C'era
uno strano odore nell'aria di quella gelida e nebbiosa mattina
d'inverno.
Tra le vie deserte di una città
ancora addormentata, Naomi Misora camminava con passo deciso e
sostenuto, osservando la punta dei suoi stivali neri e lucidissimi
che di tanto in tanto si imperlavano delle gocce dispettose sfuggite
dalle grondaie dei tetti. Una nebbia azzurrina, creatasi dopo il
terribile temporale notturno, avvolgeva tutto nella sua ovattata
carezza e conferiva un tratto surreale, suggestivo, quasi onirico
a quell'altrimenti banale strada di
periferia. Infatti, sotto quel velo opaco ogni oggetto sembrava aver
perduto i suoi confini, la sua forma e la sua stessa funzione, tanto
che anche quel verdognolo cassonetto della spazzatura accanto a una
cabina telefonica guasta aveva assunto un ché di poetico.
Tutto sembrava partecipare armoniosamente all'essenziale composizione
di un dipinto astratto, tutto era cristallizzato in uno spazio
informe e statico, ma in quella calma immobile e totalizzante vi era
un solo elemento che stonava con il resto, un'ombra che girovagava
come una mina vagante sola e senza una meta: Naomi, con la sua figura
longilinea ed elegante, avanzava in tutto quell'azzurro, prima
rompendo quella patina di vapore come una macchia d'inchiostro che si
espande su un foglio acquerellato e poi dissolvendosi
silenziosamente, come se non fosse mai esistita.
Non
le era mai piaciuta la nebbia, sin da piccola provava un'irrazionale
paura nel vedere quella massa fredda e incolore scendere sul
rigoglioso paesaggio campestre dove vi era incastonata la casa dei
suoi genitori, in Giappone. Quando ciò accadeva tirava le
tendine gialle della finestra di camera sua e, dopo aver preso il suo
peluche preferito – un coniglietto marroncino con al collo un
fiocco rosso – correva verso la stanza di suo fratello per non
restare da sola; lì il bambino, più grande di lei di un
paio d'anni, conoscendo il motivo dell'agitazione della sorellina
cercava puntualmente di confortarla e distrarla con qualche gioco
fino a quando non si tranquillizzava del tutto. Quella paura,
pensandoci, si era con molta probabilità instillata nella sua
giovane mente - che a quell'età è particolarmente
malleabile ed emotiva - in un'assolato pomeriggio di primavera,
quando suo nonno la pose affettuosamente sulle sue ginocchia per
rinnovare un appuntamento ormai imperdibile per la piccola Naomi e
per il fratello. Il nonno era solito raccontare loro ogni settimana
delle leggende giapponesi che venivano tramandate di generazione in
generazione come un piccolo tesoro da portare dentro di sé e
da custodire con zelo. L'anziano ne conosceva tantissime - tanto che
Naomi si era chiesta più volte come facesse a ricordarle tutte
- e aveva deciso di condividere quelle piccole perle che avevano
arricchito la sua infanzia di immagini fantastiche, meravigliose e a
volte anche orrorifiche con i suoi nipotini, convinto che il nuovo
stile di vita adottato negli ultimi tempi stesse stoltamente
tagliando le ali all'immaginazione e gettando nell'ombra le
tradizioni a cui era molto legato. Ancora oggi, pensando al viso
bonario del vecchietto, la mente di Naomi correva a quei momenti
trascorsi insieme nel salone che si affacciava sul giardino, dove lei
e il fratello, nella concitata attesa di una nuova favolosa storia,
pendevano dalle sue labbra. Quel giorno, tra la vasta gamma di miti
che arricchiva il folklore nipponico, il nonno scelse una leggenda
tanto singolare quanto famosa, quella di Kuchisake-onna.
Raccontava di una
donna di rara bellezza, molto vanitosa e superba, concubina di un
samurai follemente innamorato di lei. Un giorno però egli
scoprì che la donna lo tradiva e così, accecato da una
terribile gelosia, decise di toglierle proprio ciò che ella
amava sopra ogni cosa; estrasse la sua katana e la sfregiò
aprendole una ferita che andava, passando sulla bocca, da un orecchio
all’altro, annullando in questo modo la sua amata bellezza che
la contraddistingueva e condannandola a una vita di solitudine. Alla
morte, il suo spirito iniziò una continua ricerca di vittime
su cui scatenare la propria vendetta, apparendo ai malcapitati di
turno nelle notti nebbiose e indossando una maschera che le copriva
il volto; a chiunque avesse avuto la sfortuna di incontrarla,
Kuchisake-onna
chiedeva se la trovasse bella anche senza la maschera che le copriva
l'orribile ferita, e se la risposta era negativa apriva le fauci
della grande bocca e lo divorava.
Con
il passare del tempo Naomi aveva smesso di avere paura della nebbia
perché aveva capito che non esisteva nessuna Kuchisake-onna,
ma alla paura era subentrata un'altra emozione, anch'essa negativa,
che faceva capolino ogni qualvolta il cielo decideva di toccare il
suolo con le sue nubi. Angoscia, ecco cosa provava, le si stringeva
lo stomaco e il malumore si impadroniva del suo corpo, non
abbandonandolo fino a quando non rispuntava il sole. Anche in quel
momento sentiva il malumore dimenarsi come una belva nel suo petto e
una profonda angoscia moltiplicava all'infinito i pensieri che le
inondavano la testa, ma non è del tutto corretto credere che
le condizioni climatiche erano le uniche cause del suo malessere.
Infatti tutti quei pensieri divergevano su un'unica persona,
portavano il timbro risentito di lui,
e per quanto Naomi cercasse di scacciarli via, essi ritornavano
ancora più assillanti e impietosi. Perché non riusciva
a zittire quelle mille voci che rimbombavano tra le pareti del suo
cranio, perché non riusciva a smettere di pensare? Dio, ci
sarebbe annegata nei suoi pensieri prima o poi – ne era sicura
-, l'avrebbero accerchiata e ingoiata, come una piccola e fragile
zattera viene risucchiata dalle onde tempestose dell'oceano e , cosa
ancor più grave, tutto quel meditare non fungeva per nulla
come soluzione al suo problema, anzi ogni pensiero negativo ne
rimandava ad un altro che ne avrebbe generato un altro ancora e così
via. In breve, era un malefico meccanismo che lei stessa si era
costruita e al quale non c'era via d'uscita.
E
dire che quella passeggiata serviva proprio a distrarla un po'...
Il
fantomatico problema che stava alla base di tutto, era il litigio che
lei e il suo fidanzato Raye avevano fronteggiato per l'ennesima volta
la sera prima a suon di urla che neanche i tuoni riuscivano a
coprire, e l'argomento era sempre lo stesso dei precedenti: il suo
lavoro, da lei tanto amato e per il quale aveva dovuto compiere non
pochi sacrifici - lasciare il Giappone e la sua famiglia per
trasferirsi lì, in California, sostenere un corso di
addestramento duro ed estenuante, combattere quotidianamente contro
colleghi invidiosi e pericolosi criminali, chiedendosi tuttora chi
tra i due avversari sia il più temibile e tanto altro ancora
-, quel lavoro in cui si era, malgrado tutto, distinta, tanto da
essere attualmente una vera e propria professionista nel suo campo,
una delle migliori agenti che l'FBI possa mettere a disposizione e,
non a caso, era stata persino contattata da L, il miglior detective
del secolo, per chiederle la collaborazione a un caso da lei chiuso e
risolto brillantemente qualche mese fa. Insomma, non per vantarsene –
oh, no, non era di certo quel tipo di persona -, ma se in quegli anni
era riuscita a ottenere tanti successi e altrettanti riconoscimenti,
forse, c'era un
motivo: non solo la sua bravura, ma anche la passione che vi metteva,
in ogni indagine. Era stata proprio la passione per il suo lavoro a
darle la forza, il coraggio e la volontà di andare avanti, di
perseguire i suoi obiettivi e diventare un'agente, anche quando
alcuni suoi “amici” le dicevano che la strada che aveva
scelto era lunga e impervia, che forse non ce l'avrebbe fatta; ma
Naomi non riusciva davvero ad immaginarsi altrove, era quello il suo
posto, un luogo pieno di moventi che necessitavano di essere
interpretati, di indizi da ricercare e collegare tra loro, di vite
che dovevano essere salvate o, perlomeno, rivendicate, sbattendo il
criminale di turno al fresco per il resto dei suoi giorni. Per alcune
persone sembrerà strano, ma era quello il lavoro che la faceva
sentire realizzata e vicina a se stessa, al suo carattere
indubbiamente riflessivo e determinato. Possibile che tra queste
persone vi era anche il suo fidanzato, possibile che anche lui non
capisse? Non era forse pure lui un agente, esattamente come lei? Non
provava le sue stesse aspirazioni? Difatti, l'uomo della sua vita,
colui che era riuscito a mettere KO la terribile Misora
Massacre – questo era il
nome che le era stato affibbiato dai colleghi- con
i suoi occhi blu cobalto, era nettamente contrario alla sua carriera.
Naomi era consapevole che il suo astio fosse nutrito dalla costante
preoccupazione che qualcuno potesse farle del male, dal timore di
poterla perdere (era innegabile che fosse un lavoro rischioso) e
anche dal suo desiderio di metter su famiglia, un giorno. Stavano
insieme da due anni ormai, si erano fidanzati ufficialmente da
qualche mese e il matrimonio sembrava essere la prossima tappa.
“Non
tanto prossima, spero”, si disse mentalmente, mordendosi la
lingua non appena ebbe formulato quel pensiero.
Amava
Raye, su questo non aveva dubbi, sapeva che era sempre stato attento
e apprensivo nei confronti suoi e del loro futuro – era fatto
così -, ma l'idea del matrimonio le metteva ansia, la
spaventava. Non era ancora stata scelta un'ipotetica data, non vi era
stata nemmeno una discussione approfondita a riguardo, era stata,
appunto, solo un' idea sfiorata da entrambi in modo superficiale
mentre chiacchieravano del più e del meno, oppure in quelle
famose liti che ultimamente si erano consumate più
frequentemente del solito, una delle tante proprio quella della sera
prima. Naomi avanzò il passo, pensando a quel litigio che
aveva lasciato delle ferite che ancora bruciavano nel suo animo, e
come un animale in gabbia, il cuore le iniziò a battere
furiosamente tra le costole. Ed eccole di nuovo, quelle voci, quelle
urla, che le riempirono ancora una volta la testa, girando
vorticosamente in una danza impazzita e provocando il principio di
una bella emicrania. Una fra tutte si distinse in quel vociare e
adesso le parlava rispedendola indietro nel tempo di qualche ora...
«Naomi,
per favore, cerca di capire! Non voglio assolutamente metterti il
bastone fra le ruote, sia chiaro, e non voglio neanche dire che non
ti stimi come collega! Mi dispiace se è questo che hai inteso
dalle mie parole. Quello che voglio dirti è che ora che ti ho
trovata non voglio perderti, non posso perderti! Ci tengo moltissimo
a te, io voglio il tuo bene e questo lavoro non ti giova affatto.
Devo forse ricordarti che pochi mesi fa non riuscivi neanche a
dormire per colpa di quei dannati incubi?
E poi, quando diverrai madre, anche se non dovessi essere io l'uomo
che ti starà a fianco, cosa farai, cosa pensi sia giusto fare?
Mettere di lato tutto, anche il tuo lavoro, pur di restare vicino ai
tuoi figli ed educarli, oppure fregartene di loro e agire
egoisticamente?»
Posò
frettolosamente quel pensiero in un angolo remoto del cervello - o
almeno ci provò - ma ecco che inaspettatamente ne sbucarono
altri, pronti a torturarla:
«Pensavo
che io e te potessimo andare d'accordo, credevo che mi avresti capito
subito, ma a quanto pare viaggiamo su due lunghezze d'onda
differenti... tutto sta diventando difficile Naomi, anche andare
avanti, e questo è solo colpa tua».
«
Non lo avrei mai detto, ma sono
profondamente deluso di te, Naomi».
STOP!
Naomi
si inchiodò al margine del marciapiede, che mentre era intenta
a pensare aveva finito di percorrere, trovandosi così difronte
a un incrocio a “T”. La sua strada si intrecciava ad
un'altra, anch'essa poco trafficata, anzi, per essere precisi non
c'era nessuno, non aveva incontrato anima viva finora. Chiuse gli
occhi stanchi, reduci da una notte insonne, e li strinse forte per
ricacciare indietro delle lacrime che volevano sfuggire al suo
controllo.
“Non è
il momento per piangere, Naomi! Rilassati e non pensarci più”,
si rimproverò, stringendo i pugni e risvegliando in questo
modo le dita intorpidite dal freddo.
Riaprì gli
occhi di scatto, puntandoli al muro che aveva davanti a qualche metro
di distanza; prese un profondo respiro, tanto da percepire
chiaramente i polmoni dilatarsi contro la cassa toracica, e lo
sentì di nuovo. Quello
strano odore di prima, aleggiava nell'aria insieme alle goccioline di
umidità, danzava tutto attorno, tra i lampioni accesi, tra gli
appartamenti squallidi e decadenti, tra le auto parcheggiate, tra i
fiori gialli del balconcino di quella casetta all'angolo
dell'incrocio, unica fonte di colore in mezzo a tutto quel grigiore e
a quell'innaturale azzurro; le pizzicò le narici e le fece
arricciare il naso – cos'era? -,
le entrò dentro, nelle viscere, in testa, prendendo il posto
delle tormentate elucubrazioni di prima. Naomi inconsapevolmente mise
in moto le sue doti investigative, come se spinta da un istinto
irrefrenabile, e cercò di decodificarne l'origine: era
sgradevole, forte, sembrava odore di bruciato mischiato alla puzza di
scarico che emettono le marmitte con il catalizzatore rotto. Non
riusciva però a capire da dove provenisse poiché tutta
l'aria ne era satura. Misora attraversò la strada perplessa e
con un salto balzò sul nuovo marciapiede, finendo dritta in
una pozzanghera che si dimostrò essere più profonda del
previsto.
«Maledizione»
mormorò tra i denti, guardando infastidita lo stivale destro
immerso per buoni cinque centimetri nell'acqua sporca.
Questo
era ciò che succedeva quando pensava troppo, diventava sbadata
e goffa e la cosa la infastidiva moltissimo. Essere pragmatica e
risoluta era una dote che l'aveva aiutata nel suo percorso
lavorativo, ma questo non la proteggeva dai dubbi che tutti sono
costretti ad affrontare nella vita. Ciononostante non si perse
d'animo e intenzionata a continuare quella lunga passeggiata per
cercare di sbollire i nervi, tolse stizzita il piede dalla pozza e
continuò per la sua strada. Compì solo pochi passi
quando notò alla sua destra delle scale un po' malandate e
smusse per l'attività erosiva di anni e anni di pioggia.
Strano, eppure avrebbe giurato che prima non c'erano, ricordava solo
un lungo muro di cemento pieno di crepe da dove si intravedevano dei
mattoncini un po' sbiaditi dal sole; forse la nebbia, forse la
distrazione o forse la stanchezza le stavano giocando dei brutti
scherzi. Emise un sospirò che si materializzò in una
nuvoletta di condensa e seguì con lo sguardo la direzione in
cui si snodava quella cascata di pietra, decidendo nel contempo se
andare dritto per la strada identica alla precedente o usare la nuova
scoperta per deviare il suo percorso. Esse scendevano fino a un largo
spiazzale, ad occhio e croce un parcheggio, ma la scarsa visuale
offerta dalla nebbia non le permise di guardare oltre.
«Ok
Naomi» disse iniziando a scendere i gradini, «prendi
queste scale, fai un ultimo giro lì sotto e poi te ne torni a
casa, prima che con tutta questa umidità ti trasformi in un
fungo!»
Mentre
si pregustava l'idea di una doccia calda non appena arrivata a casa,
i suoi piedi scesero l'ultimo gradino e continuarono a muoversi
fendendo la nebbia. Come aveva immaginato, quel grande spiazzo era un
parcheggio, ma oltre a un arrugginito e ciondolante cartello delle
tariffe appeso a un palo anch'esso poco stabile, non vi era nulla, né
persone, né soprattutto automobili.
«Forse
è troppo presto, dopotutto non è neanche l'alba, e poi
questa zona non è mai troppo frequentata», disse ad alta
voce per rincuorarsi, ma non riuscì ad essere molto
convincente. Si guardò attorno continuando ad avanzare e
quando pensò bene di girare i tacchi e andarsene via, alle sue
orecchie giunse un rumore improvviso che la fece sobbalzare. A
giudicare, sembrava che qualcosa di metallo e pesante fosse caduto a
terra lì vicino e senza rifletterci Naomi iniziò a
camminare lentamente verso il punto in cui si era diffuso.
“Perché
diamine lo sto facendo? Torna indietro Naomi!”
Al
contrario di ciò che le suggeriva la sua coscienza, continuò
imperterrita ad avanzare, facendosi largo in quella fastidiosa nebbia
che stava diventando sempre più fitta, così come
quell'odore che l'aveva accompagnata per tutto quel tempo. Eppure
ormai, pensò, erano diventati i compagni di quell'assurda
mattinata, senza di essi si sarebbe sentita più sola e fragile
di quanto già non fosse, la inglobavano con il loro abbraccio
stretto e soffocante; non poteva dire di certo che erano piacevoli,
ma si sentita un poco grata nei loro confronti. Confidava nella
funzione oscuratrice della nebbia, che da cosa odiata e temuta era
diventata sua alleata dove potersi rifugiare in caso di pericolo. Che
poi, per quale motivo si sentiva in pericolo? Non c'era nulla di cui
aver paura, si stava lasciando suggestionare troppo da
quell'immaginazione che suo nonno aveva sempre cercato di stimolare
con i suoi racconti. Si disse della stupida quando immaginò
che in mezzo a quella coltre azzurra vi fosse proprio Kuchisake-onna
pronta a porle il suo quesito, era evidente che la debolezza sia
mentale che fisica stavano facendo il loro sporco lavoro. Credette
che il cuore le arrivò in gola quando all'improvviso
apparve alla sua vista una sagoma nera, indefinita e sfumata non
molto lontana; più si avvicinava, più i contorni di
quella cosa si facevano nitidi. L'adrenalina iniziò a
scorrerle nelle vene e una morbosa curiosità spingeva le sue
gambe a camminare ancora verso l'ombra scura. La sua mente era
finalmente sgombra di tutto, non c'era più nulla, nessun
pensiero, c'era solo l'immagine che i suoi occhi le stavano offrendo.
La figura non si muoveva, stava ferma nella sua postazione, e quando
la donna vi fu abbastanza vicina da distinguerne le fattezze, in un
primo attimo fu colpita da una sincera meraviglia destinata a
trasformarsi dopo qualche istante in bruciante delusione: la
misteriosa cosa aveva le sembianze spigolose e lungiformi di
una vecchia Renault nera, un po' sciupata e dai vetri appannati
dall'umidità.
“Che
ti aspettavi Naomi? Sei in un parcheggio, non in un film horror da
quattro soldi, perché devi fiutare il pericolo ovunque, anche
quando non c'è? Smettila di fare la cretina e tor...”
Il
suo discorso fu brutalmente interrotto dalle luci abbaglianti
dell'automobile che si accesero inaspettatamente, facendole mancare
un battito. La paura si impossessò nuovamente delle sue membra
offuscandole la mente, e si pentì di non avere l'abitudine di
portare sempre con sé la sua automatica. Si impose ancora una
volta di calmarsi e poi vide sgomenta sgusciare un tizio da sotto
l'automobile, con una chiave inglese in mano. Naomi si spostò
più a destra per guardare meglio e notò aguzzando la
vista che a terra vi erano sparsi degli attrezzi da meccanico.
Giungendo alla logica conclusione che quell'uomo stava semplicemente
aggiustando la sua automobile e che il rumore di prima era stato
prodotto probabilmente da quegli attrezzi che gli stavano attorno
alla testa, si tranquillizzò un poco.
“Nessuna
Kuchisake-onna
dunque, ma questo era scontato”.
«Ehm,
serve una mano?» disse incerta andando verso la sua direzione,
con una mano sulla fronte per difendere gli occhi dalla luce dei fari
che insieme alla nebbia creavano un effetto luminescente che non le
faceva vedere niente.
«Senta,
può spegnere questi fari? Mi stanno accecando!» gridò
con tono acido, quella situazione le stava facendo perdere le staffe
e, cosa ancora più importante, quella non era esattamente la
giornata adatta per mettere alla prova la sua pazienza. Il tizio, per
tutta risposta, la ignorò bellamente, si alzò da terra
e raccolse tutti quegli arnesi metallici posizionandoli nel cofano
posteriore dell'auto.
«Ehi,
mi sente?».
«Li
spenga lei. Tiri la levetta al lato sinistro del volante verso di
sé».
«So
come si spengono le luci di un'automobile!».
«Allora
se sa farlo, perché mi chiede che lo faccia io?».
“Ma
tu guarda che tipo! Che razza di risposta è mai questa?”,
pensò la donna. A quel punto poteva decidere di mandarlo a
quel paese e ritornare indietro dimenticando tutta quella storia, ma
non potendo sopportare ancora quella luce e non potendo mettere a
tacere il suo orgoglio femminile, ignorò il tono provocatorio
di quel tizio, aprì lo sportello, si sedette al posto di guida
e raggiunse il suo obiettivo. Non ebbe il tempo di compiacersi del
suo successo, che dallo sportello da lei lasciato aperto vide
quell'uomo salire con nonchalance, rischiando di schiacciarla col suo
peso.
«Ma,
ma... ma che sta facendo?!».
Per
non essere schiacciata, fu costretta a passare al sedile accanto e si
girò verso di lui con un muto rimprovero negli occhi.
“Ma
chi è questo rincitrullito? Non deve avere tutte le rotelle al
posto giusto oltre ad essere un gran maleducato!”, pensò,
scrutando attentamente davanti a sé per cercare di cogliere
qualche tratto del suo viso prima nascosto dalla nebbia, ora dal
buio. L'uomo allungò il collo verso di lei, quasi come se
avesse letto nei suoi pensieri e capito le sue intenzioni, mostrando
il suo volto. Naomi rimase letteralmente impietrita quando riconobbe
quei lineamenti nel pericoloso personaggio che aveva arrestato tre
mesi prima e che spesso l'aveva visitata nei suoi incubi. Non
riusciva a credere di averlo lì, in carne ed ossa difronte a
lei a sorriderle in un modo che la metteva a disagio. Un incubo
divenuto realtà, come si suol dire.
«No,
non è possibile, non può essere vero, tu... non puoi
essere davvero tu!»
L'uomo
le regalò un inquietante sorrisino e sempre con il suo fare
indifferente chiuse la sicura delle portiere.
«Buongiorno,
signorina Misora. È da un po' che non ci vediamo, non sei
contenta di rivedermi?», disse Beyond Birthday, avvicinando con
fare teatrale la testa alla sua interlocutrice ancora di più e
guardandola da dietro degli assurdi occhialini tondi.
Naomi
non sapeva cosa fare. Le opzioni erano tante: o gli tirava uno dei
suoi micidiali pugni sullo stomaco, o gli strappava quegli occhiali
ridicoli per il solo gusto di romperli in mille pezzi (ma questo non
l'avrebbe di certo salvata dal pericoloso criminale), oppure si
creava una via di fuga rompendo il vetro del suo finestrino (anche se
Beyond le era troppo vicino e, una volta capito le sue intenzioni, le
avrebbe impedito qualsiasi movimento ancor prima di provarci). In
poche parole non aveva vie di scampo. Dopo anni di esperienze dirette
con criminali del suo calibro, Naomi aveva compreso che alcuni di
loro – tra cui proprio lui - riuscivano a prevedere ogni mossa
delle loro vittime e che quindi era inutile agire in modo frettoloso
e istintivo, perché era proprio ciò che cercavano per
avere le loro vittime in pugno. Salire su quell'auto era stato un
errore che le sarebbe potuto costare la vita, lo aveva fatto senza
pensare alle conseguenze, cascando in pieno nel suo semplice tranello
e ingenuamente era finita dentro la tana del lupo fregandosi con le
sue stesse mani. Con un individuo così subdolo, l'unica e
l'ultima carta che poteva giocarsi era la diplomazia, ma doveva stare
attenta a come la usava. Dopo qualche istante di riflessione decise
di tentar la sorte e andare al sodo:
«Sarei
molto più felice se mi lasciassi andare, ad essere sincera.
Facciamo un patto: io farò finta di non averti visto e non
mobiliterò né la polizia né l'FBI nelle tue
ricerche, e tu mi lasci andare via sana e salva. Uccidermi non
avrebbe senso, servirebbe solo a creare scalpore e ad attirare
l'attenzione delle forze dell'ordine su di te. Se sei davvero
intelligente, e credo che tu lo sia, capirai che ammazzarmi sarebbe
un grosso errore».
Misora
spiegò la sua teoria con calma, senza farsi prendere
dall'agitazione, sperando che l'assassino l'avrebbe ascoltata.
Ovviamente avrebbe denunciato la sua evasione al più presto,
ma per ora doveva soltanto pensare a salvarsi la pelle.
«Ucciderti?
Oh, no, mia cara Misora, io non voglio ucciderla! Come lei ha
spiegato, non avrei nessun vantaggio nel compiere una simile azione,
non sono mica uno sprovveduto!»
Naomi
lo guardò con sospetto, non le piaceva per niente quella
situazione. Se non voleva ucciderla, allora perché l'aveva
indotta a salire in quell'automobile bloccando tutti gli sportelli?
La sua fronte corrucciata doveva sembrava avesse mostrato al killer
le domande che l'attanagliavano e infatti aggiunse:
«Si
starà chiedendo cosa voglia da lei allora, giusto? Glielo dico
subito».
“Quel
bastardo vorrà mettermi alle strette con qualche compromesso,
magari per aiutarlo a fuggire o per coprire qualche suo affare losco,
o forse per...”
«Volevo
solo farle una visita. Che ne dice di fare un giretto in città?
Guido io non si scomodi», disse il killer con un tono allegro
ed entusiasta interrompendo il flusso dei pensieri della donna.
“...Chee?!
Ma che sta dicendo?! Se non c'è davvero nient'altro sotto...
Dio, è più svitato di quanto ricordassi!”
Beyond,
restando fedele alle sue parole, girò la chiave e mise in moto
l'auto, mentre dal motore provenne uno scoppio poco rassicurante. Il
viso di Naomi era il tripudio della confusione, dell'ansia e dello
shock, la sua carnagione già chiara di suo era diventata
ancora più pallida e non riusciva più a connettere la
mente con la realtà, rifiutandosi di credere che tutto quello
stava succedendo davvero.
«RyuzaAAHHHH!»
gridò non appena la macchina partì a tutto gas
stridendo coi pneumatici sull'asfalto.
«Oh,
su Misora, un po' di contegno! Una donna elegante come lei non
dovrebbe gridare in questo modo così poco convenevole».
Naomi
non ebbe neanche la forza di controbattere alla frecciatina
dell'altro, troppo concentrata a guardare la strada e gli eventuali
ostacoli che si paravano di fronte.
«Ryuzaki,
il palo!»
Il
cartello che segnava l'entrata del parcheggio si avvicinava
inesorabilmente, ma Ryuzaki non cedeva minimamente a frenare, così
Naomi chiuse gli occhi e iniziò a pregare quel Dio che forse
aveva deciso di voltarle le spalle. Morire in quell'auto con alla
guida un pazzo furioso con istinti suicidi non era esattamente la
morte che si aspettava.
Inavvertitamente,
Beyond sterzò a sinistra, evitando miracolosamente quel
dannato palo e uscendo in una strada buia e deserta.
«Oh,
bene Misora, mi parli un po' di lei, della sua vita, cosa fa di bello
… cosa la rende felice» le chiese guardandola con il
solito mezzo sorriso in bocca.
«Ryuzaki,
guarda la strada, per favore!» lei invece rispose. Onestamente
non aveva capito la domanda, anzi non l'aveva proprio sentita. Non
era il momento per chiacchierare come vecchi amici, non era il
momento per chiacchierare e basta, con lui poi! L'unica cosa che
voleva era che fermasse sedutastante quella macchina e che la facesse
scendere o in alternativa che quell'agonia – ovvero quel
“giretto in città”, come lo chiamava lui - finisse
al più presto. Anche stavolta il killer sembrò leggere
i pensieri dell'agente e le disse:
«Si
calmi un po' Misora, non c'è nessun pericolo. Ho tutto sotto
controllo».
“Io
non direi”, pensò Naomi, ma al contrario rispose:
«Non
ho dubbi, Ryuzaki, ma forse faresti meglio ad andare più
piano…»
«Mai.
La vita è troppo breve per andare piano: o si corre, o non si
ci sposta per niente. E poi che senso ha andare più piano se
il tachimetro può segnare con la sua lancetta una velocità
fino a 350 chilometri all'ora? Se è stata segnata anche quella
velocità, significa che può essere raggiunta, non
crede? Perché andare piano e non sfruttare a pieno le
potenzialità dell'automobile? Non bisognerebbe mai
accontentarsi quando sai di poter avere di più, io odio chi
vorrebbe limitare le tue capacità, e per quale ragione poi?
Che abbia paura che le tue capacità possano dimostrarsi
superiori alle sue? Mai abbassare la testa a nessuno, mai, devi
sempre essere reattivo. Questo è il motivo per cui penso che
“andare un po' più piano” sia un'azione futile e
priva di senso, non mi lascerò influenzare da nessuno, neanche
da quei segnali che sono solo dei pezzi di ferro, nulla in confronto
a me».
«È
il tuo discorso ad essere futile e privo di senso, razza di
presuntuoso» bisbigliò Naomi per non farsi sentire.
«Come?»
«Niente,
niente, dicevo che hai una filosofia di vita piuttosto…
estremista. E poi mai sentito il detto “chi va piano va sano e
va lontano”?».
Senza
ascoltarla, Beyond svoltò bruscamente a destra imboccando una
strada molto più larga della precedente e con molte persone
che vi passeggiavano ai lati. Quando era comparsa tutta quella gente?
Naomi approfittò di tutta quella folla iniziando a gesticolare
segni di aiuto, sperando che qualcuno la notasse; ma niente, erano
tutti imbacuccati nei loro pesanti cappotti e troppo presi dalle loro
vite per potersi accorgere di lei. Tutto ciò le sembrava così
strano, perché nessuno si girava a guardare il bolide che
sfrecciava come un razzo, perché non la vedeva nessuno? Si
sentì improvvisamente piccola e indifesa, capì appieno
il modo in cui il destino le si era torto contro, e la cosa che più
la destabilizzava era che non poteva fare nulla, assolutamente nulla,
contro di esso. Non aveva armi, non poteva difendersi, non poteva
fermare quell'auto, non sapeva neanche dove la stesse portando. Quel
giorno si sentiva insolitamente vulnerabile, tanto che delle lacrime
calde iniziarono a scenderle sulle guance smorte lasciando una scia
tiepida che si raffreddò a contatto con l'aria gelida
dell'abitacolo facendola rabbrividire.
“Naomi,
avresti tutte le ragioni del mondo per piangere, ma non puoi farlo.
Combatti”.
Mentre
Naomi era imprigionata nel turbinio delle sue emozioni, Beyond
continuava la sua folle corsa, sterzando e frenando violentemente,
sbandando a destra e sinistra, tanto da abbattere la catasta di
cassette di frutta di un negozio, che per il forte urto ammaccarono
il paraurti già sgangherato dell'auto nera. Il viso del
criminale era imperturbabile, il suo sorriso non si incrinò
neanche per un istante: tutto ciò era maledettamente
divertente per lui. Naomi strinse spasmodicamente le mani nel bordo
del polveroso sedile, la sua frustrazione si trasformò
rapidamente in una rabbia che le imporporò le guance. Guardò
irata l'autista – o meglio, il pirata della strada - al suo
fianco, le persone indifferenti che con le mani immerse nelle tasche
dei loro giubbotti continuavano a camminare come marionette, le sue
stupide e inutili lacrime che le avevano bagnato il viso: era sul
punto di scoppiare in una crisi di nervi. Il suo autocontrollo si
spezzò come un foglio di cristallo non appena intravide una
bambina, dai lunghi e lisci capelli biondi stretti in due trecce
infiocchettate, attraversare la strada incurante del pericolo che
incombeva su di lei.
«CAZZO,
RYUZAKI, FRENA!»
Un
tonfo atroce. Era successo tutto in pochi secondi, troppo veloci per
permettere a Misora di rendersi conto di ciò che era appena
accaduto. Il suo corpo fu sballottato contro il finestrino per via di
un'ennesima manovra sconsiderata e il vetro del parabrezza era
incrinato e formava una macabra ragnatela intrisa di sangue; la
macchina continuava a correre e sobbalzò sugli ammortizzatori
quando le ruote colpirono un dosso. Naomi girò il capo
verso il lunotto posteriore notando che ciò che avevano
calpestato era proprio il corpo della ragazzina ormai esanime. Un
brivido la percorse tutta, era sotto shock, iniziò a respirare
affannosamente e senza controllo dalla sua gola uscirono alcuni
mugolii terrorizzati.
«Ryu-ryzaki,
fer-fer-fermati, ti prego».
«Ku
ku ku, Misora dovrebbe guardarsi allo specchio, è davvero
buffa. Non riesco quasi a riconoscerla».
«Hai
appena ucciso una bambina senza neanche darle soccorso! Adesso basta,
finiamola con questa farsa, sei solo un pazzo! Tu sei pazzo, pazzo!».
«Mi
perdoni se glielo dico Misora, ma qui la figura della pazza la sta
facendo lei, ku ku ku ku».
Naomi
non ne poté più, essere chiamata pazza da quel deviato
fu la classica ultima goccia che fa traboccare il vaso. Lo assaltò,
tolse le sue mani dal volante e prese il controllo del veicolo.
«Misora
cara, finalmente! Mi chiedevo quando ti saresti decisa a prendere il
controllo della situazione ...»
«Fermati
Ryuzaki, fermati, STOP!»
Il
piede di Ryuzaki premette con vigore sul pedale del freno e
l'automobile si fermò, lo fece davvero. Una pesante abulia era
scesa sia dentro che fuori l'automobile, la calma astratta di prima
sembrava essere ripiombata tutto attorno, il disastro appena avvenuto
sembrava non esserci mai stato. Naomi tornò tremante al suo
posto, inghiottì il groppo che aveva in gola e guardò
davanti a sé con occhi vacui: al di là del vetro rotto
e insanguinato, il segnale dello stop era irto e in bella vista con
il suo monito ai conducenti. Dopo qualche minuto di tombale silenzio,
Naomi si accorse che quella era proprio la strada che si incrociava a
quella degli orribili appartamenti di prima, infatti all'angolo
dell'incrocio c'era quella casetta che aveva notato per i suoi fiori
rossi. Fiori rossi?
«Quei
fiori erano gialli, prima», pronunciò ad alta voce,
risultando fuori luogo con la drammaticità del momento. Ma
ormai, cosa c'era di normale in tutto questo?
Con
gli occhi ancora puntati al vaso dei fiori, abbassò
gradualmente lo sguardo e andò a finire su una donna tutta
vestita di nero, con dei lunghi stivali di pelle a fasciarle i
polpacci e un giubbotto, anch'esso di pelle nero a coprirle il busto.
Era ferma, al bordo del marciapiede, con gli occhi chiusi e i pugni
stretti: era lei.
«…
Che cosa significa? Perché sono lì fuori? Io sono qui!»
chiese Naomi più a se stessa che al suo compagno di viaggio
ancora più confusa.
«Prova
a pensarci, Misora» disse Beyond col tono di chi la sa lunga,
«dove ti trovi adesso? Che città è questa? Che
ore sono?»
Naomi
lo guardò come si guarda un pazzo, ma su quello non c'era poi
da meravigliarsi più di tanto, dopotutto pazzo lo era davvero.
Era ovvio che si trovasse... un attimo, dove si trovava? Spremette
le meningi per ricordare, ma non né ricavò un ragno dal
buco. Anche alle altre domande non riuscì a trovare una
risposta. Tutta quella storia aveva del ridicolo, anzi era totalmente
assurda! Si concentrò allora sulle anomalie che aveva
riscontrato nel suo cammino, forse quelli erano gli indizi per
risolvere il mistero. Quei fiori prima gialli e poi diventati rossi,
le scale spuntate dal nulla, quel parcheggio troppo deserto, le luci
della macchina che - ora che ci pensava - si erano accese da sole, la
gente che passeggiava senza stranamente notarla, e ora vedeva anche
un'altra se stessa fuori su quel marciapiede.
«Questo
è un sogno» disse con consapevolezza, finalmente
ridestata dal torpore in cui era immersa.
«Esatto,
brava! Sei davvero perspicace, Misora», disse Ryuzaki emettendo
una risatina. Di scherno? Di divertimento? Chissà, poco
importava.
L'altra
Naomi attraversò finalmente la strada, sparendo nella nebbia.
L'uomo
strozzò la sua risata e ricompose il viso che adesso aveva
un'aura solenne.
«Misora,
voglio farle una domanda, se me lo permette» esordì lui,
e senza aspettare il suo consenso proseguì: «Lei chi
crede di essere? Chi è lei realmente?»
Naomi
si voltò verso di lui e lo guardò stranita.
«Cosa
vuoi dire, Ryuzaki?»
«Lei
è quella donna confusa e sperduta nella nebbia, incapace di
orientarsi e di orientare la sua vita, quella donna vittima di agenti
a lei esterni che vogliono plasmarle una via ottenebrata,
offuscata e a lei sconosciuta, oppure è la donna che ho a
fianco, pronta a rivendicare il suo volere se questo non viene
rispettato, anche con la forza se è necessario?»
Ryuzaki
parlò scandendo bene ogni parola, non aveva il suo solito tono
canzonatorio, era calmo e la guardava con i suoi occhiali da sole
troppo grandi, aspettando una sua risposta. Naomi restò
sinceramente colpita e per la prima volta prese seriamente le sue
parole. Ci pensò su per una manciata di minuti torturandosi le
dita delle mani, poi alzò la testa e tornò a guardarlo:
«Continuo
a non capire» disse.
«Oh,
andiamo Misora, so che ha capito, non faccia la finta tonta che non
le riesce per niente. Sa bene a cosa mi riferisco...»
Naomi
emise un sospiro sconsolato e abbassando il capo continuò: «È
vero, so a cosa ti riferisci e penso che tu abbia ragione Ryuzaki. Io
so di essere ben diversa da come appaio ultimamente».
Lui
annuì compiaciuto, accarezzandosi le maniche nere della
maglia.
«E
tu? Tu chi pensi di essere, Ryuzaki?» continuò Naomi
seguendo il movimento delle sue mani ossute.
«Intanto
sono Beyond, non Ryuzaki».
«D'accordo,
Beyond».
«È
una bella domanda, Misora» disse volgendo lo sguardo al suo
finestrino. Tolse gli occhiali posandoli sul cruscotto e restò
in silenzio a macinare i suoi pensieri.
«Direi
che sono un assassino» concluse, voltandosi verso l'agente con
un'aria indecifrabile in viso.
Naomi
improvvisamente sentì il desiderio di saperne di più,
di lui, della sua vita, del perché aveva deciso di uccidere:
non poteva e non voleva accettare solo quella risposta, per quanto
vera. Rimase in attesa, sperando che Beyond aggiungesse qualche altra
informazione in più su di sé, ma ciò con suo
disappunto non avvenne.
«Abbia
cura di lei, Misora. Non rinneghi se stessa per il volere di
qualcuno, anche se è la persona che più stimi al mondo.
Si ricordi che non tutti gli assassini usano un coltello per
uccidere».
«Questo
è un addio?».
«Oh,
no Naomi» disse allegramente rivolgendole un sorriso. «È
un arrivederci».
DRIIIIIN!
Naomi
per poco non cadde dal letto al sentire il suono assordante della
sveglia. Guardò con gli occhi gonfi di sonno il display
digitale di quell'aggeggio infernale.
Le
sette del mattino.
Sbuffò
e riuscita a districarsi dalla morsa delle lenzuola attorcigliate
alle sue gambe, si alzò e scese verso la cucina. Mentre la sua
tazza di latte riscaldava nel microonde, si avvicinò alla
finestra e la aprì. L'aria gelida penetrò fin sotto il
pigiama di flanella panna e le avvolse il collo. Gli umori della
pioggia abitavano ancora nell'atmosfera, nel cielo grigio si
intravedeva una maceria di cielo azzurro pronta a scomparire per
l'arrivo di un banco di nebbia. Al suono del timer, Naomi richiuse la
finestra e si avvicinò al fornello. Un foglietto a righe
attaccato al frigorifero con una calamita che raffigurava una Los
Angeles in miniatura attirò la sua attenzione. Lo afferrò
con una mano, mentre con l'altra teneva la tazza bollente cercando di
non scottarsi. Si grattò la testa sconfortata: era la lista
della spesa che ancora doveva essere spuntata. Con quel nuovo
pensiero in testa, i ricordi del sogno morirono senza lasciare tombe
nella sua mente.
Svanirono
diventando nebbia nella nebbia.
[Angolo
Autrice]:
Buonasera
efpiani!
Questa
storia era stata pubblicata qualche giorno fa, ma rendendomi conto di
non esserne soddisfatta l'ho cancellata e ripostata con alcune
sostanziali modifiche nella trama e delle correzioni. Quindi se
qualcuno di voi l'ha letta prima e poi vista sparire nel giro di
un'ora questo è il motivo ^^”
Questo
è il prodotto finale, spero di essere riuscita a intrattenervi
e di non avervi annoiato, essendo la mia prima storia temo che ci
siano molte imperfezioni che rendino la lettura poco scorrevole... in
tal caso spero di migliorare! Se avete dei consigli da darmi sarò
ben felice di ascoltarli (leggerli), magari con una recensioncina ina
ina se vi va.
Vi
lascio alle note:
la
leggenda giapponese che il nonno racconta a Naomi esiste realmente.
Ho preso informazioni da Wikipedia, per chiunque voglia saperne di
più lascio qui di seguito il link →
http://it.wikipedia.org/wiki/Kuchisake-onna
La
bambina che Beyond investe uccidendola è Quarteer Queen, la
seconda delle vittime del Los Angeles Murder Case. La piccola
descrizione fisica che ho dato è frutto della mia fantasia.
Una
delle ultime enigmatiche frasi di Beyond - “si
ricordi che non tutti gli assassini usano un coltello per uccidere”-
può avere due interpretazioni: può riferirsi a Raye,
che con il suo comportamento sta “uccidendo”
metaforicamente l'animo indipendente di Naomi, oppure volendo può
riferirsi a Kira, l'assassino che la ucciderà scrivendo il
suo nome su un frammento di Death Note. A voi la scelta.
La
lista della spesa dell'ultima scena è l'emblema di ciò
che accadrà a Naomi in futuro, cioè della vita che
vivrà a seguito delle dimissioni dal suo lavoro.
Bene,
smetto di tediarvi ancora! Grazie di essere passati di qui e di aver
letto!
Buone
feste ♥
Synapsis
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