Messaggio
Piccola
premessa necessaria: l'ispirazione mi è stata data dalla
fiction della mia cara ladyflowers, Chained Love, nella
quale faceva accenno ad un film inventato, "Delitto misterioso al feudo
di Edo."
Oltre a ridere per le sue battute ho pensato di trarne l'idea per
creare una storia, ovviamente di genere ben diverso, simile ad un
giallo solo che ambientato nel Giappone del 1500.
Ringrazio dunque la mia amica per avermi dato questa idea,
che ho potuto sviluppare e articolare anche grazie alla sua
collaborazione.
Messaggio
mai rivelato
La luna sorgeva alta nel cielo, oscurata di tanto in tanto da qualche
nuvola di passaggio.
- Ukita
avanzava a
passo spedito, nonostante stesse camminando da ore e il freddo, nel
pieno dell'autunno, si facesse sentire congelandogli i piedi protetti
solo da dei leggeri tabi(*).
Maledetto il giorno in cui aveva deciso di lavorare per il Signore di
Edo(*): nonostante non avesse le qualità per eccellere come
samurai anziché mollare e darsi all'umile mansione di
pescatore,
come suo padre prima di lui, aveva pensato di poter essere utile in
qualche altro modo, fino a che le sue capacità non fossero
state
notate almeno.
Messaggero.
Quello era il suo lavoro gravoso e, a dire il vero, ingrato.
Perché era lui a portare i dispacci dagli informatori che il
daimyo(*), vuoi per prudenza, vuoi per precauzione, aveva sparsi per
tutta l'area che circondava la regione, se non oltre.
Peccato che, oltre a dover soffrire fame e sete, in molte occasioni
l'uso del cavallo era quasi un miraggio: troppo ingombrante, dava
nell'occhio e, in casi di pericolo come il suo, non ci si poteva
nascondere con un equino al freddo.
“Accidenti – borbottò sentendo le dita
degli arti prossime a staccarsi, rosse e gonfie – chi me l'ha
fatto fare...”
Poi, lungo la strada buia, vide in lontananza le luci delle fiaccole
che indicavano una sola cosa: era arrivato fino ad Edo.
La sua salvezza. Lì, una volta ottenuta la ricompensa,
avrebbe
potuto riposare qualche giorno e riprendersi dalle fatiche prima di
ripartire a consegnare un ulteriore messaggio.
Sempre che tutto andasse secondo i piani.
Ukita si portò una mano al petto, avvertendo una fitta: no,
quello non era il dolore dovuto allo sforzo immane di percorrere
chilometri a piedi, bensì ansia.
Perché ciò che il suo cuore custodiva era un
segreto di
portata ben maggiore rispetto alle aspettative di un messaggero comune,
uno dei tanti, che giravano per il Giappone.
Quel messaggio avrebbe potuto sconvolgere tutto l'apparato politico che
in quegli anni, di sanguinose liti tra clan e faide interne, si era
venuto a costituire nonostante l'arrivo di quei demoni con la croce, di
quei falsi bonzi che predicavano l'esistenza di un unico dio.
L'uomo, quasi involontariamente, sospirò e giunse alle porte
della città, sorvegliate da una serie di sentinelle in
armatura.
Nel momento in cui mostrò il sigillo del daimyo queste lo
fecero
entrare senza battere ciglio e i portoni in legno sembravano quasi
gemere quando vennero spalancati appositamente per lui.
Senza perdere un istante di tempo quasi corse, facendosi strada per i
vialetti sporchi e dissestati, fino a non giungere presso un'altura
fortificata dove si ergeva, in tutta la sua possanza, il castello del
daimyo, il potente Soichiro Yagami.
Un gruppetto di samurai, dai kimono di un color verde scuro, che
stavano di guardia presso il massiccio portone, avanzarono fino a non
circondare completamente Ukita il quale deglutì con un
groppo in
gola che gli impediva quasi di respirare.
Con uno sguardo colse, lungo i bastioni delle alte murature in pietra,
gli arcieri che tendevano l'arco puntato verso di lui.
“Chi sei e cosa vuoi?” chiese un samurai piuttosto
anziano,
sicuramente aveva oltre trent'anni, con la mano sull'elsa della spada.
Ukita si fece forza: “Sono Ukita e porto un messaggio urgente
per il daimyo Soichiro Yagami.”
Il samurai esaminò attentamente il sigillo, sfregandosi una
cicatrice che gli andava a deturpare la guancia sinistra (nd: no, non è Mello...
^ ^'), infine
restituì bruscamente l'oggetto in argilla al proprietario
dicendo con voce roca:
“Dammi il dispaccio, provvederò a consegnarlo al
nostro feudatario.”
Ukita scosse la testa: “No, è strettamente
confidenziale.
Dovrò comunicarlo io direttamente al daimyo, quindi se mi
lasciaste pass...”
Ma venne bloccato dall'uomo con un gesto brusco della mano, che lo
spinse indietro:
“No no no, hai capito male. Di qui non si passa. Il signore
è attualmente in riunione con dei suoi vassalli e tu non hai
il
permesso di entrare: o mi dai il messaggio o puoi anche andartene e
tornare domani.”
Lo sbeffeggiò con una risata. Un rivolo di sudore
colò
lungo la fronte del povero messaggero che si trovò davanti
ad un
bivio ben peggiore di quelli innevati che a volte doveva percorrere.
Infine, con un dignitoso sospiro, Ukita rispose:
“E sia. Tornerò domani, ma dovrai assicurami che
il signore mi riceva.”
I samurai ridacchiarono, mentre gli arcieri, rilassati, deposero le
loro armi e di questo Ukita ne fu veramente sollevato.
Infine l'uomo dalla cicatrice alzò le spalle, non
nascondendo un'aria di scherno.
“Vedremo cosa si può fare.”
In fondo, quell'ometto insulso e tremante, cosa mai poteva nascondere
di talmente importante?
Con un altro spintone, e non dimenticando lo scintillio pericoloso
della katana parzialmente estratta dal fodero, Ukita venne gentilmente
sollecitato ad andarsene e lui, suo malgrado, dovette cedere.
Con le ginocchia tremanti per la paura, oltre che per il freddo, il
poveretto si diresse presso la prima locanda che trovò.
Una volta ottenuta la camera si sedette sul tatami, godendo del calore
che proveniva dal pavimento, e pensò ad alta voce,
più
per rassicurarsi che per convinzione vera e propria:
“Non importa, andrà tutto bene. Domani andrai dal
daimyo e la faccenda si risolverà per il meglio.”
Eppure non ne era così sicuro. Ne era consapevole da quando
l'informatore lo aveva contattato: la sua vita era in pericolo...
perché lui sapeva.
Scosse la testa, prendendo a respirare profondamente, e scrisse due
biglietti presi da una pergamena malridotta... sperava proprio che non
gli sarebbero serviti ma, se lui fosse morto, qualcun altro avrebbe
capito.
*°*°*°*
Per le strade, a notte fonda, non vi era praticamente nessuno, eccetto
uomini ubriachi dopo aver frequentato case di piacere o geishe che
rincasavano al proprio okiya(*), accompagnate dallo sguardo vigile
delle sentinelle che di tanto in tanto perlustravano la zona.
Ukita aveva lasciato accesa una lanterna e teneva accanto a
sé,
come se fossero i suoi tesori, i due foglietti e, vicino al futon, un
pugnale. Unica arma concessa a lui che non era riuscito ad essere
samurai.
Improvvisamente, lungo lo stretto corridoio della locanda,
sentì dei passi.
Leggeri, quasi accennati.
Si voltò di scatto, in un frusciare di coperte, con il
pugnale
saldamente in mano ma non scorse nulla nella penombra della stanza. E
poi, pensò con ansia crescente, aveva sistemato della paglia
lungo la soglia della porta chiusa... se qualcuno fosse entrato con
poca accortezza l'avrebbe sentito, in ogni caso.
Improvvisamente i passi si arrestarono e, quasi in contemporanea, Ukita
trattenne il fiato mentre aveva la fronte imperlata dal sudore e la
mano con l'arma tremava.
Non è
possibile. Già sanno del mio arrivo?!
Fece per alzarsi in piedi quando un fruscio lo arrestò. Si
girò di scatto, verso la piccola finestra.
Ma, proprio nel momento in cui si mosse verso di essa, una mano rapida
e letale calò sulla schiena dell'uomo. Venne trafitta dalla
lama
di uno spadino del quale, ultima crudele ironia della sua vita,
riuscì persino ad avvertirne il gelo.
Cadde a terra, sentendo il suo stesso sangue bagnargli il kimono
leggero e il futon candido, mentre la luce della candela
tremolò.
Rantolando prese i due biglietti, sperando che potessero essere trovati.
Sto morendo
Realizzò con sofferta lucidità. Non un sussurro,
non un'esitazione da parte del suo assassino.
Era stato troppo agile e lui troppo stupido.
Quando sentì il soffio della sua camminata cercò
di
voltarsi per riuscire perlomeno ad intravedere la figura che si
allontanava ma non ci riuscì, ormai la vita lo stava
abbandonando.
Ma stava davvero fuggendo l'assassino? Lo guardava ancora per
assicurarsi che morisse?
Ukita non lo sapeva, era confuso e terribilmente stanco... l'ultima
cosa che scorse, prima di chiudere gli occhi per sempre, fu una mano
che gli prendeva il foglietto che a fatica teneva serrato tra le dita
ormai deboli.
*°*°*°*
Da anni Tota Matsuda era un fiero samurai al servizio del proprio
daimyo, il venerato Soichiro Yagami, come suo padre lo era stato prima
di lui.
Sapeva bene di non essere particolarmente sveglio e a volte, lo
ammetteva, si faceva figure non proprio eccezionali ma in un'epoca come
quella la fedeltà era un bene prezioso, ben più
dell'intelligenza.
O almeno così credeva.
Passeggiando per le strade di Edo, per i soliti controlli di routine,
intravide una certa folla di gente ammassata davanti ad un'umile
locanda i cui gestori erano fuori a inveire contro delle sentinelle che
di solito si occupavano della ronda notturna.
“Sarà il solito ubriaco che ha dato fuoco ad una
stanza...
non sarebbe la prima volta...” borbottò Matsuda,
richiamando con un cenno del capo altri samurai che lo accompagnavano.
Si avvicinò alla locanda e la crocchia di gente si fece da
parte
per lasciar passare il gruppetto, inchinandosi mostrando il rispetto
che si doveva a quella classe di guerrieri.
“Che succede qui?” chiese mostrando un sorriso
rassicurante. Il solito babbeo.
Una vecchia sdentata si fece avanti dicendo con voce isterica:
“Un uomo morto! Nella mia locanda! I clienti non verranno
più, penseranno che sia maledetta dai kami!!”
Matsuda indietreggiò di qualche passo, sorpreso dalla
veemenza dell'anziana signora, e la tranquillizzò dicendole:
“Stia tranquilla, vedrà che sistemeremo tutto. Ora
mi faccia entrare, avete tenuto ancora il cadavere vero?”
La vecchia si inalberò: “Che mi importa del
cadavere? Di
certo non lo vado a profanare, per chi mi ha preso eh?!”
Un giovane le si avvicinò cercando di calmarla:
“Nonna non
comportarti così, lui non può farci
niente...”
Matsuda alzò le spalle facendo cenno ai suoi uomini di
rimanere
sul posto e controllare che nessuno entrasse ed infine, guidato dal
giovane di prima, entrò nell'edificio.
Salì le vecchie scale in legno fino a non percorrere un
corridoio stretto e basso, davvero soffocante, e addentrarsi in una
stanzetta priva di particolari ornamenti eccetto un futon e un tavolino
basso.
Si portò una manica del kimono davanti al naso per
trattenere i
conati di vomito al sentire l'odore del sangue rappreso e del cadavere
che ormai iniziava ad essere circondato dalle mosche.
Il giovane si voltò verso l'uscita bofonchiando disgustato:
“Questa mattina presto sono entrato per invitarlo ad uscire
dalla camera ma era già morto.”
Matsuda in un primo momento non rispose, limitandosi a fissare l'uomo,
con il ventre disteso sul letto e la schiena perforata coperta di
sangue.
Non c'era alcun segno dell'arma usata, neanche una traccia di sangue.
Trattenendo a stento un conato di vomito, segno di quanto Matsuda fosse
portato ad essere un guerriero, avanzò a passo cauto come se
il
morto potesse risvegliarsi da un momento all'altro e afferrò
per
una spalla il cadavere facendolo voltare per vederne il viso.
Rilasciò immediatamente la presa esclamando:
“Ma questo è Ukita!”
Poco più in là notò gettato malamente
a terra il
sigillo del daimyo. Matsuda lo prese, stringendolo tra le
mani
sconvolto.
Ukita era morto, brutalmente assassinato in una squallida camera.
Guardò un istante il giovane, pallido in volto, mentre la
sua
mente divagava, chiedendosi quali importanti informazioni il messaggero
custodisse da indurre qualcuno ad ucciderlo.
Quando un altro degli uomini lo raggiunse Matsuda disse:
“Dobbiamo subito avvertire il daimyo!”
L'altro samurai, Aizawa, rimase pietrificato nel vedere il cadavere e,
alle veloci e terrorizzate spiegazioni di Matsuda, si
affrettò a
correre via, premunendosi di dirigersi personalmente dal loro signore.
Matsuda, passandosi una manica del kimono sul volto, disse con voce
incerta, rivolgendosi al giovane gestore:
“Fra poco verranno a prelevare il cadavere e le sue cose,
assicuratevi che prima di allora nessuno prenda niente.”
L'uomo annuì agitato e accompagnò, tra il clamore
della
gente che aveva capito che qualcosa di grave era successo, Matsuda in
strada mentre un bonzo già stava recitando alcuni sutra per
scacciare il demonio.
Il samurai lasciò alcuni uomini di guardia e si diresse
verso il
castello con il cuore in gola e il sigillo di Ukita in mano... che
accidenti stava succedendo?
o°
Giappovocabolario °o
(*)Tabi: Calzini che
hanno il pollice separato dalle altre dita, ideali per infilarsi i
sandali.
(*)Edo:
nome antico di Tokyo. A quell'epoca non era ancora capitale del
Giappone, nonostante a partire dal 1603 vi risiedesse lo shogun
(massima carica militare). Sarà nel 1863 che
diverrà capitale col nome di Tokyo quando vi si
trasferirà l'imperatore, la cui precedente residenza era a
Kyoto.
(*)Daimyo:
Termine con cui veniva chiamato il feudatario. Generalmente
più erano potenti più avevano samurai al loro
seguito che
si distinguevano dagli altri per un particolare colore e modello di
kimono e per i simboli della casata di appartenenza. Ma questo avveniva
per i feudi più ricchi, quelli con meno
disponibilità
economiche in genere non davano le divise ai propri samurai.
(*) Okyia:
La casa dove alloggiavano le geishe, donne che intrattenevano uomini
facoltosi nelle case da the con canti, danze e versando loro da bere.
La
sala da té di Happy_Pumpkin.
Avviso: non pretendo di trasmettere alcuna verità storica
con
questa fiction. Vorrei semplicemente che respiraste l'aria di un
Giappone diverso, ricco di tradizioni e culture affascinanti.
Quindi ci saranno, inevitabilmente, degli anacronismi, voluti o meno,
che spero siano i meno possibili. Però, dove serviranno per
la
storia, temo che dovrò privilegiare la narrazione.
Credo che nessuno mi odierà per questo, no? ^ ^'
Siamo nel periodo del commercio
Nanban, nella metà del Cinquecento quindi, epoca durante la
quale gli occidentali
cominciano a giungere in Giappone.
Soprattutto i gesuiti porteranno il loro credo e alcuni potenti daimyo
li appoggeranno, semplicemente per tornaconto personale, ma in generale
la popolazione sarà sempre invisa a questo tipo di religione.
Chiameranno erroneamente bonzi i monaci e, da un primo momento di
fredda accoglienza, si passerà alla persecuzione non
soltanto
dei "missionari" ma anche degli stranieri.
Molto bene, dopo questa breve precisazione ho terminato questo fiume di
parole.
Tra l'altro mi autocomplimento con vergogna per essere stata forse la
prima ad aver iniziato una fiction su Deathnote solo con Ukita e
Matsuda. Meriterei un premio o la fucilazione...
Inoltre compariranno, oltre ai personaggi messi nell'elenco, molte
altre persone che in un modo o nell'altro avranno tutte un ruolo
fondamentale.
Già dal prossimo capitolo le cose cambieranno... alla
prossima.
Ne approfitto per ringraziare Elly_Mello,
patri_lawliet, larxene e saku89 che mi hanno
lasciato una recensione sulla fiction Sogno e Fe85 e Saku89 per averla
messa tra i preferiti.
Grazie anche per averla soltanto letta!
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