A song for a prince
Quando gli avevano detto che era un
Targaryen, Jon aveva riso sarcastico e scosso la testa incredulo. Erano nel bel
mezzo dell’Inverno, con gli Estranei alle porte della Barriera che minacciavano
di portare morte e distruzione in tutti i Sette Regni e quindi no, non aveva né
il tempo né la pazienza di pensare di essere il bastardo di un principe defunto
e di una donna che fino a poco tempo prima faticava a riconoscere anche come
semplice zia.
Anche se pochi anni prima, quando era
ancora un ragazzo, aveva smaniato per sapere chi fosse sua madre. O anche solo che volto avesse.
Ma ora era un uomo dei Guardiani
della Notte. Era un uomo.
Ed era in guerra.
Nonostante da sveglio riusciva a
rinchiudere in un piccolo cassetto le nuove informazioni
e portava a compimento il suo compito senza distrazioni inutili, quando dormiva
gli era difficoltoso non pensarci.
Estremamente complesso è infatti il controllo
del mondo onirico.
Non di rado gli capitava di sognare
una lady dai lunghi capelli castani, intrecciati con meravigliose rose blu,
stretta nelle braccia di un principe dai capelli argentei in un armatura nera
ornata da rubini rossi.
Non riusciva mai a scorgerli in viso,
segno che la sua mente si rifiutava di creare qualcosa di cui ignorava la
realtà.
Non poteva muoversi, né parlare.
L’unica cosa che poteva fare era guardarli mentre si scambiavano dolci promesse
di amore e baci disperati.
Howland Reed gli aveva assicurato che
i suoi genitori si amavano ed era per questo che erano scappati insieme, in
barba a fidanzamenti e matrimoni.
Per questo avevano causato una
guerra.
Per questo e per una profezia.
Da quando Howland Reed aveva portato
notizia che lui era il figlio di un principe, lady Melisandre aveva
improvvisamente deciso che la reincarnazione di Azor Ahai, il Principe che fu
promesso, o qualche altra stupida figura eroica di qualche altrettanto stupida
leggenda, doveva essere assolutamente Jon; che aveva sangue di re nelle vene –
di ben due re, considerato che gli Stark un tempo erano chiamati tali - e che era il prescelto di R’hllor, dato che
nel fuoco lei non vedeva altro che neve.
Snow.
Lui all’inizio aveva provato a
dissuaderla, ricordandole che doveva essere Stannis Baratheon il suo eroe, ma
lei aveva preso a farneticare qualcosa su come il re era stato soltanto un
mezzo per arrivare alla Barriera, da lui, e che si era solo sbagliata a
interpretare ciò che il Signore della Luce le aveva detto.
Poi quando era arrivata la regina
Targaryen - luminosi occhi violetti, splendenti capelli argentei e una bellezza
che aveva immediatamente stregato tutti – Jon aveva provato a far credere a
Melisandre che forse era la ragazza la prescelta, e che i suoi tre draghi erano
la prodigiosa Portatrice di Luce, ma la donna era maledettamente testarda
quando ci si metteva e aveva insistito che l’unico e vero campione del suo Dio
era proprio Jon.
Per quanto lui fosse grato alla donna
per averlo curato – o riportato in vita, se si voleva dare ascolto alle
fantasticherie dei suoi confratelli – dopo l’attentato perpetrato dai suoi
stessi uomini, in alcuni momenti Jon le avrebbe voluto volentieri ficcare la
lama di Lungo Artiglio nella gola.
O avrebbe desiderato squarciare la
propria.
Per una qualche misteriosa ragione da
quando la verità era venuta a galla, Jon non era passato da bastardo Stark a
bastardo Targaryen, come si era aspettato, ma tutti avevano preso a
considerarlo come se fosse davvero un principe.
I primi a farlo erano gli uomini
della regina – o forse era meglio chiamargli uomini della Donna Rossa – che
avevano visto in lui Azor Ahai risorto. Poi, trasportati dall’entusiasmo dei
cavalieri e dalla sua prodigiosa rinascita
– come tutti amavano chiamare lo spiacevole episodio con Bowen Marsh – anche
alcuni confratelli avevano preso a considerarlo tale.
Jon aveva cominciato a prendere a
male parole chiunque osasse tirare fuori la questione direttamente con lui e si
era a poco a poco isolato da tutto e tutti, diventando insofferente a chiunque
lo circondasse.
Non era mai stato così solo.
L’unico di cui riusciva a sopportare
la presenza, oltre Spettro, era Sam; che era tornato dalla Cittadella con una
catena al collo, un inaspettato coraggio al posto della paura e saggio come non
era mai stato.
<< In questi tempi bui sei il
loro faro di speranza >> aveva tentato di spiegarli, gentile e discreto
come solo Samwell Tarly era capace di essere.
Jon aveva sbuffato, scosso la testa e
borbottato qualcosa che assomigliava vagamente ad un “Non voglio essere un bel niente per nessuno”.
Non molto maturo per chi si sfregiava
del titolo di Lord Comandante dei Guardiani della Notte, nonostante tutto.
Sam si era limitato a sorridere
leggermente e a posargli una mano sulla spalla, in un gesto rassicurante che
per un momento gli aveva scaldato il cuore.
Avvertì un improvviso moto di affetto
per quel timido, coraggioso ragazzo.
Sam era stato l’unico che aveva
continuato a trattare Jon come sempre, dopo esser venuto a conoscenza di chi
erano in realtà i suoi genitori. Non come principe o eroe, ma solo come un
amico.
Un fratello.
Jon ringraziò gli Antichi Dei per
averglielo fatto conoscere.
Contro ogni previsione la guerra era
andata a loro favore.
Avevano vinto.
Le casate provenienti da ogni parte
del Regno – grandi o piccole che fossero - si erano unite in una sola armata
per combattere e vincere il nemico Estraneo.
All’inizio nessuno avrebbe scommesso
un soldo su quella imprevedibile e impossibile grande alleanza. I Lord del Nord,
delle Terre dei Fiumi e della Valle di Arryn – con a capo gli Stark
sopravvissuti, Arya, Rickon e Sansa
- osteggiavano apertamente Bolton, Frey e
Lannister; a loro volta Martell, Greyjoy e Targaryen si erano uniti contro i
Lannister, i Tyrell e i Baratheon, anche se Stannis continuava a tenere in
ostaggio la principessa Asha e il principe Theon Greyjoy. I Lannister –
pieni di debiti e ormai resi stanchi dalla guerra e dalla stupidità della
regina Cersei – erano apertamente contrastati da tutte le altre case.
Anche i Bruti erano malvisti e
diffidati da tutti, contribuendo a creare discordi e malumori.
Ma oltre le iniziali diffidenze i
guerrieri e i loro Lord erano riusciti a collaborare, a combattere e a
trionfare assieme.
Chi era uscito davvero vittorioso e
quasi acclamato come eroe, erano stati la regina Daenerys Targaryen, che aveva
sgominato gli Estranei dall’alto dei suoi tre draghi con fuoco e sangue, e il Lord Comandate Jon Snow, che aveva combattuto
sempre in prima linea il nemico, senza esitazione o paura alcuna, con l’enorme
metalupo albino sempre al suo fianco.
Ma loro erano solo la facciata
esteriore della grande co-operazione avvenuta in quegli anni. Chiamati eroi
dovevano essere anche Stannis Baratheon e Jamie Lannister, caduti valorosamente
mentre combattevano fino alla morte con il nemico, Tyrion Lannister e Doran
Martell, che con la loro intelligenza e astuzia avevano pianificato attacchi e
strategie, le sorelle Stark e le Serpi delle Sabbie, che nonostante il loro
essere donne avevano insistito per rimanere sul campo di battaglia per
combattere e difendere ciò che amavano, Asha e Theon Greyjoy, che malgrado il
loro iniziale status di ostaggio avevano convinto gli uomini di ferro a usare
le loro navi per portare provvigioni e armi all’alleanza, portando a termine le
razzie a carico dei territori indifesi. Eroe dovevano essere chiamati Sam e
tutti i maestri che avevano salvato e curato tutte le vite di colore che
soccombevano sotto la lama Estranea.
Eroi erano tutti i soldati morti
coraggiosamente o sopravvissuti alla battaglia, che avevano dato tutto per
proteggere la terra che chiamavano casa.
Perché per proteggere i Sette Regni
non c’era bisogno di spade magiche o eroi risorti.
Per proteggere il reame c’era bisogno
di uomini valorosi e donne coraggiose che lottavano per ciò che amavano.
Su questo, pensò Jon, Rhaegar
Targaryen si era sbagliato.
A fine guerra era rimasta terra
bruciata, casate distrutte e morte ogni dove. Ora che il pericolo degli
Estranei era cessato, l’odio e i risentimenti per i nemici umani era tornato
forte quanto prima a infiammare il cuore degli uomini.
Ma oltre la devastazione era stata
piantata anche un’altra cosa: la speranza di ricostruire ciò che si era
perduto.
E l’Inverno stava arrivando al termine.
Daenerys Targaryen, bella e
vittoriosa, era riuscita a uscire trionfatrice anche dalla lotta per il Trono;
vincendo sulla stanchezza che le altre case provavano alla fine di numerose
guerre.
I Lord avevano abbassato il capo e si
erano inginocchiati davanti alla conquistatrice, giurando lealtà e agognando
solo pace e tranquillità per ricostruire ciò che la Guerra dei Cinque Re e la
Guerra dell’Alba avevano portato via.
Anche Jon desiderava fare lo stesso,
ricomporre ciò che era andato in pezzi e riportare serenità ai pochi Guardiani
della Notte rimasti in vita.
Ma la regina Targaryen aveva bisogno
di un re e per ripristinare la sua nobile casa aveva necessità di qualcuno che
avesse lo stesso sangue nelle vene.
All’inizio la scelta era ricaduta sui
Martell, ma Quentyn Martell era morto e Doran era decisamente troppo vecchio e
malato. Qualcuno aveva azzardato il nome dei Baratheon, ma l’unica
sopravvissuta era Shireen Baratheon, una opzione certamente non praticabile, e
comunque Daenerys si era rifiutata di avere un qualche tipo di legame con la
famiglia dell’Usurpatore.
Quindi l’ultima, l’unica, scelta era il bastardo di suo fratello Rhaegar. Suo
nipote.
Jon Snow.
Lui aveva provato a rifiutare, prima
spiegandole con calma che era un Guardiano della Notte e che aveva fatto un
giuramento che non poteva spezzare, aveva provato con la scusa di essere un
bastardo e addirittura le aveva detto che in ogni caso si sentiva, era, più Stark che Targaryen
Ma ogni protesta era rimasta
inascoltata, in quanto la regina prima aveva inviato una dozzina di uomini per
prendere il suo posto alla Barriera – che malgrado tutto si ergeva solida e
protettiva – e poi aveva replicato che, bastardo o no, aveva sangue Targaryen
nelle vene. Sangue di re.
Per un attimo Jon aveva visto
sovrapporsi a Daenerys Targaryen l’immagine di Melisandre di Asshai.
Nonostante le sue opposizioni, Jon
Snow era divenuto Jon Targaryen,
legittimo figlio di Rhaegar Targaryen e Re dei Sette Regni.
Non amava né provava alcun tipo di
simpatia per la sua sposa, anzi trovava quasi sgradevole Daenerys. Sin dalla prima volta che l’aveva vista aveva
provato una sorta di antipatia a pelle per la giovane donna, antipatia che si
era intensificata quando era stato costretto a sposarla. Forse era a causa
della sua pretesa di governare un regno che non conosceva e non le apparteneva
solo perché tempo addietro suo padre, un folle, aveva seduto sul Trono. O forse
perché, quando era arrivata, la regina dei draghi aveva preso ad insultare
tutti i Lord che si erano uniti alla Ribellione di Robert Baratheon, senza
preoccuparsi di informarsi sulle ben più che valide ragioni che li avevano
spinti a farlo. E Jon non riusciva ad accettare che una completa estranea
sparasse giudizi sul Lord suo padre – non padre, Jon. Lord Stark non è tuo padre
– senza conoscerne le motivazioni, calpestando la memoria della persona più
buona, giusta e onorevole che aveva mai avuto la fortuna di conoscere.
Da quando era divenuto Re, Jon aveva
con sé i ritratti di Rhaegar e Lyanna, creati dal più bravo artista dei Sette
Regni. All’inizio non sapeva il perché aveva deciso di tenerli, ma col tempo si
era rassegnato ad ammettere che inconsciamente aveva desiderato possedere
qualcosa che gli ricordasse le persone che lo avevano messo al mondo, anche se
nel profondo Jon continuava a considerare Eddard Stark il suo vero padre e il
principe Rhaegar come un perfetto estraneo.
Daenerys si era detta deliziata da
una simile iniziativa e aveva a sua volta ordinato un ritratto di sua madre, la
regina Rhaella. La raffigurazione di suo padre Aerys però non l’aveva voluta.
Malgrado le moine e le notti di
sesso, Jon sapeva che neanche lui andava a genio alla moglie, che preferiva di
gran lunga altri tipi di uomini, e che anzi lei provava la sua stessa
avversione, sia per lui che per Lyanna Stark, che riteneva la causa per la
morte di suo fratello e la rovina della sua famiglia.
A dispetto della reciproca
insofferenza non si erano mai traditi e si dimostravano uniti davanti alla
corte e i sudditi, dimostrando un amore che in realtà non provavano. Gli unici
a sapere la verità erano le Guardie Reali, che non li lasciavano mai soli e
indifesi, e il Primo Cavaliere Tyrion Lannister, confidente fidato della
regina. Jon non aveva avuto nulla
da ridire sulla scelta di sua moglie, aveva conosciuto in passato il Folletto e
avevano pianificato insieme strategie di battaglia, e sapeva che malgrado il
cognome era un uomo onesto.
Alla nascita del suo primo figlio,
Jon si era sentito l’uomo più felice del reame. Anche se non amava la moglie, per
la quale con gli anni aveva comunque iniziato a provare a sentire dell’affetto,
adorava i suoi figli.
Capelli castani e occhi viola, Rhaego
Targaryen – Jon avrebbe preferito un nome del Nord, ma Daenerys aveva insistito
e lui non se l’era sentita di contraddirla – pareva più Stark che Targaryen.
Quando era ancora abbastanza piccolo soleva arrampicarsi sulla schiena di
Spettro e cavalcarlo per la Fortezza Rossa come se si fosse trattato di un
cavallo. Il metalupo sopportava di buon grado tutte le angherie che il bimbo
gli infliggeva e ringhiava contro chiunque avrebbe potuto rappresentare un
minaccia, proteggendolo come un tempo aveva sempre protetto Jon.
Qualche anno dopo era venuta al mondo
Lyanna Targaryen, un bambola dai soffici capelli argentei e grandi occhi grigi,
che continuava a scrutare il mondo con una testardaggine che solo i bambini
hanno.
Jon non sapeva perché aveva dato il
nome di sua madre alla piccola. Tutto ciò che ricordava della confusione di
urla e lacrime del parto, era che in quel momento gli sembrava giusto così.
Rhaego dimostrava le abilità da
spadaccino del padre e della lusinga dalla madre, riuscendo ad abbattere i suoi
nemici sia con la spada che con la lingua.
Lyanna invece era più portata verso
l’arte della musica e aveva imparato a suonare l’arpa d’argento che un tempo
apparteneva a Rhaegar Targaryen. Aveva un visione romantica del mondo che a Jon
ricordava tanto quella che aveva Sansa Stark quando era ancora una bambina.
Quando Jon e Daenerys erano diventati
troppo vecchi - e Rhaego e Lyanna abbastanza grandi - avevano deciso di
abdicare al Trono in favore dei figli, che avevano manifestato il desiderio di
sposarsi tra loro, secondo le antiche usanze Targaryen.
All’inizio Jon si era dimostrato
contrario al matrimonio tra i figli, non avvezzo ai costumi dei Draghi, ma poi
i due erano riusciti a convincerli del loro amore, di come non avessero potuto
sposare altri, e aveva a malincuore accettato il loro volere.
In quegli anni in cui avevano
regnato, i Sette Regni avevano vissuto in pace, anche se per questo non si
illudeva di essere stato un buon sovrano, cosa che invece Daenerys affermava
con convinzione.
Jon sperava solo che l’armonia
sarebbe durata anche dopo la loro morte e la morte dei loro figli – che si
stavano sovrani ben più che capaci e amati dal popolo – e l’Estate continuasse
a dominare e riscaldare tutti.
I Sette Regni ormai erano stanchi di
sanguinare.