Desire was born early, as was regret di Alexiel Mihawk (/viewuser.php?uid=28142)
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Autore: Alexiel
Mihawk | alexiel_hamona
Titolo:
Desire was born early, as was regret
Pacchetto
Scelto:
Hades&Persephone
Rating: sfw/arancione
Contesto: post battaglia
finale, in un mondo
dove il nemico ha vinto
Genere:
angst, nonsense, introspettivo
Avvertimenti:
implied!psychological abuse, implied!physical abuse,
psychological manipulation, ust, implied!mind control (più o
meno),
implied!underage
Parole: 1454
Prompt: rapimento di
sangue
Introduzione: Avremmo
dovuto vincere, pensa trattenendo un singhiozzo.
«Ma
non è stato così» sibila una voce
fredda alle sue spalle e Ginevra socchiude
gli occhi per non vederlo. Ed è così inutile, lui
è sempre nella sua testa.
Note: Come sempre le
mie note sono troppo
lunghe. Questa storia partecipa al contest "Di
Dei Superbi e Fragili
Mortali" indetto da Ireide sul forum di EFP.
-
prima di tutto è doveroso citare Lolita
di Nabokov a cui ho fatto più richiami nel corso della
storia, il più evidente
è subito qui all’inizio, con una ripresa
dell’incipit famosissimo del romanzo –
questa parte nella storia è al passato, perché fa
riferimento a come veniva
chiamata PRIMA che qualcuno pronunciasse il suo nome per intero, quindi
anche
prima che lei e Harry si conoscessero davvero, quando era ancora solo
“la
sorella di Ron”.
-
altra cosa che mi è stata di fondamentale ispirazione per
questa storia sono
stati gli Otto Preludi (tanto che questo doveva essere il titolo
inizialmente,
ma era troppo complicato da capire) di Olivier Messiaen, composizione
di musica
classica a cui ci sono ripetuti riferimenti nel corso della storia
alcuni
esplicitissimi (dalla colomba, al canto d’estasi, al riflesso
nel vento) altri
più sottili.
-
le ripetizioni dei nomi sono tutte volute, in particolare quelle
Tom/Voldemort
che dovrebbero rappresentare come ancora Ginevra tenda a sovrapporli,
anche se
si rende (razionalmente) conto che è come se fossero due
persone diverse.
-
le parti in corsivo sono tutti pensieri o di Ginny, o di Tom, o in
condivisione, salvo in alcuni casi in è volto a evidenziare
singole parole.
-
Il titolo si riferisce a quello che c’è stato tra
Ginny e Tom nella camera dei
segreti e quello che accade dopo; come si trasforma in rimpianto (e poi
disgusto e terrore) quella che all’inizio era la sua
attrazione per Tom.
Desire
was born early, as was regret
Ricorda
perfettamente la prima volta che qualcuno ha pronunciato il suo nome
per
intero.
Era
come un canto, come un mantra o una litania.
Gi-ne-vra.
Era
stata Ginny per sua madre, Gin per i suoi fratelli più
grandi e per qualche
tempo anche per il bambino sopravvissuto, quando ancora non erano amici
e
troppo spesso si riferiva a lei come “la
sorellina di Ron”, ma per Tom era sempre stata
Ginevra.
Quando
il giovane Riddle, con il suo sorriso ammagliante e i suoi occhi
freddi,
chiamava il suo nome, lei sentiva che avrebbe potuto fare qualsiasi
cosa. E
l’aveva fatta; la colomba era uscita dal nido e nel farlo era
caduta a terra,
accorgendosi di non essere in grado di volare.
Si
era fatta male quell’anno, era rimasta scottata nel cuore e
nell’animo e, anche
se non ne aveva ancora idea, non si sarebbe mai più ripresa.
Tom era entrato in
lei come un virus, attaccando ogni cellula, ogni organo e rimanendo
lì, sopito,
in attesa. Almeno finché la guerra non era cominciata e lei
aveva iniziato a
percepirlo dentro sé, ne aveva avvertito il risveglio e si
era spaventata, così
era scappata, barricandosi tra le mura di quella scuola dove tutti
sostenevano
sarebbe stata al sicuro.
Poi
era arrivata la battaglia.
A
distanza di settimane, ciò che Ginevra ricorda meglio di
quel giorno sono le
urla.
Per
tutta la vita ha pensato che la cosa che più
l’avrebbe impressionata alla fine,
quando l’ultimo scontro fosse giunto (e lei sapeva che prima
o poi sarebbe
avvenuto), sarebbe stato il sangue – e a volte è
incredibile come i nostri
timori si rivelino infondati per lasciare spazio a incubi peggiori
– ma non c’è
sangue in un combattimento tra maghi, solo incantesimi e scie luminose
che,
sfrecciando come saette da un lato all’altro delle vaste sale
di Hogwarts, hanno
stordito e privato della vita chiunque si parasse sulla loro strada.
Avremmo dovuto
vincere, pensa
trattenendo un singhiozzo.
«Ma
non è stato così» sibila una voce
fredda alle sue spalle e Ginevra socchiude
gli occhi per non vederlo.
Ed
è così inutile, lui è sempre nella sua
testa.
È
sempre presente; sono mesi che vive in ogni cosa che fa, in ogni suo
gesto, in
ogni suo sogno. Quel che è peggio è che,
apparentemente, lei e Tom – no, non
Tom, perché quella cosa non è Tom, è
Voldemort e Tom non esiste più e forse non
è mai esistito – lei e Voldemort hanno stabilito
una sorta di legame. O forse
il legame c’è sempre stato e lei non se
n’è mai accorta perché prima
c’era
Harry.
Harry
che catalizzava l’attenzione e l’energia del Lord
Oscuro su di sé, Harry che le
sorrideva e riusciva a spazzare via ogni sua preoccupazione, Harry che
la
chiamava, guardandola con occhi traboccanti d’amore, e le
faceva capire che a
lui andava bene così: Ginevra, Ginny, Gin, non aveva
importanza, i nomi erano
soltanto convenzioni per loro.
Harry
che ora è morto e lei non riesce a smettere di pensare ai
suoi occhi vuoti e
senza vita, privi di qualsiasi colore, scevri di quella scintilla che
per prima
l’aveva conquistata.
Mani
fredde si posano sulle sue guance, percorrendole lentamente, lasciando
graffi
brucianti là dove scorrono le unghie (e Ginny si chiede quanto il suo tocco possa essere
velenoso).
«Dovresti
essermi grata, Ginevra».
Gi-ne-vra.
Canto
d’estasi in un paesaggio triste.
Il
modo in cui pronuncia il suo nome è sempre uguale e lei si
sente tremare,
maledicendosi per questo.
«Hai
ucciso mia madre, hai torturato mio padre e ammazzato i miei fratelli.
Tu hai
ucciso Harry Potter» sibila piano, trovando la forza di
alzare il capo (perché
sì, lei è Ginevra Weasley e non indietreggia, non
si piega, non cede e lancia
fatture Orcovolanti degne di un Auror) «Di cosa, esattamente,
dovrei esserti
grata?»
L’uomo
ride e la sua risata ha lo stesso effetto del gesso che stride sulla
lavagna,
perfora le orecchie e fa serrare i denti.
«Sei
ancora viva».
E
lei sa che ha ragione. Lo sa perché ha visto la fine che ha
fatto Hermione (e
al solo pensiero le viene da piangere), ha visto ciò che ne
è stato di Luna ed
è consapevole di quello che è accaduto a chiunque
si sia trovato dalla parte
sbagliata della barricata.
«Sono
viva solo perché hai ordinato a Dolohov di rapirmi e mi hai
obbligata a guardare
mentre gli altri morivano».
Lord
Voldemort sorride, il suo volto si piega in una maschera fredda e la
sua pelle
eburnea si tira, mostrando alla ragazza le due fessure sottili che gli
attraversano il viso, là dove dovrebbe esserci il naso.
Al
volto che ha di fronte si sovrappongono, solo per un istante, altri
visi.
Occhi
verdi che le sorridono gentili, mentre una cicatrice a forma di saetta
attraversa la fronte del bambino sopravvissuto; basta un battito di
ciglia e
gli occhi diventano azzurri, così blu da farle quasi male.
Gelidi, la
trapassano senza davvero vederla e solo ora Ginevra se ne accorge,
eppure il
suo sorriso era così luminoso e sincero un tempo –
e come tutto il resto non
era che una recita, un artificio volto a ingannarla.
Si
riscuote debolmente e le pupille che si riflettono nelle sue ritornano
rosse e
crudeli.
Si
chiede come possa, anche solo per un momento, avere sovrapposto il viso
di
Harry a quello. Il bambino sopravvissuto che ha combattuto per salvarli
ed è
morto in un istante, il giovane ragazzo che l’ha baciata in
un pomeriggio
d’estate e le ha detto di amarla, Harry Potter, è
lui che si è erto a difesa
del mondo magico ed è sempre lui che Ginny dovrebbe portare
nel cuore. Non
Voldemort. Non Tom. Non l’uomo che per primo ha accarezzato
le sue labbra
sottili con le proprie, non colui le cui mani hanno esplorato il suo
corpo in
una stanza buia e umida, mentre un basilisco attendeva in silenzio
nell’ombra.
Ginevra ricorda, anche se non vorrebbe, e per la prima volta sente le
lacrime
solleticarle le ciglia, pensando a tutti i momenti vissuti con Harry
– e tutte
le prime volte che ha vissuto con un altro.
«Se
avessi saputo prima di essermi radicato così profondamente
nella tua anima non
avrei atteso tanto a lungo per portarti via».
La
voce del Lord Oscuro assomiglia a un sibilo e i molteplici significati
delle
sue parole penetrano dentro di lei come la lama di un coltello: ti avrei rapita prima della fine, prima che
tutti morissero, prima della guerra, prima che il bambino sopravvissuto
iniziasse
a scaldare il tuo letto. E lei ringrazia che non sia stato
così, ringrazia
di avere avuto quei momenti di gioia, di libertà, di vita a
cui appigliarsi ora
che ha perso ogni speranza.
«Cosa
vuoi da me?» domanda stancamente, o forse lo urla, non ne
è sicura.
Di
una cosa sola è certa: si sente svuotata e la sua voglia di
lottare e di
liberarsi sta lentamente sparendo, lasciando spazio al tormento e alla
consapevolezza dell’assenza. Assenza di emozioni, di affetti,
di motivi per cui
continuare a vivere. Cosa rimane a Ginevra Weasley se non la sua vita?
E che
vita è un’esistenza legata a una sedia, in una
casa antica quanto il mondo,
alla mercé dell’uomo – del mostro
– che ti ha portato via ogni cosa?
«Non
voglio niente da te, Ginevra».
Gi-ne-vra.
Ancora
una volta. Dillo ancora una volta.
«Ma
mi servi, perché dentro di te vive una parte della mia
anima».
E potrebbe
vivere una
parte del mio futuro.
Ginny
vorrebbe artigliarsi le tempie e urlare, quella connessione mentale,
che
diventa sempre più forte, la sta facendo impazzire e non
capisce come facesse
Harry, come riuscisse a mantenere l’equilibrio. Ogni volta
che chiude le
palpebre, davanti ai suoi occhi scorrono immagini, pensieri e non
capisce se
sono suoi o di Tom – e dovrebbe smetterla di chiamarlo Tom,
lui è Voldemort,
Voldemort non Tom – e la cosa la terrorizza. Così
come la spaventa a morte il
pensiero che percepisce giungere da lui, in quel momento preciso,
perché non
vuole condividere nulla con quel mostro, non la sua mente, non il suo
letto,
non un erede.
«Ginevra.
Ginevra. Ginevra. Non puoi scappare da me».
Gi-ne-vra.
La
litania ritorna, come un riflesso nel vento. Parte dalle sue labbra in
tre
semplici sillabe e, solcando l’aria che li divide, la
raggiunge di nuovo.
Gi-ne-vra.
Pronuncia
il suo nome come se fosse un tesoro, ma anche come fosse un oggetto e
lei non è
sicura che ai suoi occhi ci sia differenza. Perché per il Lord
Oscuro la vita umana
non ha valore, nessuna vita ne ha, soprattutto non quella di Ginny
Weasley e il
suo è possesso e ossessione ed egoismo cieco.
Ne
è terrorizzata.
Gi-ne-vra.
«Oramai
sei mia».
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