Dannatamente Bella

di Infelicecronica
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Maledizione, questa era l’ultima cosa di cui avevo bisogno, adesso. L’ultima e…la più indispensabile. Mi ero arreso da 90 anni alla solitudine, una solitudine fredda, grigia, eterna. Credevo che nessuno di loro, nessun umano, si sarebbe mai avvicinato a me o a quelli della mia specie; e pregavo che ciò non accadesse, che non sentissi più il richiamo aspro del sangue, che non desiderassi più di affondare i denti nella carne umana. Pregavo di non vedere un’ assassino, la mattina, guardandomi allo specchio. Per questo ho sempre evitato qualsiasi contatto umano, anche il più banale, anche il più insignificante, il più innocente. Poi ho capito che il concetto di innocenza non esiste ,per quelli come me. Ho ceduto, in passato, più di una volta. Non ce la feci, spezzai le catene a cui io stesso mi ero legato per proteggere il mondo dal mostro che celavo dentro; ma qualcosa che andava ben oltre il razionale riuscì ad impossessarsi di me, del mio corpo, della mia mente, di tutto. Mi pervase completamente, potevo sentirlo conquistare ogni centimetro quadrato del mio essere. Non era semplice istinto, di questo ero consapevole, era più…più quel riflesso incontrollabile, potente, perverso che ti catapulta in una realtà dove tu non sei più tu, ma solo lo spettro fioco di un te stesso svuotato da ogni goccia di forza di volontà. In quei momenti mi sembrava di entrare nella testa di uno spacciatore che si iniettasse in vena una dose della sua droga preferita; capivo gli impulsi che lo portavano a quell’atto, li approvavo, lo incitavo a spingersi oltre. Perché anche io mi ero spinto oltre: io avevo ucciso. Era un vecchio, si chiamava Tom; vedovo da una decina d’ anni. Aveva due figlie. Frequentavo con loro il corso di fisica molecolare, a scuola. Le vidi a lezione, una settimana dopo quello che mi ostinavo a definire “incidente”; non osai alzare lo sguardo dal quaderno, quella volta; il terrore di incrociare i loro sguardi comprimeva ogni mia singola cellula. Ma i loro pensieri, no, non potevo ignorarli: noi vampiri li percepiamo e basta, non siamo in grado di reprimerli o zittirli, per il semplice fatto che non ci appartengono. E non ebbi alcuna via di fuga quando il loro flusso iniziò a circondarmi, a perforarmi il cervello, a scavarmi il cuore, a graffiarmi i polmoni. I miei timpani pulsavano, oppressi da un silenzio assordante, il campo visivo si ampliava e si restringeva ad una velocità spaventosa, le pareti dell’ aula si comprimevano, come se volessero schiacciarmi tra loro. E quanto, quanto desideravo che ci riuscissero. Perché la morte, a volte, è la scelta più desiderabile. “Peccato, Edward” infieriva allora un’ altra coscienza, la mia, questa volta “Peccato che a te sia preclusa anche la morte. Tu sei già morto, Edward, ricordatelo.” E me lo ricordo. Lo ricordo benissimo. Da allora, gli umani si sono trasformati nella mia kryptonite. Ed è giusto così; giusto, ma terribilmente frustrante. Fino ad oggi, fino a poche ore fa, la paura di cadere irrimediabilmente nel vortice della dipendenza dal sangue umano era bastata a tenermi lontano da chiunque ne possedesse anche una sola goccia; ma qualcosa è cambiato. Quella ragazza, Bella, così la chiamano. Bella. Persino il suono del suo nome mi attrae, dannazione. E’ così…diversa, diversa da tutti quelli della sua specie che ho visto in 90 anni ; il suo odore…quel profumo, così dannatamente buono. Mi sento incredibilmente simile ad un’ ape attratta dalla fragranza di un fiore, in questo momento. E il suo sguardo…mi ricorda quello dei cervi che caccio ogni notte, così vigile, ma allo stesso tempo vulnerabile, timido ma deciso, indagatore, sveglio…dolce. Dolce tanto quanto deve esserlo il suo sangue. No, non pensare al sangue, non pensare al suo sangue. Non ti appartiene. Appartiene solo a lei, solo a Bella. E tu non sei un assassino. Sei solamente un vampiro pazzo che non ha mai desiderato tanto intensamente del sangue umano, prima d’ ora. Sei solamente un vampiro masochista che non riesce a togliersi dalla testa l’ immagine di quella ragazza dalla mente illeggibile. Già, illeggibile. E’ la prima volta che faccio i conti con questo aggettivo. Sono sempre riuscito a valicare i confini del pensiero altrui, sempre, da quando sono ciò che sono; ma con lei anche questo non è più lo stesso. Anche questo adesso ha un limite, un limite di nome Isabella Swan. E la cosa più frustrante è che desidero disperatamente capire quali pensieri attraversino quella fronte pallida e perfetta, quando si volta a guardarmi. Devo saperlo, o la curiosità, o qualunque cosa sia ciò mi invade il petto quando ripenso alla ragazza dagli occhi di cervo, finirà per uccidermi. “Ah, Cullen, quante volte ancora dovrò ripetertelo? Tu sei già morto.”




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