa»
«Ah sì,
lo usa sempre il signor Garfiel»
Ed rischiò
un conato di vomito.
«Che hai?»
gli chiese Winry preoccupata. «Ho sbagliato qualcosa?»
«No, tu
no» bofonchiò lui pallido. «Allora, sono a
posto?»
Lei avvitò
un’ultima vite, e poi annuì. «Sì, come nuovo.
Ah, e ho migliorato la resistenza del gomito, senza comprometterne
l’agilità»
Ed testò il
nuovo auto-mail, corrucciato, e alla fine sorrise. «Sì,
va bene così»
«Ottimo. Vedi
di non distruggerlo più!» commentò Winry,
voltandogli le spalle alla ricerca di una pezza per pulirsi le mani.
«Ehi, sei
stata tu a farlo fuori!» protestò Ed.
«Lo so»
rispose lei, a sorpresa, sempre volgendogli le spalle. «So
che prima non aveva niente»
Ed si immobilizzò
all’improvviso. «Eh? C-Che stai dicendo?» balbettò
nervosamente.
Winry sorrise tra
sé, le guance leggermente colorite di rosa. Al era più
adulto del fratello, per certe cose.
«Questo
è molto più resistente del precedente!» esclamò
convinta, tornando a guardarlo con il sacro fuoco del meccanico nello
sguardo. «Non sarà facile fargli del male! E tu non
gliene farai, vero?»
minacciò.
«N-No!»
balbettò Ed arretrando sul lettino.
«Bene! Allora
potete ripartire e andare a recuperare quei maledetti corpi che
cercate!»
Ed la fissò
con tanto d’occhi.
Cos’era
quell’entusiasmo smisurato?
Da quando vederli
partire la rendeva così felice?
Ma il sorriso di
Winry si smorzò appena, mentre prendeva delicatamente la mano
d’acciaio di Ed.
«E quando
tornerete di nuovo...» disse piano, sfiorando le dita fredde.
«...questa mano sarà calda»
Alzò gli
occhi azzurri, a incontrare quelli dorati di lui.
«Siamo
d’accordo?»
Ed distolse lo
sguardo in fretta.
«Sì» grugnì,
arrossendo.
L’incontro con Al
fu meno traumatico del previsto.
Si videro, si
guardarono, e annuirono.
«Sei pronto?»
chiese il maggiore dei fratelli Elric.
«Pronto»
rispose il minore.
Era passata una
notte soltanto, ed erano cambiate un po’ di cose.
Ma non tra loro.
No, non ancora tra
loro.
Erano fratelli.
Sangue dello stesso sangue. Dove iniziava la vita dell’uno, aveva
inizio anche quella dell’altro.
Erano rinati insieme, e sarebbero tornati
a una vita vera insieme.
I problemi erano
superabili, i disaccordi minuscoli, ciò che importava era
qualcosa di molto, molto più grande...
Lo sapevano
bene.
«Allora lasci
qui quella bestia?» chiese Ed, accennando alla gattina in
braccio a Winry.
«Sì»
rispose Al annuendo. «Si è affezionata a Winry»
La
gattina sembrò dare il suo assenso con un miao
sottile, accompagnato da fusa leggere. Ed si scoprì a
guardarla con invidia, mentre strusciava la testolina sul seno di
Winry.
«Beh, allora
noi andiamo!» annunciò risoluto, distogliendo lo sguardo
e sentendosi vagamente in imbarazzo.
«Ciao Winry»
salutò Al educatamente. «Arrivederci signor Garfiel»
«Tornate
presto a trovarci!» gorgheggiò quest’ultimo,
approfittando del momento per avvolgere Ed in un abbraccio che sapeva
di rosa in maniera nauseante. Lui rischiò di svenire. O
vomitare.
Riuscì a
liberarsi solo con un grande sforzo di volontà, e a quel punto
guadagnò l’uscita in fretta e furia. Al fece un cenno e si
affrettò a seguirlo, chiedendogli di aspettarlo.
Il signor Garfiel
sospirò, portando un fazzoletto ricamato agli occhi lucidi.
«Spero davvero che tornino presto»
Winry sorrise,
accarezzando la gattina.
Tornate tutti e due sani e salvi.
Questo mi basta.
«Oh, ma non
abbiamo ancora dato un nome a questa creatura!» realizzò
il signor Garfiel in quel momento, guardando il cucciolo tra le sue
braccia.
Winry abbassò
lo sguardo, e incrociò gli occhi della micina.
Si diede della
stupida.
Come aveva potuto
non accorgersi di quello sguardo straordinario?
L’occhio destro
era azzurro, di un celeste tenue e vellutato, mentre quello
sinistro era dorato, un castano caldo e denso di riflessi.
Sorrise. Quegli
occhi, il modo in cui quel gatto cercava il suo affetto, e anche il
piacevole tepore che provava a tenerlo tra le braccia... le
ricordavano qualcuno.
«Elric»
mormorò. «Chiamiamola Elric»
«Ne sei
sicura, tesoro?» chiese il signor Garfiel, scettico. «Non
vuoi un nome un po’ più aggraziato? Che so, Charlotte, o
Mimì?»
«No. Lei si
chiama Elric»
Mi aiuterà a tollerare la
vostra mancanza... almeno un po’.
Un miagolio flebile
si sollevò nell’aria... e poi soltanto fusa.
Fine
* * *
Questo era imprevisto.
Non avrei mai voluto pubblicare la shot che avete appena letto, ma per
oscure et misteriose ragioni oggi mi sono aggirata per il fandom di
FullMetal Alchemist e ho avuto questa flashata (?) di postarvela.
Fic che risale a un anno e qualche giorno fa, leggermente rimaneggiata.
La versione originale ha partecipato al contest sulle threesome indetto
dalla gattide (volete i dettagli? Cercate nel forum, in data ottobre
2007), ma francamente non ho mai capito come si fosse qualificata! XD
Ho cambiato un paio di inezie stilistiche, come per esempio la
mostruosa e monumentale quantità di puntini di sospensione e
qualche vaga ripetizione, ma la sostanza è sempre la stessa.
Rileggendola, mi ha fatto meno schifo di quanto ricordassi... chissà che ne pensate voi?
Nota: primo e forse ultimo esperimento con FullMetal Alchemist. Mi
piacerebbe davvero scrivere altro, ma non ho più
familiarità con i personaggi! ;_;
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