AVVERTIMENTO: L'inizio della storia è ispirato a "La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano. Visto e considerato, però, che quel benedetto romanzo non l'ho mai finito, il resto della trama sarà completamente di mia invenzione.
You will be in my heart
Capitolo 1
– Cosa ho fatto?
«Trunks, io sono stufa!»
Il ragazzo
sospirò esasperato.
E Trunks
sono stanca e Trunks ho sete, e Trunks mi prendi quel gioco, e
Trunks entriamo in pasticceria… Certo che sua sorella era
davvero una lagna!
Per di
più, quel giorno era stato obbligato a portarsela
appresso.
E pensare
che avrebbe dovuto essere una festa tra ragazzi, lui, Goten e
basta!
Invece, a
causa di un convegno, sua madre si era ritrovata fuori casa,
e di conseguenza lui era stato obbligato a trascinarsi dietro quella
mocciosa di quattro anni, che non faceva altro che piagnucolare,
urlando e battendo i piedi.
Il giovane
aveva provato a convincere i genitori che quella serata era
davvero importante, e in fondo era più di un mese che lui e
il suo migliore amico la progettavano!
Quella,
poi, era la loro occasione: Chichi era riuscita a trascinare il
marito in un locale di cui aveva letto ottime critiche,
perciò la casa sui Paoz sarebbe stata tutta per loro due.
Avrebbero potuto spassarsela in santa pace, chiacchierando e guardando
qualche film. Magari avrebbero persino ritentato la tecnica della
Fusione, dopo tanti anni in cui non l’avevano più
sperimentata.
I suoi,
però, non gli avevano dato il minimo ascolto. Anzi,
persino suo padre l’aveva apostrofato seccamente,
intimandogli di non fare il bambino. E pensare che mai prima di allora
si era intromesso in una faccenda simile!
«Comprami
un gioco, così dal tuo amico non mi
annoio!» pretese in quel momento Bra, pestando i piedi e
strattonando la mano del fratello.
«Io
il gioco non te lo compro» ribatté
Trunks, irritato da tutti quei capricci. Altro che serata tra uomini!
Con la sorellina che si lagnava ininterrottamente, sarebbe stato un
inferno!
La bambina,
dal canto suo, non pareva per niente contenta della
risposta del ragazzo. «Io voglio un gioco!»
strillò, gonfiando le guance per dare maggior enfasi alla
dichiarazione.
Trunks fece
per replicare, esasperato, ma i suoi occhi furono distratti
dall’entrata del Parco della Città
dell’Ovest, che si trovava poco lontano. Era in quel parco
giochi che lui e Goten avevano sempre giocato da bambini; in quel parco
giochi che Bra era stata più volte accompagnata…
E,
improvvisamente, un’idea balenò nella mente del
giovane. «Senti, Bra» esordì lui,
deviando verso l’entrata del parchetto, «vorresti
stare in un luogo da principesse?»
La bambina
lo guardò, e il suo visetto mostrò
un’espressione compiaciuta. «Io sono una
principessa» ricordò. «Ci voglio stare!
Dimmi dov’è!»
Trunks la
condusse vicino ad una casetta di legno, posta proprio
accanto allo scivolo che un tempo era stato il suo preferito,
perché più alto di tutti gli altri.
«Eccola» disse alla sorellina, «questa
dimora fa parte di un regno incantato… Vuoi restare qui ad
aspettarmi?»
«Io
sono una principessa» ribadì Bra.
«Sto nel luogo delle principesse».
Ciò
detto, lasciò la mano del fratello ed
andò a sedersi all’interno della casetta,
tenendosi ben stretta nella propria giacchetta di jeans.
«Bene»
sorrise Trunks, «allora io
vado». Deglutì, esitando. «Tu non
muoverti, però» si affrettò a
raccomandarsi. «Rimani ferma qua».
Bra
alzò gli occhi azzurri, incrociando quelli dello stesso
colore del fratello, ed annuì.
Allora,
incerto, il ragazzo si diresse verso l’uscita del
Parco. Dapprima si voltò indietro ogni due passi a cercare
con gli occhi la chioma turchina della sorellina, poi, assicuratosi che
Bra restava ferma nella casetta, prese a camminare con maggior
velocità, e infine si alzò in volo.
L’aura
di Bra non era potente, eppure baluginava nella mente
del ragazzo, e per merito della natura mezza saiyan e mezza terrestre
della bambina, era abbastanza particolare per non smarrirsi tra tutte
le altre forze spirituali del mondo.
Infatti,
nel momento in cui il ragazzo atterrò davanti a
casa Son, riusciva ancora a percepire distintamente la bambina.
Goten lo
accolse con entusiasmo ed impazienza. «E
Bra?» domandò, perplesso, quasi si fosse ricordato
di colpo del fatto che la piccola avrebbe dovuto essere presente.
«Non
l’ho portata» rispose Trunks,
evasivo, sentendo un’ondata di disagio.
Goten
sorrise con la spontaneità che lo caratterizzava.
«Visto? Sapevo che i tuoi genitori avrebbero
capito!» esclamò.
“Invece
no, non hanno capito” pensò
Trunks, e per un momento il malessere causato dall’aver
lasciato sola la sorellina fu sostituito dalla scontentezza per il
fatto che tanto il padre quanto la madre avessero preso le difese di
quella peste.
Seguì
Goten in salotto, mentre prendevano a parlare del
più e del meno.
L’amico
si era organizzato in modo che ci fosse il
frigorifero pieno e a loro completa disposizione. Tra un morso e
l’altro, i due ebbero maniera di scherzare e concordare su
quanto i loro padri premessero affinché loro si allenassero.
Goten era
allegro, spensierato come quando era un bambino ma con un
interesse decisamente più spiccato per le ragazze.
Trunks,
però, non riusciva a sentirsi a proprio agio. Aveva
la gola asciutta e, nonostante fosse sicuro di avvertire
l’aura di Bra, bastò che trascorresse una manciata
di minuti perché l’ansia lo invadesse.
Ad un certo
punto, poi, non resse più. Si alzò di
scatto dal divano e, ignorando le domande esterrefatte e gli occhi
interdetti di Goten, si lanciò in volo verso il Parco.
Col cuore
in gola, notò che ormai si era fatto buio.
Immaginò la sorellina sola, e il senso di colpa mise gli
artigli sul fondo del suo stomaco.
Vedere le
luci della Città dell’Ovest non gli
comunicò nessun sollievo, e quando finalmente
atterrò ebbe l’impressione di essere sul punto di
soffocare. Corse a perdifiato sino alla casetta, e quando
sbirciò all’interno si sentì mancare.
Di Bra non
era rimasta neanche l’ombra, ma solo un guantino
di lana con un cagnolino ricamato sopra.
«Bra!»
urlò il ragazzo, con il cuore che
batteva all’impazzata. La sua voce uscì distorta e
stonata. “Cosa ho fatto, cosa ho fatto?!”
«Bra!»
Il silenzio
che gli giunse in risposta lo fece tremare sin dentro le
ossa.
«Bra!»
Si mise
alla ricerca della bambina, disperato, chiamandola ad alta
voce, correndo da un gioco all’altro. Il cigolio della
altalene mosse dal vento sembrava aggiungere un ché di
spettrale all’atmosfera cupa del Parco deserto.
«Bra!»
gridò ancora, angosciato.
Nulla.
Barcollante,
il ragazzo si sentì assalire da
un’ondata di nausea, e per evitare di cadere dovette
appoggiarsi ad un albero. La corteccia graffiò la sua pelle,
ma lui non vi badò.
Ripensò
agli occhioni azzurri della sorellina…
Come aveva potuto essere così bastardo?
Tremante,
sconvolto, si prese il volto tra le mani.
In quel
momento, Goten atterrò accanto a lui.
«Trunks» chiese, confuso, «che
è successo?»
Il giovane,
pallido in viso, fissò l’amico.
«Goten» mormorò. «Che cosa ho
fatto...»
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