"I [...] pretended that some
robber knight had brought me
here to have his way
with me, [...] a tall hard man with black eyes and a widow’s
peak."
(Arianne Martell – A Feast for Crows)
I
In principio c’è il cielo squarciato da una
saetta, seguito dallo scrosciare fresco e sinistro di un temporale
estivo.
Arianne sfiora la mano di Oberyn quasi senza accorgersene, mentre
distrattamente si sporge sul tavolo del solarium per afferrare
un’arancia dal cesto della frutta.
Lo sguardo perplesso di Oberyn cade sulle loro mani accidentalmente
congiunte, sulle loro dita intrecciate; Arianne si sente avvampare.
Un momento di silenzio, poi il viso dello zio si distende in un sorriso
garbato.
«Scusami.»
Una parola lasciata nel vento, poi l’uomo si allontana nel
corridoio. Arianne rimane a guardarlo sparire, atterrita.
Oberyn Martell non chiede mai scusa a nessuno.
II
Oberyn è il suo eroe.
Combatte con la fierezza di un leone, con la forza di un drago, con la
tempestività del mare.
Se Arianne legge una ballata, nella sua mente il cavaliere ha le
fattezze dello zio, con i suoi capelli corvini liberi al vento e la sua
risata calda che tanto sa di casa.
Se Oberyn sarà mai eroe di qualcuno, Arianne è
certa che sarà il suo.
Un campione dolce come l’alba e spietato come il tramonto, la
lancia di Dorne, un veleno che conduce alla morte passando per la
più stucchevole delle sofferenze.
Impossibile da ripudiare, impossibile da comprendere.
III
Le labbra di Oberyn sulle sue … Arianne è certa
di averle immaginate fin troppe volte. Per mille notti ha fantasticato
su quella bocca, dandole ogni volta un aggettivo diverso: calda,
intima, morbida, avvolgente, sensuale, eccitante.
E invece il bacio di Oberyn è apro, gettato contro la porta
delle sue stanze. I passi pesanti di Ser Hotah a pochi attimi da loro,
la voce squillante di Quentyn ad accompagnarli.
Le labbra di Oberyn sono già lontane da quelle di Arianne,
quando il giovane principe si affaccia al corridoio per augurare loro
il buongiorno.
«Andiamo a caccia, zio?»
Gli occhi di Oberyn indugiano in quelli di Arianne.
«Dì a Daemon di prepararsi.»
In lontananza, un tuono annuncia l’inizio del temporale.
IV
«Cosa stiamo facendo?»
Parole pronunciate all’aria e lasciate vagare per la stanza,
destinate a restare senza una risposta.
Le labbra di Oberyn assaggiano avide il collo di Arianne, le sue mani
la stringono per i fianchi contro il muro di gelido marmo.
«Mi sento come se stessi compiendo una follia»,
mormora la principessa. Di nuovo, quelle parole suonano deboli e sole
come un canto nella notte.
L’uomo si ferma un istante, i suoi occhi scuri sono fini come
aghi.
«Le persone compiono sempre le loro follie,
Arianne.»
Ancora nient’altro che un soffio, una risata nel silenzio, un
sospiro in una notte che sa di carezze e di solitudine.
V
Consumano la loro prima notte mentre il temporale consuma il cielo di
fulmini e saette.
Il vento fischia sui corridoi del palazzo, si insinua in
quell’enorme camera da letto che dà sul mare,
danza furiosamente con le tende bianche che docili si piegano al suo
volere.
Arianne è sicura che di quella notte ricorderà
ogni dettaglio, ogni effimero soffio di vento e di fiato caldo contro
la sua pelle rovente.
La tempesta ulula su Lancia del Sole e copre i suoi gemiti, la nasconde
tra quelle braccia che non potrebbero stringerla più forte,
mentre quell’uomo la prende come mai nessuno ha fatto prima.
Arianne schiude le labbra per parlare, ma non riesce a udire le sue
stesse parole: il vento è impietoso, e ha coperto anche
quelle.
VI
La stanza è calda, illuminata a stento dalle poche candele
che sono rimaste accese tutta la notte. Fuori il cielo è
ancora scuro, il vento soffia e muove le tende bianche sulla balconata
in una lentissima e sinuosa danza che si staglia verso le stelle.
Arianne sospira, stringe le spalle in quell’unico lenzuolo
che copre il suo corpo nudo, si avvinghia al petto di Oberyn mentre lui
la bacia, mentre con la bocca percorre ogni centimetro del suo viso. Fa
scorrere piano le dita sul suo volto, gli occhi scuri puntati nei suoi.
«Hai qualcosa che non ho mai visto prima in te»,
sussurra.
Oberyn non risponde, per un istante è come se sparisse dalla
realtà. Poi torna a baciarla, a stringerla a sé,
a farla sua.
Nello specchio appeso alla parete, Arianne vede il riflesso dei loro
corpi avvinghiati, le loro schiene ora lasciate scoperte dal lenzuolo
che lentamente scivola sul pavimento.
Poi l’alba li coglie di sorpresa, s’insinua
indiscreta tra le tende e illumina i loro volti sudati e contratti nel
desiderio.
VII
«Quando potrò rivederti?»
Quella domanda si perde nel vento che quella sera muove il deserto,
coperta da una manciata di sabbia e dal nitrito dei cavalli nel
piazzale.
Oberyn è partito al calar del sole, dopo aver salutato le
sue figlie una a una, riservando un bacio alle più piccole
ma soltanto una formale raccomandazione a alle più grandi e
ai suoi nipoti.
Arrampicata sul parapetto del balcone dei suoi appartamenti, Arianne
osserva la carovana sparire tra le ombre delle dune che morbidamente
coronano il cielo.
In testa a tutti, Oberyn sembra quasi un dragone, imponente tra le
sabbie, pronto a sputare fuoco e morte sui nemici che occupano la sua
strada.
Da lontano, Arianne legge nei suoi occhi le fiamme della determinazione
e dell’ardore.
«Quando potrò rivederti?»
Sospirando, si porta una mano al petto. Deve impegnarsi per trattenere
la sua anima, altrimenti è certa che seguirebbe
quell’uomo molto più lontano di Approdo del Re.
VIII
L’alba nella Torre della Lancia è impietosa:
illumina le celle senza la grazia della discrezione e disturba il sonno
dei prigionieri sin dai primi istanti in cui il sole spunta dal placido
profilo del mare.
Arianne è sempre sveglia.
Fissa l’acqua tingersi dei colori tenui e rosati del giorno,
certa ormai che quella successione di luci arriverà a
ucciderla.
Suo zio è morto; soltanto quando il sole sorge, riesce a
realizzarlo.
Una volta, avevano guardato l’alba assieme. I loro corpi
intrecciati davanti all’immensità del mare,
avvolti da nient’altro che un lenzuolo che scivolava
continuamente dalle loro spalle.
Oberyn le aveva baciato una spalla, le aveva sussurrato parole che si
erano sciolte sotto il sole di un giorno appena nato.
Chiusa nella torre della sua prigionia, Arianne sogna quel contatto,
uno tra tanti, il più caldo, forse, sicuramente il
più consumato. Lo sogna e lo ripensa, seduta davanti
all’alba impietosa, immobile e impotente in quella prigione
che sovrasta il mare.
“Dove sei?”, si chiede, ma non è capace
di darsi risposta.
✎n o t e f i
n a l i
Su questa coppia esiste una fanfiction (in inglese) e una fanart (che
ha comunque il filtro R18 e si può guardare solo se
registrati al sito).
Scriverci otto drabble è stato una specie di dovere morale.
Una specie. Sì.
Mi piacerebbe poter dire di essere una vittima, ma mentirei.