Leonardo
scivolò di lato, guardingo, rafforzando la presa sull'elsa
delle
Katana. Scricchiolarono debolmente, unendosi al suono dei piedi che
strisciavano sul parquet e al respiro cadenzato, tenuto sotto
controllo. Il suo opponente si muoveva con la stessa lentezza,
studiandolo con la sua stessa calma, danzando in circolo la sua
stessa danza.
Dannazione.
Da quando quel dannato di Raph rifletteva prima di agire? Era molto
più semplice leggerlo quando era tutto irruenza e rabbia.
Raphael
passò il pollice destro sullo tsuba del Sai corrispondente,
concentrato come non mai. Non aveva spesso occasioni di confrontarsi
con suo fratello. E lui invece adorava battersi contro Leo. In
passato aveva cercato di affrontarlo per provargli di essere migliore
di lui o quando era arrabbiato con lui e cercava di fargli capire il
suo punto di vista, a suon di pugni. Poi le cose si erano un po'
sistemate, aveva capito che scontrarsi con lui non avrebbe portato a
nulla e si era decisamente dato una calmata.
Ma
avevano una lotta in sospeso, loro due... per Isabel.
Non
che ce ne fosse più davvero bisogno: era la sua ragazza,
ormai. Da
quella notte in cui la sua insistenza e costanza l'avevano convinto a
cedere ai suoi sentimenti, a tenerla con sé; Isabel gli
aveva
dimostrato che non c'era niente di più importante al mondo
di lui,
che avrebbe rinunciato a qualsiasi altra cosa pur di stargli accanto.
Era
passato un anno, da allora; un intero anno, idilliaco e troppo bello
per essere vero.
A
volte si svegliava ancora nel bel mezzo della notte, credendo che
Isabel fosse stata solo frutto della sua immaginazione; poi la sua
mano sfiorava il corpo della ragazza rannicchiata al suo fianco,
addormentata pacificamente, e allora ci si ancorava, stringendola con
tutte le sue forze a sé, annusando la sua pelle al profumo
di
lavanda e sonno, assorbendo il suo calore con sollievo; lei mugugnava
qualche parola a caso nella sua lingua, strappandogli un sorriso
mentre si riaddormentava, stretto a lei, sereno come non era mai
stato.
Ma
nonostante tutto, sapeva che Leo provava ancora qualcosa per Isabel.
Anche se aveva assicurato a chiunque il contrario, miliardi di volte;
aveva notato il suo sguardo quando pensava di non essere visto, come
si illuminava quando si posava su di lei e seguiva i suoi spostamenti
con discrezione e attenzione.
Avevano
uno scontro in sospeso. E lui non vedeva l'ora di poterlo avere. Gli
prudevano le mani dall'eccitazione. Era tutto regolare, poteva
scontrarsi con Leo regolarmente, e avrebbe pianificato ogni mossa con
meticolosità.
“Yoroshiku
Onegaishimasu” soffiò ironico, sapendo quanto suo
fratello fosse
fissato con l'etichetta. Avrebbe seguito ogni più piccola
procedura.
Leo
sollevò un sopracciglio, incredulo, poi rispose al saluto di
rito
con un breve inchino.
“Santo
cielo, uno di voi due attacchi, per carità!”
squillò la voce di
Michelangelo, con un tono esasperato.
Sorrisero,
entrambi. Un identico stiramento di labbra verso destra. E si
lanciarono all'attacco, insieme. Leo si spostò a destra,
schivando
il colpo di Sai e Raph si inchinò giusto in tempo, evitando
le
Katana per un soffio: allungò una gamba, colpendo quelle del
fratello per fargli perdere l'equilibrio, ma quello, dopo una
capriola, ritornò in piedi. Strinsero entrambi la presa
attorno alle
armi, ricalibrando le tattiche.
Leo
sapeva che Raph aveva un ottimo gioco di gambe, perciò
doveva
muoversi più possibile, per non dargli la
possibilità di fargli
perdere l'equilibrio e atterrarlo facilmente. Raph sapeva che Leo
aveva un'ottima elevazione nel salto, perciò doveva fare
attenzione
agli attacchi dall'alto, aspettando l'occasione giusta per
atterrarlo.
Ripresero
a studiarsi, in un'infinita gara di pazienza, prima di ricominciare a
combattere, all'improvviso.
Era
come se danzassero su una melodia che nessuno poteva sentire tranne
loro, che dava loro il ritmo e gli attacchi giusti: si muovevano, si
fermavano e prendevano fiato all'unisono.
I
loro assalti e colpi erano precisi, controllati e letali, senza
nessun gesto inutile o avventato o fatto con superficialità.
Raph
voleva vincere, così come lo voleva Leo.
Il
rumore delle loro armi che scontravano le une contro le altre
riempivano l'ambiente, rimbombando in ogni dove, insieme alle
esclamazioni sfuggite in un momento di foga o di sorpresa. Raph
continuava a schivare gli attacchi, muovendosi a destra e sinistra,
mentre Leo proseguiva a girare di qua e di là, portandolo in
giro
per tutto il dojo, sperando di fargli perdere la pazienza e la
concentrazione.
La
lama della Katana sfiorò pericolosamente il suo torace, ma
con un
gesto secco la allontanò, prendendo l'occasione per provare
a
bloccarla col Sai: per un secondo ebbe l'impressione di averla
ingabbiata con lo tsuba ed esultò, internamente, ma il filo
scivolò
contro il metallo, sfuggendo alla presa. Il calcio di Leo
arrivò
nello stesso istante, colpendolo al lato della mandibola, senza
dargli il tempo di accorgersene.
Volò
all'indietro mentre mille puntini gialli esplodevano davanti ai suoi
occhi e un dolore lancinante si diffondeva per la testa. Cadde sul
pavimento, stordito, con un suono sordo. Scosse il capo per
snebbiarlo e un sorriso sardonico si dipinse sul suo viso. Leo gli
aveva teso una trappola e lui ci era caduto come un pivello; la sua
smania di batterlo aveva annebbiato le sue percezioni.
Piantò
le mani al suolo e si rialzò lentamente, andando poi a
raccattare i
Sai caduti poco distanti da lui. Il suo sguardo non si era staccato
un secondo da Leo, ma l'altro non aveva intenzione di muoversi,
dandogli tutto il tempo, come se non volesse approfittare del
vantaggio.
Come
se si sentisse dannatamente sicuro di sé.
Si
mosse a lenti passetti, calcolando la distanza tra sé e Leo,
pensando alle varie e molteplici strategie e tecniche da poter
attuare, ad una velocità mentale impressionante.
Quando
lo raggiunse, lasciando una distanza di un metro tra loro, aveva
già
ben chiara quale sarebbe stata la sua mossa successiva. Leonardo
aveva nel contempo pensato alla sua, cercando di anticipare i suoi
movimenti e pensieri dopo aver incassato il primo colpo.
Un
respiro all'unisono, occhi negli occhi.
E
poi l'attacco.
Leo
corse con le Katana tese di fronte a sé, Raph aveva un Sai
in
posizione di attacco e uno in difesa: il leader però,
abbassò le
armi nel momento in cui le gambe si fletterono e diedero la spinta al
balzo, le braccia lungo i fianchi per essere più
aerodinamico. Leo
superò in volo Raph, una Katana colpì contro la
testa, parata al
volo dal Sai in difesa mentre l'altro infilzava l'aria dove un attimo
prima c'era Leo, il tutto in una frazione di secondo.
Leonardo
atterrò alle sue spalle e con una torsione del busto
attaccò con le
spade, ma i Sai bloccarono la lama tra gli tsuba, in alto, sopra le
loro teste: Raph si tese allo spasmo e con un colpo di reni
scaraventò il fratello per il dojo, in una stupenda
proiezione.
Gli
occhi di tutti seguirono il volo perfetto, la parabola ascendente e
poi il tonfo finale, cupo, guscio contro legno.
Fu
la volta di Raphael di attendere, di dare a Leo la
possibilità di
rimettersi in piedi e ritornare al suo posto.
Oh,
la voglia di attaccarlo c'era, prepotente per di più, ma lui
voleva
seguire le regole di Leo e batterlo nonostante tutto.
Lo
osservò rialzarsi, con su l'espressione più
neutra del mondo,
-niente traspariva dal suo sguardo, né rabbia né
stupore né
meraviglia, ma Leo era così, lo sapeva,- e raccogliere le
Katana
lasciate cadere nel volo, nella calma e il silenzio più
totali.
I
sospiri tesi di Michelangelo ogni tanto arrivavano alle loro
orecchie, flebili, ma si perdevano in fretta nel suono dei loro
pesanti respiri, nelle macchinazioni della mente.
Si
eguagliavano, ma non potevano davvero essere uguali. Uno dei due
doveva vincere.
Leonardo
si era riavvicinato e teneva le armi ben alte, così come
fece lui.
Avrebbero
lottato finché non fosse rimasto un solo vincitore, nessuno
dei due
voleva indietreggiare, né lo avrebbe fatto.
Un
battito di palpebre all'unisono fu il segnale, questa volta. Al
battito successivo entrambi erano già lanciati uno contro
l'altro,
veloci e silenziosi, entrambi verso un attacco diretto.
Le
lame sbatterono con un clangore metallico che mandò
scintille per la
forza dell'impatto, ognuno che cercava di forzare per colpire
l'altro.
Ferro
contro ferro che strideva, respiri e grugniti rochi per lo sforzo,
occhi decisi in occhi decisi, mascelle contratte fino a far cigolare
i denti.
“Fermi!”
La
voce di Splinter risuonò secca, spezzando ogni cosa: il
momento, la
tensione, il duello. Una semplice parola, ma come una formula magica
che metteva fine ai loro propositi bellicosi. Non si poteva
disubbidire alla sua voce né al suo ordine.
I
due allontanarono lentamente le armi, continuando a fissarsi, poi si
voltarono verso il maestro, in piedi in fondo al dojo.
“Siete
stati bravi, figlioli. Venite qui” li richiamò,
camminando avanti
e indietro sotto lo stendardo degli Hamato.
I
suoi figli si avvicinarono e si inginocchiarono rispettosamente
vicino a Michelangelo e Donatello che avevano seguito lo scontro col
maestro; poi, tutti e quattro rimasero in attesa.
L'anziano
ratto continuò col suo lento via vai, una mano sul bastone
mentre
l'altra carezzava il pizzetto meditabondo.
“Sono
certo, figli miei, che vi state chiedendo come mai io vi abbia
convocati e vi abbia chiesto una dimostrazione delle vostre
capacità
in scontri uno contro uno. Sono stato piacevolmente colpito dalla tua
vittoria su Michelangelo, Donatello, e dalla vostra situazione di
parità, Leonardo e Raphael. Ho assistito a delle ottime
prove.”
“Pura
fortuna, Donnie. Pura fortuna” sussurrò Mikey
verso il fratello,
cercando di non farsi scoprire dal maestro. Don sorrise, soddisfatto
di sé stesso, per nulla toccato dalle sue parole.
“Prove
che mi permettono di valutare il vostro livello e di potervi
così
aiutare a migliorare. Per questo.”
Il
maestro si avvicinò, frugando nelle maniche del kimono con
attenzione; ne tirò fuori degli involti neri che
poggiò sulle mani
dei suoi discepoli, con riverenza. I quattro si guardarono un
momento, perplessi, poi svolsero il panno, contemporaneamente:
quattro Kunai splendettero, il freddo acciaio che risaltava contro il
nero del panno; nell'occhiello era ferma la striscia viola. Tutti
loro sapevano benissimo il significato.
“Il
Battle Nexus? Ci hanno riconvocato?” domandò
sorpreso Donnie,
studiando il suo Kunai.
“È
quest'anno? Lo avevo scordato!” esclamò emozionato
Mikey mentre
lanciava il suo in aria, riprendendolo per la punta.
“Già,
non tieni il conto da quando non sei più il campione, eh,
Mikey?”
“Almeno
io sono stato campione, Raph! Chi è che si è
fatto battere al primo
round da Leo, invece, all'ultimo torneo?”
“Figlioli,
basta. Leonardo è il campione fino all'inizio del prossimo
torneo,
ma tutti voi avete la possibilità di mostrare quanto valete.
Il
Battle Nexus avrà luogo alla fine del mese e mi aspetto che
impieghiate il vostro tempo ad allenarvi, per poterlo affrontare al
meglio.”
Gli
occhi di Splinter brillarono di orgoglio verso i suoi figli. Tutti
loro avrebbero dato il meglio, lo sapeva. Era sereno e tranquillo,
certo che avrebbero reso onore alla loro casata e al suo maestro.
Ma
come doveva agire per l'altra questione?
Isabel
tornò al rifugio a sera inoltrata, come d'abitudine. Erano
ormai
iniziate le nuove lezioni di medicina ed erano sempre più
complesse;
non era strano che tornasse tardi, a seconda della giornata. La prima
cosa che faceva era strillare un “sono tornata” che
scuoteva le
pareti, poi passava da Don a lasciargli gli appunti della giornata,
abbracciava Mikey, o meglio prendeva un grosso abbraccio da Mikey, e
infine correva da Raph, a prendersi il suo meritato bacio di
bentornata. Il resto variava da giornata a giornata. Solo quel rito
era fisso, abitudinario.
Quando
mise piede al rifugio, quel giorno, si sentì strana, per la
prima
volta in vita sua: era tutto insolitamente silenzioso.
“Sono
tornata!” esclamò stanca, poggiando la borsa coi
libri vicino alla
porta e passando una mano sulla spalla indolenzita dal peso. Poi
scostò il ciuffo di capelli dal viso accaldato, in quel
primo giorno
di Settembre ancora completamente estivo.
Nessuno
rispose al suo saluto. Si incamminò verso il laboratorio di
Donnie,
con gli appunti delle lezioni giornaliere sotto braccio, ma lo
trovò
stranamente vuoto. Nemmeno un cenno né un segno della
presenza di
Mikey iniziarono a preoccuparla.
Che
fine avevano fatto tutti? Il maestro era di certo al suo solito
posto, avrebbe chiesto a lui.
Camminò
verso il dojo, con dei passetti frettolosi e urgenti, sperando di non
essersi sbagliata: non appena la porta si aprì venne
investita da
grida di lotta e immagini di combattimenti. Era un tutti contro tutti
furioso.
Michelangelo
stava attaccando Raphael con un attacco dall'alto, Don alle sue
spalle cercava di colpire lui, Raph era impegnato nel correre contro
Leo che a sua volta aveva una delle Katane intrappolata in un
Nunchalu di Mikey e l'altra che correva verso Don.
“Che
diamine state facendo?” strillò oltraggiata e
spaventata.
La
sua voce rimbombò per le alti pareti del dojo, fermando
istantaneamente i movimenti dei quattro mutanti: cinque paia di occhi
scivolarono fino all'entrata, dove la ragazza li osservava,
sconvolta.
“Isabel!”
Mikey lasciò all'istante ogni cosa e le corse incontro, con
le
braccia già tese e un sorrisone entusiasta, ma lei
schivò il suo
attacco.
“Ah,
no! Sei sudato, Mikey! Non ci provare nemmeno!” lo
sgridò,
tirandosi indietro, le mani ben tese per difendersi.
Lui
rise, dal pavimento dove era caduto, occhieggiandola da sotto a su.
“Cosa
state combinando?” domandò Isabel, chinandosi.
“Allenamento
intensivo. Siamo stati scelti per il Battle Nexus, un grosso
torneo!”
“Mai
grosso come l'ego di Mikey!” precisò Raph, che si
era avvicinato.
Si sporse verso lei, per prendersi il suo bacio.
“Anche
tu sei sudato! Non voglio che mi tocchi” protestò
la ragazza,
piegando la testa di lato per schivare l'attacco.
“Bugiarda!”
Le
afferrò la nuca, avvinando il viso, premendo delicatamente
le labbra
sulle sue. Isabel fece finta di ribellarsi per un attimo poi si
lasciò andare. Non si baciavano mai davanti a Leo, era una
regola
sottaciuta che entrambi seguivano, ma ormai quel giorno era andata in
quel modo e non poteva farci nulla.
“Per
favore! Non potete baciarvi davanti a me! Sono un'anima candida,
io!”
La
voce di Mikey li riscosse e si allontanarono, un po' colpevoli.
“Allora,
cos'è questo Bubble Ne... ssus?”
azzardò la ragazza, che si era
già dimenticata il nome.
Mikey
mise su una faccia offesa, come se fosse stato insultato
personalmente.
“Battle
Nexus! Un torneo di lotta multidimensionale che si tiene ogni tre
anni. Io sono stato campione, non ricordi che te ne ho
parlato?”
disse con voce pigolosa, perché lei non poteva permettersi
di
dimenticare una cosa del genere. Che affronto.
“Sì,
Mikey, hai ragione, scusami. Me ne hai parlato almeno un milione di
volte, non so come possa essermi sfuggito! E siete stati scelti di
nuovo? Quando sarà il torneo?”
“A
fine mese. Dobbiamo allenarci fino ad allora” si intromise
Leo, che
nel frattempo si era avvicinato con gli altri, al capire che
l'allenamento era sospeso causa Isabel.
“Ma
Donnie, come farai con le lezioni?” domandò ancora
lei, voltandosi
verso il genio.
“Rimarrò
un po' indietro. Ma dal mese prossimo recupererò, promesso.
Tu non
smettere di prendere appunti, però!”
Donnie,
che in genere non vedeva l'ora di tuffarsi su un nuovo libro, un
nuovo argomento, di studiare la lezione del giorno prima con
avidità
di informazioni, ecco, quello stesso Donnie, aveva lo sguardo
splendente di emozione in vista del torneo.
Isabel
li guardò tutti, uno ad uno, leggendo nei loro occhi.
“Quindi
parteciperete ad un torneo. Siete emozionati? Nervosi?”
chiese,
anche se le risposte le aveva già viste.
“Emozionatissimo!
Ti prometto che vincerò per te, mia adorata sorellina!
Sarò di
nuovo campione, solo per te!” pronunciò con enfasi
Michelangelo,
prendendosi uno scappellotto da Raph.
“Giuro
che quest'anno ti butto fuori a calci! Dovessi essere
squalificato!”
lo minacciò quest'ultimo, infastidito dal suo ghigno
canzonatorio.
“Chi
ha vinto allo scorso torneo?”
“Leonardo”
fu la risposta in coro degli altri tre, mentre il leader piegava solo
la testa umilmente.
“Io
sono arrivato alla semifinale, ma sono stato battuto da un alieno con
quattro braccia, il figlio di un amico del sensei, mentre Raph ha
fatto decisamente schifo, è finito fuori al primo round,
sembrava
che non ci provasse nemme...”
Michelangelo
si bloccò di colpo, come se avesse capito di aver appena
detto
qualcosa che non avrebbe dovuto.
Si
beccò un'occhiataccia da Leo e Don e si schiaffò
la mano in faccia
per manifestare il suo pentimento. Lo sguardo di Isabel
scivolò
verso Raphael, l'unico che non si era mosso e lesse dolore nei suoi
occhi.
Fu
un secondo fare un calcolo mentale e capire quando aveva avuto luogo
il torneo precedente: il Settembre di tre anni prima, sei mesi dopo
che lei se n'era andata, lasciandolo dopo la loro notte d'amore.
Con
una morsa allo stomaco e un forte cerchio alla testa, capì
tutto,
capì perché poi Raph non aveva dato il meglio di
sé. Ed era tutta
colpa sua. Ma se il passato non lo poteva ormai cambiare, anche se
avrebbe voluto, aveva tutto il futuro per rimarginare quella ferita
che gli aveva inflitto e lei ne avrebbe impiegato ogni istante
concesso per farlo.
Si
avvicinò e gli afferrò una mano, stringendola
forte nelle sue.
“Dite
che potrò venire a vedervi? Ci terrei ad esserci”
sussurrò, occhi
nei suoi. E lui sorrise, perché aveva capito la sua premura.
“Certo
che s...” iniziarono a dire Don e Mikey, interrotti
però da una
terza voce.
“Devo
parlarti, Isabel” esclamò Splinter, che mentre
loro
chiacchieravano si era avvicinato man mano, ascoltando in silenzio.
La
ragazza lo guardò, ma non riuscì in nessun modo a
capire cosa
volesse dirle, il perché del suo sguardo inflessibile e
impenetrabile. Sembrava che Splinter si fosse preparato a parlare con
lei e la cosa un po' le metteva soggezione.
Un
po' di magone crebbe nel petto, al pensiero di cosa potesse essere,
quella preoccupazione che si sommava a quelle che ultimamente aveva
per la testa, nascoste nel cuore. Splinter non poteva averlo
scoperto, no? No si disse, sarebbe stato più arrabbiato, di
certo.
Annuì
e fece per seguirlo, verso la stanza da meditazione, quando la porta
del rifugio si aprì e un gran vociare arrivò sin
lì, sin sulla
soglia del dojo dove si erano riuniti a chiacchierare.
La
famiglia Jones al completo apparve, radiante ed euforica: Casey stava
quasi piangendo.
“Siamo
incinti! Aspettiamo un altro figlio!” strillò
fuori di sé,
lanciando un ridacchiante Carl in aria per poi riprenderlo e farlo
volare in tondo.
April
gli colpì un braccio, mezzo offesa.
“Dovevo
dirlo io!” lo rimproverò, ma nel frattempo non
poteva evitare di
sorridere.
Si
gettarono tutti verso di loro, dimentichi di ogni altra cosa,
esultando per la bellissima notizia assieme a loro.
Le
domande fioccarono, tutte assieme e per un po' non si capì
nulla, a
chi davvero erano rivolte le risposte di April, al centro completo
dell'attenzione.
“Sì,
sto bene. Di tre mesi, abbiamo aspettato un po' a dirvelo. No, non
sappiamo ancora cosa sia. Spero davvero che sia una femmina!
Sì,
certo che ti prenderemo per fare da padrino, Mikey!”
Isabel
notò quanto era radiosa e pensò che non si era
sbagliata quando
durante i loro appuntamenti si era fatta idea che potesse essere di
nuovo in attesa; non aveva detto nulla per non metterle fretta, ma
era davvero felice di aver indovinato. Felice della loro gioia, dei
sorrisi di Casey, quelli di Carl, che alla soglia dei tre anni capiva
il significato di avere un fratello o una sorella, quelli affettuosi
e materni di April, con le mani che correvano inconsciamente al
ventre.
April
le si fece incontro.
“E
questa volta tu ci sarai! Tu ed Angel siete come delle sorelle, avete
il dovere di sopportarmi!” le disse, abbracciandola poi nella
gioia.
“Certo
che ci sarò! Non vedo l'ora di uscire a comprare ogni genere
di cosa
assieme! Vestitini, pannolini, bavaglini, tutto quello che finisce in
-ini!” la rassicurò, emozionata dalla sua offerta
di volerla
accanto. Forse era anche troppo euforica.
“Attento,
amico! Iniziano a fare da spalla alle amiche e poi vogliono un figlio
tutto loro! Non farti incastrare!” scherzò Casey
in direzione di
Raph.
Quello
si sorprese della sua uscita e il suo sguardo corse inconsciamente
verso di lei, senza averlo previsto. Fugace, un secondo, ma Isabel
forse lo attendeva e lo vide.
“Non
chiedo di meglio” lo sentì dire sottovoce e
l'emozione nel suo
petto crebbe e così il cerchio alla testa.
Rimasero
a festeggiare la buona notizia per tutta la notte, e vennero anche
Steve ed Angel e Leatherhead, e nessuno fece caso a malumori, a
pensieri taciuti e preoccupazioni, perché non facevano
rumore nella
gioia.
Note:
Buona
sera!
Eccoci
alla terza storia della serie Heart's Mutation, dopo
“September in
the rain” e “Just the way you are”.
Cosa
vi prometto in questa storia? Azione, battaglie, coppie, dolore,
emozioni, f... se volete continuo con l'alfabeto fino alla zeta, ma
penso abbiate capito!
Vi
prometto mistero, a iosa, e di provare ad emozionarvi come ho fatto
finora!
Ben
ritrovati, un abbraccio è un obbligo e un piacere!
A
presto
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