La felicità è attaccata addosso.

di Ritalyyz
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Ricordo che una volta mi dissero che la felicità è in ognuno di noi, appiccicata sulla pelle, che scorre nelle vene tutt’uno col sangue.
E quando dubitiamo della sua esistenza non facciamo altro che dubitare di noi stessi, della nostra essenza e ci perdiamo nell’incertezza.
Allora confondiamo il disagio del dubbio con la tristezza, abusiamo del termine, autoconvincendoci che sia l’unico in grado di tradurre la nostra smaniosa voglia di felicità deviata e impossibile.
Quando ero in riformatorio, pensavo che la felicità non mi appartenesse e che fosse soltanto una forza estranea e mistica, perché li i sorrisi erano rari come i fili di edera in una città d’inverno mentre i pianti erano portatori improvvisi di tristezza, erano figure oscure celate dietro ogni angolo, che strozzavano il respiro e incupivano l’animo.  
E’ passato tanto tempo da quando sono andato via dal quel posto sebbene la mia mente sia ancora confinata da mura alte e da una collina senza verde e il corpo ridefinito da segni indelebili come tatuaggi senza inchiostro. Non è vero che il tempo rimargina tutto né può nulla contro le piaghe del cuore. 
Tredici anni dopo ho capito che niente può cancellare ciò che è stato e che il passato è una bestia dai lunghi artigli che logora le membra.  
Tredici anni dopo sono qui a un tavolo con tre miei amici, gli stessi che condividono le mie ferite e conservano lo stesso dolore.
Eppure in questo istante mi sembra che tutto si sia prosciugato, esaurito e limitato in un angolo remoto della memoria, non mi ricordo di niente, la mente è sospesa nel vuoto e il cuore rallenta il suo pulsare. Vedo solo sorrisi e occhi dalle iridi accese, chissà che sapore ha la felicità. Quando mi dissero che la felicità ce l’avevo attaccata addosso, avevano ragione, peccato che me ne ero dimenticato.

 





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