Caro Sasuke,
come va?
Sai, è da un
po’ di tempo che nella testa mi frulla l’idea di scriverti una lettera.
So che probabilmen…
Ehi, Sasuke,
cosa succede d’interessante nella tana di Orochimaru?
Gli allenamenti
progrediscono bene? Sono soddisfacenti?
E tuo fratello,
lo hai visto? Ti bombardo di domande e mi disp…
Sasuke,
finalmente trovo
il coraggio di buttare giù ciò che penso su questo foglio; bianco, vuoto ed
insignificante… un po’ come tu consideravi (o consideri, tuttora) i miei
sentimenti per te.
Suppongo che a te
non interessi minimamente ciò che ho da dirti, ma voglio provarci lo stesso,
perciò ti scongiuro di continuare a leggere e di non buttare via questo pezzo
di carta.
Qualche giorno fa,
rovistavo fra i libri contenuti nella libreria personale dell’ hokage – in caso
tu non lo sappia (dopotutto come potresti?) sono divenuta l’allieva di Tsunade
in persona – mi è capitato fra le mani uno strano libro.
Sai, quei libri antichi ed impolverati, che trattano di
argomenti ormai già discussi infinite volte e che la gente ritiene quindi privi
di valore.
Questo libro parla
di sole e luna.
Dice che la Luna è
un satellite, e questo si sa, ma non brilla di luce propria, bensì di luce
riflessa.
Forse lo riterrai stupido e privo di
significato, se non addirittura infantile, ma il mio pensiero è volato subito a
te.
Tu che sei stato
(e probabilmente sei ancora, non lo so più) la mia Luna personale, bella,
attraente e misteriosa. Ho pensato che la luce di cui brilli, quella riflessa,
è data dalla popolarità del tuo clan. O dalla popolarità della sua storia. Fin
da quando eravamo piccoli si parlava di te come il discendente degli Uchiha, la
prestigiosa casata possedente lo sharingan, ma di fatto non si conoscevano le
tue abilità… eri solo una stella appena nata, e come tutte, destinata a
brillare.
Invece, leggendo
meglio, il libro parla della luna, illuminata di luce riflessa dal sole.
Il sole… strano
come, pochi giorni prima del ritrovamento di questo libro, Naruto mi avesse
paragonata al sole; brillante, allegra, spigliata, senza troppi pensieri per la
testa (a detta di Naruto, sempre… se sapesse a cosa penso io tutti i giorni
credo non mi sopporterebbe più. Ed avrebbe anche ragione, purtroppo) ma
comunque responsabile… illumino la giornata degli altri.
Oh, questo è vero:
rendo quotidianamente felice Naruto, facendo finta di essere felice e lo sono
davvero ogni qualvolta che lui ottiene dei miglioramenti, accompagnandolo
all’Ichiraku Ramen, come al solito…oppure inorgoglisco Tsunade con i progressi
in ogni tecnica da lei insegnatami (e, te lo dico francamente, qualche volta mi
sfugge il nome del posto in cui Shizune
nasconde la chiave del mobiletto degli alcolici), e soddisfo pure lei, Shizune,
quando è troppo stanca per rimanere all’ospedale e mi offro di sostituirla
tranquillamente.
Io il sole, un po’
indispensabile per tutti…
Ed il sole, io,
dovrebbe far brillare la luna, tu.
È vero? Ti ho mai
fatto brillare?
Che razza di sole
sono se non riesco nemmeno a stare con te, Sasuke?
No, sole e luna
non possono stare insieme, non ne hanno l’opportunità.
Quando c’è il sole
la luna si nasconde e viceversa.
Per questo, con la
presente, ho deciso di lasciare perdere, Sasuke. Non ti disturberò più, non
verrò più a cercarti e tenterò di far ragionare Naruto.
Deve farsene una
ragione, come me la sono fatta io.
Ti amo
Ti amavo Sasuke,
ma ormai, non conta più nulla.
Sakura.
My Lost Innocence
I parte.
Il sole estivo batteva insistentemente sulla scrivania in
legno bianco pressoché disordinata. Libri, quaderni, fogli e penne erano sparsi
senza logica sulla superficie liscia e laccata, anche se era ben distinguibile
quel piccolo spazio fra le carte. Il tipico spazio che si forma quando, nel
disordine, qualcuno divide di netto le cose per farsi largo.
Peccato che in quel piccolo fazzoletto di scrivania vigesse
il nulla.
Sakura Haruno alzò le braccia in alto, stiracchiandole
pigramente e trattenendo a stento un mugugno insoddisfatto. Troppo sole, troppo
caldo.
Lanciò un’occhiata esasperata alla finestra spalancata,
imbronciando le labbra nel vedere il villaggio della foglia continuare
tranquillamente le proprie attività.
Fortunatamente Tsunade si era risparmiata l’allenamento
quotidiano – con un pugno secco sul muro e poi un’occhiata impietosita alla
vista dell’allieva stremata dalle missioni e dal caldo – e l’aveva esclusa
dalle missioni del giorno, come dal faticoso turno all’ospedale.
Senza pensare troppo all’espressione frustrata di Shizune,
Sakura abbassò lentamente le braccia, poggiando i pugni chiusi sul tavolo
ligneo e cominciò a cercare febbrilmente quel foglio nascosto chissà
dove. Alzò una pila di libri, spostò quaderni e penne e raccolse alla bell’e
meglio tutti i fogli presenti sulla scrivania, tentando di trovare alla svelta
ciò che aveva scritto la sera prima.
Corrucciò le sopracciglia, perplessa, sentendo il battito
cardiaco aumentare notevolmente.
“Se lo ha preso mamma, la uccido. È una cosa personale, personale,
cazzo!” pensò stralunata, aumentando la veemenza delle sue ricerche, prestando
poca attenzione a quel che cadeva dal ripiano troppo pieno per poter sopportare
tale ricerca forsennata.
Trasse un sospiro di sollievo quando, spiegazzato e
sgualcito, quel piccolo foglio di carta comparse fra le pagine del suo diario
personale. Diario regalatole per i suoi otto anni, e cestinato nell’angolo meno
usato della sua camera all’età di nove.
Prese fra le dita il piccolo foglio di carta bianca,
stirandolo alla meno peggio con le mani forse fin troppo sudate e tremanti, e
lo poggiò su quel piccolo spazio vuoto della scrivania.
Deglutì, trovando improvvisamente difficile quel gesto
involontario e spontaneo, e batté ciglio un paio di volte, prima di posare lo
sguardo verde foglia sulla calligrafia un po’ storta un po’ disordinata che
ricopriva il candore della carta.
Una lettera personale, per una persona da dimenticare. Ecco
perché, mentre cercava senza trovare, le risultava difficile persino respirare.
Cominciò a leggere; le labbra corrucciate in un quasi
broncio pensieroso, le sopracciglia piegate e una piccola ruga sulla fronte
ampia, segno di compunta concentrazione.
“Sasuke, finalmente trovo il coraggio di buttare giù ciò
che penso su questo foglio…”
Sakura cominciò a battere nervosamente un piede a terra,
trattenendo fra le labbra un sorriso irrisorio. Un sorriso per se stessa; più
leggeva quelle righe, più si rendeva conto di essere patetica.
Si era imposta di dimenticare, nonostante i pressanti
incitamenti di Naruto, di non sperare più e di lasciar correre: quel che
sarebbe stato, sarebbe stato. Cosa poteva farci lei?
Assolutamente nulla, se n’era resa conto. L’aveva scritto
anche in quella lettera.
“Per questo, con la presente, ho deciso di lasciare
perdere, Sasuke. Non ti disturberò più, non verrò più a cercarti e tenterò di
far ragionare Naruto”.
Tossicchiò, quasi
imbarazzata dalla sua ingenuità, e strinse convulsamente il foglio, piegandolo
maggiormente. Aveva capito che era inutile continuare a provare. Se non c’erano
riusciti per tre volte, perché la quarta sarebbe dovuta andare bene?
Aveva capito, Sakura.
Aveva capito.
Ma malefico nella sua semplicità e potenza, l’amore le
ordinava di scrivere quelle lettere: per dimenticare [ricordando], per
abbandonare ogni ricerca [e piangere ogni notte], per convincersi che
ormai quello che poteva fare, l’aveva fatto [ma non era mai abbastanza].
Sakura aveva dimenticato solo gli sforzi che aveva fatto per
piacere, convincere, trovare e battere Sasuke, le delusioni ed il dolore, ma
non lui.
Come poteva dimenticare colui per il quale aveva buttato via
una vita, allontanato le amicizie e tentato di tradire i suoi credo ed i
buoni propositi?
Era impossibile, e per questo lei, Sakura, era patetica.
Tentava di dimenticare – sai che non ci riuscirai, stupida
–, di lasciare perdere – e continui ad allenarti per lui, vero? – ma era
terribilmente inutile.
Patetiche le sue convinzioni, le sue speranze, patetica lei
perché lo amava ancora, ancora ed ancora.
“Ti amavo Sasuke, ma ormai, non conta più nulla”.
Accartocciò con ben poca eleganza la lettera e, tranquillamente,
la lanciò nel cestino affianco la scrivania, facendo canestro. Fosse stata una
persona maggiormente dedita alla poesia ed ai sentimenti (che ormai aveva
perso, ma non dimenticato) avrebbe pensato di paragonare quel foglio al suo
cuore; stracciato e buttato via. Il cestino al baratro di indifferenza e atonia
in cui era irrimediabilmente caduta dopo la sua partenza (e dopo tutti i suoi
rifiuti di tornare indietro) e lei… lei a Sasuke. Così fredda, così noncurante
di trattenere fra le mani ciò che pensava e che provava.
“Ed il sole, io, dovrebbe far brillare la luna, tu”.
«stronzate» sibilò
incattivita, gli occhi di un innaturale verde posati sul cestino, le mani
penzolanti lungo i fianchi. Scosse lievemente la testa, scotendo distrattamente
i corti capelli schifosamente rosa e permettendo loro di poggiarsi leggeri
sulle spalle coperte dalla maglia rossa.
«stronzate» ripeté
ostinata, il tono vocale pressoché assente e quasi etereo. Si guardò, scrutando
le curve troppo piccole, la pelle rovinata dall’eccessivo utilizzo di chakra,
le ginocchia completamente sbucciate e le caviglie gonfie.
«stronzate. Non sono mai
stata nulla per te, se non una schifosa, terribile, seccatura. Altro che sole e
luna. Stronzate!» esclamò, questa volta alzando la voce e colta da uno strano
impeto di vergogna.
Sospirò, tentando di
calmarsi con quel semplice gesto, e socchiuse gli occhi.
“stai calma, Sakura. È
inutile arrabbiarsi, lui non c’è mai stato, non c’è ora e non ci sarà mai.
Arrenditi. E non piangerti addosso come sempre, stupida bambina piagnucolona”
sospirò nuovamente, malinconicamente rassicurata da quei pensieri provenienti
dal suo Io.
Si alzò dalla sedia sulla
quale s’era abbandonata qualche minuto prima e raccolse frettolosamente le cose
lasciate cadere a terra nel furore di trovare la lettera.
Lasciando un po’ in
ordine, sua madre, probabilmente, avrebbe fatto meno rogne del solito.
Afferrò la tracolla che
utilizzava solitamente per portarsi dietro il ricambio dopo l’allenamento con
Tsunade ed uscì senza troppa fretta dalla camera, chiudendo la porta con un
lieve tonfo secco.
“Più mi comporto come sempre… meglio è”.
***
«signorina Tsunade! Signorina Tsunade!» una giovane donna
sulla trentina dribblò con facilità i due ninja Genma e Raido, sorpassandoli
velocemente ed evitando di rispondere accuratamente alle loro proteste. Non
accennò a fermarsi nemmeno quando Iruka le chiese gentilmente di fermarsi ad
aiutarlo con la lezione del giorno per i ragazzi dell’accademia; parlare del
quinto hokage.
«signorina Tsunade!» strillò con maggior veemenza Shizune,
spalancando senza bussare la porta dell’ufficio della donna. Tsunade si alzò di
scatto, sussultando a quell’improvviso movimento da parte dell’allieva e
tentando di nascondere ogni traccia di briciole sulla scrivania.
«ma che modi! Hai dimenticato l’educazione, Shizune?»
domandò seriamente preoccupata la bionda, alzandosi dalla poltrona dietro il
tavolo e raggiungendo la giovane.
«signorina Tsunade, abbiamo un problema. Un problema
piuttosto grave, anche» spiegò senza riprendere fiato, avvicinandosi con una
piccola corsa all’ hokage. Porse il foglio che stringeva fra le mani a Tsunade,
e rimase ad attendere, dopo aver spiegato con un numero più elevato di
particolari.
«Il gruppo guidato da Hyuga Neji è stato completamente
decimato. Erano diretti verso Kumo, la città più fiorente del villaggio del
fulmine, ma sembra abbiano perso la strada giusta. Hyuga mi ha dato il
fascicolo della missione che gli avete consegnato prima della partenza, e le
coordinate per Kumo sono totalmente inesatte: le coordinate che hanno seguito
li ha portati diretti della foresta proibita del luogo. Se la sono cavata per
miracolo, oserei aggiungere» espose senza trattenere l’ansia Shizune, guardando
insistentemente negli occhi dell’ hokage, tentando di cogliere un minimo
movimento per provare a dedurne la reazione.
Tsunade studiò attentamente il foglio contenete l’esito
della missione, le sopracciglia dorate corrucciate: Neji Hyuga se l’era cavata
con poco; aveva perso molto sangue a causa di una ferita piuttosto profonda sul
ventre, ma non era in pericolo di vita. Peggio stavano i suoi subordinati, di
livello sicuramente inferiore. Alcuni persino in fin di vita.
Batté ciglio, per la prima volta perplessa, e strinse il
foglio fra le mani.
«qualcuno deve aver omesso le coordinate per il viaggio. Per
arrivare a Kumo bisogna passare per il villaggio del suono. Ovviamente io avevo
predisposto un tragitto che avrebbe permesso al team di passare tranquillamente
per un’area pacifica di quella terra. Il compito di Hyuga era anche quello di
trarre qualche informazione soddisfacente da questo viaggio su Orochimaru.
Evidentemente, qui c’è il suo zampino» concluse con aria mesta, ridando il
foglio a Shizune e voltandole le spalle, ritornando alla scrivania.
In quel momento qualcuno bussò lievemente alla porta, e la
giovane donna sussultò. Tsunade si sedette con pesantezza sulla poltrona e
incrociò le braccia al petto, masticando un “avanti”.
La porta si aprì, rivelando la figura smilza di Sakura Haruno.
I capelli rosa erano legati disordinatamente in una coda
bassa ed alcuni ciuffi sfuggivano da questa, andando ad adombrale il viso
relativamente smunto, gli occhi color delle foglie erano opachi e toccati dalla
stanchezza, come del resto il fisco magro consumato dal caldo e dagli
allenamenti.
«cos’è successo, Sakura? Avevamo rimandato gli allenamenti,
mi pare» sbottò Tsunade osservando con una vena di preoccupazione la ragazza.
Sakura accennò un sorriso stanco.
«sì lo so, Tsunade-hime. Ma non avevo voglia di restarmene a
casa a far nulla. Piuttosto, è successo qualcosa d’interessante qui?» domandò
con leggerezza, avanzando verso Shizune ed osservando con espressione curiosa
il piccolo plico che questa teneva fra le mani.
«a quanto pare sì. La squadra capitanata da Neji Hyuga,
diretta verso Kumo, è stata completamente mandata da tutt’altra parte, in un
posto molto pericoloso persino per un jonin» spiegò cauta Tsunade, scrutando in
ogni minimo dettaglio la smorfia di stupore che comparve sul viso della
giovane. L’ hokage si schiarì la voce, innervosita da quel rumoroso silenzio.
«diretta a Kumo. Questo vuol dire che sarebbe dovuta passare
attraverso il villaggio del suono. È probabile che questa missione sia stata
presa di mira da Orochimaru. Chi lo sa» aggiunse a bassa voce, abbassando lo
sguardo sulle scartoffie presenti sul ripiano in mogano della scrivania.
Sakura annuì lentamente, come a voler provare a dare
un’ipotesi dell’accaduto. Ma non sfuggì all’occhio esperto di Tsunade, quel
brillio nelle iridi dell’alunna.
«è tutto Sakura. Puoi andare» determinò infine con voce
quasi imperiosa, facendo sussultare nuovamente Shizune complice di quegli
sguardi profondi fra maestra e allieva. Era rimasta per tutto il tempo in
silenzio, notando qualcosa di diverso in Sakura.
Quasi una felicità cattiva, che non l’era mai
appartenuta.
Ma accecata dal buon viso della ragazza, non pensò oltre e,
senza indugi, le aprì la porta quando l’Haruno, aspettando qualche secondo,
capì di essere stata congedata.
Quando Sakura uscì, Tsunade trasse un sospiro di sollievo.
«sono preoccupata per Sakura, Shizune – cominciò,
soprappensiero – è da qualche giorno che la vedo così… assente, ma allegra in
un modo che non le ho mai visto. Sakura è una ragazza fin troppo emotiva; forte,
certo, ma pur sempre una ragazza dall’animo sensibile. Ho paura per lei, perché
tenta di negarlo a me, a te, a Naruto e a se stessa, ma è ancora una ragazza
innamorata»
Shizune annuì mestamente, abbassando il capo.
Tsunade non aveva mai avuto così ragione.
***
Sakura camminava a passo lento, portando prima il piede
sinistro in avanti e poi indietro, alternandolo con quello destro. Chi la
guardava da lontano sussurrava maldicenze sulla trasandatezza improvvisa
dell’allieva dell’ hokage.
In lei non c’era più l’allegria che l’accomunava al suo
compagno di squadra [quella che aveva era un’allegria morta], non c’era
più né disponibilità né interesse per gli altri.
La vecchia Sakura Haruno era morta da un po’ di giorni, o
almeno, così vociferavano le anziane del villaggio. Brutto il modo in cui la
gente che hai aiutato si ritrovi a ritorcersi contro di te.
Sakura non ci fece caso, come al solito.
Continuò a camminare per la sua strada, ignorando le strane
occhiate che le arrivavano dagli abitanti del villaggio, ed i sussurri che
captava perfettamente.
Si ritirò verso casa sua, salutando sua madre impegnata in
cucina con un vago “ciao” ed un gesto della mano, salendo immediatamente in
camera. Probabilmente, aveva bisogno di stare da sola.
“tutto ciò che ho progettato è andato secondo i piani. Neji
non è arrivato a Kumo e non ha nemmeno sfiorato Oto” pensò fra sé e sé,
abbandonandosi con poca eleganza sul letto.
Non stese le gambe, ma preferì lasciarle ciondolare per
terra mentre sistemava la testa in una posizione più comoda sul cuscino latteo.
In mancanza d’altro d’eccitante da fare, si concesse di rimanere stesa a
guardare il soffitto tinto di un lieve colore rosa pastello che richiamava
vagamente la tonalità dei suoi capelli.
Assottigliò lo sguardo, riducendo gli occhi in due piccole
fessure brillanti nella poca ombra all’interno della stanza. Il sole giocava a
stanare le ombre con i suoi raggi solari e le venne da pensare a poco prima,
quando teneva quella lettera fra le mani.
«che cazzate» sibilò ancora, portando una mano a districare
il ciuffo di capelli che le ricadeva sulla guancia. Quella lettera denudava i
suoi pensieri e questo era ciò che più la infastidiva.
Sebbene ormai avesse capito che Sasuke occupava buona parte
dei suoi pensieri (male, per un ninja, lasciarsi offuscare dai sentimenti)
l’innervosiva sapere che, nonostante tutto il tempo passato e tutte le lacrime
(e parole, e fogli) sprecate, lui dominava sovrano su di lei. Anche d’assente.
«Sasuke…» sibilò Sakura in un’unica emissione di fiato,
corta e concisa, piena di tristezza e rammarico. Lasciò cadere come se fosse
morta la mano che aveva alzato poco prima, sentendo un qualcosa
pizzicarle gli occhi.
«Sasuke-kun… –
continuò, mettendoci quasi più enfasi per esaltarlo maggiormente con
quel suffisso – cosa mi hai fatto diventare? Un mostro, forse? Cosa
sono io, ora? Sasuke…» quel gemito disperato venne spezzato da un singhiozzo
represso per troppo tempo: mentre leggeva la lettera, mentre parlava con
Tsunade, mentre la gente spettegolava su di lei che prima non aveva mai
fatto nulla di male.
Le stille salate scivolarono dai suoi occhi di smeraldo,
incavandosi fra gli zigomi e rilucendo lungo le guance scarne e pallide. La
mano tremante strinse con vigore le lenzuola lattee, torturandole con la forza
delle dita ed il cuscino si macchiò di lacrime. (se solo lo avessero stretto,
quel cuscino, sicuramente sarebbe trapelata dai fori della stoffa tutta la
disperazione che aveva sempre assorbito).
«sono arrivata davvero a questo punto? Mi sono venduta
realmente ad Orochimaru a discapito dei miei compagni… del mio villaggio…?»
rimase zitta per qualche secondo, aspettandosi una risposta che ovviamente non
arrivò.
In un impeto d’ira afferrò a due mani il cuscino e lo
scaraventò contro la porta sigillata dalla chiave, strozzando un urlo di
frustrazione. Rimase stesa, tentando poi di rilassarsi minimamente, cadenzando
il respiro affannato. Restò in ascolto dei suoi sospiri, osservando ancora una
volta il soffitto schifosamente bianco.
“Tsunade, dubiti di me, vero? E Shizune, sei d’accordo con
la senpai? Naruto? Cosa penserai di me? E Ino, Shikamaru, Kiba, Hinata? Ho
tradi– sto tradendo tutti”.
Sakura non riuscì a trovare uno straccio di risposta a
quelle domande che si susseguivano infide nella sua testa. Poteva trovare un
solo pregio in tutto quello che stava facendo?
“Rivedrò
Sasuke-kun. Ma sarà fiero di me?”
Non riuscendo a trovare risposta a quel quesito che la
tormentava da più di una notte, chiuse gli occhi, lasciando scivolare via nuove
lacrime rimaste incastrate fra la sua pelle, e, anche se di malavoglia, tentò
di ricordare quella notte di circa un mese prima, quando tutto ebbe inizio.
Camminava, lentamente, ritmando il passo cadenzato dai
battiti del suo cuore.
Poneva il piede sinistro davanti a quello destro, e poi
quello destro davanti al piede sinistro, e così via, per interminabili volte.
Sakura [non] sapeva bene dove stava andando, e fu
forse questo a rallentare maggiormente la sua camminata e azzardare una fugace
occhiata alle sue spalle.
Il vuoto ed il vento dietro di lei la fecero rabbrividire
e si costrinse a sospirare, giusto per emettere un suono e tenersi macabramente
compagnia.
Nella testa erano nitide le immagini ed i dati di quelle
schede su Oto, che parlavano della posizione del villaggio, dei membri
pericolosi (fra di loro era compreso pure Sasuke Uchiha) e delle potenzialità
di chi vi abitava. Guardando distrattamente quei fogli, nella testa le fu
automatico stamparsi bene le coordinate per arrivarvi e partorire l’idea di
andarci seriamente.
Un rumore secco la destò dai suoi pensieri, mettendola
sull’attenti e obbligandola in un gesto spontaneo ad afferrare un kunai.
Si diede mentalmente della stupida quando si accorse che
era stata lei stessa a calpestare un ramoscello sul terreno e provocare rumore.
Sospirò nuovamente, senza fare caso alla piccola nube di vapore fuoriuscita
dalle sue labbra livide dal freddo presente nella foresta nella quale s’era
addentrata, e continuò a camminare.
L’atmosfera tetra del bosco la rendeva suscettibile ad
ogni minimo movimento, spaventandola non poco anche con una folata di vento. Le
ombre macabre degli alberi si riflettevano sul vischio per terra, illuminato
dai flebili raggi lunari.
Il respiro fu più difficile da ritmare coi battiti cardiaci,
e Sakura si ritrovò ad annaspare alla ricerca di aria; disperatamente e
convulsamente, stringendo fra le dita il kunai e trattenendo le lacrime negli
occhi.
«ah. Sakura»
Ed il respiro le si bloccò completamente, annegando in un
getto d’acqua gelata inesistente nella sua gola. L’ombra scura che le si stava
avvicinando con cautela si fermò a qualche metro da lei, e le fu possibile
annotare nella mente un luccichio sinistro all’altezza degli occhi.
Occhiali.
«Kabuto… s-sei tu?» domandò Sakura gonfiando il petto in
un misero tentativo di riacquisire il controllo delle sue emozioni. La figura
sorrise, facendosi avanti sotto la luce fioca della luna.
«Indovinato, Sakura. E tu cosa ci fai in questo posto,
Oto, a quest’ora della notte?» chiese il giovane con una tonalità vocale
appositamente bassa, in poco più che un sussurro.
Sakura tremò impercettibilmente e diede la colpa al lieve
vento che s’aggirava fra le foglie.
«dov’è Sasuke-kun? Voglio parlare con lui. Ho bisogno di
lui» sottolineò l’ultima frase con veemenza, facendosi involontariamente
avanti. Kabuto rise di una risata tetra, senza divertimento.
«vuoi vedere il nostro Sasuke, eh? Mi dispiace – e dal
tono era intuibile quanto stesse mentendo – ma qui con me non c’è Sasuke-kun.
Ma se vuoi, c’è un’altra persona…» lasciò cadere la frase con una nota
d’impazienza e d’ansia, facendosi leggermente indietro al cipiglio curioso di
Sakura.
Gli occhi di smeraldo liquido si spalancarono spaventati
non appena a Kabuto s’affiancò un’alta slanciata figura. Nella notte brillarono
due occhi dorati e sottili.
«Sakura Haruno. Nuova allieva del quinto hokage Tsunade.
Sedici anni compiuti a marzo. Esatto?» Sakura si stupì di non aver dimenticato
affatto la voce sibillina di Orochimaru e, cautamente, annuì sgomenta. Osservò
sia Kabuto che Orochimaru, le gambe impossibilitate ad ogni movimento.
Orochimaru sorrise del suo sorriso serpentino e storto,
mettendo in mostra la fila di denti bianchissimi che rilucevano sotto la luna.
Ed un innaturale silenzio (fatto d’ironico terrore) calò.
«Sakura, Sakura… - cominciò l’uomo in un sospiro quasi
stanco, quasi fosse un padre alle prese con una spiegazione relativamente
difficile da esporre alla figlia piccola e cocciuta – non ti voglio fare del
male. Una volta Jiraiya mi ha detto che non c’è gusto ad addestrare un ragazzo
già pieno di potenzialità come io sto facendo con Sasuke-kun. Per questo lui si
sta dando da fare con quell’idiota della volpe a nove code…» cominciò
tranquillo Orochimaru, avanzando lentamente verso Sakura. I passi pacati e
lenti dell’uomo insospettirono la ragazza che tentò di muoversi, ma il terrore
la teneva ferma impalata sul piccolo grumo di terra sul quale aveva trovato
appoggio.
«… ma ci voglio provare anche io. Era da un bel po’ di
tempo che desideravo scambiare due chiacchiere con te, cara Sakura. Quindi, ti
propongo un’offerta che sono sicuro accetterai»
«cosa ti dice che accetterò?!» ringhiò l’Haruno
nascondendo lo spavento, riuscendo ad indietreggiare di poco, sebbene
Orochimaru si stesse facendo sempre più vicino.
Kabuto, dalla sua postazione, rinunciò al ghigno malvagio
che gl’incurvava le labbra, lasciando trapelare un’espressione frustrata e
sconcertata.
«semplice. Ascolta bene ciò che ti sto per dire: Sakura,
tu sei molto vicina a Tsunade, quindi puoi tranquillamente venire a conoscenza
delle missioni che lei affida ai tuoi compagni. Puoi venire a conoscenza anche
delle missioni che implicano Oto, me, Kabuto e… Sasuke-kun. So quanto tieni a
Sasuke-kun quindi… se davvero lo vuoi rivedere, dovrai fare quello che ti
ordino. E quello che ti ordino è di tenere il più lontano da Oto i ninja di
Konoha. In cambio, ti farò rivedere Sasuke-kun. Tu e lui. Da soli» concluse
Orochimaru, negli occhi dorati un guizzo di divertimento.
Sakura rimase senza parole, boccheggiando per più di
qualche secondo.
La mano pallida e sottile di Orochimaru si posò sulla sua
guancia e sussultò, captandone la freddezza e la ruvidezza sicuramente data da
chissà quale esperimento.
«puoi fidarti di me. Se dico una cosa la mantengo. E tu
lo sai perfettamente» sottolineò il sennin sorridendo mellifluo.
Sakura deglutì, le palpebre incapaci di lubrificare gli
occhi che, lentamente, annegavano nelle lacrime poco prima trattenute.
«q-quando potrò r-rivedere Sasuke-kun?» domandò con voce
atona, rimanendo quasi perplessa delle sue stesse parole. Orochimaru scrollò le
spalle, lasciando cadere la mano che prima le carezzava la guancia.
«non appena avrai compiuto il tuo dovere. Ti basterà
tornare qui, il mio rifugio non è lontano. Kabuto ti troverà e ti porterà
illesa nella mia reggia. Allora, accetti?» questa volta l’uomo sembrò più
impaziente di ricevere una risposta quanto Kabuto di non sentirne una.
Una folata di vento separò Sakura da Orochimaru e con
quella folata, volarono via tutti i buoni propositi della giovane ninja;
aiutare Naruto a riportare Sasuke-kun indietro, aiutare Ino, aiutare Tsunade,
non scendere a patti con il male, dimenticare Sasuke…
Sasuke.
«accetto. Io… accetto, farò tutto ciò che posso. Tutto»
dimenticò tutti i suoi tentativi di cambiare, di non
risultare quella debole, di essere sempre d’aiuto. Di non intralciare.
Ma Sakura non era ingenua perché civettuola. Sakura era ingenua perché pensava
di poter dimenticare Sasuke. E solo il suo nome era bastato per farle cedere
alla tentazione del serpente. Adesso lo era anche lei?
«benissimo. Ci rivedremo, Sakura Haruno… noto con
piacere che non sei cambiata affatto» sussurrò Orochimaru prima di voltarle
le spalle e, com’era comparso, sparì nella notte, lasciandola sola a
[pentirsi?] meditare sulle sue scelte.
Dov’era finita la dignità di Sakura Haruno? Dov’era
finito il desiderio di non essere una mela da mordere e buttare via?
Sasuke.
Al diavolo la dignità.
Sasuke.
Al diavolo l’essere usata.
Sasuke.
Non se ne sarebbe mai pentita.
Sasuke.
Si alzò dal letto, sentendo la testa girare un poco. Non si
premurò di appoggiarsi al muro, ma di cercare la sacca degli allenamenti che
aveva lanciato poco dopo essere entrata in camera sua.
Soffocò un singhiozzo dettato dalla tristezza e dallo
sconforto morale e si asciugò le scie delle lacrime rimaste sulle sue guance
con una mano.
Preparò tutto ciò che c’era da preparare con lentezza
esasperante, quasi stesse pensando su un motivo valido per non fare quello che
stava per fare.
Ma ormai non le importava più niente.
Tsunade sapeva. Shizune anche. Questione di tempo e anche
gli altri avrebbero saputo e dubitato di lei. Tanto valeva andarsene subito.
Pensò se era il caso di andare a salutare Naruto o di andare
a fare un ultimo litigio con Ino.
No. Li avrebbe insospettiti troppo.
Sakura sospirò mestamente, uscendo dalla sua stanza con
passo felpato.
“Tradire il villaggio è stato così difficile anche per
te, Sasuke-kun?”.
Princess
of lust
Dignity
put to dust
A
virginal sight
Their
apple to bite.
Principessa del desiderio
Dignità ridotta in
cenere
Una visione virginea
La loro mela da
mordere.
(ultime strofe:
Passion and the Opera © Nightwish – che novità J)
Uhm… dopo mesi di ritardo, ecco qui che pubblico la mia fanfic
vincitrice del concorso “scontro fra pairing” indetto da Nagaina. Al contrario
di ciò che credevo, si è piazzata prima nella classifica generale e ha battuto
per un punto, se non erro, la NaruSaku di Ayachan.
Quindi la differenza non è molta, dico io, stiamo parlando
di Ayachan nèH.
Beh, comunque sono felicissima di aver vinto questo
concorso, ci tenevo davvero tanto.
Spero che possa piacere anche a voi, ci ho messo davvero
tutto il talento che ho (?) per far uscire qualcosa di decente XD
Dedicata a: Luly (Sakurina), perché senza di lei non
morirei dal ridere, e non avrei potuto cosplayare una Ino così figa. Grazie
Lulla! *////* e poi Luly Lulleggia XD.
Santra (Azusa92), perché era LA Nico Robin. Una Nico
Robin così la si sogna, lei è reale *///* ed inoltre, è colei che mi aiuta a
diffondere il Verbo. SasuSaku
is Metal! XD
Muzza… perché insieme al suo ragazzo ha soddisfatto
tutti i desideri delle SasuSaku fan in cosplay. Due Sasuke e Sakura perfetti,
uguali, spiccicati e identici *-*
Ayachan (…sempre lei XD) perché solo sapendo che
avrei dovuto “gareggiare” contro di lei mi sono messa veramente d’impegno. E
poi perché con le sue fic mi fa partire a mille l’immaginazione (quando avrò
letto tutto “Piume nella Cenere” riuscirò a recensire e a fare parte
dell’HitoHaru fanclub ò.ò …ma mi va bene anche solo Hitoshi =ç=).
Ed un grazie a Nagaina, e ad i suoi commenti
azzeccati.
Adesso scappo U_U
Saluti, Rory.