Iperspazio chiuso

di Lucrezia_Uchiha
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ATTENZIONE: leggere le note solo dopo la fine del racconto
 
Iperspazio chiuso
 
 
Tutto quello che si vede sono scale, qualche pianerottolo, uno spazio impossibile in 5 dimensioni[1], dove i lampadari pendono dal pavimento e le stanze sembrano cambiare in ogni momento.
Nella scena appare una ragazza, con i capelli sciolti e spettinati che le incorniciano il viso, forse aveva pianto, i suoi occhi sono arrossati, eppure sembrerebbe solo smarrita. Cammina rapida alla ricerca di qualcosa.
La scalinata che stava percorrendo finisce contro un muro e lei si gira per tornare indietro, mancano due gradini e non c’è più il corridoio; come in un quadro di Escher cambia la gravità, cambia la prospettiva e il punto di vista, e ora lei cammina su quello che era un muro, spostando qualche iper-prisma[2] che galleggia in aria.
“Ti cercavo”.
Adesso c’è anche un’altra ragazza, è seduta su un iper-cubo e si fissa le unghie smaltate.
“Ti aspettavo”.
Si siede accanto a lei e cerca conforto, parlando si abbracciano, nella strana luce di quella geometria impossibile la ragazza si scioglie in lacrime e si fa consolare dolcemente.
“Dovresti tornare indietro ora”
“E se capita di nuovo?”
“Torni a cercarmi, sono qui apposta”
Un lieve sorriso e un piccolo buffetto sulla guancia sono il saluto che la ragazza riceve prima di socchiudere gli occhi.
 
*       *       *
 
La vista si allontana, le ragazze diventano sempre più piccole e la vista sembra passare per un lungo tunnel nero che alla sua uscita è circondato da un cerchio azzurro striato di verde, si allontana ancora ed appare un mare bianco delimitato da umidi filamenti neri che perdono gocce d’acqua[3].
Si allontana ancora e la ragazza con il viso incorniciato dai capelli spettinati è la, rannicchiata contro un angolo della stanza, con le mani premute sulle orecchie.
Piangeva e ora non piange più.
Si…
Pensa sorridendo
Ti troverò sempre lì…
Continua.
Mi basta chiamarti…
Pensa prima di mormorare il suo stesso nome[4].
 
 
Note: mi rendo conto che sia una storia davvero particolare quella che ho scritto, un po’ specchia la follia, un po’ la fuga da essa, un po’ il conforto che puoi trovare solo in solitaria. È una storia strana, nata dalla solitudine di un momento triste.
Cosa fa la mente umana quando cerca conforto?
Non è importante cosa veramente si capisce, per me sono importanti le emozioni che questa storia potrebbe far vivere.
 
Lucrezia
 
[1] Le tre dimensioni classiche più il tempo e la quinta che io ho immaginato come essere “follia”
[2] Nome di un prisma traslato dalla 3° alla 4° dimensione
[3] In ordine sono stati descritti la pupilla, l’iride, la sclera, le ciglia imperlate di lacrime
[4] La ragazza si è chiamata da sola. L’unico modo che ha di trovare conforto è parlare con se stessa, nella sua testa, consolandosi e facendosi consolare nello stesso momento

 




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