“Forza
Minchione, sali sul tuo cammello”
L'interpellato
guardò il fratello in modo truce. “Melchiorre” lo
corresse, “è Melchiorre”.
Gabriel
ghignò. “Ah già scusa, Melchiorre. Sai, hanno
suoni simili...ci si può sbagliare.”
“Già,
come se non sapessi che mi hai appioppato questo nome di proposito”
si lamentò issandosi sull'animale.
L'altro
si finse offeso. “Ma che dici Cass? Abbiamo tirato a sorte e a
te è toccato Min...Melchiorre! Tutto legale e corretto. Vero?”
domandò all'altro compagno di viaggio.
Balthazar,
che si stava godeva il siparietto comodamente sdraiato tra le gobbe
del suo cammello, annuì serio. “Oh sì, tutto
regolare. Ti è toccato Melchiorre per puro caso.”
Castiel
storse la bocca. “Sì certo, guarda caso a te è
toccato Balthazar e...toh! Ti chiami veramente Balthazar!”
Balthy
scrollò le spalle. “E che vuoi farci, fratellino? Sono
un po' più fortunato di te. E poi a me sta bene solo il mio
nome”
“Sì,
e una bastonata in testa” mugugnò Cass inviperito.
In
realtà a Castiel dava fastidio un po' tutto, in quel viaggio.
Erano partiti giorni prima da Oriente, per raggiungere un piccolo
centro poco lontano da Gerusalemme. Era nato qualcuno di molto
speciale, tanto che in alto gli era stato assegnato Gabriel come
Angelo Custode, e quest'ultimo aveva organizzato tutta quella
messinscena per andare a fargli visita.
Gabriel
era elettrizzato dal suo nuovo protettorato, raramente era stato un
Custode e quella volta sembrava molto più importante delle
altre.
“Basta
ragazzi, dobbiamo ripartire o arriveremo quando il pupo avrà
già la barba” disse Gabriel saltando agilmente sul suo
animale. Si erano appropriati dei rispettivi tramiti per quella epoca
e nessuno era esattamente un giovincello, dovevano stare attenti a
non farsi vedere saltellare e correre o avrebbero spaventato i comuni
mortali.
“Mi
ripeti perché ci siamo infilati in questi tizi goffi e anziani
e stiamo viaggiando da giorni, invece di..apparire semplicemente come
ogni angelo che si rispetti?” gli domandò Balthazar che,
benché più tollerante perché di più
larghe vedute, iniziava a stancarsi di quella situazione che
avrebbero potuto tranquillamente evitare con un battito d'ali.
Gabe si
sistemò il turbante e controllò che il suo scrigno
fosse ben chiuso. “Perché” iniziò guardando
Balthazar, “stiamo andando a trovare una famigliola umile e
devota, con un signore piuttosto anziano e la sua giovane moglie che
ha appena partorito un bebè stupendo e che...beh diciamo che
non voglio spaventarla di nuovo, ecco. E non voglio che si prostrino
a terra, eccetera. Voglio vedere il mio protetto e portargli un
regalino, in incognito, tutto qua.”
“E
perché hai voluto che ti seguissimo?” chiese Cass
reggendosi alle redini. Quel cammello lo odiava, era almeno la
ventesima volta che tentata di buttarlo giù.
“Ve
l'ho già detto” protestò Gabriel-Gaspare, “mi
serviva una scorta potente. Non sono uno qualunque, io.”
Gli
altri due lo fissarono accigliati. “Così non va
fratello, ora mi arrabbio pure io” minacciò Balthazar,
“se continui con la storia della scorta, io volo via.”
“E
io ti seguo” gli fece eco Cass.
Gabriel
li guardò e sospirò. “E va bene” si arrese,
“diciamo che...è una cosa intima e volevo...beh
dannazione, volevo i miei migliori amici con me, d'accordo?”
Castiel
e Balthazar si guardarono con un sorriso.
“Hai
visto che è arrossito?” commentò uno.
“Sì
sì, sembra si sia truccato” fece l'altro.
Gabriel
fece schioccare la lingua sul palato. “Bah...siete due idioti,
altro che amici. Andiamo bello” e spronò il proprio
cammello, seguito dagli altri due che sogghignavano divertiti.
Mancava
poco alla meta, l'astro che Gabriel aveva mosso in cielo diventava
sempre più grande, segno che erano molto vicini.
“Ci
siamo quasi fratelli” annunciò Gabriel, “arriveremo
all'imbrunire.”
Scese
la notte sul deserto e finalmente entrarono nella piccola Betlemme.
La
stella luminosa e grandissima si diresse sicura al di sopra di una
stalla in rovina, e lì si fermò, rischiarando la
struttura povera e malandata. Altri visitatori sostavano al di fuori
di essa, ma appena li videro si fecero indietro, come se sapessero
chi erano. O meglio, cosa erano.
“Eccoci
qua” fece Gabriel con un grosso sospiro. “Siamo
arrivati.”
Gli
altri due guardarono la misera stalla e rimasero perplessi. “A
noi soldati tante cose non vengono dette” disse Cass “e
quindi magari è normale...ma...lì dentro è nato
il tuo protetto?”
“Sì
sì, è lì il mio pupillo.”
“Avevo
capito che si trattava di un re” commentò Balthazar,
sorpreso come Cass.
Gabriel
annuì. “Sì, lo è. Non tutti i re nascono
nei palazzi” detto questo, scese - lentamente - dal cammello,
prese il suo dono per il bimbo e si avviò verso la stalla.
Gli
altri due si guardarono dubbiosi, scollarono le spalle e saltarono
giù, scordandosi di farlo piano per non attirare l'attenzione.
Balthazar soprattutto si precipitò giù come fosse un
acrobata, scioccando una pastorella che lo stava osservando. Lui la
guardò e le sorrise. “Latte di cammella” le disse,
“è un toccasana per le ossa.” La giovane rise
stringendo tra le braccia un agnellino bianco.
Tutti e
tre, coi loro doni in mano, arrivarono davanti la stalla. La porta era
socchiusa e Gabriel, quasi timidamente, la scostò guardando al
suo interno.
Sapeva
benissimo cosa avrebbe trovato, era già stato lì in
forma invisibile, ma guardarli era sempre un'emozione.
Maria
era seduta su uno sgabello a tre piedi, con in braccio il suo bambino
di pochi giorni, mentre Giuseppe li guardava sorridendo accanto al
loro asinello magro ma ben tenuto, che per l'occasione fungeva,
insieme al vitello dietro di loro, da riscaldamento.
Gabriel-Gaspare
spinse la porta ed entrò, seguito dai fratelli. Marito e
moglie li guardarono sorpresi.
“Non
temete, non siamo uomini cattivi” lì rassicurò.
“Abbiamo fatto un lungo viaggio per conoscere il vostro
bambino.”
Maria
sorrise. “Siete i benvenuti, signori. Venite vi prego.”
I tre
si avvicinarono con in testa Gabriel, arrivarono a poco passi dalla
donna col bambino e si fermarono.
“Questo
è nostro figlio” disse Giuseppe. “Gesù.”
Il
Custode del bambino posò a terra lo scrigno che aveva in mano
e lo prese dalle braccia della madre. Era un bambino bellissimo, con
grandi occhi e già un accenno di sorriso. Nello sguardo c'era
già qualcosa di adulto e consapevole e guardava Gabriel dritto
negli occhi.
“Salute
a te, piccolo re” gli disse. Ma nella sua voce non c'era gioia,
anzi era quasi incrinata dal pianto. Gli altri due pensarono che
fosse emozione, ma cambiarono idea pochi istanti dopo.
Gabriel
passò il piccolo a Balthazar e appena lo ebbe tra le braccia,
seppe. Guardò Castiel e lasciò che lo prendesse in
braccio, e la stessa cosa accadde a lui.
Ora
sapevano cosa attendeva quel piccolo neonato appena uscito dal grembo
materno. In pochi conoscevano i piani divini e nessuno di loro poteva
dirli ad altri. In quel modo Gabriel li aveva fatti partecipi della
storia. E del suo dolore.
“Chi
siete, signori?” domandò ancora Giuseppe, quando Cass
restituì il bambino alla madre.
“Veniamo
da Oriente” spiegò Balthazar, “ci ha guidati una
stella.”
“Abbiamo
saputo della nascita di un re” continuò Cass, “e
siamo venuti a visitarlo e adorarlo.”
“Gli
abbiamo portato dei doni, degni della sua regalità.”
Tutti e
tre aprirono i loro scrigni.
“Io
sono Melchiorre, imperatore dei persiani, e porto in dono l'oro”
“Io
sono Balthazar, imperatore degli indiani, e porto in dono l'incenso”
“E
io sono Gaspare” concluse Gabriel, “ imperatore degli arabi, e porto in dono la
mirra”
Giuseppe
e Maria erano un po' confusi, ma accettarono con gioia e riconoscenza
i preziosi doni dei ricchi signori.
“Che
il Signore vi benedica e vi protegga” li salutarono i due sposi
quando i tre re uscirono dalla povera stalla.
Una
volta fuori, Gabriel si fermò accanto al proprio animale da
soma e sospirò guardando il cielo stellato. La stella cometa
che li aveva guidati era ancora lì ma si stava affievolendo.
“E'
terribile“ disse Castiel dopo un po'. “E'
veramente...terribile.”
“Non
può lasciare che succeda” asserì Balthazar quasi
arrabbiato.
Gabriel
scosse il capo appesantito dal turbante riccamente decorato. “Deve
andare così...non può essere altrimenti. E' tutto già
scritto. Deve andare così.”
“Ma
non è giusto!" proruppe Cass stringendo i pugni. “Gli
umani non lo meritano, capisci? Dopo Sodoma e Gomorra l'ho capito,
gli umani non lo meritano!”
Gabe lo
guardò con severità. “E' per questo che deve
accadere” spiegò in tono duro, “l'umanità
ha bisogno di essere salvata. Dopo di lui cambieranno molte cose,
alcune continueranno ad essere orribili, altre saranno stupende.
Continuerà ad esserci odio, ma ci sarà anche tanto
amore. Deve andare così.”
Le
guance paffute del suo tramite si rigarono di lacrime, distolse lo
sguardo dagli occhi increduli del tramite di Cass e guardò
nuovamente il cielo.
Gli
altri due si guardarono per un momento, poi entrambi poggiarono una
mano sulla spalla del fratello in lacrime e alzarono gli occhi al
cielo. La stella si stava spegnendo rapidamente, ormai il suo lavoro
era terminato.
“Bene
fratelli, abbiamo finito. Ora possiamo...liberare questi vecchietti
dalla nostra presenza e tornare al quartier generale” annunciò
Gabriel sforzandosi di essere gioviale.
“Se
vuoi possiamo rifare il viaggio di ritorno così come siamo
arrivati” propose Balthazar.
“Sì
giusto, possiamo rifarlo. E' stato divertente dopotutto“
convenne Cass volenteroso.
“Anche
se ti prendevo in giro?” gli domandò Gabe con un
sorriso.
L'altro
annuì. “Sì, anche se mi torturavi ad ogni passo.
Allora, andiamo?”
Gabriel
assentì col capo e diede ad entrambi una pacca sulla spalla.
“Grazie, fratelli miei. Amici miei.”
Ripartirono
quasi subito, nonostante l'oscurità. E nonostante la tristezza
che li aveva invasi.
Quella
notte avevano conosciuto un re che sarebbe diventato martire.
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